CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 619

“Fallo per me”, le mongolfiere di Antonella Staltari

«È l’unico viaggio al termine della notte – racconta Bruno Quaranta nella sua presentazione – Dove vedere la luce se non all’origine del mondo? Navigando sulla mongolfiera che dondola accanto a noi, in ciascuno di noi…”

L’Associazione Artistica Culturale Il Punto di via San Domenico 32  presenta a Torino la mostra “Fallo per me”, con protagoniste le mongolfiere di Antonella Staltari. Alla inaugurazione, prevista per martedì 11 dicembre alle ore 18, interverranno Bruno Quaranta e Gianfranco Schialvino.«È l’unico viaggio al termine della notte – racconta Bruno Quaranta nella sua presentazione – Dove vedere la luce se non all’origine del mondo? Navigando sulla mongolfiera che dondola accanto a noi, in ciascuno di noi, aspettando di sciogliere gli ormeggi, di liberare la possanza, di stupire la fanciulla in fiore onorandola, quindi deflorandola? Ah, l’amour… Fino all’ultimo respiro. Soffiando e soffiando ancora, così sospingendo la creatura in ciel, nei paradisiaci campi, che siano via del Campo o un tappeto di grano, dove supini stare dopo aver delibato il calice, sorseggiato l’unguento, arato la zolla…». Le mongolfiere di Antonella Staltari, realizzate con carte fiorentine, giapponesi o semplicemente povere e di recupero, vanno a formare un viaggio costantemente mutevole nelle passioni dell’artista e di chi le guarda. Ognuna delle mongolfiere infatti è ispirata a letture o personaggi, che sono stati o sono influenti per l’artista (da Coleridge al Moby Dick di Melville, dal Jazz al cinema muto della slapstick comedy, di Buster  Keaton e di Charlie Chaplin fino alla magia sapiente della poesia cinese). 

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ORARIO

dal Lunedì al Sabato – dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18

Fino al 24 Dicembre 2018

Facebook: IncartAntos. Le opere di Antonella Staltari

I Quintorigo tornano a Torino con Mario Biondi

Al Teatro Colosseo – Via Madama Cristina, 71

Dopo la partecipazione al Salone del Libro lo scorso maggio, I Quintorigo tornano a Torino, questa volta sul palco del Teatro Colosseo ospiti di Mario Biondi, nell’ambito del tour partito il 3 dicembre scorso da Napoli.

Sarà la quinta delle dodici date di questo tour teatrale, in cui l’eclettico quartetto romagnolo incornicia con il suo inconfondibile sound, la splendida voce del crooner siciliano.Dopo la partecipazione a Umbria Jazz dove i Quintorigo e Mario Biondi hanno suonato assieme per la prima volta dal vivo e dopo l’uscita lo scorso 9 novembre di “I Wanna Be Free“, nuovo singolo di Mario Biondi con uno straordinario featuring dei Quintorigo, arriva il tour teatrale, qualcosa che sancisce in modo definito l’avvenuto sodalizio tra i cinque artisti.

Li seguo dagli inizi. Sono un estimatore. Il sodalizio nasce proprio da questa mia ammirazione nei loro confronti, iniziata probabilmente ai tempi del primo Sanremo“.

(Mario Biondi)

I Quintorigo, definiti dallo stesso Biondi la “punta di diamante” dell’organico musicale, uniti a Federico Malaman, Max Greco e Josh Peterson, danno vita a un nuovo capitolo live della carriera del crooner, fatto di nuove sonorità e sperimentazione.Ancora una volta i Quintorigo si mettono in gioco, dopo oltre vent’anni di una carriera costellata di soddisfazioni e successi e festeggiata quest’anno con l’uscita del doppio album “Opposites“, lavoro in cui i quattro musicisti hanno giocato con i chiaroscuri della musica del ‘900: da Duke Ellington a Monk, da Oliver Nelson a Ornette Coleman, da David Bowie alle tinte acide dei Rage Against The Machine. Un dialogo tra artisti, fatto di classici rivisitati in stile Quintorigo, più undici brani originali.

Quintorigo e Mario Biondi saranno sui palchi di:

 

Teatro Openjobmetis Varese 10 dicembre 2018Teatro Colosseo Torino 12 dicembre 2018

Obihall Firenze 13 dicembre 2018

Teatro Regio Parma 15 dicembre 2018

Auditorium Santa Chiara Trento 18 dicembre 2018

Gran Teatro Geox Padova 19 dicembre 2018

Teatro Romolo Valli Reggio Emilia 21 dicembre 2018

Europa Auditorium Bologna 22 dicembre 2018

Auditorium Parco della Musica Roma 27 dicembre 2018

 

L’isola del libro

Panoramica settimanale sul mondo dei libri

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Federica Bosco “Il nostro momento imperfetto” – Garzanti- Euro 17,90

 

Il sottotitolo “…Perché non è mai troppo tardi per ricominciare” è la chiave di lettura di questo piacevolissimo romanzo che vi terrà incollati fino all’ultima pagina ….perché vorrete sapere come va a finire e un po’ potreste riconoscervi nella protagonista e nei suoi salti mortali per ottenere la tanto sospirata stabilità affettiva. L’autrice, che è anche sceneggiatrice ed ha al suo attivo successi come “Ci vediamo un giorno di questi” (2017) e vari manuali di self –help, torna con un romanzo dedicato alle seconde chance…quelle che si presentano dopo che le certezze e il trend di vita in cui ci si era barcamenati sono deflagrati in mille schegge di delusione lasciando il cuore in frantumi. La protagonista Alessandra ha quasi 40 anni, è docente universitaria di fisica e si culla sicura nel menage consolidato e quotidiano con Nicola…convinta di avere la vita sotto controllo. Gran bello sbaglio! Perché -galeotto un messaggio sul telefonino del fedifrago- scopre che in realtà è un traditore seriale. Il mondo crolla in un attimo. Ma il destino mette sulla strada della protagonista Lorenzo. Uomo sensibile e affidabile, ridotto in semi-povertà da un velenoso divorzio, un’ex moglie avida, opportunista, e spietata (da non augurare neanche al peggior nemico) e… dulcis in fundo ha pure una figlia insopportabile e carognetta. Certo, date queste premesse per Alessandra nulla sarà facile…ma alla fine…e non sveliamo di più.

