CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 557

"Noi…non erano solo canzonette"

Da “Volare” al magico Mundial del “Bernabeu” la musica (ma non solo) racconta alla “Promotrice” di Torino un pezzo memorabile di Storia d’Italia
 
La musica come colonna sonora della nostra vita. Non “musica leggera”, dunque, ma Musica e basta. Non “canzonette”, ma Canzoni. E, come in questo caso, d’Autore. Pienamente imbevute nel sociale, pagine di storia, fitte di lacrime e sorrisi, di gioie e dolori, di amore e odio. Com’è la vita. Com’è la storia. Com’è quella, lunga un quarto di secolo, raccontata nella suggestiva mostra itinerante, partita da Torino alla “Promotrice delle Belle Arti” e che al Valentino si fermerà fino al prossimo 7 luglio, per poi girovagare in altre piazze italiane. Dalle braccia aperte come a voler spiccare il volo e giacca bianco-panna di Mimmo Modugno che il primo febbraio del ’58 porta alla vittoria di Sanremo (in coppia con Johnny Dorelli) il suo “Volare – Nel blu dipinto di blu”, fino all’“urlo guerriero” di Marco Tardelli e alla Coppa del trionfo mondiale sollevata al cielo da Paolo Rossi nella magica notte dell’11 luglio dell’’82 all’Estadio “Santiago Bernabeu” di Madrid, la mostra “Noi…non erano solo canzonette” vuole essere una grande rappresentazione della nostra esistenza collettiva racchiusa in quei ventiquattro anni, esplorati interpretati e trasmessi, con tutta loro carica di emozioni, sentimenti e poesia, dalla Musica d’Autore. Quella capace di sottolineare cambiamenti repentini ed epocali, in grado di far muovere e scendere in strada un popolo agguerrito o esultante com’era quello– fatte salve le debite distanze- del “Quarto Stato” di Pellizza (cui s’ispira con geniale rispetto il logo-immagine della mostra realizzato da “Matteo Vilardo Studio”) guidato, anziché dai due contadini e dalla donna col bimbo fra le braccia, niente meno che da “Mister Volare”, da Lucio Dalla e dalla grande Mina, fra le braccia un bel mazzo di fiori, forse sanremesi. Curata da Gianpaolo Brusini, Giovanni De Luna, Lucio Salvini (con la partecipazione di Fabri Fibra, Giorgio Olmoti e Omar Pedrini), la rassegna è prodotta da Bibibus Events con il supporto di Intesa San Paolo e propone una playlist di 100 brani musicali, frutto di un’attenta selezione, di certo non esaustiva ma comunque in grado – da Peppino di Capri a Francesco Guccini, da Patty Pravo a Fabrizio De André – di trasmettere anche a chi non c’era, il senso profondo di quella musica e di quegli anni. Ad accompagnare i brani musicali, fruibili attraverso l’audio diffuso nelle varie sale o in cuffia o grazie agli speacker direzionali per i filmati d’epoca, troviamo una cinquantina di grandi fotografie provenienti in gran parte dalla Sezione fotografica dell’Archivio Storico di Intesa San Paolo, insieme a memorabilia di nostalgica memoria e ad opere video arrivate dagli archivi delle Teche Rai e dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea. L’iter espositivo è organizzato in senso cronologico e tematico in 12 aree. Dal Modugno re di Sanremo, si passa ai Buscaglione e ai Carosone (che stoppano definitivamente gli echi musicali del lungo dopoguerra), per poi toccare i temi della grande immigrazione verso il Nord, il mutare del profilo delle città e delle campagne accompagnati dalla voce di Giorgio Gaber, gli anni del “Boom” e l’avvento del consumismo (“Carosello”) con pezzi di Mina, Gino Paoli e Peppino di Capri. Nella sezione “Abbronzatissimi”, c’è tutto l’entusiasmo per la conquista del tempo libero e delle vacanze di massa, mentre in “Pensiero stupendo” e ne “L’esercito del Surf” troviamo le voci dell’emancipazione femminile e giovanile. Al finire degli anni ’60, arrivano le rivendicazioni sociali e i movimenti studenteschi, messi in chiaro risalto dalla sezione “C’era un ragazzo che come me”, subito seguita dalla contrapposizione laici e cattolici con “Dio è morto” e dal tema delle lotte operaie di “Contessa”. Gli anni ’70 ci proiettano d’un balzo nella tragica atmosfera del terrorismo (La locomotiva”), camminando su un tappeto che riproduce l’interno della Banca di piazza Fontana, dopo la strage. Proseguendo si arriva alla “Musica ribelle”, alla travolgente “Febbre del sabato sera” e al rapimento di Aldo Moro con l’uccisione della sua scorta, tre giorni dopo la prima italiana del film di Travolta. Il lungo viaggio termina agli inizi degli edonistici anni ’80, con le note di “Splendido Splendente” e la voce di Donatella Rettore. Nell’82, la vittoria mondiale degli azzurri del calcio a Madrid. Era l’11 luglio. A Torino il concerto dei Rolling Stones fu anticipato quel giorno alle 15, per permettere agli italiani di assistere alla finale Tv delle 20. Al termine del concerto, Mick Jagger apparve sul palco con la maglietta azzurra n. 20 di Paolo Rossi, annunciando profetico: “Questa sera vincerete 3 a 1”. E così fu. E l’Italia, in trionfo e in festa grande, tornò a riempire le strade, a strombazzare e a vociare, dimenticando problemi e grigiori, agitando bandiere ed entusiasmo alle stelle. Cambiando, ancora una volta, faccia. E speranze e attese.

