CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 535

Beni sacri e culturali

Nel generale contesto dei Beni di interesse culturale, quelli di carattere sacro occupano un segmento di particolare rilievo, poiché costituiscono in ambito nazionale, una percentuale assai elevata che copre una rilevante percentuale dell’intero patrimonio artistico italiano

Tuttavia ancor oggi e nonostante l’aumentata tutela esercitata da coloro ai quali è preposta la conservazione, sono frequenti le sottrazioni imputabili alla casualità della scelta, oppure alla commissione proposta da committenti che desiderano appropriarsi illecitamente di un bene particolare e ben definito.. In tal senso si è inserito il corso di formazione che la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, unico in Italia nel suo genere, ha ancora una volta, offerto alle Forze dell’Ordine in generale, ed a tutti i cittadini interessati, ivi compresi professionisti del settore ed operatori di Associazioni finalizzate alla promozione dei Beni Culturali, per migliorare il bagaglio delle loro conoscenze. L’attività svolta è stata convenuta anche d’intesa con la Parrocchia di Pecetto di Valenza. L’articolazione delle lezioni che si sono svolte presso ambienti ricchi di opere sacre o presso il Comando Provinciale di Alessandria dell’Arma dei Carabinieri, ha previsto un totale di molte ore di didattica e di pratica, suddivise in un primo intervento propedeutico, sulla natura del Bene culturale di uso sacro, finalizzato a discernere fra suppellettile, paramento, arredo, iconografia, abito ed apparato liturgico, ed un successivo confronto di valutazione pratica dei Beni medesimi. Il corso, totalmente gratuito, diretto dal professor Luciano Orsini Delegato vescovile per i Beni Culturali  della Diocesi di Alessandria, e titolare del progetto didattico di formazione e tutela, si è regolarmente svolto, come negli anni precedenti, a partire dalla fine del mese di ottobre 2018, con lezioni anche bisettimanali dalle ore 14,00 alle ore 16,30, presso la Sala riunioni del Comando Provinciale dei Carabinieri, piazza Vittorio Veneto oppure, secondo le opportunità, presso la Cattedrale di Alessandria o chiese del territorio, ed è stato frequentato da tutti coloro che hanno intenso acquisire un bagaglio di conoscenza specifica, concludendosi poi, all’inizio del mese di giugno 2019. Grazie alla ripetuta sensibilità della Fondazione, nel prossimo anno di formazione saranno disponibili i due tomi curati dal docente che consentiranno anche uno specifico ed insostituibile supporto didattico, fornito ai corsisti. Le iscrizioni per il prossimo ciclo che inizierà a ottobre, possono essere effettuate già fin d’ora rivolgendosi al 340 1280335.

Massimo Iaretti

 

Un Jihad medioevale tutto italiano. Un libro ne racconta la storia

Focus internazionale Storia / di Filippo Re

Ci fu un tempo molto lontano in cui la penisola italiana fu percorsa, sconvolta e terrorizzata da un Jihad islamico. Era l’epoca in cui anche il Papa diventava un guerriero e in sella a un bianco cavallo lanciava il suo esercito contro gli invasori saraceni nelle prime “guerre sante” della Storia. Una vicenda tutta italiana. Accadde oltre mille anni fa con una sorta di jihad medioevale che tenne in scacco l’Italia centro-meridionale e le sue isole, spaventando anche Roma, cuore pulsante della Cristianità nel mondo. Una lotta santa con la spada in mano decollata dalla Sicilia nel IX secolo per volere degli emiri tunisini aghlabiti e proseguita lungo le isole del Mediterraneo e nell’entroterra, dalla Provenza al Tirreno e all’Adriatico, dai covi dei pirati saraceni al Fraxinetum (presso Saint Tropez) alla colonia araba sul fiume Garigliano e alle bande maomettane che nel 840 conquistarono Taranto, nell’846 saccheggiarono Roma con le chiese di San Pietro e San Paolo senza dimenticare l’emirato di Bari e l’insediamento arabo di Taranto nel mezzo delle aspre lotte tra bizantini e longobardi. L’islam in Italia nell’Alto Medioevo è una pagina di storia poco conosciuta e quasi dimenticata ma che ancora oggi fa discutere gli storici. Si trattò di una vera guerra santa islamica contro gli infedeli con obiettivi di conquista nel segno di un violento fanatismo religioso o più semplicemente un arco di tempo più o meno lungo segnato da scorrerie, saccheggi e occupazione temporanea di città e fortezze da parte dei musulmani? Certo è che agli inizi del X secolo la situazione si stava complicando per i cristiani. Dopo aver occupato la Sicilia gli arabi penetrarono nella penisola prendendo Reggio Calabria e avvicinandosi a Cosenza. Le ambizioni egemoniche dell’emiro tunisino Abdallah Ibrahim gettarono nel panico anche i romani che videro avvicinarsi i musulmani. Ma la morte improvvisa, nel 902, dell’emiro e la sconfitta delle forze arabe alla foce del Garigliano, a Traetto (in provincia di Latina), sede di un presidio militare islamico che minacciava anche Roma, fermò gli islamici che attorno al fiume avevano insediato una base da cui partivano per compiere devastanti incursioni nelle regioni vicine. È qui che Papa Giovanni X alla testa di una milizia armata annientò gli arabi del Garigliano con l’appoggio di contingenti militari bizantini, germanici, longobardi, di Napoli, Gaeta, Capua e Benevento.