 

 

 

Benedetta Cibrario “Il rumore del mondo” –Mondadori- Euro 22,00

 

Della scrittrice fiorentina, che vive a Londra, abbiamo amato soprattutto il libro di esordio “Rossovermiglio” (Feltrinelli) che le valse il Premio Campiello nel 2007. Oggi ci cattura con questo corposo romanzo storico -sullo sfondo c’è il Risorgimento- e un’altra sua eroina, l’inglese Anna Bacon, figlia 18enne di un ricco mercante inglese. Nel 1838 sposa il nobile piemontese Prospero Carlo Carando di Vignon. Ma nel viaggio da Londra a Torino contrae il vaiolo che le deturpa il viso. All’arrivo, il marito non ritrovando la splendida fanciulla impalmata a Londra, reagisce con distacco e freddezza. E’ l’avvio di una difficile e penosa vita coniugale. Solitudine e spaesamento sono all’ordine del giorno per Anna, che col tempo si avvicinerà sempre più al burbero suocero Casimiro. Sarà lui a lanciarle un’ancora di salvezza, coinvolgendola nella gestione del Mandrone, storica proprietà di famiglia a cui è legatissimo e per la quale sogna un futuro. Mentre il marito è sempre più inafferrabile e coinvolto in altre liaisons dangereuses, tra Anna e Casimiro nascerà invece una bellissima complicità che l’aiuterà ad adattarsi alla sua nuova vita appartata, ma operosa.

 

 

 

Paula McLain “Amore e rovina” – Neri Pozza- Euro 18,00

 

Non so voi, ma io vado pazza per autobiografie e biografie, ed eccomi a consigliavi questo libro che racconta la storia d’amore, umana e professionale tra il gigante Hernest Hemingway (scrittore e giornalista, vincitore del Premio Pulitzer nel 53 con “Il vecchio e il mare” e Premio Nobel per la letteratura nel 54) e la sua terza moglie, la giornalista Martha Gellhorn. L’autrice californiana Paula McLaine aveva già scritto nel 2011 “Una moglie a Parigi” (Neri Pozza) in cui ricostruiva il primo matrimonio di Hemingway, a Parigi, con Hadley Richardson che gli darà il primo figlio Bumby. Sono gli anni “poveri e felici” in   cui vivono in un appartamento mal riscaldato e fama e successo devono ancora arrivare. Poi -secondo un copione ricorrente- ecco le altre donne nella vita di Hemingway. Mentre è ancora sposato si innamora della ricca newyorkese, amica di Hadley, Pauline Pfeiffer (detta Fife) che glielo soffierà sotto il naso, gli darà due figli e con lui vivrà a Key West. La biografia romanzata della McLain “Amore e rovina” racconta il profilarsi all’orizzonte della coraggiosissima Martha Gellhorn, che diventerà una delle più importanti corrispondenti di guerra del XX° secolo. Hemingway è il suo eroe e quando per caso lo incontra in un bar di Key West ecco un nuovo inizio. I due condividono la passione per il giornalismo e le trincee, lei lo raggiunge a Madrid, insieme rischiano, raccontano conflitti e imbastiscono la loro storia. “Amore e rovina” racconta gli anni in cui la Gellhorn ristruttura la Finca Vigia, a Cuba, in cui si rifugia con Hemingway, tra il sole dell’Avana, le gite in barca sul Pilar e tanta scrittura. Ma vivere all’ombra di un genio è tutt’altro che facile, soprattutto se hai grandi ambizioni e vuoi solcare il mondo. La storia non finisce bene, lei è l’unica delle sue moglie a lasciarlo e lui non la perdonerà mai per questo. Il libro della McLuan si ferma lì, ma Hemingway sposerà ancora Mary Welsh che gli resterà al fianco fino alla fine, nell’Idaho, quel maledetto 2 luglio 1961, in cui esplode il colpo di fucile con cui lui si uccide. Fine della storia e inizio della leggenda.

 

Se amate Hemingway e volete saperne di più ecco altri consigli di lettura:

 

1) Naomi Wood “Quando amavamo Hemingway” (De Agostini) euro 14,36.

In questo romanzo la giovane scrittrice inglese ripercorre le storie delle 4 donne amate -e tradite- dallo scrittore. Tra la Parigi anni 20, Key West, Cuba e l’America della guerra fredda -passando dalla Guerra Civile Spagnola- traccia anche il profilo dello scrittore: tormentato, passionale, ambizioso e pieno di sfaccettature. Le 4 notevoli Mrs Hemingway si passano il testimone della narrazione e dimostrano che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna…in questo caso più di una.

 

2) Paula McLaine “Una moglie a Parigi” (Neri Pozza) euro 17.00

 

3) Marcelline Hemingway Sanford “Un ritratto di famiglia e mio fratello Ernest Hemingway” (Gingko edizioni). Lo trovate su Amazon a 11,05 euro.

Pubblicato dalla sorella maggiore nel 1962 racconta Hemingway dietro le quinte. Gli anni della formazione all’interno di una grande famiglia di Oak Park, le avventurose vacanze nel nord del Michigan, le prime passioni, gli albori della scrittura e tragedie come il suicidio del padre (1928).