Gianni Milani

“Noi…non erano solo canzonette”
Promotrice delle Belle Arti, v.le Balsamo Crivelli 11, Torino; tel. 011/5790095 o www.mostranoi.it
Fino al 7 luglio
Orari: tutti i giorni, 10/19
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Nelle foto

– Logo-immagine mostra, Matteo Vilardo Studio
– Domenico Modugno a Sanremo, 1958
– Frigorifero con modella, 1965, Archivio Publifoto Intesa
-Fabrizio De André al Palalido di Milano, 1979, Photo Renzo Chiesa
– Miny Molly al Cantagiro, 1968, Archivio Publifoto Intesa
-Esplosione di lacrimogeni durante gli scontri fra dimostranti e forze dell’ordine, Archivio Publifoto Intesa

 

Divino, pagano e cristiano nelle opere di Demarchi

È ospitata nello spazio espositivo di corso Rosselli 11 fino al 21 aprile prossimo la nuova mostra che l’artista torinese astratto Roberto Demarchi dedica al concetto del divino. L’esposizione, il cui titolo è “Dagli dei a Dio”, vuole suggerire un confronto ed un dialogo tra il concetto di divinità nel paganesimo e quello presente nel mondo cristiano. Esiste, infatti, un sottile fil rouge che conduce dal paganesimo al cristianesimo nella rappresentazione del divino. Il sommo scultore greco Fidia, vissuto nel V secolo a.C, e Michelangelo Buonarroti, il grande scultore della Pietà, cui si devono anche gli affreschi della Cappella Sistina, usavano praticamente le stesse “forme figurative ” per rappresentare l’uno lo Zeus dell’Olimpo, il secondo il Dio della tradizione biblico-cristiana. Il pittore Roberto Demarchi utilizza il linguaggio astratto binario del quadrato e del rettangolo, nato per dare forma visibile al momento aurorale del pensiero occidentale, ma anche utilizzato per la rappresentazione della storia del Dio incarnato nel Cristo, che si è fatto uomo. Punto di partenza della sua nuova esposizione è il dipinto intitolato “L’albero della conoscenza”, trasposizione dell’episodio della Genesi riferito all’origine del peccato dell’ uomo. La mostra affianca opere ispirate al Vecchio e Nuovo Testamento ad altre che si richiamano alla religiosità pagana. Tra le opere esposte figurano l’Annunciazione, interpretazione originale dell’episodio biblico legato all’annuncio del concepimento di Gesù, e la “Resurrezione di Lazzaro”, ultima opera da lui realizzata, ispirata ad una delle tele del periodo tardo di Caravaggio
Mara Martellotta

