CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 591

Nella Marchesini. La vita nella pittura

In mostra alla GAM di Torino, la pittura come racconto di vita della prima e “prediletta” allieva di Felice Casorati. Fino al 29 settembre

Non c’è pennellata, non c’è impronta di segno e colore che non siano state spese e sofferte e gridate per raccontare di sé. La pittura come pagina intensa di riflessione autobiografica. E, come tale, soggetta alle voci altalenanti della vita. Pacata, misurata, scolastica ma anche ribelle, fuori dalle righe, esultante o allegoria amara di tristezze che hanno segnato il cammino personale dell’artista e di quanti quel cammino hanno con lei condiviso nel corso del tempo.

La suggestiva mostra (chiarissimo il titolo: “La vita nella pittura”), dedicata dalla GAM di Torino, negli spazi della Wunderkammer, a Nella Marchesini, si apre con un casoratiano, nitido e rigoroso “Ritratto del padre” del 1923 e si chiude con “Tre donne”, tempera e olio su compensato del 1952, una sorta di triplice autoritratto dai tratti espressionistici, che può considerarsi immagine iconica della rassegna e sublime sintesi umana e pittorica di una vita passata dalle gioie e dalle speranze giovanili (la Marchesini colta di spalle, fra le mani le lunghe trecce nere stese con giocosa lievità), agli affanni, ai dolori e alle drammatiche tensioni di anni più maturi segnati dagli accadimenti imposti dalla guerra (il trasferimento con la famiglia a Drusacco, in Valchiusella, e successivamente a Rosero, sulla collina torinese) e dai gravi lutti famigliari determinati dalla morte del padre, delle due sorelle Maria e Ada, e del marito, il pittore di formazione parigina, Ugo Malvano. Complessivamente la rassegna, curata da Giorgina Bertolino e Alessandro Botta, ospita una trentina di opere realizzate dalla Marchesini fra il 1920 e il 1953, provenienti da collezioni private e dal significativo nucleo acquisito dalla GAM nel ’54, cui s’affiancò la generosa donazione allo stesso Museo da parte degli eredi Malvano – Marchesini, accolta da Rosanna Maggio Serra nel ’78. In mostra sono anche esposte lettere, cartoline fotografie d’epoca, libri e alcune pagine degli scritti dell’artista che permettono di rivivere, in parallelo il vivace fermento artistico e culturale della Torino fra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento. Nata a Marina di Massa nel 1901, Nella si trasferisce giovanissima, durante la Grande Guerra, sotto la Mole e pochi anni dopo entra nella cerchia dei giovani intellettuali (da Carlo Levi a Natalino Sapegno, da Edmondo Rho a Federico Chabod) raccolti intorno a Piero Gobetti e alla moglie Ada Prospero.

E’ lo stesso Gobetti a presentarla nel 1920 a Felice Casorati, che l’accoglie come allieva, la prima, nel suo studio di via Mazzini, che diventerà poi la Scuola Libera di Pittura, il “chiostro” d’apprendistato pittorico aperto ufficialmente in via Galliari nel 1923, dove la Marchesini diventerà assistente e “allieva prediletta” dello stesso Casorati, assumendone anche la direzione amministrativa dal ’23 al ’30. Sono anni di totale immersione nel magistero casoratiano, in quella pittorica concezione di “realismo magico” che le ispira ad esempio il magnifico “Donne assise con bambino” del ’25, dalle larghe geometriche e immobili campiture di colore, così come le “Donne sulla terrazza” del ’23, non privo di suggestioni quattrocentesche, derivate in particolare dall’amore per l’opera di Piero della Francesca. Dal ’26 datano le sue prime partecipazioni alle più importanti manifestazioni pubbliche: dalla mostre alla Promotrice torinese, alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma. Anni che iniziano a registrare per Nella anche un “mutamento di segno”. Nel ’30 si sposa con il pittore torinese Ugo Malvano (con cui avrà tre figli); ma è anche l’anno in cui si stacca dalla Scuola di Casorati e l’anno della morte del padre Alessandro, figura “bianca e luminosa” di molte sue opere, che continuerà a rappresentare una “presenza centrale nell’universo poetico dell’artista”.

Tre anni dopo scompare anche la sorella Maria. Accadimenti che tendono in parte (almeno fino al dopoguerra) ad isolare, umanamente e artisticamente, la Marchesini e quasi ad accompagnare lo sfaldarsi di punti fermi, di realtà “consolidate” della vita, allo sfaldarsi dell’originaria compattezza strutturale delle prime opere in cifre stilistiche di più soffusa e indefinita ricerca figurale. Ecco allora l’essenziale “Primavera a Drusacco” del ’41, ma soprattutto quell’“Ireos” del ’31, in cui l’artista (incinta della prima figlia, Laura) si ritrae mentre innaffia una pianta in vaso. La pennellata è qui decisamente più rapida e minore l’attenzione alla solidità dei volumi. Vita e arte, ancora una volta, s’intrecciano. Insieme, colori e frammenti di vita familiare. Un unicum sempre presente nella “viva” pittura dell’artista. Fino al 17 agosto del 1953, quando Nella scompare a Torino. Dopo avere organizzato, già sofferente, una retrospettiva dedicata al marito deceduto l’anno prima.