 

4) Amanda Waill “Hotel Florida” Einaudi euro 20,00. Come in un romanzo narra gli anni in cui l’albergo madrileno sulla Gran Via è in piena zona di guerra durante l’assedio della capitale da parte delle truppe nazionaliste. Nelle sue stanze s’incrociano storie e destini di cronisti, spie, fotoreporter, scrittori e militari. Tra loro anche Hemingway e Martha Gellhorn, e gli ebrei in fuga dal nazismo Robert Capa e Gerda Taro che reinventeranno il fotogiornalismo di guerra.

Auguri ad acquarello dalla Pinacoteca Albertina

Nell’ambito del calendario di iniziative “Un Natale Magico”, la Pinacoteca Albertina invita le famiglie con bambini dai 7 agli 11 anni a partecipare ad un laboratorio

domenica 9 dicembre 2018 alle ore 15.30.

AUGURI AD ACQUARELLO! 

Visita la mostra “AD ACQUA” e dipingi il tuo biglietto di auguri

Costo dell’attività: 5 euro a bambino.

Biglietto d’ingresso: INTERO 7 euro, RIDOTTO 5 euro, GRATUITO (fino a 6 anni, possessori tessera Abbonamento Musei).

Agli accompagnatori verrà offerta da CoopCulture la visita guidata alla mostra “AD ACQUA. L’acquarello all’Accademia Albertina e in Piemonte dal Novecento a oggi”.

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA

tel. 0110897370
pinacoteca.albertina@coopculture.it

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Pinacoteca Albertina

via Accademia Albertina 8 – 10123 Torino
www.pinacotecalbertina.it

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Alpha – Un’amicizia forte come la vita – Avventura. Regia di Albert Hugher, con Kodi Smit-McPhee. In un’età antichissima, durante un lungo periodo di cacce, un ragazzo perde di vista il proprio gruppo e deve affrontare ogni percolo per poter ritornare a casa. Lungo la strada si imbatte in un lupo grigio ferito, lo cura e lo accudisce sino ad una riabilitazione completa. Da tutto questo nascerà l’amicizia tra l’uomo e la razza canina. Durata 96 minuti. (Massaua. Ideal, The Space, Uci)

 

Animali fantastici 2 – Fantasy. Regia di David Yates, con Eddie Redmayne, Jude Law e Johnny Depp. Non dimenticando il successo del primo capitolo, più che apprezzato un paio di stagioni fa (anche nel senso di incassi al botteghino) e proseguendo quindi pieni di speranze che non verranno deluse nel secondo della saga, alla soglia degli anni Trenta, troviamo il cattivissimo mago Grindelwald in piena evasione mentre accarezza idee di ferrea supremazia, tra profezie che rimandano ad un futuro non troppo lontano e pronte a realizzarsi, mentre il professor Silente affida a Newt Scamander la sua cattura. Una ricostruzione perfetta, dove insieme abitano maghi e mostri, le forze del Bene e quelle del Male, la fantasia che avvolge senza freni il pubblico più giovane come quello più adulto. Durata 134 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Bohemian Rhapsody – Commedia musicale. Regia di Bryan Singer, con Rami Malek. La vita e l’arte di uno dei più leggendari idoli musicali di tutti i tempi, Freddie Mercury, leader dei britannici Queen, il rapporto con i genitori di etnia parsi, l’amore (sincero) per la giovane Mary, la trasgressione e l’omosessualità, i vizi privati e il grande successo pubblico, la sregolatezza accompagnata al genio musicale: il ritratto completo di un uomo e della sua musica, sino al concerto tenuto nello stadio di Wembley nel luglio del 1985. Durata133 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho anche V.O. e sala Harpo V.O., GreenwichVillage sala 1, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)

 

Il castello di vetro – Drammatico. Regia di Destin Daniel Cretton, con Brie Larson, Woody Harrelson e Naomi Watts. Basato sull’autobiografia della giornalista americana Jeannette Walls, il film è il racconto dell’infanzia nomade e travagliata dell’autrice/protagonista. Seconda di quattro fratelli, Jeannette cresce con una madre immatura e capricciosa, più attenta agli scorci da dipingere che alle necessità dei figli, e con un padre affettuoso ma alcolizzato. Che quando non è ubriaco si butta in progetti sconsiderati, elabora complesse strategie di guadagno e infarcisce la mente dei figli di aneddoti bizzarri e fantasiosi, che con il tempo alle due sorelle maggiori non bastano più. L’immaginario castello di vetro che lo sconclusionato genitore progetta un giorno di costruire per le bambine, diventa perciò il simbolo dei fallimenti e della promesse infrante: ma anche dei guizzi della follia e dell’immedesimazione. Durata 127 minuti. (GreenwichVillage sala 2, The Space, Uci)

 

Colette – Biografico. Regia di Wash Westmoreland, con Keira Knightley e Dominic West. Gran successo al recente TFF. Nata e cresciuta in un piccolo centro della campagna francese, Sidonie-Gabrielle Colette (la futura scrittrice di Chéri e di Gigi: sarà lei stessa a imporre a Broadway per quest’ultimo ruolo, portato in palcoscenico, il nome di una pressoché sconosciuta Audrey Hepburn) arriva nella Parigi di fine Ottocento, piena di fermenti non soltanto letterari e artistici, dopo aver sposato Willy, un ambizioso impresario letterario. La donna è attratta da quel mondo così variopinto ed è spinta dal marito a scrivere, reinventando sui personali ricordi il personaggio di Claudine, pubblicandoli in una serie di volumi tutti pubblicati con il nome di Willy. I quattro romanzi, distribuiti lungo le varie età della protagonista, diventano ben presto un fenomeno letterario nonché l’immagine della emancipazione femminile. Mentre cresce insieme alla sua Claudine e afferma la propria personalità nella società del tempo, Colette decide di porre fine al suo matrimonio e inizia una battaglia per rivendicare la proprietà delle sue opere. Tra le pagine dei romanzi, tra le avventure nei letti non soltanto maschili, tra i personaggi storici che prendono posto man mano attorno a lei, tra le sue prove teatrali condite di coraggioso e sfrontato erotismo, nei bellissimi costumi inventati per la vicenda, la Knightley, pur supportata dalla regia eccellente nella descrizione di un’epoca, non sempre riesce a farci “amare” il personaggio, a rendercelo in ogni sua componente, positiva o negativa. Appare con ben altra dimensione Dominic West, eccentrico, infedele, sperperatore, ingannatore della povera consorte, quel Henry Gauthier-Villars che si firmava Willy e metteva alle sue dipendenze, come un negriero, i poveri scrittori più o meno alle prime armi ma pur sempre nella zona buia del suo studio/officina. Durata 111 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Blu, Uci)