Dopo un assedio di tre mesi, nell’estate del 915, la coalizione cristiana bloccò il delta del Garigliano, impedendo agli invasori di fuggire. Alle vicende storiche concernenti il tentativo degli arabi di conquistare una parte della penisola italiana tra il IX e il X secolo, di cui si sa ben poco, è dedicato il libro “915. La battaglia del Garigliano, cristiani e musulmani nell’Italia medievale”, Il Mulino. Il volume di Marco Di Branco, studioso di storia romana, bizantina e islamica, docente alla Sapienza e a Beirut, parte proprio dal racconto della battaglia sul Garigliano per poi ripercorrere le tappe principali dell’espansione islamica nell’Italia centro-meridionale. La conseguente distruzione della base islamica segnò la fine delle incursioni saracene in Campania e nelle regioni dell’Italia centrale. Fu una grande affermazione per la lega cristiana e l’evento fu definito da alcuni storici “la più gloriosa impresa nazionale compiuta dagli Italiani nel X secolo”. E fu un successo personale per Giovanni X il cui ritorno a Roma “fu simile al trionfo di un vincitore delle guerre puniche”. Si trattò di un duro colpo all’espansione islamica nel Mezzogiorno ma i saraceni non si fermarono del tutto e colpirono ancora le città di Oria, Siponto e Taranto nel 925-928. L’insediamento sul Garigliano, tra il Lazio e la Campania, che aveva funzioni non solo militari ma era una vera colonia con case, famiglie e una moschea, fu l’ultima roccaforte musulmana sulle coste del Mar Tirreno. Si spensero così i sogni di conquista degli invasori arabi che avevano già fondato l’emirato di Bari (847-871) con il benestare del califfo abbaside di Baghdad. Dai minareti della grande moschea di Bari si alternarono tre emiri in 24 anni. Insediamenti arabi sorsero a macchia di leopardo anche ad Amantea in Calabria, ad Agropoli in Campania, ad Abriola e Pietrapertosa in Basilicata e a Taranto. Fatti che dimostrano l’estensione della presenza musulmana in Puglia e nel meridione a cui bisogna aggiungere, nel Duecento, la Lucera dei Saraceni, dove Federico II, l’imperatore siculo-germanico, trasferì gran parte dei musulmani rimasti in Sicilia. Ma l’emirato più importante fu quello di Bari che resistette per quasi 30 anni per poi cadere nella mani dell’imperatore franco Ludovico II nell’871 dopo tre anni di assedio. Per Di Branco, diversamente dalle tesi di altri storici, le scorrerie arabe sul territorio della nostra penisola alla fine del primo millennio non furono solo semplici incursioni piratesche con razzie, saccheggi e massacri ma molto di più. Si trattò piuttosto di una vera e propria guerra di conquista attuata dagli emiri tunisini che cercarono di approfittare delle divisioni politiche che scuotevano la penisola.

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità nel mondo dei libri

 A cura di Laura Goria

Karmen Korn “E’ tempo di ricominciare” -Fazi-   euro 20,00

E’ il secondo capitolo della trilogia scritta dalla giornalista e scrittrice tedesca Carmen Korn che racconta la sua città, Amburgo, attraversando la Storia, quella con la S maiuscola. Una saga al femminile che in Germania è diventata un vero e proprio caso editoriale. Ruota intorno all’amicizia tra quattro donne molto diverse tra loro, tutte nate nel 900 e travolte da due guerre mondiali, il nazismo e l’antisemitismo. In “Figlie di una nuova era” le avevamo conosciute nel pieno della loro giovinezza, intorno agli anni 20.Henny, ostetrica di buona famiglia; Käthe, di natali modesti, comunista convinta, insegue l’emancipazione; Ida ricca e viziata, ha sposato per convenienza l’intraprendente Friedrich Campmann, ma è innamorata del cinese Tian; Lina che ha avuto vita difficile ed è sopravvissuta grazie al sacrificio dei suoi genitori, letteralmente morti di fame per salvarla.Ora le ritroviamo nel 1949 a guerra finita, nazisti sconfitti, città ridotte in macerie e da ricostruire, vite da reimpostare.