Gianni Milani

“Nella Marchesini. La vita nella pittura”

Wunderkammer GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 29 settembre

Orari: dal mart. alla dom. 10/18, lun. chiuso

***

Nelle foto

– “Tre donne”, tempera e olio su compensato, 1952
– ” Donne assise con bambino”, olio su tavola, 1925
– “Primavera a Drusacco”, olio su cartone, 1941
– “L’ireos (Autoritratto)”, olio su cartone, 1931

Una notte in Blues

Bardonecchia Scena 1312: domenica 18 agosto Accademia dei Folli in concerto 

Un viaggio emotivo e sonoro alla scoperta del genere che affonda le sue radici nell’Africa perduta dei neri americani

Da Robert Johnson a Eric Clapton, da Bessie Smith a John Lee Hooker, da B.B.King a Muddy WatersDomenica 18 agosto l’Accademia dei Folli accompagna il pubblico di Scena 1312, stagione di musica-teatro di Bardonecchia, in un viaggio emotivo e sonoro alla scoperta della magia antica del Blues, un genere che affonda le sue radici nell’Africa perduta dei neri americani e costruisce, sulle note della sua malinconia struggente, la speranza, la voglia di una vita migliore.

 

Alle 21 al Palazzo delle Feste i Folli presentano Una notte in blues, un concerto dal sound semi-acustico, con sorprendenti ed emozionanti digressioni nel rythm’n’blues e nel soul, nel gospel e nello spiritual.

L’estensione temporale del blues e la sua lunga evoluzione hanno finito per costituire una sorta di accompagnamento musicale storico alle vicende umane del secolo scorso, alle storie di lavoratori, di emarginati, di schiavi e di segregati; un contrappunto accorato alle mille contraddizioni che ostacolano l’individuo sulla via della sua presa di coscienza, dell’affermazione di civiltà. Ma il blues è anche emozione, è anche un racconto di storie d’amore e di rinascita.

Dagli sterminati campi di cotone del Delta del Mississipi a Memphis e poi Chicago, dalle baracche dei coltivatori figli di schiavi, le canzoni fanno entrare virtualmente il pubblico nelle chiese e nei fumosi locali dove i neri d’America suonavano e ballavano sulle note di una musica nuova e allo stesso tempo antichissima.

 

La semplicità, la popolarità, ma anche la potenza della tragicità del blues ne hanno fatto, per tutto il Novecento e ancora oggi, una delle matrici più importanti della musica popolare internazionale, mantenendo tuttavia inalterata l’essenza della sua unicità.

 

Andavano via dalle piantagioni senza soldi oppure avevano poco da mangiare a casa, i figli piangevano.  Roba da suicidio. Così il buon Dio e lo Spirito Santo hanno dovuto mandare a quella gente qualcosa per aiutarla ad alleviare gli affanni della mente. È qui che la musica entra in ballo, nel lavoro, in quello che stai cercando di fare, in quello per cui lotti, per aiutarti a vedere le cose in modo più positivo fino a distogliere la mente dai problemi in cui stai affogando. Così, ricorrevano a molte di quelle canzoni che parlavano delle loro donne, ma in realtà, raccontavano dei padroni. Le vecchie canzoni blues cantavano di donne meschine che ti maltrattavano, ti prendevano tutti i soldi. In realtà si riferivano ai padroni, ma dovevano diffondere il messaggio in modo celato. Non potevano uscirsene con: “Il padrone ci maltratta”. Il blues significa sopravvivenza.

 

Una notte in Blues

Domenica 18 agosto 2019

Palazzo delle Feste – piazza Valle Stretta 1, Bardonecchia

ore 21

 

con Carlo Roncaglia

e con

Paolo Demontis armonica

Max Altieri chitarra

Enrico De Lotto basso

Matteo Pagliardi batteria

testo e regia Carlo Roncaglia

 

 

Ingresso €15, ridotto €10, under 18 €5

Prevendite presso Ufficio del Turismo, piazza De Gasperi 1/A, Bardonecchia

Preventide online su ticket.it

 

Per informazioni

Accademia dei Folli

www.accademiadeifolli.com | 011 0740274 | info@accademiadeifolli.com

 

Ufficio del Turismo
www.bardonecchia.it tel. 0122.99032 | info.bardonecchia@turismotorino.org