L’amore non muore mai di morte naturale

“L’amore non muore mai di morte naturale. Muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente. Muore di cecità e di errori e tradimenti. Muore di malattia e di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità.” Oggi si parla di Rock Sinfonico. Nel 1976 (avevo 4 anni, dannazione) la Jet Records produce un album intitolato “A New World Record”. L’album contiene un brano a mio avviso degno di nota, scritto da un certo Jeff Lynne, polistrumentista, produttore discografico, compositore e cantante inglese di musica rock e pop attivo dalla fine degli anni sessanta ai primi anni duemila…mica poco. E.O.L.,ovvero come incarnare l’antitesi del cool ed essere comunque uno dei più grandi gruppi pop degli anni ’70: venti singoli nella Top 20 inglese e diciannove nella classifica di Billboard parlano molto chiaro. Nella band di Jeff, ambizione e kitsch vanno di pari passo, uniti da una vena melodica prettamente beatlesiana (si dice?!) che rende ogni loro composizione un magniloquente artificio di musica popolare. Il brano, nello specifico, gode di interventi orchestrali molto pesanti ma oltremodo efficaci, in una canzoncina che parla della perdita di un amore che pesca a piene mani dalla tradizione Motown (la Motown era una forza culturale impressionante: fondata da Berry Gordy nel 1959, l’etichetta è diventata una delle aziende gestite da afroamericani più indipendente e di successo. Nomi come Smokey Robinson, i Supremes, i Temptations, Marvin Gaye, Stevie Wonder e i Jackson 5 sono solo un assaggio dell’eredità di questa etichetta. n.d.r.) pur aggiornandola ai tempi moderni. Curiosità: nel 1994 Jeff fu chiamato dai tre Beatles superstiti per produrre Free As A Bird e Real Love. Ascoltatela, vi stupirà. Spero.                        

Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Chi trova un amico…

Sembrano togliere il sole dal mondo coloro che tolgono l’amicizia dalla vita”
Cicerone nel Laelius de amicitia si interrogava su cosa fosse davvero l’amicizia e su quale fosse il confine tra quest’ultima e la semplice conoscenza

Lo sa bene Alessandro Migliardi che, nella sua prima raccolta di poesie “E con me ti porterò”, racconta la propria esperienza di fronte a questo sentimento. Si tratta di un viaggio attraverso luoghi, relazioni, persone e oggetti che hanno attraversato, in punta di piedi, di passaggio o lasciando un segno profondo, la sua vita. Alessandro sceglie di autoprodurre una raccolta che regala, in tiratura limitata, agli amici, quelli veri, ricreando in loro lo stupore, la meraviglia e la felicità di vedersi dedicato qualche verso, consapevoli di aver lasciato una traccia indelebile non solo sulla pagina bianca, ma anche nel cuore di chi ha scritto. Fa tesoro delle esperienze e dei singoli attimi, senza però rimanere ancorato al passato, avvolto da un po’ di malinconia ripercorre le età della vita, dalla giovinezza al mondo adulto; sensibile e fiducioso, non lascia mai trasparire quel retrogusto amaro del tempo che scorre. Nel suo zaino ideale fa di Neil Young, dell’ukulele, degli amori passati e di quello esclusivo per Elena, delle delusioni, dell’amico del cuore e degli oggetti più cari, i propri compagni di viaggio, a cui si aggiunge una sorpresa inaspettata: la serenità. Forse frutto della maturità, degli affetti autentici e della vita stessa, che ogni giorno regala un motivo per sorridere e meravigliarsi. Avere un buon lavoro, un’ottima salute e l’amore è ciò che riempie la nostra vita di felicità, ma che mondo sarebbe se non avessimo un vero amico al nostro fianco? L’amicizia è la cosa più difficile al mondo da spiegare, non è qualcosa che si impara a scuola ma è ciò che unisce i cuori delle persone, ciò che lega, negli anni, modi di vita e di pensiero anche molto diversi, una diversità che affascina, da sempre, l’autore. Un animo sensibile e poliedrico quello di Alessandro, un uomo dai molteplici interessi che si affaccia curioso su ogni forma d’arte, dalla scrittura al ballo fino alla musica. Un amico che tutti meriterebbero di avere, per condividere quotidianità, “amori del passato, amori che verranno, sentieri e strade ci portano lontano per poi farci ritrovare”.
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Alessandro Migliardi nasce a Genova il 28 marzo 1968. Si trasferisce poi a Torino dove completa gli studi in Scienze sociali e dove oggi vive e lavora.