 

Disobedience – Drammatico. Regia di Sebastian Lelio, con Rachel Weisz, Rachel McAdams e Alessandro Nivola. Tratto dal romanzo di Naomi Alderman, è un amore al femminile, osteggiato all’interno di una comunità di ebrei ortodossi. Ronit (Weisz), che torna a casa, in un periferico quartiere londinese, per i funerali del padre, decisamente anticonformista, fotografa di moda e di successo oltreoceano, ed Esti (McAdams), timida e riservata, sposata al cugino Dodiv, si ritrovano dopo lungo tempo per riaccendere una passione che non hanno mai dimenticato. Il film è diretto dal cileno Lelio, premiato a Berlino e Oscar quest’anno per “Una donna fantastica”. Durata 104 minuti. (Massimo sala 2 e 3 V.O.)

 

First man – Il primo uomo – Drammatico. Regia di Damien Chazelle, con Ryan Gosling e Claire Foy. Accolto tiepidamente a Venezia dove quest’anno ha aperto la Mostra, il film è l’occasione per rivedere al lavoro la coppia che ha portato al successo “La La Land” – qui la sceneggiatura è basata sul libro di James R. Hansen e firmata da Josh Singer, sue le storie di “The Post” e del “Caso Spotlight”. La storia di Neil Armstrong, il primo uomo a scendere sulla luna, il suo carattere chiuso e ombroso, un esempio di antieroismo, certo non alla ricerca del facile successo, una vita (uno sguardo anche al privato, funestato dalla morte della figlia giovanissima) spesa al raggiungimento di uno scopo (anche il protagonista di “La La Land” aveva il medesimo desiderio, là eravamo nel campo della musica), a partire dal 1969 sino a quella notte del 20 luglio 1969, quando tenne milioni e milioni di spettatori incollati ai televisori in bianco e nero a seguire la sua avventura. Durata 141 minuti. (GreenwichVillage sala 3)

 

Morto tra una settimana (o ti ridiamo i soldi) – Commedia. Regia di Tom Edmunds, con Tom Wilkinson e Aneurin Barnard. La scrittura è un fallimento, i rapporti con il mondo che lo circonda un disastro, William alla soglia dei trenta ha deciso di buttarsi giù da un ponte. L’incontro con un anziano killer professionista, Leslie, può tuttavia mostrare in modo totalmente diversa la sua decisione: ne deriva un contratto secondo cui Leslie ucciderà l’aspirante suicida con un colpo di pistola entro una settimana: il tutto guastato dall’arrivo di una ragazzo di cui William si innamora e un lavoro che fa altrettanto al caso suo. Ma c’è una postilla, che il contratto non è rescindibile. Durata 90 minuti. (F.lli Marz sala Harpo, GreenwichVillage sala 3)

 

Non ci resta che vincere – Commedia. Regia di Javier Fesser, con Javier Gutierrez e Juan Margallo. Marco Montes è allenatore in seconda della squadra di basket professionistica CB Estudiantes. Arrogante e incapace di rispettare le buone maniere viene licenziato per aver litigato con l’allenatore ufficiale durante una partita. In seguito si mette alla guida ubriaco e ha un incidente. Condotto davanti al giudice, è condannato a nove mesi di servizi sociali che consistono nell’allenare la squadra di giocatori disabili “Los Amigos”. L’impatto iniziale non è dei migliori e Marco cerca di scontare lasua condanna con il minimo sforzo convinto di trovarsi di fronte a dei buoni a nulla dai quali non potrà ottenere dei risultati apprezzabili. A poco a poco i rapporti cambieranno. Durata 124 minuti. (Classico, Due Giardini sala Nirvana, Uci)

 

La prima pietra – Commedia. Regia di Rolando Ravello, con Corrado Guzzanti, Kasia Smutniak, Iaia Forte e Serra Yilmaz. Scritto da Stefano Massini, traendolo da una sua commedia scritta per il palcoscenico, è la storia di Samir, studente delle elementari, proveniente da una famiglia di origine musulmana, che un giorno lanciando una pietra contro un vetro della scuola, ferisce il custode e la bidella. Il preside Guzzanti cerca di mettere pace tra i feriti e la madre e la nonna del ragazzino ben lontane dal voler pagare i danni. In quegli stessi giorni si sta preparando la recita scolastica del Natale, festa (ancora) nostrana ma non esente dagli omaggi (oggi dovuti) all’interreligiosità. Durata 77 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Reposi, The Space, Uci)

 

Quasi nemici – Commedia. Regia di Yvan Attal, con Daniel Auteuil e Camélia Jordana. Neïla Salah è cresciuta a Créteil, nella multietnica banlieu parigina, e sogna di diventare avvocato. Iscrittasi alla prestigiosa università di Panthéon-Assas nella capitale francese, sin dal primo giorno si scontra con Pierre Mazard, professore celebre per i suoi modi bruschi, le sue provocazioni e il suo atteggiamento prevenuto nei confronti delle minoranze etniche. La proprio Mazard, per evitare il licenziamento all’indomani di uno scandalo legato a questi suoi comportamenti, si ritroverà ad aiutare Neïla a prepararsi per l’imminente concorso di eloquenza. Cinico ed esigente, il professore potrebbe rivelare di essere proprio il mentore di cui la ragazza ha bisogno, tuttavia entrambi dovranno prima riuscire a superare i propri pregiudizi. Durata 95 minuti. (Massimo sala 2)

