CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 591

Storia dei due fratelli con il gozzo

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Folletti e satanassi, gnomi e spiriti malvagi, fate e streghe, questi sono i protagonisti delle leggende del folcklore, personaggi grotteschi, nati per incutere paura e per far sorridere, sempre pronti ad impartire qualche lezione. Parlano una lingua tutta loro, il dialetto dei nonni e dei contadini, vivono in posti strani, dove è meglio non avventurarsi, tra bizzarri massi giganti, calderoni e boschi vastissimi. Mettono in atto magie, molestie, fastidi, sgambetti, ci nascondono le cose, sghignazzano alle nostre spalle, cambiano forma e non si fanno vedere, ma ogni tanto, se siamo buoni e risultiamo loro simpatici, ci portano anche dei regali. Gli articoli qui di seguito vogliono soffermarsi su una figura della tradizione popolare in particolare, le masche, le streghe del Piemonte, scontrose e dispettose, mai eccessivamente inique, donne magiche che si perdono nel tempo e nella memoria, di cui pochi ancora raccontano, ma se le loro peripezie paiono svanire nei meandri dei secoli passati, esse, le masche, non se ne andranno mai. Continueranno ad aggirarsi tra noi, non viste, facendoci i dispetti, mentre tutti fingiamo di non crederci, e continuiamo a “toccare ferro” affinchè la sfortuna e le masche, non ci sfiorino. (ac)

6 Storia dei due fratelli con il gozzo

Nel Bric di Bissarello (in provincia di Cuneo), in un grande pianoro, cresce un immenso castagno; il tronco antico e nodoso fa sì che i ragazzi si arrampichino sopra con facilità, per poi sporgersi in mezzo alla folta chioma verde e di lì, con gli occhi immortali e puri della giovinezza, osservare il mondo.  Vicino a quel luogo, un tempo, abitavano due fratelli, reietti, a causa di un grosso gozzo che li rendeva turpi nell’aspetto. Per questo motivo, essi si vergognavano di mostrarsi alla gente, temevano di essere oggetto di duri motteggi e non osavano sostenere gli sguardi inorriditi delle fanciulle del villaggio; avevano dunque deciso di ritirarsi lontano dal paese, in una piccola e assai modesta dimora che calzava a pennello per loro, con una finestrina che si affacciava sul castagno in lontananza. La drammaticità della situazione fece venire coraggio al più giovane dei fratelli, il quale decise di aspettare la notte del Sabba per parteciparvi di nascosto, convinto che quel suo gesto così audace avrebbe potuto spingere le streghe ad aiutarlo a risolvere il problema drammatico del gozzo. Ed ecco come agì. Ci fu una notte più buia del solito, le stelle in cielo si rimpicciolirono e la luna andò a nascondersi dietro le fronde del grande albero. Il ragazzo si addentrò guardingo nel bosco, inciampando nelle radici nodose del castagno, così invadenti quella notte, come se volessero addirittura fermarlo. Gli abituali, consueti rumori notturni si erano d’improvviso quietati, nessun animale correva, né usciva dalla propria tana, gli insetti non volavano, solo qualche stridio lontano tagliava l’aria e faceva quasi male all’udito. Il giovane volle convincersi che si trattava di versi di civette o barbagianni, ma solo per nascondere a se stesso quella strana sensazione di grida come provenienti dall’oltre tomba. Dopo aver camminato per un tempo che gli parve interminabile, egli arrivò in un piccolo spiazzo, dove gli alberi si allargavano tra loro e parevano formare un cerchio tracciato appositamente per ospitare balli e incontri; anche gli stessi tronchi sembravano incurvarsi leggermente, come in un eterno inchino per misteriosi invitati. Il ragazzo si acquattò dietro un tronco e rimase in attesa, si guardava attorno, pentito di essersi sentito così coraggioso, anzi pensò di tornare indietro, ma il gozzo che lo tormentava si fece più pesante e quella sensazione di malessere lo convinse a rimanere fermo dove si trovava. L’attesa fu ripagata da uno spettacolo sensazionale. Il cielo così nero si inscurì ulteriormente e dal nulla spuntarono carri trainati da cavalli imbizzarriti, adornati di campanellini tintinnanti: i suoni però erano sgradevoli, più simili al rompersi di bicchieri che a uno scampanio di festa. Le fruste schioccavano con vigore, si scagliavano contro le schiene degli animali con una forza tale che avrebbero potuto dilaniarli, ma i cavalli nitrivano, come infervorati da un insano piacere malefico. Giunsero altre streghe, ma queste non arrivarono con i carri: avevano assunto la forma di uccelli dalle grandi ali e dagli occhi piccoli. Si erano trasformate in volo, tramutando il verso del volatile in un ghigno infernale.

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Era come se l’Inferno si fosse aperto e stesse rigurgitando sulla Terra una moltitudine di creature, così spaventose che anche per il Demonio erano insopportabili. Le masche continuavano a volteggiare, gridando parole oscene e proponendosi in movimenti sempre più convulsi, quindi si presero per mano e poi, piano piano, iniziarono a scendere verso il suolo, senza fermarsi mai nella loro danza spregiudicata. Appena misero i piedi sul terreno, un fuoco rosso scuro divampò in mezzo a loro e il ragazzo, sforzandosi di guardare con attenzione, poté finalmente osservare qualche volto, incuriosito sempre più da quello spettacolo tanto raccapricciante eppure tanto irresistibile. Quando il giovane si accorse di essere stato visto, ebbe paura che le masche lo avrebbero punito per quella bravata, invece due di loro, due donne di mezza età con gli occhi lucidi di follia e i seni sgradevolmente prorompenti, lo presero per mano e lo invitarono a unirsi alla loro danza. Il giovane si sentì sopraffatto da una forza ardente, che gli lacerava gli organi e che si impadroniva del suo corpo, e anche lui iniziò a ridere e a gridare, muovendosi come un mostro in mezzo ai mostri, incapace di ribellarsi a quella sensazione di torbido piacere che lo intimoriva e lo eccitava.