Anna Mazzamauro sarà «Nuda e cruda» al Teatro Cantoregi di Carignano

La stagione teatrale organizzata da E20inscena per il comune di Carignano si chiuderà il prossimo  venerdì 29 marzo alle ore 21 con «Nuda e cruda». Lo spettacolo di Anna Mazzamauro, andato per la prima volta in scena nel 2013, approderà al teatro Cantoregi per l’ultima replica

La lunghissima tournée teatrale, che ha fatto tappa in moltissime città italiane, è sintomatica del successo dello spettacolo. Si tratta di un vero e proprio one-woman-show, in cui Anna Mazzamauro, la signorina Silvani dei film di Fantozzi, si racconta con grande ironia. Dagli esordi teatrali al successo, Anna Mazzamauro si confessa pubblicamente, spogliandosi dei suoi complessi. Così l’autoironia diviene «un modo elegante per nascondere le proprie disgrazie», uno strumento per raccontare della bruttezza e per far riflettere sui pregiudizi della nostra società. «Io sono atipica: brutto vuol dire volgare e sporco — spiega la Mazzamauro — La mia gioia è che dopo anni di crisi adolescenziali e di sofferenza nel dover portare il peso dell’atipicità (per gli altri, non per me) ho capito che ci può essere un altro modo di essere belle». Proprio su questo concetto si basa l’intero spettacolo, in cui l’attrice romana si presenta anche nelle vesti di cantante. Accompagnata dai musicisti Sasà Calabrese e Andrea De Martino e diretta dal regista Livio Galassi, Anna Mazzamauro regala al pubblico un’ora e mezza di divertimento: «Voglio rassicurare che in questo spettacolo sarò più cruda che nuda — conclude l’attrice — altrimenti poi non vengono a teatro».  Certamente le risate garantite ripagano del costo del biglietto: 26 euro in platea e 18 in galleria, che diventano rispettivamente 22 e 16 euro per chi ha diritto alla riduzione. Per informazioni e prenotazioni rivolgersi a E20inscena (392 6405385 | info.e20inscena@gmail.com).

 

Giulia Amedeo

A Casale i grandi italiani di Quaglieni

Giovedì 28 marzo alle ore 18 Figure dell’Italia civile e Grand’Italia, i nuovi libri di Pier Franco Quaglieni (Golem Edizioni) saranno presentati nelle prestigiose sale dell’Accademia Filarmonica di Casale Monferrato, in via G. Mameli 29. Dialoga con l’autore: Giuliana Romano Bussola
Pier Franco Quaglieni, docente e saggista di storia risorgimentale e contemporanea, pubblicista dal 1968, Medaglia d’oro di I classe di Benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte, vincitore di numerosi riconoscimenti (trai quali i premi “Voltaire”, “Tocqueville”, “Popper” e “Venezia”) e vice presidente del Centro Pannunzio, tratteggia i ritratti di personalità importanti della cultura e della politica italiana del ’900, donne e uomini di diverso orientamento culturale e politico: da Einaudi, a Giovanni Amendola, da Marchesi a Soleri, da Calamandrei a Chabod, da Burzio a Olivetti, da Ernesto Rossi a Balbo di Vinadio, da Soldati a Pannunzio, da Croce a Gobetti, da Oriana Fallaci a Rita Levi Montalcini, da Eco a Zanone e molti altri. Capitoli autonomi, distinti, leggibili ognuno per conto suo, arricchiti da scritti inediti, episodi poco convenzionali, in alcuni casi persino politicamente “poco corretti”, ma sempre equilibrati sotto il profilo storico, e ricordi personali: due opere che restituiscono un’Italia dalle molte voci che hanno lasciato traccia significativa di sé, una Grand’Italia polifonica, in cui la diversità di pensieri e di esperienze è vista come una ricchezza, un’Italia civile che va riscoperta e valorizzata come patrimonio culturale irrinunciabile, anche per il futuro delle nuove generazioni.