 

Ride – Drammatico. Regia di Valerio Mastandrea, con Chiara Martegiani, Renato Carpentieri e Stefano Dionisi. Opera prima passata al TFF ma lasciata fuori da ogni premio, è il resoconto del non-dramma di Carolina, della sua impossibilità a esprimere il proprio dolore mentre si prepara il funerale del padre di suo figlio, vittima del lavoro. In un’altalena di momenti drammatici, ma inespressi, e di attimi che vorrebbero alleggerire l’infelicità della vicenda (il ragazzino che è in attesa della televisione che certamente verrà, che prepara le risposta di una eventuale intervista), subentra la irrealtà del racconto di Mastandrea, che innesta una sottotrama bella ma disturbante del padre della vittima e del suo rapporto con l’altro figlio, anima nera della famiglia. L’attore passato dietro la macchina da presa è più convincente nel raccontare questi attimi e nel dirigere Carpentieri e Dionisi, difetta nell’indirizzare in una giusta direzione quell’impossibilità per cui ha scelto il volto e i mezzi abbastanza dimessi della sua compagna. Durata 95 minuti. (Romano sala 3)

 

Robin Hood – L’origine della leggenda – Regia di Otto Bathurst, con Taron Egerton e Jamie Foxx. Un racconto antico che il regista ha voluto riproporre sullo schermo dando un gran spolverata di modernità, il ritorno dalle Crociate e la visione di un paese in cui tutto è corrotto e in disfacimento, il cattivo duca di Nottingham, l’amore della bella lady Marian: è un azzardo dire che forse non se ne sentiva il bisogno? Rimpiangiamo tutti i precedenti, da Errol Flynn a Sean Connery. Durata 116 minuti. (Massaua, Uci)

 

Roma – Drammatico. Regia di Alfonso Cuaron, con Yalitza Aparicio e Marina de Tavira. Girato in bianco e nero, Leone d’oro quest’anno a Venezia, il titolo ricorda il nome di un sobborgo della periferia di Città del Messico. Siamo agli inizi degli anni Settanta, è la storia di Cleo, domestica al servizio di una famiglia altoborghese. Rimasta incinta e abbandonata dal ragazzo, condivide con la padrona abbandonata dal marito lo stesso dramma. Cuaron descrive le due donne, appartenenti a due classi sociali diverse, e le loro giornate impiegate nell’educazione dei figli, mentre intorno a loro gruppi militari e paramilitari colpiscono giovani studenti, in quello che verrà ricordato come il Massacro del Corpus Domini, nel giugno del ’71. Durata 135 minuti. (Ambrosio sala 2, Massimo sala 1 e 2 V.O.)

 

Santiago, Italia – Documentario. Regia di Nanni Moretti. Film di chiusura del TFF, l’autore di Habemus Papam” e di “Mia madre”, attraverso materiali documentaristici e le parole dei protagonisti, descrive i giorni che seguirono alla presa di potere di Pinochet nel Cile del 1973 e soprattutto il peso che la nostra ambasciata a Santiago ebbe nel dare rifugio alle centinaia di perseguitati politici alla ricerca di un rifugio sicuro. Durata 80 minuti. (Romano sala 2)

 

Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni – Fantasy. Regia di Lasse Hallstrom e Joe Johnston, con Helen Mirren, Morgan Freeman e Keira Knightley. Tratto dal racconto fantastico di Hoffmann, scritto nel 1816, e il balletto musicato da Čajkovskij quasi un secolo dopo. Come ogni vigilia di Natale, il signor Drosselmeyer e sua figlia Clara si riuniscono con gli altri ospiti nel grande salone della loro casa, per partecipare alla abituale magnifica festa: durante i festeggiamenti però avviene un fatto insolito. Seguendo un filo dorato che attraversa tutti i corridoi della casa, la giovane Clara viene condotta in un mondo magico e sconosciuto, diviso in quattro reami incantati. Durata 99 minuti. (Reposi)

 

Se son rose – Commedia. Regia di Leonardo Pieraccioni, con Leonardo Pieraccioni, Gabriella Pession, Claudia Pandolfi, Elena Cucci e Caterina Murino. Giornalista web, diviso da una consorte che ha ritrovato l’amore e padre di una figliola quindicenne più che pronta a muoversi nelle tecnologie e nei sentimenti sempre da prendere al volo del mondo di oggi, vive una seconda vita, inaspettata, proprio quando la prole, in un eccesso di amor filiale, invia a tutte le ex del padre un unici messaggino: “Sono cambiato, riproviamoci!”. La disgrazia vuole che il gruppetto di passate esperienze accolga all’unisono l’invito. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Ti presento Sofia – Commedia. Regia di Guido Chiesa, con Fabio De Luigi, Micaela Ramazzotti e Caterina Sbaraglia. Replay di casa nostra dell’argentino “Se permetti non parlarmi di bambini” uscito tre anni fa. Un padre divorziato, un padre premuroso e attaccatissimo alla propria creatura di dieci anni, che sbarca il lunario vendendo strumenti musicali, innamorato di una donna, Mara, indipendente, dal carattere forte, fotografa in cerca della sua strada, personalissima, che al loro primo appuntamento gli rivela di non volere assolutamente dei bambini, che anzi i bambini, tutti, lei li detesta. Sarà una gara quotidiana per l’imbranato Gabriele a costruire le proprie giornate in funzione della presenza dell’una o dell’altra sua donna, come la sua casa, adattata secondo le circostanze. Tra bugie, sotterfugi, manovre inverosimili, conflitti e soluzioni. Durata 98 minuti. (Reposi)