La notte trascorse così, tra sogni e incubi che si susseguivano e con il caos che si accompagnò al risvegliarsi del giorno. Poi, prima che il sole spuntasse, le masche si avvicinarono al giovane e gli toccarono ognuna il gozzo ingombrante, ed egli si accorse che ad ogni tocco la sua bruttezza diminuiva, finché l’ultima donna non gli sfiorò con i polpastrelli la pelle tondeggiante del pomo d’Adamo. Mentre alcune masche salivano sul carro, altre accompagnarono il giovane fino all’inizio del sentiero che portava al villaggio e lo invitarono a proseguire verso il suo nuovo gioioso futuro. Il fratello più anziano, saputa la vicenda del ragazzo, volle provare anche lui a guarire, ma più che per coraggio, agì per invidia ed emulazione, si mosse d’impeto e andò a cercare le masche nel bosco, un venerdì notte, quando alle streghe è proibito compiere incantesimi. L’uomo le chiamò a gran voce per tutto il tempo, irrispettoso del loro riposo; gli parve, però, di aver camminato per il bosco senza aver visto niente di particolare e nessuna masca. Decise allora di salire sul castagno per avere una visione più precisa dall’alto, ma anche di lì non vedeva traccia delle streghe. Fece per scendere ma si accorse che le radici dell’albero riflettevano diversamente i raggi della luna, come se questi si muovessero; osservò meglio e vide che intorno al tronco si era formato un mare di bisce, le une intrecciate alle altre come fili all’uncinetto. L’uomo fu costretto a rimanere sul castagno tutta la notte, e si rassegnò ad attendere che l’alba facesse scomparire quegli immondi animali striscianti. Con la paura che lo attanagliava si addormentò abbracciato ad un grosso ramo, fino a quando il sole del mattino non gli infastidì il sonno. Si sgranchì la schiena, guardando subito in basso per controllare che i serpenti se ne fossero andati, ma, sebbene quel problema si fosse risolto, c’era comunque qualcosa di diverso, che non andava. L’uomo si rese conto di sentirsi appesantito, di fare più sforzo con il collo, così allungò la mano tremante verso il mento e si accorse che gli era spuntato un secondo gozzo, oltre a quello che già aveva. Del fratello più giovane si sa che in città trovò un onesto lavoro, si innamorò di una cartomante e la sposò; dell’altro, invece, si racconta che solo il prete andasse ogni tanto a fargli visita, e all’uomo di chiesa il misero reietto continuava a ripetere: ” A me delle donne non è mai interessato niente”. Chi è curioso va all’Inferno, ma talvolta viene premiato… dal Diavolo, s’intende.

Alessia Cagnotto

 

 

Ramesse II in trasferta a Le Gru

Dov’è finita la splendida statua di Ramesse II che da anni troneggia in via Lagrange?, questa la domanda che l’intera città si fa da giorni. Un contest organizzato dal Museo Egizio ha svelato su instagram gli indizi per trovarla, e grazie all’abilità di alcuni cittadini torinesi si è risolto il mistero: Ramesse ha trovato casa a Le Gru #GruLikeAnEgyptian!


L’arrivo della statua del più grande, potente e celebrato faraone dell’antico Egitto a Le Gru, segna l’inizio di una nuova e prestigiosa partnership tra il Centro e il Museo Egizio, una delle più importanti realtà culturali nazionali e internazionali. Una collaborazione che porterà alla creazione di numerose iniziative, contenuti e attività, che si svilupperanno nei prossimi mesi e durante tutto il 2019, destinate sia agli adulti sia ai bambini. La prima iniziativa è un dono: una Promozione Shopping & Cultura. Un’iniziativa per regalare alle persone amate una Gift Card che darà loro la possibilità di acquistare quello che le rende più felici all’interno del Centro, in abbinamento a un viaggio nel tempo da vivere nelle affascinanti sale del Museo Egizio, per entrare in contatto con una delle più antiche civiltà della storia, e per scoprire qualche curiosità sulla straordinaria cultura egizia: per ogni biglietto intero acquistato al Museo Egizio con la Gift Card, ce ne sarà un secondo in regalo. Le Girf Card di Le Gru sono in vendita al Box Informazioni del Centro – e sono acquistabili anche nella Galleria presso i touch screen – le carte sono prepagate e danno diritto a un credito spendibile per fare shopping in uno dei 180 negozi o dei 24 punti dedicati al food, nei pop-up stores o per i servizi di Le Gru e da ora anche al Museo Egizio con due biglietti d’ingresso interi al prezzo di uno. Per la seconda iniziativa bisognerà attendere pochissimo. Un nuovo indizio? Ramesse II ora è proprio vicino a…

Le tasche piene di sassi

“Se ho imparato a sorridere quando tutto va proprio male, a non piangermi addosso ed andare avanti, beh, lo devo solo a mia madre.” Nel 2011 arriva uno schiaffo, musicale, una sferzata al cuore, che ti obbliga a fare i conti con ciò che non hai più. Lorenzo Cherubini (Jovanotti) esce con un album contenente “le tasche piene di sassi” quasi a voler dire che necessita di zavorre per non raggiungere la madre che non c’è più. Cosi la vedo io. Prima di scrivere gli articoli per il Torinese ascolto la musica che mi arriva in faccia, dritta in fronte, e allora lì, in quel momento, scrivo, ecco perchè non ho un giorno preciso di pubblicazione.