Premio Inedito, designati i finalisti

Il Comitato di Lettura del Premio InediTO – Colline di Torino presieduto da Valentino Fossati e formato dallo stesso Fossati (sezione Poesia), Francesco Delle Donne (Narrativa-Romanzo), Valeria De Cubellis (Narrativa-Racconto), Alfredo Nicotra (Saggistica), Simone Carella (Testo Teatrale), Guido Nicolas Zingari (Testo Cinematografico) e Valerio Vigliaturo (Testo Canzone) ha concluso la lettura delle 593 opere iscritte alle sette sezioni (Poesia, Narrativa-Romanzo, Narrativa-Racconto, Saggistica, Testo Teatrale, Testo Cinematografico, Testo Canzone) degli autori iscritti alla XVIII edizione provenienti da tutta Italia e dall’estero (Australia, Inghilterra, Francia, Germania, Spagna, Svizzera, Croazia, Romania, Albania). Dopo un’attenta e scrupolosa selezione, in cui sono emersi tendenze, temi e stili diversi, sono stati designati i nomi dei 50 finalisti e dei 7 minorenni in gara per il premio speciale “InediTO Young” in collaborazione con Aurora Penne. Le loro opere saranno sottoposte alla valutazione della Giuria presieduta dalla scrittrice Margherita Oggero e formata da Maurizio CucchiPaolo LagazziDavide RondoniDario SalvatoriCristiano Godano (Marlene Kuntz), Paolo Di PaoloMelania GiglioAndrea ZirioEnrico RemmertGaia RayneriVito CioceLinda MesserklingerLeonardo CaffoTindaro Granata nonché dai vincitori della passata edizione (Thomas Tsalapatis, Anna Francesca Vallone, Luca Hopps e Giuseppe Della Misericordia, Piervittorio Formichetti, Roberto Bruni, Alma Carrano, Francesco Chini “Le Teorie di Copernico” e Giulia Pratelli). I finalisti saranno presentati all’Arena Piemonte del Salone del Libro di Torino domenica 12 maggio ore 10.30 alla presenza di autori, giurati, autorità e partner del concorso, mentre, da questa edizione, la premiazione si svolgerà entro il mese di giugno. 

Scopri i nomi dei finalisti di InediTO 2019

Legal Contest. Opere civili ed Opere penali

Trionfo della sua pittura post espressionista, declinata nella variante di un dialogo tra il chiaro e lo scuro