 

Tre volti – Drammatico. Regia di Jafar Panahi, con Benhaz Jafari e Jafar Panahi. Benhaz è una popolare attrice iraniana che un giorno riceve il video di una ragazza che richiede il suo aiuto contro una famiglia che le impedisce di recitare. Decide immediatamente di abbandonare il set del film che sta girando e con l’aiuto di Panahi iniziare un viaggio che la porterà sulle montagne del paese per ritrovare quella ragazze e dare ascolto e speranza a quel grido drammatico. Durata 102 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Troppa grazia – Drammatico. Regia di Gianni Zanasi, con Alba Rohrwacher, Elio Germano, Giuseppe Battiston e Valerio Mastandrea. Lucia è una geometra che vive sola con sua figlia. Il comune un giorno le affida un controllo su un terreno scelto per costruire una grande opera architettonica. Qualcosa su quelle mappe non va, ma per paura di perdere l’incarico decide di non farne parola con nessuno. Il giorno dopo, sul lavoro, viene interrotta da quella che sembra una giovane “profuga”: la sera la rivede all’improvviso nella cucina di casa sua e le sente dire “vai dagli uomini e di’ loro di costruire una chiesa là dove ti sono apparsa…”. Durata 110 minuti. Due Giardini sala Ombrerosse, Romano sala 1)

 

Tutti lo sanno – Drammatico. Regia di Asghar Farhadi, con Penelope Cruz, Javier Bardem e Ricardo Darìn. Laura ritorna nel paese della sua infanzia per partecipare alle nozze della sorella. Lasciata anni prima la Spagna per l’Argentina, è sposata con un uomo che non ama più e ha due figli che ama sopra ogni cosa. In Spagna, nella provincia della Rioja, con gli affetti più cari ritrova Paco, l’amore della sua gioventù. L’accoglienza è calorosa, il matrimonio da favola, i festeggiamenti esultanti ma quella gioia lascia all’improvviso il posto alla disperazione. La figlia di Laura viene rapita: una sparizione che fa cadere le maschere in famiglia e nell’intero paese, dove “tutti sanno”. Dal regista iraniano di “La separazione”: da cui ci si sarebbe aspettato molto di più. Se all’inizio i preparativi della festa sono condotti con un certo ritmo, solare e affascinante, se i vari personaggi familiari sono tratteggiati con sicurezza, man mano che la storia avanza ci si ritrova nell’ovvio (e di una certa paternità mai confessata hai già avuto qualche dubbio non appena la Cruz mette piede al paesello natìo) e il nodo di vipere non snocciola poi grandi sorprese, con qualche imbarazzo per Bardem che si ritrova lì a fare il romanticone e la consorte che s’ingegna a dare credibilità ai suoi dolori di madre, in uno svolgimento che sfoglia tutte le pagine del melò. Darìn questa volta sta nelle retrovie, anche per colpa della brutta sceneggiatura, (sempre più annaspante, con un vero brutto imbattersi delle anime del misfatto, improvviso, mal raccontato), con grave disappunto di chi altre volte lo ha ammirato. Durata 132 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Il verdetto – Drammatico. Regia di Richard Eyre, con Emma Thomson, Fionn Whitehead e Stanley Tucci. Tratto dal romanzo “La ballata di Adam Henry” di Ian McEwan. Mentre il suo matrimonio con Jack vacilla, l’eminente Giudice dell’Alta Corte britannica Fiona Maye è chiamata a prendere una decisione cruciale nell’esercizio della sua funzione: deve obbligare Adam, un giovane adolescente che sta per compiere i diciotto anni, a sottoporsi a una trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la via, contro le certezze di genitori che fanno parte dei testimoni di Geova e sono contrari a quella decisione. Contro l’ortodossia professionale, Fiona sceglie di andare a far visita al ragazzo in ospedale.Quell’incontro avrà un profondo impatto su entrambi, suscitando nuove e potenti emozioni in Adam e sentimenti rimasti a lungo sepolti nella donna. Una delle migliori interpretazioni della Thompson, una splendida quanto serrata prima parte del film: quando poi, all’entrata in scena del ragazzo, si intravedono all’orizzonte conflitti amorosi e materni da sempre soffocati, qualcosa nella storia scricchiola, si allunga in dialoghi e giravolte a tratti non necessari, il ritmo s’allenta, il sentimentalismo meno a freno finisce col “rovinare” un bellissimo personaggio femminile cui all’inizio ci eravamo affezionati. Tucci sembra entrato nella vicenda per sbaglio, un altra faccia in un altro luogo. Da vedere comunque. Durata 105 minuti. (Eliseo Rosso)

 

Widows – Eredità criminale – Thriller. Regia di Steve McQueen, con Viola Davis, Liam Neeson, Cynthia Erivo, Colin Farrell, Robert Duvall e Michelle Rodriguez. Veronica Rawlins è sposata con Harry che muore durante un colpo compiuto ai danni del gangster Jamal Manning, pronto a entrare in politica. Il colpo di Harry finisce non solo in una strage in cui muore tutta la sua banda ma pure in un incendio che brucia tutto quanto il denaro, tanto che Jamal decide di chiedere un risarcimento a Veronica, cui Harry tra l’altro ha lasciato una ricca cassetta di sicurezza in cui è nascosto il suo quadernetto d’appunti con le note per il prossimo colpo. Veronica decide di realizzare quella rapina e cerca di convincere le altre vedove a essere sue complici. Durata 129 minuti. (GreenwichVillage sala 3, Reposi)

Le luci della centrale elettrica

Se l’intervento di recupero del dismesso Centro riparazioni del sistema ferroviario di Torino fosse stata una mera riconversione, senza dargli una nuova vita, sarebbe stata una bellissima operazione, ma alla fine, inutile