Ed è tempo di ricominciare a vivere. Non vorrei svelare troppo, però posso anticiparvi alcune cose. Henny è riuscita a sposare il suo grande amore Theo; chissà se Käthe sarà davvero scomparsa come sembrava; Ida invece ha mandato all’aria il suo matrimonio ed ora è annoiata dal modesto menage con Tian; Lina riesce ad aprire con successo una libreria con la sua compagna Louise. Questi spunti sono solo l’inizio di più di 560 pagine in cui si affacciano anche personaggi nuovi, a partire dai figli di alcune protagoniste che imbastiscono le loro vite. Tutto sullo sfondo della ripresa economica tedesca, le rivoluzioni sociali degli anni 50-60, il Muro di Berlino, lo sbarco sulla Luna, la paura del nucleare…..insomma tante pagine di Storia vera in cui la Korn sguinzaglia i suoi personaggi….

 

Alessia Gazzola “Lena e la tempesta” -Garzanti-   euro 16,40

Dall’autrice della fortunatissima serie “L’allieva”, di straordinario successo anche in Tv, ora un romanzo in cui non ci sono delitti da risolvere, ma buchi dell’anima da riparare. Un libro ben diverso da quelli in cui a farla da padrona è l’anatomopatologa pasticciona, divertente e dotata di fiuto investigativo, Alice Allevi.Va detto che uno dei tanti   talenti della Gazzola è quello di farci comunque affezionare sempre e fin da subito alle sue eroine. In questo caso, protagonista è la giovane Lena, disegnatrice al momento in carenza di ispirazione, scarso conto in banca e solitudine a palla, che pensa: “Ho quasi trent’anni e una vita fatta di cocci che non riesco a rimettere a posto.

E’ arrivato il momento di fermarmi e guardare in faccia cosa o chi mi impedisce di farlo”.Nasconde un terribile segreto, un fattaccio di cui è stata vittima da ragazzina che crede sia stato perpetrato da un amico di famiglia, una violenza che ancora a distanza di tanti anni le impedisce di stringere relazioni affettive e le divora l’anima. Alle spalle ha una famiglia sgangherata. Il padre è uno scrittore famoso e di culto, ma irraggiungibile: si è separato dalla madre di Lena, risposato, ha fatto un altro figlio ed ora vive in America. La mamma di Lena è una folcloristica Metella, “lunga chioma color glicine, la grande borsa alla Mary Poppins e l’abbigliamento hippie”. Donna di grande ironia e anche un po’ sfasata: dopo il divorzio si è costruita il successo come scrittrice di romanzi d’amore sotto pseudonimo, ed ora vive a Parigi. Lena ha avuto in regalo dal padre la suggestiva villa sull’isola di Levura, un posto incantato, affacciato sul mare e un po’ lasciato andare. Per sopravvivere (in più sensi) dopo 15 anni di assenza, torna e pensa di rimettere a posto ed affittare la casa. Al contempo si organizza nella deliziosa minuscola dependance. Ma l’oasi di pace la ribalta anche all’indietro e in ricordi spiacevoli: perché è proprio lì a Levura che anni prima tutto è accaduto. Poi sulla sua strada ecco comparire un affascinante dottore. Si chiama Tommaso e vive nel faro a poca distanza dalla casa di Lena. E’ dotato di quel tanto di mistero che non guasta mai, anzi aggiunge pepe e intrigo alla storia. Riuscirà a scalfire e penetrare la fredda corazza della giovane? Mentre vi tuffate nel mare cristallino del romanzo, tra profumi di agrumi e scorci d’estate, scoprirete come va a finire…

 

Pino Imperatore “Con tanto affetto ti ammazzerò” -DeA Planeta- euro 15,00

Ritorna la squadra vincente inventata dallo scrittore e umorista napoletano Pino Imperatore, che abbiamo già conosciuto ed amato in “Aglio, olio e assassino”. L’ispettore di polizia Gianni Scapece, il commissario Carlo Improta e i membri della famiglia Vitiello, questa volta sono alle prese con un nuovo caso “blasonato”. Tutto inizia con la sparizione della baronessa Elena De Flavis durante la festa per i suoi 90 anni organizzata nell’avita dimora, Villa Roccaromana (una delle ville più belle di Posillipo) e del suo fedelissimo maggiordomo cingalese Kiribaba. All’evento -oltre alla crème de la crème di nobiltà, borghesia e mondo intellettuale ed artistico partenopeo- sono stati invitati anche il commissario Carlo Improta e l’ispettore Gianni Scapece che, impotenti, assistono a una scena apocalittica che non vi sto a dire. Ed ecco il primo di tanti colpi di scena. Rapimento o altro? La baronessa discende da un illustre casato ed ha un ingente patrimonio di svariati miliardi. E’ conosciuta da tutti per la sua generosità e l’impegno costante nell’aiutare persone meno fortunate di lei, insomma è una grande filantropa con una moralità eccelsa. Peccato discendano dai suoi lombi tre figli per molti aspetti pericolosamente borderline.