“Legal Contest. Opere civili ed Opere penali” è il titolo della personale dell’artista torinese Pier Tancredi de-Coll’ che si inaugurerà mercoledì 27 marzo prossimo nella storica sede della Fondazione Croce, a palazzo Capris, in via Santa Maria 1. Saranno presenti insieme all’artista lo scrittore torinese Federico Audisio di Somma, che ha curato con il pittore alcuni volumi di arte e prosa, la curatrice di libri d’arte Paola Gribaudo, l’avvocato Emiliana Olivieri, segretaria della Fondazione Croce, insieme alla storica dell’arte Liletta Fornasari, cui si deve la curatela della mostra. La dicotomia del chiaro e dello scuro rappresenta il fil rouge di un’esposizione in cui emerge in tutta la sua evidenza il carattere post espressionista della pittura di Tancredi de-Coll’, un chiaro ed uno scuro che sono espressioni non soltanto cromatiche, ma sono capaci, invece, di diventare metafore delle inquietudini espresse dalle tematiche che emergono dalle opere. È post espressionista la pittura di Pier Tancredi de-Coll’, in quanto risulta capace di inglobare una visione soggettiva sia nell’uso del colore, sia nella scelta dei soggetti figurativi, dai ritratti ai paesaggi, fino alle scene di vita quotidiana. L’uso che egli fa del colore risponde, infatti, ad una funzione emozionale e passionale, accompagnata da una estrema semplificazione delle forme, con una netta eliminazione degli elementi superflui. Tancredi de-Coll’, artista che ha mosso i suoi primi passi nel mondo della pittura presso lo studio del pittore Serafino “Sergi” Geninatti, ha poi esordito come vignettista per i quotidiani torinesi Stampa Sera (1982-95) e La Stampa (1984-1995), imponendosi come uno dei massimi rappresentanti della grafica italiana. Particolarmente significativa la sinergia che si è creata negli anni tra Tancredi de-Coll’ e lo scrittore torinese Federico Audisio di Somma, accomunati dal carattere post espressionista delle rispettive arti. Insieme il vincitore del Premio Bancarella nel 2002 per il romanzo intitolato “L’uomo che curava i fiori” ed il pittore hanno realizzato opere di disegni e pittura quali “Il jazz del torello verde” e “Femmes, donne elettriche” (1984) con la prefazione di Gianni Versace. Secondo premio al Concorso “Sunday Painters 2015”, in occasione della Fiera internazionale di Arte contemporanea Artissima di Torino, Tancredi de-Coll’ ha poi ottenuto il primo premio della giuria della Mostra internazionale Artes 2017. Lo scorso anno ha esposto in una personale curata da Diletta Fornasari presso la Galleria Comunale di arte contemporanea di Arezzo. Prossimi suoi appuntamenti artistici saranno la partecipazione fino al 27 aprile prossimo alla manifestazione curata a Vieste da Stefania Maggiulli Alfieri e, dal 10 al 26 maggio prossimi, ad una personale a Salerno curata dal maestro Antonio Perotti, presso il Teatro delle Arti.
 

Mara Martellotta

Andy Warhol. Due Capolavori dalla Collezione Cerruti

Fino al 22 aprile
Due opere – se, come queste, sono per davvero consacrati “capolavori” – possono bastare. Sono sufficienti le due “serigrafie su tela” appartenenti alla maturità artistica di Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987) e finora conservate nelle sale “museali” di Villa Cerruti a Rivoli, per mettere in piedi, come avviene al Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea, sotto la curatela di Fabio Belloni e fino al prossimo 22 aprile, un evento espositivo di indubbio e significativo richiamo. Primo: per la qualità e la “storicità” della coppia di quadri esposti, attraverso i quali rendere omaggio a un artista di fama mondiale, sicuramente fra i più eclettici e influenti del Novecento, dal look esageratamente e orgogliosamente eccentrico, star più delle star hollywoodiane che ossessivamente popolano i suoi quadri e sublime “sintesi artistico-umana” dell’idea di Pop Art. Secondo: perché le due opere, messe in bella evidenza al primo piano del Castello di Rivoli, vogliono ricordarci, con la loro provenienza dalla vicina Villa Cerruti, il futuro prossimo del Castello juvarriano e della stessa Villa, voluta dal noto imprenditore torinese Francesco Federico Cerruti per ospitare la propria formidabile collezione d’arte e destinata in tempi più che brevi a diventare parte integrante del Polo Museale di Rivoli. Eccoci allora alle due opere. E’ del 1975 l’acrilico e serigrafia su tela “Hélène Rochas”, uno dei quattro dipinti dedicati da Warhol all’ex modella francese, già direttrice del colosso “Rochas”. Intraprendente elegante e dallo sguardo senza limiti, lei. Geniale bizzarro provocatore e cinico, lui. I due sono in amicizia. Si vanno a genio. Nel Laboratorio- Factory, probabilmente quello all’860 di Broadway (Warhol ne cambiò diversi, ospitandovi altri famosi artisti come Basquiat o Clemente o Keith Haring e dove nascono anche le famose “Bottiglie della Coca Cola” così come le “Scatole della zuppa Campbell’s”) la fedele Polaroid fa il suo frenetico lavoro. Scelto lo scatto si passa alla serigrafia su una tela già dipinta con ampie pennellate di acrilici dominati dal verde. Di Madame Rochas colpisce la malia e la seduzione di un volto che ha perso contatti col tempo. L’opera appartiene ai “Celebrity Portraits”, dipinti su commissione iniziati nel 1972 e raffiguranti innumerevoli Vip dello star system internazionale (da Marilyn Monroe a Salvador Dalì, da Mick Jagger a Bob Dylan a Dennis Hopper e a Marcel Duchamp), per i quali l’essere ritratti da Warhol significava pur sempre la conferma del proprio “status sociale”; fra i ritratti italiani anche quelli di Gianni e Marella Agnelli (1972). Realizzato sette anni dopo, nel 1982, è invece il secondo quadro esposto a Rivoli. Si intitola “The Poet and His Muse”, appartiene al ciclo dedicato a Giorgio de Chirico e ripete (fascino della serialità) quattro volte sulla stessa tela un suo lavoro del 1959 raffigurante i celebri manichini “paludati all’antica”: un chiaro omaggio al Maestro della Metafisica, più volte incontrato nei suoi soggiorni italiani, ma solo in quell’anno (in una stagione segnata fra l’altro da frequenti tributi ai classici italiani, da Botticelli a Leonardo a Raffaello) “citato” su tela, dopo averne visitato la grande retrospettiva ordinata da William Rubin al “MoMA”. Un de Chirico che l’artista ama come inimitabile precursore dei tempi e che “ha ripetuto – affermava Warhol – le stesse immagini per tutta la vita”. “Probabilmente – continuava – è questo che abbiamo in comune…La differenza? Quello che lui ripeteva regolarmente anno dopo anno, io lo ripeto nello stesso giorno nello stesso dipinto”.