Il fatto che sia diventato un Polo multifunzionale d’eccellenza ha una grande valenza per tutto il Piemonte. Ne è una ulteriore riprova lo spettacolo di VASCO BRONDI,  Le luci della centrale elettrica che le OGR propongono al pubblico il prossimo 8 dicembre 201Dopo il successo dello spettacolo presentato a maggio scorso durante la rassegna Forte Movimento, Vasco Brondi torna alle OGR con il tour nei teatri per festeggiare i dieci anni de Le luci della centrale elettrica. Sul palco della Sala Fucine, le canzoni dal 2008 al 2018 si mescoleranno a letture e racconti dell’Italia vista dal finestrino per milioni di chilometri, tra la Via Emilia e la Via Lattea.  L’artista sarà accompagnato da una super band formata da Rodrigo D’Erasmo (violino), Andrea Faccioli (chitarre), Gabriele Lazzarotti (basso), Daniela Savoldi (violoncello) e Anselmo Luisi (percussioni). Ticket disponibili online su www.ogrtorino.it, o in biglietteria OGR senza diritti di prevendita. Un breve excursus: nato a Verona nel 1984, cresce tra Ferrara e l’Emilia ed esordisce come cantautore nel 2007 con il nome Le luci della centrale elettrica e realizzando una demo dal titolo omonimo, distribuita dall’artista direttamente ai concerti. Nel maggio 2008 nasce il suo primo album d’esordio Canzoni da spiaggia deturpata. Inizia così un percorso di continua formazione, in cui emergono linguaggi artistici diversi, ma connessi fra loro, anche se sembrano indipendenti, ma non lo sono: la musica, il cinema, il fumetto, il videoclip, l’illustrazione, la pittura, la danza e la scrittura. L’ultimo album 2008-2018, tra la via Emilia e la via Lattea, comprende anche due brani inediti e un live in studio, il libro intitolato 2008-2018, dieci anni di musica tra la via Emilia e la via Lattea è pubblicato da “La nave di Teseo” e sarà in vendita presso Transnatural shop. È il tour teatrale in cui si mescolano canzoni scritte in questi dieci anni a letture e racconti, sono gli atti conclusivi, dopo dieci anni, del viaggio de Le luci della centrale elettrica. Ad aprire il concerto di Vasco Brondi sarà “Effepunto”, al secolo Filippo Cecconi, musicista che ha militato nei Ministri dal 2009 al 2013 ed è fondatore dei Calamari, gruppo di cabaret “situazionista”.

 

Tommaso Lo Russo

Pirandello e Bunuel per ragionare della nuova pazzia

Filippo Fonsatti conteggia che Così è (se vi pare) manca dal palcoscenico del Carignano da più di dieci anni. Da martedì prossimo lo spettacolo prodotto dallo Stabile di Torino Teatro Nazionale e diretto da Filippo Dini – primo appuntamento pirandelliano per il 45enne attore/regista – è pronto a prendere il largo, quattro settimane a Torino, comprese le festività natalizie e quelle del nuovo anno (“e questa è per noi davvero una scommessa su cui puntare: ma lo facciamo con tranquillità, dal momento che già abbiamo superato le cifre di pubblico e di abbonamenti della scorsa stagione”, sottolinea ancora Fonsatti) e poi per ora un mese di tournée, da Trieste a Napoli, da Pistoia a Genova.

C’è quasi un “timore reverenziale” nel mettere in scena un testo che nelle intenzioni di Dini regista (ma suo è anche il personaggio del raisonneur Laudisi) – scomoda pure, a partire dalla locandina, guardare per credere!, i geni di Leonardo e di Bunuel con il suo perseguitato Viridiana. Il pirandellismo coniugato in questo avviato secolo con un gioco al massacro inscenato in un interno borghese, un giallo irrisolto, un finale tagliato via dove niente altro riecheggia se non la risata di Laudisi che manda con un calcio a quel paese una verità ricercata a lungo. Da chi, se non dal nuovo viso della pazzia, dai borghesi del paese, con i loro pettegolezzi, con le loro certezze senza ferite, in cui hanno trovano un (mesto) rifugio il signor Ponza (Giuseppe Battiston) e la signora Frola (Maria Paiato, mai più avvicinatasi a Pirandello dopo le prove in Accademia), con quell’altra donna, moglie dell’uno?, figlia dell’altra?, tenuta segregata in una casa fuori del paese. Forse tutto è un sogno, un gioco tragico quella verità costruita e immediatamente distrutta, quella realtà, per ognuno dei presenti tangibile, quelle parole di Ponza e di Frola che a fasi alterne incantano e convincono. “È una grande opportunità quella che lo Stabile torinese mi ha offerto, a me che forse, come molti della mia generazione, ho sempre avuto uno sguardo snob nei confronti dell’autore siciliano, con la sua lingua un po’ vecchia, con le sue trame non chiare ad una primissima lettura e invischiate, contorte, con quelle morali disseminate nei finali che parevano risapute, mai innovative”.