Tre vescovi per l’Assunta nella storica parrocchiale

DAL PIEMONTE
Giovedì 15 agosto a Moncestino si è celebrata la Festa Patronale 
E per l’occasione è stata riaperta la Chiesa Parrocchiale dedicata per l’appunto all’Assunta, dopo 3 anni di chiusura dovuta a grandi interventi di manutenzione e restauro. Si è trattato  quindi  anche della solenne inaugurazione dei lavori effettuati per il restauro conservativo e consolidamento, lavori che hanno comportato un costo di 85.000 euro, sono stati donati dalla Dott.ssa Anna Maria Possio che ha voluto dare questo segno visibile alla parrocchia in memoria del defunto marito Giorgio Acutis, che è sepolto nel cimitero
di Moncestino.
Alle ore 17,30 alla presenza del Vescovo di Casale Mons. Gianni Sacchi e gli Arcivescovi; Mons. Angelo Accatino Nunzio Apostolico in Bolivia e Mons. Luigi Bianco Nunzio Apostolico in Uganda.
è stata concelebrata la Santa Messa da parte dei Vescovi con il parroco del Paese canonico Dott. Davide Mussone. E’ stata anche l’occasione per l’intervento dell’architetto Raffaella Rolfo dell’Ufficio Beni culturali ecclesiastici della Diocesi e delle autorità (I Sindaci di Villamiroglio e Mombello e il Vicesindaco di Gabiano). Nel corso della cerimonia è stata scoperta la targa commemorativa dei restauri, posta su una delle colonne della navata, sopra alla tomba del Marchese Giuseppe Miroglio di Moncestino.
Al termine della funzione, allietata dai canti della Corale interparrochiale la Fiaccola, vi è stata una processione fino al Palazzo municipale con ritorno alla parrocchia. E a seguire i festeggiamenti sono continuati a cura della Pro Loco nel salone comunale.

Il nome… è una cosa seria

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI ’60

Articoletto di Ferragosto… direi che ci vuole qualcosa su un “band mistero”, una delle tante del rock anni Sessanta “a stelle e strisce” di cui si sa poco o nulla, ma che ha lasciato una gemma per i cultori del settore.

Si può quasi dire che il problema più gravoso per la band non fossero le date per i gigs, le paghe, li rapporti col manager o l’impatto con la sala di registrazione… ma trovare un nome catching (che attirasse l’attenzione).

Ron Howard (chit), George Eder (V, b), Mike Jones (V, org), Doug Maxeiner (batt) provenivano dall’esperienza di esordio sotto il nome di The U.S. Males; ma fin dall’inizio il nome lasciava perplessi, poco persuasivo, troppo generico e prevedibile, privo di elementi di interesse. Nel corso di vari mesi nella seconda metà del 1966… la band si scervellò letteralmente per trovare un nome migliore. Lo si cercava ovunque! Sulle locandine in giro per strada, sulle insegne dei camioncini di hot dog ambulanti, sulle vetrine dei negozi, perfino nei nomi dei trattori o dei macchinari per l’agricoltura; se ne sceglieva uno, ma subito la perplessità dominava, l’accordo tra i membri non era mai certo e qualcuno finiva sempre per sollevare questioni, obiezioni, dubbi continui.

Allora si scavò nelle origini, nel mondo dell’infanzia e adolescenza a Lansing (Illinois) e si scoprì l’elemento che aveva sempre unito i ragazzi della band: il ritrovo al parco-giochi vicino alla scuola elementare, quel posto all’incrocio di due viali trafficati dove avevano inizio i giri insieme per la città. Era il playground all’incrocio tra Park Avenue e Chicago Avenue, dove bambini e giovani trascorrevano il tempo libero e dove regnava il divertimento ancora spensierato; fu così che la band prese il nome di Park Avenue Playground e le obiezioni finalmente erano a zero.

Il manager era Larry Goldberg, che tenne una condotta non sempre cristallina ma apprezzabile per tutta la vita della band; l’area “opaca” fu al tempo dell’incisione dell’unico single, con questioni mai del tutto comprese con l’etichetta U.S.A. records; non fu mai chiaro l’iter che portò all’applicazione delle etichette sui dischi e la band (anche dopo lo scioglimento) non fece mistero dei propri dubbi riguardo la sensazione che ci fosse sempre qualcosa di “non detto” in tutta quella faccenda.

Comunque le date non mancavano, il “giro” soddisfacente, l’armonia interna costante, eppure presto venne meno il “fuoco”, la spinta a scrivere nuove canzoni. Si può affermare che l’ispirazione si concentrò ed esaurì sostanzialmente in un unico brano del 45 giri del 1967: “I Know” [M. Jones] (U.S.A. records 919; side B: “The Trip” [G. Eder]), inciso a Madison (Wisconsin). Sorpresa è che non si trattava del lato A, ma del flip… Infatti “The Trip” rimane tuttora un esempio cardine di fuzzy tones e garage borderline infettato dai suoni nuovi in arrivo dal movimento psichedelico imminente e galoppante.