Villa Cerruti: aperta al pubblico dal prossimo 29 aprile
La “Collezione Cerruti”, da cui provengono le due opere di Andy Warhol in mostra al Castello di Rivoli, diventerà a breve parte integrante del Museo. Custodita in una Villa nelle vicinanze del Castello, finora chiusa al pubblico, rappresenta una collezione privata di altissimo pregio (fra le più importanti al mondo) che include quasi trecento opere scultoree e pittoriche che spaziano dal Medioevo al Contemporaneo, con libri antichi, legature, fondi d’oro, e più di trecento mobili e arredi tra i quali tappeti e scrittoi di celebri ebanisti. Capolavori che vanno dalle opere di Segno di Bonaventura, Bernardo Daddi e Pontormo a quelle di Renoir, Modigliani, Kandinsky, Klee, Boccioni, Balla, de Chirico e Magritte, per arrivare a Bacon, Burri, Warhol, De Dominicis e Paolini.Iniziata a metà degli anni Sessanta, la Collezione è il frutto della vita discreta e riservata di Francesco Federico Cerruti, imprenditore e collezionista nato a Genova nel 1922 e scomparso a Torino nel 2015 all’età di 93 anni, lasciando in eredità al Castello di Rivoli la curatela e la conservazione di quell’imponente patrimonio artistico, intorno al quale aveva costruito a protezione quella Villa in stile provenzale, dove si racconta abbia dormito una sola notte. Oggi, dopo due anni di restauro, la Villa è pronta al grande salto dell’apertura al pubblico. Si inizierà, con visite su prenotazione e a numero chiuso, il prossimo 29 aprile e il Castello di Rivoli- grazie ad un accordo firmato nel luglio del 2017 con la Fondazione Francesco Federico Cerruti – sarà il primo Museo d’Arte Contemporanea al mondo a includere una collezione enciclopedica fortemente datata, con l’intento di innescare un dialogo unico tra collezioni e artisti d’oggi e i capolavori del passato.

Gianni Milani

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“Andy Warhol. Due Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti”
Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org
Fino al 22 aprile – Orari: dal mart. al ven. 10/17, sab. e dom. 10/19
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Nelle foto:

– “Hélène Rochas”, acrilico e serigrafia su tela, 1975. Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per  l’arte, Deposito a lungo termine al Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea
– “The Poet and His Muse”, acrilico e serigrafia su tela, 1982. Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’arte, Deposito a lungo termine al Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contomporanea
– Una stanza a Villa Cerruti

 
 
 
 
 
 

Mantegna, Madonna con bambino e sei santi: un’anima bronzea per le donne (in nero) a Torino