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Invece nei mesi di preparazione e di prove, Dini è andato nel fondo di un testo, ha scavato, ha immediatamente compreso l’importanza di quel termine, “oggi”- come non gli è sfuggito che ci troviamo di fronte ad una “parabola in tre atti” -, in cui l’autore ambiente la vicenda. La data non può essere il 1917, il ricevente la compagnia di Talli ed il pubblico milanese: il tempo è il nostro, “questo nostro tempo occupato a scoprire dove sia la verità”. Una verità simile a quella sbandierata sui social, “su Facebook e Twitter tutti raccontano una verità, la loro, quante verità esistono?”. Una verità laica, anche, che il regista supera, ponendosi fin da subito di fronte a quel titolo sicuro, assoluto nella sua prima parte e libertario nel resto, pronto a smentire. “Ho intravisto una componente surrealista, anche se so di essere in anticipo con i tempi, mi sono fatto domande circa l’inconscio che si sviluppa nei miei personaggi, ho cercato di individuare le enormi passioni che stanno al loro interno, ho voluto fare esplodere le differenti passioni di questo testo”. Nell’attualità che all’occhio del regista invade il dramma pirandelliano, Giuseppe Battiston, giunto al suo quinto appuntamento con lo Stabile, cerca di chiarire con personali parole come questo testo possa racchiudere un “noi” e un “loro”. “Noi, ovvero la casa del consigliere Agazzi e quanti la frequentano, siamo i regolari, con le nostre abitazioni, con l’ordine in ogni stanza, con i nostri rapporti ben costruiti, noi che quando entriamo nella vita delle persone facciamo domande e non ci rendiamo conto che tutto può diventare violenza, loro sono quelli che arrivano da lontano, sconosciuti, da un paese in cui un evento naturale ha distrutto ogni cosa, gettano la carta per terra, non sono trasparenti”. Ricollocare la “pazzia” dunque, se rimanga ancora in genero e suocera o se abbia ormai invaso questo “formicaio agitato” di pettegoli e di quanti vogliono scoprire l’assoluta verità.

 

 

Elio Rabbione

 

 

 

Foto di Laila Pozzo: una scena d’insieme di “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello, produzione Teatri Stabile di Torino – Teatro Nazionale; gli interpreti principali dello spettacolo, da sinistra, Giuseppe Battisto, Filippo Dini (anche regista) e Maria Paiato

 

Il “Pannunzio” celebrato a Lucca ma non a Torino

Il Comune di Lucca, sindaco in testa, festeggia i 50 anni del Centro Pannunzio e l’illustre concittadino. A Torino dove il centro culturale è nato, il Comune e la Sindaca invece ignorano l’anniversario. Se nemmeno le istituzioni culturali torinesi vengono rispettate e valorizzate, non c’è davvero da stupirsi del declino della città.

(Red. To)

 

Italiani si rimane, parola di Severgnini

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Beppe Severgnini presenta il suo libro “Italiani si rimane” a Torino : appuntamento venerdì 7 dicembre alle ore 18.00 al Circolo dei Lettori in via Bogino 9

 

Un viaggio ironico, sentimentale e istruttivo: dalla scuola di Montanelli al Corriere della Sera, dal primo articolo per La Provincia di Cremona al New York Times, dai libri alla radio, da Twitter al teatro (entrambi utili, il secondo più moderno). In Italia e in Europa, in America e in Australia, in televisione e sui treni del mondo. In ogni esperienza si nasconde una lezione. Beppe Severgnini prova a capire qual è, e condivide con noi le sue scoperte. Una narrazione intima e sorprendente, una scrittura nuova e appassionata. Italiani si rimane non spiega solo le trasformazioni nei media a cavallo tra due secoli: parla del tempo che passa, del legame con la terra e la famiglia, del piacere di insegnare e veder crescere nuovi talenti. Questo libro arriva vent’anni dopo Italiani si diventa, dove l’autore ripercorreva l’infanzia, l’adolescenza e la prima gioventù. La sua collaudata ironia ora diventa autoironia, l’autobiografia diventa biografia di una generazione. Serenità, intuizione, occhio prensile: a Beppe Severgnini i dettagli non sfuggono. Le pagine luccicano di leggerezza intelligente. Italiani si rimane è un viaggio dentro il cambiamento: personale, professionale, nazionale. Un racconto utile ai più giovani per progettare e ai meno giovani per ricordare. Un libro che prova una cosa: qualunque lavoro si faccia, e qualsiasi cosa succeda, italiani si rimane.

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BEPPE SEVERGNINI è il direttore di 7, settimanale del Corriere della Sera. Scrive per The New York Times e ha lavorato per The Economist. È autore di sedici libri, tra cui Inglesi, Un italiano in America e La testa degli italiani, tradotto in quindici lingue. Da La vita è un viaggio, l’autore ha tratto una rappresentazione teatrale, da lui stesso interpretata. Ha ideato e condotto il programma L’erba dei vicini (Rai 3).

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  • Prezzo di copertina Euro 17,50
  • Pagine 288
  • Anno 2018
  • Collana Saggi

 

Dalla, Gaber, Van de Sfroos

Proseguiranno all’Unitre di Casale Monferrato, dal 9 gennaio 2019, le lezioni tenute dal docente Giorgio Belletti, iniziate lo scorso anno con Paolo Conte, nell’ambito del corso di musica coordinato da Gian Franco Nissola.

I cantautori scelti saranno tre: Lucio Dalla, Giorgio Gaber e Davide Van de Sfroos. Riassumendo quanto dice il docente “I primi due hanno fatto parte della nostra gioventù, della maturità e ancora li frequentiamo come vecchi amici prematuramente scomparsi; di Dalla si ripercorrerà la carriera dagli esordi come clarinettista Jazz nella Bologna di Pupi Avati e Nando Giardina con la sua Doctor Dixie Jazz Band fino ai grandi successi internazionali culminati in Caruso. Di Gaber saranno fatte ascoltare le canzoni più note, ora romantiche, ora allegre e scanzonate ma anche cariche di critica corrosiva contro costumi e poteri politici, senza dimenticare gli spettacoli teatrali. Davide Bernasconi (in arte Davide Van de Sfroos), meno noto ma molto interessante, si esprime con il “laghée” nel raccontare storie folk, surreali e intensamente poetiche orgoglioso d’usare il dialetto come bandiera della propria forma artistica. Vi è forse il rischio di non capire bene le parole dialettali ma egli stesso disse che si sentono tante canzoni in inglese senza capirle ma che piacciono ugualmente poiché la musica ha un linguaggio universale. Chi può dargli torto?”

GRB