Questo album del 2011 credo rappresenti al meglio l’evoluzione artistica, la maturazione umana ed autoriale di un Lorenzo che, francamente, anni prima non avevo troppo apprezzato. L’album, però, nasce in un periodo drammatico della vita di Lorenzo poichè durante la lavorazione dello stesso avviene la scomparsa della madre in seguito ad una malattia. Le canzoni, quindi, sono state scritte tra una visita in ospedale e l’altra provocando nell’artista una particolare attenzione sulla figura della madre, a cui il disco è dedicato, alla fatalità della vita ed all’impotenza dell’uomo nei confronti della morte e dell’andare del tempo. Tutto ciò rappresenta “Ora” ed in particolare il suddetto brano che è stato premiato anche con il Premio Mogol come miglior canzone, in ambito cantautorale, del 2011. Il testo rappresenta la solitudine di un adulto che si vede privato della sua guida principale e, a questo, credetemi, non si è mai veramente preparati. Quando mi ritrovai in quella situazione provai il senso più grande di una impotenza imbarazzante tanto fosse forte. Ancora più imbarazzante fu scoprire che mia madre fosse morta senza, probabilmente, aver vissuto veramente. Ha vissuto vite di altri, per compiacere, per evitare, per non ledere certi equilibri. Oggi manca moltissimo come 17 anni fa, stessa intensità, e oggi vorrei lanciarvi questo messaggio: “è veramente bello battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione. Perdere con classe e vincere osando, perchè il mondo appartiene solo a chi osa. La vita è troppo bella per essere insignificante.” Ecco la versione che ho “incontrato” stamane, buon ascolto.

Chiara De Carlo
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Chiara vi segnala i prossimi eventi… mancare sarebbe un sacrilegio!

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

A star is born – Commedia (con musiche). Regia di Bradley Cooper, con Lady Gaga e Bradley Cooper. Grande successo veneziano, osanna dei fotografi sul red carpet, quarta edizione di una storia che ha quasi attraversato un secolo, dal 1937, immortalando sullo schermo di volta in volta Janet Gaynor, Judy Garland e James Mason, certo i più bravi!, Barbra Streisand e Kris Kristofferson. Dal mondo del teatro la vicenda è stata attualizzata e portata in quello della musica, una giovane cantante è portata al successo da un cantante/Pigmalione ormai avviato sul viale del tramonto, alcolizzato, innamorato di lei. Una bella sfida per Cooper per la prima volta dietro la macchina da presa, ma il successo decretato dalle varie uscite in Europa come negli States sta ad affermare che forse la scommessa è vinta. Le canzoni del film da ascoltare e ammirare. Durata 135 minuti. (Ambrosio sala 3, Eliseo Rosso, F.lli Marx sala Groucho anche V.O., Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Blakkklansman – Azione. Regia di Spike Lee, con John David Washington e Adam Driver. Gran Premio della Giuria a Cannes lo scorso maggio, una storia vera dal protagonista Ron Stallworth nel libro “Black Klansman”. Come costui, poliziotto afroamericano, all’inizio degli anni Settanta riuscì a stabilire un contatto con il Ku Klux Klan, mantenne i contatti con il gruppo telefonicamente e inviò un agente della narcotici, ebreo, a infiltrarsi tra le file degli incappucciati. Lee compone il film non rifacendosi soltanto alla realtà ma integra con filmati d’epoca veri o ricostruiti, chiama il vecchio Harry Belafonte a raccontare di violenze del passato, traccia parellelismi con il presente terminando con i fatti di Charlottesville dello scorso anno, ad un raduno di suprematisti bianchi, alle parole di Trump. Durata 128 minuti. (Ambrosio sala 2)

 

La casa dei libri – Drammatico. Regia di Isabelle Coixet, con Emily Mortimer e Bill Nighy. Nella provincia inglese degli anni Cinquanta, una giovane vedova di guerra, Florence, decide di aprire una libreria (come la Binoche apriva la sua profumatissima pasticceria in “Chocolat”) ma qualcuno è contrario, per nulla desideroso di avere sotto casa chi voglia spingere alla lettura. Dovrà usare ogni mezzo per dare vita alla sua iniziativa. Durata 103 minuti. (Classico, Due Giardini sala Ombrerosse)

 

Il complicato mondo di Nathalie – Drammatico. Regia di David e Stephane Foenkinos, con Karin Viard, Anne Dorval e Dara Tombroff. Bella cinquantenne in crisi, insegnante da poco divorziata, madre in preda all’ansia, affogata nella gelosia più sfrenata: tutto il mondo che la circonda è visto come minimo con gran sospetto. La giovane collega contro cui mettersi in campo professionale, l’ex marito contro cui accanirsi, la figlia da guardare come se ad ogni momento le volesse portar via l’uomo di cui s’è appena innamorata. Un ritrattino al fulmicotone per il quale c’è chi ha azzardato un fondo di misogenia, da considerare con attenzione. Ovvero non tirare mai troppo la corda. Durata 103 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Massimo sala 1)

 

Le ereditiere – Drammatico. Regia di Marcelo Martinessi con Ana Brun e Margarita Irun. Il film, che batte bandiera paraguayana (prodotto anche con il supporto del Torino Film Lab), ha vinto alla Berlinale 2018 l’Orso d’argento alla migliore attrice (la Brun) ed è stato scelto a rappresentare quel paese ai prossimi Oscar. Una parabola politica a ribadire la tragedia di un paese che corre verso la propria distruzione, vittima delle difficoltà economiche, legata al pasato e incapace di guardare avanti. Chela e Chiquita, entrambe discendenti da famiglie agiate, convivono da oltre trent’anni. Dopo un tracollo finanziario, sono costrette a vendere un po’ alla volta i beni ereditati. Quando Chiquita è arrestata con un’accusa di frode, Chela è costretta ad affrontare una nuova realtà. Dopo che ha ripreso a guidare, s’improvvisa tassista per un gruppetto di anziane signore benestanti. Nel corso di questa nuova vita, incontra Angy, molto più giovane di lei, con cui stabilisce un rapporto speciale. Inizia così la sua personalissima e intima rivoluzione. Durata 95 minuti. (Romano sala 1)

 

Gli incredibili 2 – Animazione. Regia di Brad Bird. La famiglia di supereroi, accresciuta del piccolo Jack Jack, ha aspettato 14 anni per riapparire sugli schermi ma ha fatto letteralmente il botto se soltanto si pensa agli incassi da capogiro raccolti nei soli States. Sarà il disegno o la storia pronta a dare una bella spolverata agli ideali americani, sarà il mestiere collaudato del medesimo sceneggiatore/regista, la puntata numero 2 ha incrociato un largo pubblico e gli effetti benefici si dovrebbero risentire anche qui da noi. Questa volta è mamma Helen a salire in solitaria agli onori della cronaca, chiamata a imprese piuttosto ardue che dovrebbero rivalutare i veri valori dei supereroi caduti per qualche guaio commesso in disgrazia. Per cui papà Bob è obbligato a restarsene in casa, a badare ai primi batticuori dell’adolescente Violet, ai primi exploit di Jack Jack che subito rivela poteri inaspettati: ma il cattivo di turno ricomporrà la famiglia nuovamente pronta a nuove avventure. Durata 118 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