Per questa uscita di donne (in nero), mi sono recata di persona ai Musei Reali di Torino per vedere esposta al primo piano della Galleria Sabauda la Madonna con bambino e sei santi di Andrea Mantegna (1431-1506) di cui parliamo oggi

Trovarsi davanti al quadro del pittore veneto Andrea Mantegna è stata una grande emozione; mi era già capitato di vederlo dal vivo e anche quella volta come per la Madonna con bambino ai Musei Reali, ho provato lo stesso sentimento di gioia. Il Mantegna fa l’effetto di collegare direttamente a qualcosa di remoto, alla sensazione intorno a un bel ricordo legato a molto tempo fa, qualcosa di cui ne rimane solo l’essenza. Precedentemente abbiamo trattato di alcune opere che fanno parte della Collezione Gualini e quelle al momento non sono visibili, perché sono comprese nell’allestimento della mostra in apertura nel trimestre estivo dei Musei Reali, quindi bisognerà attendere il mese di giugno per poterle vedere di nuovo. La Madonna con il bambino e sei santi ha un mantello nero, cosa che la colloca a pieno titolo tra gli articoli di donne (in nero), serie che prende spunto per parlare delle donne della Storia Dell’Arte da Donne in Nero, l’omonimo movimento contro la guerra di origine israelita, supportato dalla Casa delle Donne di Torino con un presidio che si svolge in centro -nei pressi dell’incrocio tra via Garibaldi e via XX Settembre- ogni ultimo venerdì del mese dalle 18 alle 19. Donne in Nero manifesta in nero e in silenzio, usando uno striscione, dei volantini e poco altro oltre alla forza della presenza delle donne che chiedono che nessuna guerra sia dimenticata nella frenesia quotidiana, perché le prospettive di pace si mantengano e perché credono che il ruolo della donna nei confronti dei conflitti, tradizionalmente remissivo, debba essere rivalutato. L’opera del Mantegna è datata al 1485 circa e presenta una particolarità tipica dei secoli XV e XVI, per la quale vi chiedo di soffermarvi sull’opera e guardare bene tutte le figure dipinte. I lettori di donne (in nero) notano un certo distacco tra le persone che popolano il quadro, insomma i sei santi -di cui si riconosce Santa Caterina d’Alessandria sulla destra della tavola-, non sembrano e in effetti non sono in relazione tra di loro. In maniera cruda, sono alieni sia alla Madonna che al bambino e al San Giovannino. La spiegazione è banalmente legata al fatto che i cinque Santi rappresentati intorno ai tre al centro del quadro sono spiriti, in altre parole i santi sono apparizioni visibili che proteggono la Madonna, Cristo e San Giovanni Battista bambino. Insomma non si tratterebbe di un vero e proprio incontro tra Maria e i Santi che Andrea Mantegna ha ritratto, ma piuttosto di un’opera che riunisce insieme, prima nella mente poi nella pittura, figure neotestamentarie. Il Mantegna è in effetti uno dei più grandi del XV secolo e così lui riesce nel creare una circolarità, un movimento nel quadro, insomma a tratti potrebbe sembrare che Maria stessa sia per così dire assente, che essa sia spirito, che sia lì come entità sovrannaturale a proteggere la persona che ha accanto. Così via uno dopo l’altro si animano di carne e ossa per lasciare spazio al successivo; solo il bambin Gesù prende l’aspetto di essere vivo e il san Giovannino -con la sua schiettezza di bambino- porge un paragone all’altro infante mostrandone l’aria di sapienza, cosa che sottolinea la caratteristica divina del piccolo sul petto della donna, Santa Maria. Recandovi a vedere di persona il quadro del Mantegna vedrete che il nero del mantello portato da Maria sulla testa e sulle spalle ha, per così dire, un’anima bronzea, sembrerebbe che -oltre il nero- si trovi l’altro colore -il bruno dorato- che è il colore del risvolto. Nella prossima uscita di donne (in nero) vediamo un’altra donna in nero torinese e alcune curiosità, resta Connesso!

Elettra -ellie- Nicodemi 

 https://www.museireali.beniculturali.it/opere/madonna-bambino-santi/