Passata l’incisione, l’etichetta fu molto titubante se mettere sul mercato il disco; in radio passò poco… e anzi si dice che una parte del “non venduto” fosse stata poi posta quasi alla rinfusa in un magazzino colpito da una devastante alluvione. Il risultato è che attualmente il 45 giri costa letteralmente un occhio della testa (nell’ordine di non meno di mille dollari) e risulta pressoché introvabile perfino per i “maniaci” del genere…

Della band si seppe più nulla, nessuna apparizione in TV o in qualche “Battle of the Bands”, scarsa presenza nelle classifiche radiofoniche; inevitabile fu il processo di disgregazione, conclusosi forse entro l’estate del 1969 senza ulteriori sussulti.

 

Gian Marchisio

 

 

La cultura non va in vacanza

La tv americana  Cnn inserisce tra le 20 città europee più belle da visitare, e il capoluogo piemontese punta sui musei, tutti aperti a Ferragosto con mostre ed eventi. Tra i musei torinesi l’Egizio, i Musei Reali e la Reggia di Venaria saranno visitabili fino alle 22.30. I Musei Reali aprono le stanze reali e i Giardini, fino a mezzanotte la sera del 24 agosto, e tutte le sere i cancelli sono aperti per la rassegna Cinema a Palazzo. Visitabili tutti giorni della settimana di Ferragosto il Museo del Cinema, con orario  fino alle 20 anche per l’ascensore delle Mole Antonelliana, i musei della Fondazione Torino Musei, Palazzo Madama, Gam e Mao, al prezzo speciale di un euro. Poi il Museo del Risorgimento, il Museo dell’Automobile, l’Orto Botanico. Festa di Ferragosto, la sera del 14, alla Reggia di Venaria. Resta aperto anche il Castello della Mandria.

 

 

I Beatles rivisitati da Molinelli

DALLA LIGURIA

I Beatles come non si sono mai sentiti in un’atmosfera eclettica come quella di fine XIX secolo della splendida villa che ha ospitato in passato grandi personalità, ora luogo ideale per ricevimenti e serate di gala ma anche mostre, concerti ed eventi culturali.

Ci stiamo riferendo alla splendida serata del 14 agosto 2019 trascorsa nel Parco di Villa Ormond di Sanremo, con la musica dei Beatles rivista e diretta dal Maestro Roberto Molinelli.

Se volete conoscere gli anni Sessanta, ascoltate la musica dei Beatles.

Al leggendario gruppo di Liverpool, nato nel 1960, è stato dedicato l’evento in scena ieri sera nella splendida cornice del Parco di Villa Ormond di Sanremo. Sul palco l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, diretta per l’occasione da Roberto Molinelli unitamente a Clarissa Vichi, autrice e vocalist pesarese, dotata di una voce veramente splendida.

È stata accolta da scroscianti applausi, la nutrita scaletta del concerto che ha incluso alcuni tra i brani più conosciuti, per gran parte scritti e musicati da John Lennon e Paul McCartney come ‘All you need is love’, ‘Let it be’, ‘Twist and shout’, ‘Yesterday’, ‘Imagine’, passando per ‘Hey Jude’, ‘Michelle’, ‘Yellow Submarine’, ‘Girl’, ‘Eleanor Rigby’, ‘Something’ , ‘The long and winding road’ e così via.

Prosegue il percorso di contaminazione con il contemporaneo del Maestro Molinelli. Dopo Queen, Pink Floyd e Jackson non potevano mancare i Beatles che dagli anni ’60 dominano le classifiche di tutto il mondo.

Clarissa Vichi, non si definisce solo una cantante pop: “Sono una cantante ‘mista’, abbastanza eclettica. Con l’Orchestra provo una meravigliosa sensazione, quella di essere un tutt’uno con loro. Mi sento coccolata da tutti questi strumenti e professori! E poi i Beatles, è  stato un modo per riapprezzarli, con tutta l’orchestra e gli arrangiamenti di Molinelli, si respira un’aria diversa. Ecco è questo che mi piace, fare cose diverse dove è sempre una sfida mettersi in gioco”. E  fa fatica a scegliere la sua canzone preferita: “Non vorrei svelare tutta la scaletta perché ci sono delle sorprese, ma se c’è una canzone loro che mi piace molto è sicuramente Strawberry fields forever o Black birds, direi quelle meno scontate”.

Roberto Molinelli ha riarrangiato i pezzi immortali del quartetto di Liverpool, ripensandoli e riadattandoli in una stesura diversa dall’originale, di più ampio e sinfonico respiro, pur conservando inalterate le caratteristiche liriche espressive che ne hanno decretato il duraturo successo, nonché quelle più propriamente ritmiche, dove i musicisti utilizzano i loro strumenti classici in un modo diverso da quello tradizionale, con effetti tipici degli strumenti a percussione.

Il Maestro Roberto Molinelli, è direttore d’orchestra di fama internazionale, nonché grande compositore e violista. Il suo curriculum è impressionante, fin da giovanissimo ha continuato a collezionare successi e collaborazioni, senza contare premi e riconoscimenti.