In viaggio con Adele – Commedia. Regia di Alessandro Capitani, con Alessandro Haber, Isabella Ferrari e Sara Serraiocco. Adele, libera da freni e inibizioni, indossa soltanto un pigiama rosa con le orecchie da coniglio, non si separa mai da un gatto immaginario e riempie le sue giornate di post-it, su cui scrive tutto quel che le passa per la testa. Aldo è un attore di teatro che si trova alla vigilia della sua ultima occasione nel cinema. Nello stesso momento scopre di essere il padre di Adele: in un lungo viaggio insieme, accomunati dalla solitudine e dal bisogno di amore, lui dovrà raccontarle la verità, insieme dovranno scoprirsi poco a poco, diventare davvero un padre e una figlia. Durata 83 minuti. (Romano sala 3)

 

Johnny English colpisce ancora – Comico. Regia di David Kerr, con Rowan Atkinson e Olga Kurylenko. La faccia di Mr Bean prestata allo spionaggio supertecnologico e insidioso. Ovvero un attacco informatico mette davanti agli occhi di tutti l’identità di tutti gli agenti britannici, fatta eccezione per il nome del nostro protagonista. Che è richiamato dalla pensione e rimesso in campo per ritrovare l’identità dell’hacker che ha svelato al mondo quella montagna di segreti. Durata 88 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Nessuno come noi – Commedia. Regia di Volfango De Biasi, con Alessandro Preziosi e Sarah Fellerbaum. Dal romanzo di Luca Bianchini, Torino anni Ottanta. Padri e figli, tutti quanti incasinati. Umberto, docente universitario, pieno di fascino e sciupafemmine, alle prese con un matrimonio ormai agli sgoccioli, incontra Betty, giovane insegnante di liceo, bella e single per scelta, il giorno in cui con la moglie va ad iscrivere il figlio Romeo nell’istituto dove Betty insegna. Amore e passione a prima vista. In parallelo, Vince è innamorato di Cate, sua compagna di classe, persa dietro gli occhi di Romeo. Durata 100 minuti. (Reposi, The Space, Uci)

 

Quasi nemici – Commedia. Regia di Yvan Attal, con Daniel Auteuil e Camélia Jordana. Neïla Salah è cresciuta a Créteil, nella multietnica banlieu parigina, e sogna di diventare avvocato. Iscrittasi alla prestigiosa università di Panthéon-Assas nella capitale francese, sin dal primo giorno si scontra con Pierre Mazard, professore celebre per i suoi modi bruschi, le sue provocazioni e il suo atteggiamento prevenuto nei confronti delle minoranze etniche. La proprio Mazard, per evitare il licenziamento all’indomani di uno scandalo legato a questi suoi comportamenti, si ritroverà ad aiutare Neïla a prepararsi per l’imminente concorso di eloquenza. Cinico ed esigente, il professore potrebbe rivelare di essere proprio il mentore di cui la ragazza ha bisogno, tuttavia entrambi dovranno prima riuscire a superare i propri pregiudizi. Durata 95 minuti. (Nazionale sala 1, Uci)                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Searching – Thriller. Regia di Aneesh Chaganty, con John Cho e Debra Messing. Quando la figlia sedicenne di David Kim scompare, viene aperta un’indagine locale e assegnato un detective al caso. Ma poche ore dopo, l’uomo decide di avviare le proprie personali ricerche in un luogo dove ancora nessuno aveva pensato di cercare, dove tutti i segreti sono conservati. Guardando nel profilo Facebook della ragazza, Twitter e YouTube e chat, scopre parecchie cose che di sua figlia assolutamente ignorava. Memoria e tecnologia, ipermoderno, da non perdere per gli appassionati. Durata 101 minuti. (Greenwich sala 2, The Space, Uci anche V.O.)

 

Sogno di una notte di mezza età – Commedia. Regia di Daniel Auteuil, con Gérard Depardieu, Adriana Ugarte, Sandrine Kiberlain e Daniel Auteuil. Arrivato ai settanta, Patrick ha detto addio alla moglie e s’è messo accanto una splendida creatura spagnola, Emma, che ha la metà dei suoi anni e arde dal desiderio di presentarla all’amico di sempre Daniel, invitandosi ad una cena “tra coppie”. La moglie di costui, Isabelle, non ne vuole affatto sapere anche perché la ex era la sua migliore amica. Ma la serata si farà: e forse potrebbe prendere risvolti inattesi, dal momento che il padrone di casa pecca di una fervida immaginazione e non resta certo insensibile al fascino della giovane Emma. Durata 94 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Chico, Lux sala 1, Uci)

 

Soldado – Azione. Regia di Stefano Sollima, con Josh Brolin e Benicio del Toro. Il seguito dell’acclamato “Sicario”, ancora lo stesso sceneggiatore (che nel frattempo ha scritto e diretto “I segreti di Wind River”, tra i nativi e i territori innevati del nord degli Stati Uniti) Taylor Sheridan, un cambio per il regista che non è più Dennis Villeneuve ma il nostro Sollima, catturato nella macchina hollywoodiana dopo i successi dei televisivi “Gomorra” e “Romanzo criminale” e di “Suburra” sugli schermi. Cancellata qui la parte femminile di Emilt Blunt, restano gli eroi Brolin e del Toro: questo ancora Alejandro, agente colombiano prestato agli States e bruciato dalla vendetta dopo che il cattivo narcotrafficante gli ha ucciso la famiglia, quello continua a essere il “sicario” di un tempo, pronto a obbedire a chi gli ordina di colpire chi gli sta portando la guerra e gli assassini in casa. Non soltanto migranti ma anche terroristi continuano a oltrepassare i confini, per contrastare tutto questo si decide di rapire la figlia di Reyes, il malvagio di turno, e far ricadere la colpa su di un cartello avverso per scatenare una guerra tra i diversi gruppi. Non tutto andrà come previsto. Accanto alla storia principale, quella del percorso avviato da una giovanissima recluta verso un solido apprendistato al crimine, nel trasporto di immigrati illegali, strada secondaria ottima per un avvincente terzo capitolo. Durata 122 minuti. (Massaua, GreenwichVillage sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