Due, Roberto ed Emilia, avuti dal primo marito e il loro fratellastro Simone nato dal secondo matrimonio. Tre sfaccendati meschini, che si detestano l’un l’altro, covano rancori e gelosie divoranti. Ma, soprattutto, sono in attesa come avvoltoi dell’eredità dell’odiata madre. Già perché la Baronessa fin da quando erano piccoli ha assistito alle loro cattiverie e non è riuscita a raddrizzarli; una volta cresciuti non è che i loro animi si siano raffinati, anzi…Lei li ha sistemati in tre splendide dimore, ad Ischia, Capri e Sorrento, tre perle del golfo di Napoli, dove vivono nel lusso senza fare niente di positivo. Nullafacenti e spendaccioni, sono le spine nel cuore della nobildonna che li tiene a stecchetto quanto a contanti. Unica luce è la nipote Naomi, figlia di Emilia, che però grazie a Dio ha ereditato il Dna della nonna e non quello della madre. Questo il frastagliato quadro in cui si inserisce il mistero che è un susseguirsi di tanti colpi di scena, episodi tragici, altri esilaranti, e con una morale finale ben precisa che lascio a voi scoprire.

La scelta di Giulio

All’“Accorsi – Ometto” di Torino, l’opera di Giulio Boetto segna il “viaggio di un paesaggista nel secolo che distrusse il paesaggio”
Fino al 15 settembre


Non una semplice raccolta di opere, ma una sorta di suggestivo e ben pensato “spettacolo diffuso”. Bello e insolito. Evocativo e immersivo. Così Luca Mana, responsabile delle collezioni del Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto di Torino, descrive la mostra dedicata a Giulio Boetto (Torino, 1894 – 1967), fra i grandi della tradizione paesistica piemontese del Novecento, nelle sale (ma già a partire dal portico d’ingresso) dello stesso Museo di via Po. Rassegna che non è la consueta carrellata di opere testimoni, più o meno generose, del far pittura di un artista, ma un funambolico gioco di installazioni video – sonore ispirate a tre “soli” dipinti esposti in parete: oli su tela – celebri e di toccante vis emozionale – realizzati da Boetto nel 1918, il primo, e nel ’23 e ’47, il secondo e il terzo. Eccoli: “La casa del prete” a Polonghera, di geometrica quasi astratta essenzialità con le due figurine nere dei pretini che si perdono nel candore di una facciata che è un autentico monumento alla cultura rurale del tempo; “Luce del mattino a Sauze d’Oulx”, con lo svettante campanile romanico della Parrocchiale di San Giovanni Battista e quelle luci e quei colori e quelle nevi che tanto ci dicono della fortissima liaison umana e artistica intercorsa per tutta la vita fra Giulio Boetto e Matteo (Maté) Olivero;

“Fine del mercato a Saluzzo”, infine, un portento di bravura scenica, per l’attenzione ai minimi particolari del soggetto resi con rapidi vibranti tocchi di colore e una straordinaria capacità di creare trasparenti atmosfere sospese nell’ora e nel tempo. Quadri che la dicono tutta sul grande amore di Boetto – formatosi all’Accademia Albertina, sotto la guida di Giacomo Grosso e Cesare Ferro – per la pittura figurativa in genere e di paesaggio in particolare, da cui non volle mai allontanarsi, indifferente alle assordanti sperimentazioni delle Avanguardie artistiche che nel corso del Novecento arrivarono (in termini a volte anche molto discutibili) alla distruzione del paesaggio. A queste correnti, Boetto voltò le spalle. Anche fisicamente, scegliendo – ecco il senso del titolo dato alla rassegna – l’esilio volontario, lontano dalla città e dalla fama che già in abbondanza, alla fine della Grande Guerra, aveva comunque ottenuto con i suoi dipinti (alcuni perfino acquistati dalla Casa Reale), con le sue caricature (premiate nel ’14 all’Esposizione Internazionale di “Umorismo e Caricature” organizzata dal giornale “Numero”, fondato dal celebre Golia – Eugenio Colmo) e con le sue realizzazioni scenografiche e cartellonistiche richiestegli da alcune fra le più importanti Case di produzioni cinematografiche dell’epoca.