Il genere di musica leggera che più si avvicina alla classica è la musica rock. E in passato molti importanti gruppi del genere, come Metallica o Queen, solo per citarne alcuni, si sono avvicinati a grandi orchestre classiche per riedizioni di loro grandi pezzi.

 “Ho già realizzato vari progetti di reinterpretazione rock-sinfonica in tributo alle ormai leggendarie band del rock o artisti icone della musica popular, per esempio  “Pink Floyd, la storia la leggenda”, “Queen’s Symphonies”, “The fool on the hill” in omaggio ai Beatles, “Battisti, musica infinita” dove le canzoni del celebre Lucio nazionale offrono lo spunto per la creazione di un concerto per pianoforte solista e orchestra o il reggae sinfonico di Bob Marley – ha riferito Roberto Molinelli – per alcuni concerti, abbiamo creato un format, insieme a Claudio Salvi, giornalista e autore del concept e dei testi degli spettacoli, dove la musica si alterna a parti recitate, raccontando una storia originale e avvincente, che sta suscitando grande interesse e che è in continua evoluzione. Lo dimostrano i tanti sold-out registrati, grazie anche all’apporto produttivo e alla collaborazione delle grandi orchestre con cui mi esibisco a partire dall’Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro, importante compagine orchestrale attivissima in Italia e all’estero, della quale sono Direttore Artistico per l’Innovazione”.

La Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo, una delle più antiche e prestigiose realtà musicali italiane con i suoi cento anni di vita festeggiati nel 2005, fa parte delle dodici Istituzioni Concertistico Orchestrali riconosciute dallo Stato, ed è Istituzione Culturale di Interesse Regionale della Regione Liguria.

Sede principale dei suoi concerti, più di cento all’anno, è il Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo. Nella sua lunga storia ha visto alternarsi i più grandi direttori ed i maggiori solisti internazionali.

Roberto Molinelli, proporrà lo stesso concerto con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, venerdì 16 agosto ai Giardini Lowe di Bordighera.

Vito Piepoli

Rinascimento e Barocco in mostra a Cassine

Fino al 28 settembre nel Museo e nella chiesa di San Francesco di Cassine, suggestivo borgo della provincia di Alessandria tra il capoluogo ed Acqui Terme, è visitabile un’importante mostra di arte antica (orario: sabato e domenica dalle ore 16 alle 19), ‘Pittori del Rinascimento e del Barocco – in collezioni private piemontesi e lombarde’.

La mostra prende in considerazione alcuni dipinti, di collezionisti private a partire dal Rinascimento, un periodo che, in tutte le sue varie scuole e versioni, si nutrì del cosiddetto  “umanesimo”, cioè di una concezione del mondo prevalentemente incentrata – sulla scorta della rivalutazione e dello studio della cultura classica. Ne derivò una nuova visione della vita e, di conseguenza, si rinnovò profondamente anche il linguaggio, letterario o figurativo che fosse.

Successivamente si fece strada il Barocco, una stagione culturale che dilatò i settori dell’indagine figurativa e dischiuse nuove prospettive nei diversi ambiti della religiosità, del paesaggio, della natura morta, nelle scene di vita e di costume, influenzando profondamente l’arte anche oltre i confini della nostra penisola.

L’esposizione tratta una eterogenea rassegna di quadri di grandi maestri genovesi come Luca Cambiaso, Bernardo Strozzi, Orazio De Ferrari, pittori caravaggieschi, piemontesi, lombardi, veneti. Ne costituisce l’emblema la tavola del Cristo benedicente di pittore leonardesco lombardo del secondo decennio sec. XVI, opera esposta in occasione del cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo Da Vinci, in cui, anche Cassine, ne celebra il ricordo con questo evento. Curatore della mostra è Sergio Arditi, vice sindaco ed assessore alla cultura, autore di una pregevole, quanto articolata, introduzione alla stessa.

Massimo Iaretti

I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni conquistano le vette della musica

In un concerto nell’ambito del Macugnaga Piano Trail 2019

Alle pendici del Monte Rosa, a Macugnaga, nella suggestiva cornice della Kongresshaus,  sabato 10 agosto scorso alle 18 si è tenuto il concerto che ha visto protagonista l’Orchestra de I Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni diretta dal M° Antonmario Semolini con solista il sedicenne pianista di Taiwan Chou Hung-Tse.

Questo era il secondo appuntamento all’interno del Macugnaga Piano Trail, inauguratosi il 4 agosto scorso e giunto alla sua seconda edizione, sotto la sapiente direzione artistica di Serena Costa, personalità che, già al guardarla, irradia solarità, e fortemente condiviso nell’ideazione dal collega e docente di pianoforte al Conservatorio “Gaetano Donizetti” di Bergamo, nonché direttore del medesimo dal 1997 al 2012, Marco Giovanetti, purtoppo recentemente scomparso all’età di 59 anni.