The Predator – Azione. Regia di Shane Black, con Boyd Holbrook. Ne avevamo già fatta la conoscenza nel 1987, quando doveva vedersela con il coraggio e la forza di Arnold Schwarzenegger: oggi il mercenario McKenna assiste alla cattura di un Predator, dopo la caduta di un’astronave, ed è arrestato perché non parli mentre l’alieno viene rinchiuso in laboratorio per essere analizzato. Gli fanno buona compagnia sei militari dal passato ricco di azioni traumatizzanti: insieme dovranno anche difendere un ragazzino affetto da autismo dalle grinfie del mostro, oltre – inutile dirlo – salvare la terra dall’ennesimo attacco degli alieni, tema estremamente caro al cinema del filone. Durata 101 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Tutti in piedi – Commedia. Regia di Franck Dubosc, con Alexandra Lamy e Franck Dubosc. Jocelyn, uomo d’affari successo ma bugiardo e seduttore che vive sulle bugie, per un equivoco è creduto disabile dalla bionda Julie. Perché, per una immediata conquista, non procedere proprio in quell’equivoco? Le cose peggiorano quando Julie presenta a Jocelyn la sorella, costretta su di una sedia a rotelle in seguito a un incidente stradale. Durata 107 minuti. (Reposi)

 

The wife – Vivere nell’ombra – Regia di Björn Runge, con Glenn Close e Jonathan Price. La storia di una donna e di una moglie, quarant’anni trascorsi a sacrificare il proprio talento e i propri sogni, lasciando che suo marito, l’affascinante e carismatico Joe, si impadronisca della paternità delle sue opere. Joan assiste, per amore alla sfavillante e glOriosa carriera dell’uomo, sopportando menzogne e tradimenti. Ma alla notizia dell’assegnazione del più grande riconoscimento per uno scrittore – il premio Nobel per la letteratura – la donna decide finalmente di dire basta e di riprendersi tutto quello che le spetta. Durata 100 minuti. (Eliseo Blu, Romano sala 2)

 

Un affare di famiglia – Drammatico. Regia di Kore’eda Hirokazu. Palma d’oro a Cannes lo scorso maggio. Nella Tokio di oggi, una famiglia (ma la considereremo così fino alla fine?) sbarca il lunario facendo quotidiane visite ai supermercati: per rubare. Ruba il padre che si porta appresso il figlio (?), torna a casa da una moglie che ha accanto una ragazza che potrebbe essere la sorella minore e una vecchia dolcissima che tutti chiamano nonna. Sentimenti, aiuti reciproci, l’arte di arrangiarsi, il coraggio di tentare a vivere insieme. Finché un giorno il capofamiglia porta a casa togliendola al freddo e alla solitudine una ragazzina, abbandonata da una madre forse violenta che non si cura di lei. Il mattino si dovrebbe riconsegnarla, ma nessuno è d’accordo: la nuova presenza farà scattare nuovi meccanismi mentre un incidente imprevisto porta definitivamente alla luce segreti nascosti che mettono alla prova i legami che uniscono i vari componenti. Durata 121 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Venom – Fantasy. Regia di Ruben Fleischer, con Tom Hardy, Riz Ahmed e Michelle Williams. Ancora un prodotto ricavato dai fumetti targati Marvel. Un fior di giornalista, dedito a investigazioni e articoli, mentre indaga sulle malefatte di uno scienziato pazzo, tutto sprazzi e illegalità, viene contaminato da un alieno che si introduce nel suo corpo e ne diventa il doppio. Se ne ricava simpaticamente un misto di bene e di male, di dottor Jeckill e Mr Hyde, con due personaggi che intimamente chiacchierano e discutono tra loro, con l’unica e insomma definitiva aspirazione verso quella giustizia che protegga tutti. Tenersi già pronti per un sequel. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space anche in 3D, Uci anche V.O.)

 

Il verdetto – Drammatico. Regia di Richard Eyre, con Emma Thomson, Fionn Whitehead e Stanley Tucci. Tratto dal romanzo “La ballata di Adam Henry” di Ian McEwan. Mentre il suo matrimonio con Jack vacilla, l’eminente Giudice dell’Alta Corte britannica Fiona Maye è chiamata a prendere una decisione cruciale nell’esercizio della sua funzione: deve obbligare Adam, un giovane adolescente che sta per compiere i diciotto anni, a sottoporsi a una trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la via, contro le certezze di genitori che fanno parte dei testimoni di Geova e sono contrari a quella decisione? Contro l’ortodossia professionale, Fiona sceglie di andare a far visita al ragazzo in ospedale.Quell’incontro avrà un profondo impatto su entrambi, suscitando nuove e potenti emozioni in Adam e sentimenti rimasti a lungo sepolti nella donna. Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Grande, Massimo sala 2 anche V.O., Uci)

Real Life al GV Pane e Caffè

Gradevole proposta musicale al GV Pane e Caffè, il locale di via Tiepolo 8/d a Torino che ospita uno dei concerti più attesi venerdì 19 ottobre –alle ore 22: REAL LIFE (cover Simple Minds)

Il primo, unico e inimitabile, tributo torinese ai mitici Simple Minds, la band scozzese che negli Anni Ottanta ha dominato le classifiche mondiali con canzoni come “Don’t you”,  “Alive the kicking”, “Belfast child” e album memorabili: “New gold dream”, “Once upon a time”, “Sparkle in the rain”. In formazione i Real Life, che prendono il nome proprio da un disco del gruppo di Jim Kerr, annoverano Maurizio Pazzagli (voce), Max Trabucco (chitarra), Roberto Del Mastro (basso), Antonio Martino (tastiera), Erminio Polato (batteria), Claudia Giacone (cori). Concerto offerto a 15 euro compresa una ricca cena a buffet. Per informazioni il numero telefonico da contattare è 011/659.86.88. Direzione artistica Chiara De Carlo.