A trent’anni, l’artista decide di ritirarsi felice sotto le sue amate montagne, nel Cuneese, ai piedi del Monviso: a Revello prima e, dopo pochi anni, a Saluzzo nella casa e nello studio che furono dell’amico Olivero. “Scelta coraggiosa ed eroica, la sua. La scelta di un artista che, come tutti i grandi paesaggisti dell’Otto-Novecento, ha saputo trasmetterci quel particolare ‘genius loci’ sconosciuto alle tante Avanguardie del secolo scorso, interessate più che altro a fornire l’interpretazione dei luoghi e non ad esserne straordinaria testimonianza nel tempo”. A parlare è Giosué Boetto Cohen, curatore della mostra e nipote di Giulio, nonché giornalista, conduttore e regista di importanti progetti televisivi targati Rai, fra cui “La storia siamo noi” dell’era Minoli. E proprio a lui ( che già aveva curato due anni fa il debutto della mostra alla “Castiglia” di Saluzzo, per i cinquant’anni dalla morte del nonno) si devono le suggestive installazioni dialoganti, sullo schermo di avveniristici poliedri bianchi, con le tre opere esposte e accompagnate dal miracolo sonoro delle musiche di Marco Robino con l’Ensemble Architorti: repertori filmati che raccontano il “secolo breve”, insieme a novanta foto in gran parte inedite e alle riproduzioni di 83 opere di Boetto.

Promosso dal Comune di Saluzzo, insieme alla Fondazione Artea e alla Regione Piemonte con l’Associazione UrCA, al progetto hanno partecipato anche il Museo del Cinema e InTesta (Gruppo Armando Testa), che ha ideato una sorta di semi-serio divertissement proponendo un’ipotetica interpretazione dei paesaggi di Boetto così come avrebbero potuto essere realizzati da alcuni fra i maggiori interpreti delle Avanguardie artistiche Novecentesche: da de Chirico, a Picasso, a Fontana, solo per citarne alcuni, fino a Munck o a Rothko piuttosto che a Pollock. Gioco semi-serio, appunto. Che vale il tempo di un sorriso. Laddove, invece, c’è assai meno da sorridere confrontando le foto di luoghi e paesaggi così com’erano ai tempi del pittore “torinese di Saluzzo”, con gli stessi che oggi si presentano a noi. Paragoni rattristanti, per i disastri arrecati. E allora, quanto attuale potrebbe essere di nuovo, a quasi un secolo di distanza, quella famosa “scelta di Giulio”! Tanto coraggiosa. E tanto eroica.

Gianni Milani

“La scelta di Giulio”
Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto, via Po 55, Torino; tel. 011/837688 int. 3 o www.fondazioneaccorsiometto.it
Fino al 15 settembre
Orari: dal mart. al ven. 10/13 e 14/18; sab. dom. e festivi 10/13 e 14/19; lunedì chiuso

 

Nelle foto

– “La casa del prete”, olio su tela, 1918
– “Luce del mattino a Sauze d’Oulx”, olio su tela, 1923
– “Fine del mercato a Saluzzo”, olio su tela, 1947
– “Sauze d’Oulx”, stampa fotografica su carta, 1923
– “Mercato del bestiame”, stampa fotografica su carta, 193

 

“Battuta d’arresto”, per uscire dall’oblio

E’ online il corto scritto e interpretato da Franco Lana

E’ realizzato con la collaborazione di operatori e pazienti di un centro di recupero di Torino. Il film, “Battuta d’arresto”, narra le vicende di un ex attore, che dopo aver perso fiducia nelle persone e nella società, decide di ritirarsi. Toccherà ad un giornalista tirarlo fuori dall’oblio. Così facendo, lo salverà.

 

L’Accademia della Cattedrale tra musica e spiritualità

Incontriamo Giacomo Bottino, direttore artistico-culturale dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, che ha come presidente il parroco del Duomo di Torino, don Carlo Franco

Quando è stata costituita l’Orchestra dei Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni?
L’Orchestra è nata nel 2017, successivamente alla costituzione dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, di cui rappresenta il primo e principale asse di sviluppo, finalizzato all’animazione del Duomo di Torino. D’altronde, l’architettura e la musica sono arti complementari: lo spazio costruito è un vuoto che ha bisogno di essere riempito e l’arte dei suoni si presta a questo riempimento in modo pervasivo. Quando musica e architettura si incontrano, lo spazio fisico e geometrico diventano “luogo” e gli strumenti musicali che vi risuonano conferiscono al luogo un’anima. Ricordo quello che scrive Palladio nel suo Trattato sull’architettura: “Le proporzioni delle voci sono armonia delle orecchie, così quelle delle misure sono armonia degli occhi nostri”.
Con queste premesse il Duomo di Torino ci è sembrato perfetto per mettere a punto un nuovo progetto di cultura e di pratica musicali.