La felice serata si è aperta con il celebre Concerto per pianoforte K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart;  banco di prova dei più grandi interpreti, è caratterizzato da una notevole vivacità strumentale e brillantezza, accompagnate, tuttavia, da preziosi tratti poetici distribuiti in modo equilibrato tra il solista e l’orchestra. Semolini, che sempre più si connota come raffinato interprete mozartiano, ha ben assecondato, mantenendo tuttavia una lettura rigorosa ed autentica, la brillante verve del giovanissimo Chou Hung-Tse il quale, con questa bella esecuzione, capace di trarre seducenti ed avvolgenti sonorità dello splendido gran coda di Fazioli, ci fa sperare in una carriera luminosa. Al termine l’attento uditorio gli ha tributato calorosi applausi, richiamandolo più volte sul proscenio.

Nella seconda parte è stata eseguita la Sinfonia n. 5 di Franz Schubert. La scelta di questo accostamento di certo non è stata casuale: qui Schubert evidenzia un sensibile distacco dalle forme beethoveniane, tracciando un ritorno allo stile mozartian soprattutto nel secondo tempo, rivelando reminiscenze melodiche con la Sonata per violino K 373 del genio salisburghese; nel Minuetto poi vi è, seppure con più leggerezza, un accenno alla Sinfonia K 550 di Mozart.

L’interpretazione di Antonmario Semolini, come da consolidata abitudine di questo direttore,  è  stata tesa da evidenziare, con rigore quasi maniacale, ogni minima sfumatura del testo musicale, sia per l’agogica, sia per le dinamiche. Il pubblico, ed il risultato non si è fatto certo attendere, è esploso in applausi lunghi e calorosi, con richieste di bis, soddisfatte dalla ripetizione del finale dell’ultimo movimento, ad una velocità che avrebbe potuto mettere a dura prova anche celebri compagini orchestrali, ma non “i Virtuosi”, che hanno, ancora una volta, dimostrato la loro gioia di far musica insieme.

Non a caso, nel nucleo portante di questa Orchestra sorta all’interno dell’Accademia di San Giovanni, istituzione che opera a favore della diffusione dello spirituale nell’arte, con sede nel Duomo di Torino, svettano autentiche personalità quali Dario Destefano, uno tra i più acclamati violoncellisti italiani, lo straordinario cornista Ugo Favaro, i violini di spalla Massimo Bairo ed Hega Ovale, il giovane e brillante flautista Davide Chiesa, ormai sempre più mitteleuropeo, ed il “violinista viaggiatore” Giacomo Granchi, fiorentino, che trova sempre il modo, tra un impegno ed il successivo, di raggiungere i Virtuosi.

 

Mara Martellotta

 

Nella foto grande: da sinistra il pianista Chou Hung-Tse, la direttrice artistica del festival Serena Costa, il direttore d’orchestra Antonmario Semolini 

Fermò l’Islam a Vienna e “inventò” il cappuccino

ACCADDE OGGI: 13 AGOSTO

Nell’anno dedicato allo storico incontro tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto, avvenuto ottocento anni fa, c’è spazio anche per ricordare un’altra grande figura della famiglia francescana beatificata nel 2003 da Papa Giovanni Paolo II.

Si tratta di Marco d’Aviano, un frate cappuccino del Friuli che con fermezza, coraggio e umiltà svolse un ruolo di primo piano nella liberazione di Vienna dall’assedio dei turchi alla fine del Seicento quando la minaccia ottomana terrorizzava l’Europa. É tra i personaggi più importanti della storia religiosa e politica del Seicento. Il 13 agosto è il giorno della sua morte e della ricorrenza religiosa ma molti non conoscono ancora questo piccolo grande personaggio della storia. Chi fu Marco d’Aviano? Un saio francescano, sacerdote, missionario e predicatore, che partito da un piccolo paese alle porte di Aviano, diventa uno dei protagonisti della storia europea in chiave anti-musulmana e ottomana. Si chiamava Carlo Domenico Cristofori e trascorse parte della sua vita a predicare con insistenza una crociata contro i turchi al tempo dell’assedio di Vienna. Sovrani e principi rimasero meravigliati dall’audacia di quest’uomo che con i suoi discorsi infiammava sia le Corti sia le folle che lo ascoltavano. Mentre i viennesi soffrivano l’assedio degli ottomani l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo lo volle come suo consigliere personale. D’Aviano amava ripetere al suo sovrano che sconfiggere i turchi davanti a Vienna era possibile e necessario. Dopo aver studiato teologia e filosofia iniziò a predicare a Padova e ad aiutare poveri e malati. Qui diede la benedizione a una religiosa gravemente ammalata. La sua improvvisa guarigione, unita ad altri episodi analoghi avvenuti nello stesso periodo a Venezia e in altre città, resero celebre frate Marco a cui vennero attribuiti poteri miracolosi. La sua fama di taumaturgo si diffuse in tutta l’Europa e folle enormi lo accolsero nelle città che visitava. Anche il buon cappuccino che molti di noi bevono tutti i giorni ha qualcosa a che fare con questo umile e straordinario frate. La miscela di caffè e latte molto apprezzata dai viennesi a quell’epoca non l’ha certo inventata Marco d’Aviano ma ha più o meno il colore del saio francescano che riporta alla figura del cappuccino Marco. Le leggende che hanno legami con Vienna e con le nostre colazioni mattutine sono famose come dimostra lo stesso croissant che ha la forma della mezzaluna turca secondo una leggenda non storicamente accertata ma molto radicata. Quando D’Aviano guarì da una malattia anche il duca Carlo V di Lorena, comandante dell’esercito cristiano, l’imperatore Leopoldo lo invitò a corte a Vienna e da allora il sacerdote non se ne andò più.