Le passeggiate di Cavour

Pochi sanno che esiste e pochi lo visitano, eppure è un grande polmone verde alle porte della metropoli torinese in un angolo storico della provincia
È il parco all’inglese del  Castello Cavour a  Santena, una vasta area verde con gli scoiattoli che saltano fuori all’improvviso, si arrampicano sugli alberi e corrono indisturbati nei prati alla ricerca di  ghiande e castagne, incuranti del passaggio dei visitatori. Centinaia di alberi e decine di
platani secolari e di dimensioni enormi sono illuminati in questo periodo dai colori
dell’autunno che rendono il parco ancora più radioso e magico. Si racconta che il grande
statista Camillo Benso di Cavour faceva lunghe passeggiate nel suo bosco, tra sentieri e
collinette, e si fermava a riposarsi sotto un enorme platano con radici smisurate che
sembrano zampe di elefante. Oggi è noto come il platano di Cavour e si può vedere anche se
versa in condizioni piuttosto critiche. Così bello e maestoso, il parco, sorto a metà del
Settecento, è una grande attrazione per i residenti di Santena anche se dovrebbe esserlo per  tutti i piemontesi. La situazione cambierà tra un paio di anni quando riaprirà il Castello 
Cavour, attualmente chiuso per lavori di restauro interni (quelli esterni sono quasi finiti). Se  tutto andrà bene la dimora di famiglia dovrebbe riaprire al pubblico nel 2020. Da quel  giorno sarà impossibile non fare una passeggiata nel parco dopo aver visitato Villa Cavour  voluta da Carlo Ottavio Benso nel Settecento. Sotto i conti Benso di Cavour divenne una
tenuta di caccia estiva come si può vedere in alcuni quadri esposti nelle sale del castello che
riproducono animali e battute di caccia. L’intero edificio ha subito varie modifiche nel corso dei secoli ed è stato interamente ristrutturato durante l’Ottocento. Oggi il Castello è  diventato il museo che ricorda la figura di Camillo Benso di Cavour. All’interno sono  conservati mobili e arredi d’epoca tra cui una coppa in porcellana di Sèvres regalata da  Napoleone III a Cavour.  Al piano terra si possono ammirare il Salone delle Cacce, il salotto  cinese e la sala da pranzo mentre ai piani superiori ci sono la Biblioteca e la camera da letto  di Cavour. All’esterno della dimora si trovano le scuderie e la tomba dei Conti Benso di  Cavour dove è sepolto il protagonista del Risorgimento e più volte presidente del Consiglio  dei ministri, scomparso il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla proclamazione del Regno  d’Italia. La tomba è aperta al pubblico tutte le domeniche con visite guidate alle ore 10,30,  15.00, 16.00 e 17.00. Il biglietto di ingresso costa 5 euro. Sono possibili visite in altri giorni  su prenotazione. Il parco invece è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 9.00 alle 19.00.  Dalla fine di ottobre l’orario sarà 9.00-16,30. Per ulteriori informazioni si può consultare il
sito dell’Associazione Amici della Fondazione Camillo Benso di Cavour.
Filippo Re

Le voci del bosco

IL NUOVO LIBRO DI DANIELE ZOVI

DOMENICA 21 OTTOBRE 

San Secondo di Pinerolo (Torino)

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“Se si sta dentro un bosco in posizione di ascolto, prima o poi si avverte, si intuisce la presenza di un flusso di energia che circola fra i rami, le foglie, le radici. Talvolta è un sussurro, altre volte strepiti e grida. E’ come se le piante parlassero tra loro”. Può essere. Perché non crederci? Certo ne è assolutamente convinto Daniele Zovi, un amore infinito per la natura (tale da guidarne le più importanti scelte di vita), camminatore infaticabile e scrittore di piante, di foreste e di animali selvatici, che proprio quei suoni del bosco, per mestiere e per fatale attrazione, ha imparato negli anni ad ascoltare e ad interpretare. Vicentino, classe ’52, quarant’anni al servizio del Corpo Forestale dello Stato fino alla nomina nel 2017 a generale di brigata del Comando Carabinieri – Forestale del Veneto, con lui si parlerà domenica prossima 21 ottobre, alle 15,30, al Castello di Miradolo, in via Cardonata 2, a San Secondo di Pinerolo, del suo ultimo libro edito da Utet: “Alberi sapienti, antiche foreste. Come guardare, ascoltare e avere cura del bosco”. Ospite della Fondazione Cosso (nell’ambito del progetto Invito al Parco), Zovi guiderà anche un’interessante passeggiata nel Parco del Castello e fornirà ai partecipanti l’occasione di ascoltare affascinanti storie di boschi, alberi maestosi e angoli incontaminati appartenenti a mondi lontani. “Un bosco – racconta – non è solo l’insieme degli alberi che lo compongono, e neppure la somma di flora e fauna. Un bosco è il risultato di azioni e reazioni, alleanze e competizioni, crescita e crolli. Un mondo mobile che sebbene continuiamo a sforzarci di studiare e catalogare, limitare e controllare, resterà sempre un selvaggio, vibrante spazio di meraviglia”. E proprio in questo mirabile spazio, Zovi guida il lettore, addentrandosi con lui sempre più nel folto della foresta, per arrivare alla scoperta e alla conquista dello spirito, dell’essenza vitale del bosco. “Una ricerca che, pagina dopo pagina, appare sempre più come una ricerca del nostro spirito”Ingresso libero, fino a esaurimento posti. Prenotazione consigliata al n.° 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

g. m.