– Quale la ragione del suo nome che è piuttosto originale?
In realtà il cantare e il suonare bene, con grande perizia tecnica ed espressiva, sono ovviamente fenomeni antichi quanto la musica stessa. Tra Sette e Ottocento questa capacità ha dato origine al cosiddetto “virtuosismo”, incentrato soprattutto su cantanti lirici, violinisti e pianisti, che hanno spettacolarizzato le loro esibizioni e dato origine a fenomeni di autentico divismo. Nel nostro caso abbiamo voluto rifarci al concetto di “virtuoso” così come si manifesta nel tardo Rinascimento e in modo particolare nel Barocco, contestualmente all’affermazione della musica d’assieme nella forma del “concerto”. Prevale, in quel tempo, l’idea che il musicista debba usare l’arte strumentale non per ostentare il suo talento, ma per eseguire composizioni in modo chiaro e distinto, secondo il metodo cartesiano, nel rispetto di quel’ “armonia prestabilita” che è la struttura portante dell’universo, secondo Leibniz.  A questi principi si attengono i nostri Virtuosi, in linea con quella grande fabbrica di esecutori che fu, per tutto il corso del XVIII secolo, la Scuola violinistica piemontese.

– Le loro esecuzioni, che hanno come fulcro la sede del Duomo di Torino, rientrano nel programma denominato “Lo spirituale nell’arte”. Che cosa si intende con questa espressione?
Si tratta, come ben noto, del titolo del saggio teorico più celebre di Kandinskij, dove si profetizza l’avvento di una nuova epoca spirituale attraverso tutte le modalità della creatività artistica,  rese funzionali dalle avanguardie del primo Novecento all’esplicita e trasgressiva manifestazione dell’interiorità. Teniamo conto che, in quegli anni, la psicoanalisi aveva scoperchiato l’inconscio individuale e collettivo, modificando radicalmente la visione del mondo borghese. Oggi questo magnifico titolo del fondatore della pittura astratta serve ad esprimere il bisogno di spiritualità, che si avverte come una corrente sotterranea sotto le false apparenze di un mondo, anzi, di un globo, dove gli esseri umani si muovono come formiche operaie di un’economia irreale e di una finanza debordante. In questo senso le arti possono svolgere un ruolo decisivo nel far ritrovare l’orizzonte perduto e nell’indicare nuovi orizzonti, vale a dire nuovi orientamenti e prospettive concrete.

– Come si inseriscono il programma musicale e i presupposti artistici dei Virtuosi nella cornice degli ideali dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni?  Esiste un fil rouge, vero, tra i due?
Direi di più: il fil rouge costituisce la ragion d’essere sia dell’Accademia sia dei suoi Virtuosi. Anche se l’Accademia, presieduta da don Carlo Franco, parroco del Duomo, ha obiettivi che non sono esclusivamente musicali. Stiamo lavorando all’estensione dell’area di intervento del nostro progetto agli ambiti delle arti figurative e del teatro. Già nel giugno 2018 abbiamo ospitato in Duomo un innovativo e suggestivo allestimento di “Assassinio nella cattedrale” di Eliot con un protagonista d’eccezione come Andrea Giordana. Così come per la Quaresima di quest’anno abbiamo esposto ai lati dell’altare due quadri sulla Passione di Cristo, appositamente creati dal pittore Renato Missaglia. Il Duomo in quanto tale e come custode della Sacra Sindone è, per un pubblico di visitatori e di spettatori, un punto di attrazione magnetica e, proprio per questo, può diventare anche un centro di produzione artistico-culturale di vastissimo respiro.

– Qual è il tratto distintivo dell’Orchestra dei Virtuosi rispetto ad altre simili?
L’orchestra di impianto classico rappresenta una delle più straordinarie invenzioni strutturali dell’Occidente.  Sia in versione cameristica che in assetto sinfonico è un’esperienza eccezionale non solo per chi vi suona e la dirige, ma anche per chi la organizza, affrontando ad ogni nuova produzione la complessità gestionale che comporta. Non è facile in così breve tempo mettere insieme prime parti di valore ed esperienza con giovani di notevole bravura e creare un clima di condivisione, dove tutti si sentano protagonisti. Di fatto i nostri concerti sono sostenuti economicamente da interventi di piccolo, ma prezioso mecenatismo. Tuttavia, siamo consapevoli che a una realtà di questo tipo, che ha il Duomo di Torino come sede istituzionale e centrale operativa, non possono essere insensibili i grandi soggetti pubblici e privati di Torino e del Piemonte. Faremo tutti i passi necessari, lavorando sodo.

– Come mai i Virtuosi dell’Accademia di San Giovanni non hanno un direttore d’Orchestra stabile?
Abbiamo un direttore ospite principale nella figura del Maestro Antonmario Semolini, autentico protagonista della scena musicale ed artistica, che ha non solo condotto, ma direi “allevato” i Virtuosi in tutti i concerti finora realizzati. Però, la nostra è un’orchestra libera, il cui podio non è al servizio di certe smanie di protagonismo, ma è offerto a tutti i direttori, giovani e meno giovani, che abbiano le virtù, in senso proprio, per dirigerla, incrementandone la qualità.