Marco divenne confessore e consigliere dell’Imperatore fino alla sua morte. Papa Innocenzo XI gli affidò l’incarico di rimettere in piedi la Lega Santa delle nazioni cristiane per fronteggiare l’espansione dell’Impero Ottomano in Europa. Dopo aver occupato Belgrado i turchi invasero l’Ungheria con l’obiettivo di portare l’Islam a Vienna per poi raggiungere Roma e far abbeverare i cavalli del sultano nelle fontane di San Pietro. D’Aviano riuscì tra mille difficoltà a coalizzare le potenze cristiane senza però convincere Luigi XIV, il “re cattolicissimo” che non aderì all’alleanza preferendo il Turco ai cristiani. L’unico sovrano a farsi avanti con decisione fu il re di Polonia Giovanni Sobieski. L’assedio di Vienna cominciò a metà luglio del 1683. Convinto che non c’era tempo da perdere il frate scrisse più volte all’imperatore per convincerlo che la guerra era ormai inevitabile. La mattina del 12 settembre 1683, poco prima dell’alba, padre Marco celebrò la messa sulla collina del Kahlenberg che sovrasta Vienna tenendo una predica incendiaria. Distribuì la comunione al duca di Lorena, al re di Polonia Sobieski e impartì la benedizione all’esercito. Dopo la funzione passò davanti alle schiere militari con la croce in mano rivolgendo parole di fede e di incitamento alla battaglia imminente che si concluse con la vittoria della Lega Santa e la disastrosa ritirata dell’esercito turco. Per gli ottomani fu l’inizio della fine. Tornato a Belgrado, sconfitto e disonorato, il gran visir Kara Mustafà verrà strangolato per ordine del sultano. Ma lo slancio di padre Marco non si fermò qui e negli anni successivi si diede da fare per liberare anche l’Ungheria e riconquistare Belgrado anche se per poco tempo.

A Vienna padre Marco fu il personaggio più festeggiato e l’anno dopo ricevette un’altra chiamata dal Papa. Innocenzo XI voleva che i sovrani europei si coalizzassero per cacciare definitivamente gli ottomani dall’Europa. Marco si rimise al lavoro per coordinare l’alleanza cristiana contro l’islam turco partecipando all’organizzazione dell’attacco insieme ai comandanti militari. Buda fu riconquistata nel 1689 e, dopo una lunga pausa, la controffensiva riprese con Eugenio di Savoia che sconfisse i turchi a Zenta sul fiume Tibisco in Serbia nel 1697. Due anni più tardi, nel 1699, la pace fu firmata a Carlowitz. Assistito dall’imperatore Leopoldo, il 13 agosto dello stesso anno, padre Marco d’Aviano moriva. Le sue spoglie riposano nella chiesa dei Cappuccini a Vienna accanto alle tombe degli imperatori d’Asburgo.

Filippo Re

Il Bene e il Male durante il periodo della Controriforma

La produzione artistica – pittura, grafica, scultura –  di Concetto Fusillo costituisce un vero archivio, come egli stesso ama dire, poiché scaturisce da una laboriosa e fruttuosa ricerca in archivi pubblici e privati divenuti intimo rifugio di uno studioso nutrito di cultura umanistica.

Spinto da viscerale desiderio mai esausto di conoscenza e assumendosi il compito di togliere dall’oblio fatti dimenticati, se ne appropria trasformandoli in occasione d’arte e concretizzandoli in pittura.

Ogni parola scritta nei documenti consultati diventa suggerimento di immagini, ogni piccolo segno o emozione scaturiti dalla lettura si trasforma in linea e colore dando vita ad uno stile particolare che unisce tradizione iconica a suggestioni d’avanguardia, ad azzardate accensioni fauve, a impalpabili rarefazioni informali e ad accenni di astrattismo.

Le opere, nate dalla curiosità di portare alla luce vari comportamenti tra il Bene e il Male durante il XVI e XVII secolo nel territorio acquese, hanno come protagonisti i preti e sono il risultato di una appassionata ricerca negli archivi della diocesi di Acqui, affrontando la dialettica esistenziale da sempre trattata da teologi, filosofi e letterati senza mai arrivare ad una regola definitiva universale.