“World press photo”. A Torino il fotogiornalismo mondiale

Siamo a Caracas nel maggio del 2017. La foto ritrae un ragazzo di 28 anni, con il viso coperto da una maschera antigas, che corre – lungo un muro su cui è disegnata una pistola con la scritta”PAZ” (PACE) – in preda al panico e al terribile dolore fisico, procuratogli dal fuoco che sta dilaniandogli la carne e la maglietta che indossa

L’immagine è terrificante ed é stata realizzata durante una manifestazione di protesta contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Scattata dal 46enne fotografo venezuelano (oggi residente in Messico) Ronaldo Schemidt, che lavora per l’”Agence France-Presse” (AFP), è la foto vincitrice del World Press Photo of the Year 2018, il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, organizzato dall’omonima Fodazione olandese dal 1955. Il ragazzo della foto si chiama José Victor Salazar; è sopravvissuto all’incidente con ustioni di primo e secondo grado, prodotte dall’esplosione del serbatoio di una motocicletta della polizia. E’ una foto classica– ha dichiarato Magdalena Herrera, direttrice della Fotografia a ‘Geo France’ e presidente di giuria ma ha un’energia istantanea e dinamica, i colori, il movimento e una buona composizione, ha forza. Mi ha dato un’emozione istantanea”. Foto dell’anno, l’immagine sarà visibile, insieme ad altre 135 accuratamente e con non poca fatica selezionate, fino a domenica 11 novembre all’ex-Borsa Valori di piazzale Valdo Fusi a Torino, città che per il secondo anno consecutivo ospita la rassegna internazionale, cui hanno dato quest’anno la loro adesione quasi 5mila fotoreporter, provenienti da 22 paesi di tutto il mondo, per un totale di circa 100mila scatti pervenuti: un vero e proprio viaggio per immagini tra gli avvenimenti più rilevanti del nostro tempo. Presente in oltre cento città e più di 45 Paesi, la tappa torinese (forte del successo dell’anno scorso: ottomila visitatori in quattro settimane di esposizione al Mastio della Cittadella) è organizzata grazie all’Associazione C.I.ME. Culture e Identità Mediterranee, realtà pugliese (presieduta da Vito Cramarossa) che da più di dieci anni in Italia e all’estero si occupa di promuovere lo sviluppo e il senso critico dei territori attraverso la cultura. Attualmente rappresenta uno dei partner più importanti della Fondazione World Press Photo con all’attivo l’organizzazione di ben quattro tappe italiane della mostra di quest’anno: Bari (27 aprile-27 maggio), Palermo (14 settembre-7 ottobre), Torino (12 ottobre-11 novembre) e, a seguire, Napoli (24 novembre-16 dicembre 2018).

Il programma di incontri

World Press Photo non è solo una mostra. Nel suo mese a Torino si presenta infatti come un festival sull’attualità: ben 15 gli incontri in programma. Da segnalare le public lectures tenute il sabato da fotografi di fama internazionale. Dopo la prima di sabato 13 ottobre, che ha visto Manoocher Deghati dialogare con lo scrittore e giornalista Adriano Sofri, nei sabati seguenti saranno presenti i fotografi italiani vincitori del Premio: Luca Locatelli, autore del reportage “Hunger Solution” che ha vinto il secondo premio sezione storie per la categoria “Ambiente”, Alessandro Lercara, fotografo torinese, primo premio del concorso fotografico “Per Amore”, promosso da UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati. E poi ancora il siciliano Alessio Mamo, vincitore con il suo ritratto di “Manal”, Fausto Podavini,  vincitore con il reportage sulla valle dell’Omo in Etiopia, e Francesco Pistilli, al primo posto per aver documentato l’inasprimento della cosiddetta rotta balcanica verso l’Unione europea, bloccando migliaia

di rifugiati che tentavano di viaggiare attraverso la Serbia per cercare una nuova vita in Europa. Oltre agli appuntamenti settimanali con i fotografi, il programma si arricchisce di focus mirati sulle grandi questioni politiche e culturali del 2018 (il programma è consultabile su: world-pressphototorino.it) e non mancherà, il prossimo giovedì 18 ottobre, alle 18,30, un amarcord tutto torinese. Protagonista Sergio Solavaggione, storico fotografo de “La Stampa”, che presenta “Obiettivo sensibile” (Daniela Piazza Editore). Con lui dialogano il figlio Daniele Solavaggione, fotoreporter e videomaker de “La Stampa”, Angelo Conti, giornalista e consigliere d’amministrazione della Fondazione La Stampa-Specchio dei Tempi e Giorgio Levi, presidente del “Centro Giornalistico Pestelli”. Gli incontri sono gratuiti. Per le public lectures occorre, invece, il biglietto di ingresso alla mostra.

g. m.

“World Press Photo 2018”

Ex- Borsa Valori, via San Francesco da Paola 22 (Piazzale Valdo Fusi), Torino.

Fino all’11 novembre – Orari: lun. giov. 10/20 e ven. dom. (e merc. 31 ottobre) 10/22

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Foto di:

– Ronaldo Schemidt
– Neil Aldridge
– Richard Tsong – Taatari /Star Tribune
– Ivor Prickett for The New York Times
– Javier Arcenillas – Luz

 

Leggermente, gli eventi del mese

Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria.

Chi legge avrà vissuto 5.000 anni… Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

(Umberto Eco)

 

 

Continuano gli appuntamenti della nona edizione di Leggermente, il progetto di Cascina Roccafranca, Sistema Bibliotecario Urbano, Biblioteca civica Villa Amoretti e Libreria Gulliver che dal 2011 promuove iniziative, eventi e incontri che ruotano intorno ai libri e alla lettura condivisa. Dopo aver inaugurato con Enrico Deaglio in Cascina Roccafranca ed aver ospitato Rossella Milone alla biblioteca Villa Amoretti proseguono gli incontri condotti dai gruppi di lettura:

 

– Mercoledì 17 ottobre alle ore 18 alla Biblioteca Civica Villa Amoretti – C.so Orbassano 200

La scrittrice Madeleine Thien (Canada), finalista al Premio Bottari Lattes Grinzane 2018 (sezione Il Germoglio) con il romanzo Non dite che non abbiamo niente (66thand2nd; traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini) sarà per la prima volta a Torino in vista della gara finale al castello di Grinzane Cavour (20 ottobre).