– Quali le scelte del repertorio musicale verso cui l’Orchestra dei Virtuosi si orienta nell’esecuzione dei suoi concerti? 
A seconda delle intenzioni artistiche e delle disponibilità finanziarie – perché il nostro è un approccio imprenditoriale – abbiamo costruito organici orchestrali per eseguire brani composti nel lungo periodo che va dalla seconda metà del Settecento e culmina, attraverso il fervore del Romanticismo, nel Novecento storico.
In occasione del concerto di riapertura della Cappella del Guarini, abbiamo commissionato brani originali a compositori contemporanei della qualità di Giuliana Spalletti,  Fabio Mengozzi,  Marco Sinopoli e  Giancarlo Zedde. Quindi, un’impostazione aperta ed eclettica, che risente fortemente della presenza fra noi come Accademico onorario del professor Enzo Restagno, la cui autorevolezza non ha bisogno di commenti.

– La partecipazione al Festival musicale di Macugnaga ad agosto ed i programmi futuri dei Virtuosi.
A Macugnaga siamo stati invitati su indicazione di quel magnifico pianista e intellettuale che è stato Marco Giovanetti, purtroppo recentemente scomparso. In quell’occasione saranno eseguiti il Concerto per pianoforte K. 488 di Mozart, con un giovane interprete cinese, e la Sinfonia n. 5 di Schubert. Il programma sarà dedicato alla memoria dell’amico Marco. Il prossimo appuntamento di rilievo per adesso non possiamo dichiararlo, ma sarà sicuramente motivo di interesse e curiosità, perché vi saranno eseguite pagine inedite di uno straordinario compositore, che ha segnato la storia della musica colta ed extracolta dagli anni Sessanta ad oggi.

 

Mara Martellotta

 

(nella foto Giacomo Bottino, a sinistra, dialoga con la compositrice Giuliana Spalletti. Sullo sfondo il maestro Antonmario Semolini e il musicologo Enzo Restagno)

Estate al Forte di Exilles 

Percorrendo le curve sinuose della statale 24, che porta al valico del Monginevro, è impossibile non restare colpiti dall’imponenza del Forte di Exilles.
 La struttura difensiva si trova in alta Valle di Susa ed è perfettamente incastonata tra i ripidi pendii delle montagne, tanto da sembrare lì da sempre. 
In realtà, le prime notizie dell’esistenza di una fortificazione ad Exilles sono contenute in una cronaca dell’abbazia di Novalesa risalente al VII secolo. Tale prima struttura era certamente molto diversa da quella visitabile ancora oggi. Infatti, lungo i secoli, il Forte fu costantemente conteso tra Savoia e Francesi, che, con ampliamenti e rimaneggiamenti, di volta in volta ne modificarono l’assetto. 
Alla fine del Settecento l’intero complesso venne distrutto: fu Napoleone Bonaparte a imporre la demolizione del Forte, inserendola tra le clausole del trattato stipulato con i Savoia in seguito alla Campagna d’Italia. Tuttavia, non appena il Piemonte tornò ad appartenere al Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele I decise di far ricostruire l’intera struttura. I lavori di riedificazione iniziarono nel 1818 e si conclusero undici anni più tardi: sostanzialmente, venne riproposta l’architettura preesistente, aggiornata secondo le nuove esigenze militari. Per oltre un secolo il Forte di Exilles fu presidiato dall’esercito. Le ultime truppe lo lasciarono nel 1943: da quel momento per l’intera struttura si aprì una fase di totale abbandono. Solo nel 2000, dopo ingenti lavori di restauro, il complesso che domina l’alta Valle di Susa è tornato a risplendere. 
Come accade da alcuni anni, anche quest’estate il Forte è pronto a riaprire le sue porte per accogliere migliaia di visitatori. Nei mesi di Luglio e Agosto la struttura sarà visitabile dal martedì alla domenica (dalle 10 alle 18), mentre a Settembre vi si potrà accedere nei weekend. L’ingresso è gratuito. Sono ad accesso libero anche molti degli eventi in programma, curati dal Circolo dei Lettori di Torino, dal comune di Exilles e dalle associazioni Amici del Forte di Exilles e Inoltra. Sin dal primo giorno di apertura, il prossimo sabato 6 Luglio, il calendario è davvero molto ricco. Ad animare il Cortile del Cavaliere, al centro della struttura fortificata, si alterneranno grandi nomi. Michele PlacidoNeri Marcorè, Alessandro Perissinotto e Bruno Gambarotta sono solo alcuni dei protagonisti della stagione 2019 del Forte di Exilles, il silenzioso gigante di pietra che torna a vivere d’estate. 
Giulia Amedeo
(Foto piccole: Associazione Amici del Forte di Exilles) 