Basta sintetizzare alcune interpretazioni per esemplificare come ogni affermazione sia inevitabilmente soggettiva: se gli stoici affermarono che le due entità sono entrambe essenziali perché se non ci fosse l’una non ci sarebbe l’altra, Platone si servì della suggestiva metafora del sole rivelatore delle cose per asserire che il Bene è l’Essere, il Male il non Essere, per sant’ Agostino è il libero arbitrio a determinare la scelta mentre per Leopardi tutto è male.

Fusillo non pretende di dare una soluzione, ciò che gli preme è dare corpo, attraverso la pittura, a persone e storie minori pressoché sconosciute riportando alla luce testimonianze, atti processuali, sentenze, credenze e aneddoti tratti dai documenti d’archivio.

Ne nasce un vivace e variegato mondo che ha per protagonisti preti pii e caritatevoli come il vescovo Pedroca incurante del contagio, morto nel curare gli appestati, o il misericordioso don Bottero che perdona chi l’ha ferito ma anche sacerdoti indegni come don Remuschio seminatore di zizzanie tra i parrocchiani e altri che agiscono per fini personali.

Più che comportamenti di male assoluto compaiono, in verità,  situazioni intermedie e personaggi grotteschi: l’arciprete pauroso che si rifugia in camicia da notte sui tetti della canonica spaventato dai ladri, il prete rubagalline, l’iracondo chierico Panaro che imbraccia disinvoltamente lo schioppo, il frate zoccolante, pseudo esorcista, che inganna il popolo con filtri magici, il sacerdote che durante il carnevale balla vestito da donna, a dimostrazione che neppure il clero è esente da debolezze umane.

Si diventa spettatori di un variopinto teatrino sul cui palco sono posti in primo piano i preti intorno a cui ruota la società di quel tempo tra signorotti, contadini, ciarlatani, creduloni, feste carnevalesche, superstizioni, stregonerie e processioni senza peraltro scadere in semplici bambocciate.

Non si tratta di una facile pittura di genere, aneddotica e ripetitiva di scene popolari riprese dal vivo bensì di una pittura colta, rivelatrice di una realtà più che vista assimilata, rielaborata e indagata negli aspetti complessi, nascosti al di sotto dell’apparenza e comunicata attraverso deformazioni che si avvicinano all’espressionismo e al primitivismo.

Non essendo ininfluente il luogo in cui viene presentata la mostra, qualora vi siano legami tra questa e il tema proposto, il Museo di Moncalvo è pertinente al periodo trattato tra il XVI e XVII secolo essendo ubicato nell’ex convento delle Orsoline fatto costruire da Guglielmo Caccia, massimo esponente piemontese della pittura controriformistica.

Qui la figlia Orsola, pittrice e badessa portò avanti la scuola paterna, fedele ai dettami del Concilio di Trento che affidava agli artisti il compito di diffondere le sacre scritture in modo efficace, decoroso, comprensibile per recuperare chi si era allontanato dalla chiesa nel periodo della riforma protestante.

Nella pinacoteca infatti si possono ammirare alcuni importanti quadri, in particolare i famosi vasi di fiori a cui la “Monaca pittrice” ha dato dignità di natura morta autonoma, non semplicemente con funzione decorativa di figure religiose bensì veri e propri veicoli simbolici di propagazione di fede cattolica.

Allo stesso modo il Castello di Casale Monferrato è stato confacente alla mostra su Federico II e la scuola poetica siciliana, da me curata nel 2014, nel rievocare i rapporti politici e privati tra il Regno di Sicilia e il Monferrato grazie al matrimonio tra il “Puer Apuliae, stupor mundi” e Bianca Lancia da cui nacque Manfredi.

In questo caso Fusillo, stabilitosi da anni in Piemonte ma nativo di Lentini, patria di Jacopo, ha elaborato una” Poesia dipinta” calandosi nel fervido clima culturale federiciano per dare corpo, attraverso le immagini, ai raffinati versi dei poeti che hanno dato luogo alla prima poesia scritta in dialetto siciliano ripulito e disgrossato da venature di latino e provenzale.

Adattandosi alla squisitezza dei versi l’artista ha usato colori delicati e sognanti, linee morbide e avvolgenti allusive al desiderio d’amore cortese dell’amante che anela l’attenzione della donna descritta come “bionda più c’auro fino, di claro viso” secondo una tipologia ben definita, spesso ritrosa e inaccessibile.

Al contrario, trattando la dialettica del Bene e del Male, le tinte si fanno dissonanti in azzardati contrasti, le linee taglienti nel rivelare situazioni e stati d’animo complessi indagati nel profondo al di sotto dell’apparenza fenomenica.

In entrambi i casi Concetto Fusillo raggiunge un risultato estetico e una compiutezza d’espressione riuscendo a unire indissolubilmente contenuto e forma, gesto lavorativo e energia formante

 

Giuliana Romano Bussola

 

Museo civico di Moncalvo 6 luglio – 29 settembre A cura di A.L.E.R.A.M.O ONLUS   sabato e domenica    10 -19    tel  327 7841338