 

Attraverso la ricostruzione della storia del padre della protagonista e dei suoi due amici (che in Cina combattono per rimanere fedeli ai loro ideali e alla musica), dai primi giorni della Rivoluzione culturale cinese fino agli eventi di piazza Tienanmen del 1989 a Pechino, il romanzo Non dite che non abbiamo niente compone un affresco di un Paese in continua trasformazione e una riflessione sul ruolo della politica e dell’arte nella società.

 

– Sabato 20 ottobre alle ore 21.00 a + SpazioQuattro – Via Saccarelli 18

il rinomato autore Maurizio Maggiani inaugura in Circoscrizione 4 con il suo libro freschissimo di stampa L’amore ed. Feltrinelli, il racconto della giornata di uno sposo che in una notte ripercorre i suoi amori.

 

– Sabato 27 ottobre alle ore 17,30 alla libreria La Gang del Pensiero Corso Telesio 99

Raffaella Romagnolo presenta Destino, ed. Rizzoli, l’Italia del Novecento raccontata attraverso la storia della protagonista.

 

 

www.cascinaroccafranca.it/leggermente

In un mondo in bianco e nero, Binasco convince con il suo Arlecchino

Che ormai, andando a teatro, quelli che per definizione sono “i classici” ce li dobbiamo aspettare posti al di fuori di ogni norma più o meno antica, è un dato di fatto, una consuetudine, quasi un implacabile déjà vu che finirà prima o poi per invischiare questi nostri registi come in altra epoca altri furono presi in trappola da parrucche incipriate, da nei posticci, da mossette leziose. Non ci fu un taglio netto, le lezioni di Squarzina (i suoi Goldoni!) e di Castri intervallarono poco a poco la seconda metà del secolo scorso, un’isola a sé rimanendo la sacra rappresentazione dell’Arlecchino di Strehler, una reinvenzione e un capolavoro. Valerio Binasco, mettendo oggi in scena per la stagione dello Stabile torinese, di cui è da quest’anno direttore artistico – repliche al Carignano sino al 28 ottobre -, il testo degli esordi goldoniani, rientra nella scia dei disturbatori, progetta che non c’è più posto per la maschera e per i suoi atteggiamenti da farsa, ci lascia un Arlecchino intristito, che annaspa tra le proprie bugie e i risultati più che disastrosi che ne derivano, insicuro e a tratti devastato tra il gruppetto di lor signori e un matrimonio che sta per essere siglato. Non è tutto luci e fiammelle a illuminare la casa del ruvido Pantalone e gli altri luoghi ricreati tra siparietti e fondali da Guido Fiorato (dentro ci sono anche biciclette circolanti, tavolini di un bar, ballabili da un vecchio giradischi, scivoli e giostrine che occupano un giardino per bambini), sono penombre e deboli luci che tagliano di sghembo, che pongono in chiaroscuro la malinconia che circola, le infelicità e i sospetti, la fame sempre in agguato, il ripetersi delle giornate e delle azioni per una scolorita sopravvivenza. Il tutto dove? “In un mondo in bianco e nero”, quello respirato decenni fa, con una umanità che “si è seduta ai tavoli di vecchie osterie, ha indossato gli ultimi cappelli, ha assistito al trionfo della modernità con comico sussiego, ci ha fatto ridere e piangere a teatro e al cinema con le ‘nuove maschere’ dei grandi comici del Novecento, e poi è svanita per sempre, nel nulla del nuovo secolo televisivo”. Una umanità di provincia, arruffata, impoverita, a tratti un po’ cialtrona, sempliciotta la maggior parte, piena di sogni, attenta alle proprie sostanze, quella stessa umanità che abbiamo negli anni passati ritrovato nella Tempesta come nel Mercante come nel Don Giovanni, ogni titolo stropicciato in una provincia dimenticata e rimpianta, con certe radici forse proprio in quella mandrogna che il regista ha respirato da giovane.

Dicevamo déjà vu, ma certo coerente e affettuoso, convincente. In questo suo Arlecchino servitore di due padroni, Binasco ci porta ben al di là della Commedia dell’Arte, reinquadra il protagonista quasi in un anonimato che a volte sconcerta, ne azzera quel panorama di diavolerie fisiche legate alla maschera, magari riportandolo ai tratti conosciuti per un attimo, in un meccanismo perfetto, allorché con altri due pari suoi deve dalle cucine far arrivare nelle due diverse stanze d’albergo, a coloro di cui è contemporaneamente a servizio, le portate di un abbondante pranzo: per ripiombarlo al termine dell’esibizione nel buio più completo. Non si può rinunciare a tutto, Binasco sa benissimo lavorare sugli attori e sulla loro spremitura (anche se arrivando oltre i 160’ una certa stanchezza la si sente e la chiarezza del racconto e degli intenti si indebolisce e si arruffa) per cui le gag, anche se affievolite, non mancano, affidate anche ai personaggi minori, dove piacciono il Pantalone di Michele Di Mauro, custode di ogni regola, il Silvio di Denis Fasolo, la Beatrice di Elisabetta Mazzullo e la Smeraldina di Marta Cortellazzo Wiel, servetta pronta a rivendicare qualche diritto femminile (“sono donna, voglio la mia libertà”), rivendicazioni fuori epoca che troveranno poco seguito.  Per l’Arlecchino di Natalino Balasso, ammorbidito anche in quei suoni del dialetto veneto, la prima preoccupazione è ricavare il maggior vantaggio da quell’ignorare flemmatico in cui vive, in quello spaesamento quotidiano e l’attore coglie il segno, un clown triste fatto di una furbizia già sconfitta, lasciato nel finale in una sospensione in cui difficilmente trova spazio la sua domanda di perdono a una classe che ha ritrovato un ordine e non vuole rispondere.

 

Elio Rabbione

 

Foto di scena di Bepi Caroli

 

Nelle immagini:

Un momento dello spettacolo

Natalino Balasso, protagonista di “Arlecchino”

Marta Cortellazzo Wiel (Smeraldina) e Natalino Balasso (Arlecchino)