Fo.To – Fotografi a Torino, kermesse di successo

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Finita la festa per la seconda… già si scaldano i   motori per la terza edizione. Dall’8 maggio al 21 giugno 2020

Archiviata da pochi giorni, con grande successo di pubblico e di critica, la seconda edizione di “Fo.To – Fotografi a Torino” (che già nel 2018 aveva registrato oltre 100mila visitatori), una nota stampa del MEF – Museo Ettore Fico di via Cigna, cui si deve l’idea iniziale e la promozione negli anni della grande kermesse fotografica – orgoglio tutto torinese – fa sapere che già si è al lavoro per la realizzazione della terza edizione, che si terrà dall’8 maggio al 21 giugno 2020. Date da appuntarsi ben bene in agenda. In quanto all’edizione 2019, appena conclusasi, i numeri la dicono tutta su un bilancio che può mettersi per davvero in bella cornice.

“L’edizione di quest’anno – afferma Andrea Busto, direttore del MEF – ha visto infatti un ulteriore incremento degli enti partecipanti che hanno raggiunto quota 90: circa 25 tra musei e fondazioni, 50 gallerie private, molte associazioni no-profit dedicate alla fotografia, le biblioteche civiche (novità di questa edizione), oltre agli spazi off, gli enti di formazione e spazi espositivi ubicati fuori città”. Decisamente rilevante anche l’investimento in termini di comunicazione: 40.000 brochure a colori distribuite in tutto il Nord-Italia, 20.000 cartoline e 20.000 pieghevoli distribuiti a tutte le istituzioni partecipanti e in tutti i punti turistici e informativi. Senza dimenticare le affissioni pubblicitarie per tutto il periodo della manifestazione nelle principali città del Nord-Ovest (circa 1200 manifesti tra Torino, Milano, Genova); oltre 140.000 le persone che hanno seguito la kermesse attraverso i social media (Facebook e Instagram), 50 articoli su mezzi stampa e più di 100 articoli e segnalazioni sulle testate web.

“Ancora più decisiva e fondamentale per questa seconda edizione –prosegue Busto –è stata la collaborazione con gli Enti istituzionali: RegionePiemonte, Fondazione CRT per l’Arte, Città di Torino e UBS, hanno dato un supporto indispensabile alla buona riuscita del progetto. L’edizione 2019 ha inoltre visto la nascita di una nuova fiera dedicata interamente alla fotografia, ‘The Phair’, che si è svolta proprio in concomitanza con l’apertura di ‘Fo.To’ il 3 maggio scorso e che ha permesso di dare corpo ad una collaborazione fra i due eventi estremamente proficua, con la possibilità di attivare, ad esempio, un programma di inviti per addetti ai lavori (collezionisti italiani e internazionali, curatori e esperti di fotografia) che prevedeva l’ospitalità durante il primo week-end di apertura delle mostre e della fiera”. Un buon successo si è anche ottenuto con la replica della Notte Bianca della Fotografia svoltosi in contemporanea con il Salone del Libro, sabato 11 maggio, e che ha visto una grande affluenza di pubblico durante l’intera giornata e fino a tarda notte.

Dati e cifre, dunque, più che positive. Che non permettono, tuttavia, larghe pause. E la macchina organizzativa ha già riavviato i motori. Dall’8 maggio al 21 giugno del 2020, sarà ancora un buon mese e mezzo di grande fotografia, coniugata nelle sue varie anime, a Torino. “E, per l’occasione sono già allo studio nuove forme di collaborazione – conclude il direttore del MEF – con Istituzioni straniere, per uno sviluppo di interazione e scambio con altre realtà internazionali”

g.m.

 

Per info: MEF-Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o info@museofico.it o www.museofico.it

 

Nelle foto
– “Ufficio Protezione Antiaerea, incursione aerea del 13 luglio 1943 a Torino”, courtesy Archivio Storico della Città di Torino
– Andrea Busto

I concerti di Flowers Festival

Anche quest’anno Flowers Festival – da giovedì 27 giugno a sabato 20 luglio, nel Cortile della Lavanderia a Vapore nel Parco della Certosa di Collegno (To) – offre una serie di eventi unici con i migliori artisti della scena italiana e internazionale

 Cinque concerti che a cui sarà possibile assistere solo al festival di Collegno (To): Olafur Arnalds (28 Giugno), Jack Savoretti (5 Luglio), Ezio Bosso & Europe Philharmonic Orchestra (11 Luglio), Giuseppe Cederna + Willy Mertz + Clg Ensemble (14 Luglio), Joan Baez (19 Luglio).

 

Il titolo dell’edizione di quest’anno, “Building a new society”, è stato suggerito dal luogo in cui si svolge il Festival ovvero il Cortile della Lavanderia del più grande e celebre manicomio italiano, quello di CollegnoFranco Basaglia, chiudendolo insieme alle altre strutture manicomiali italiane, distrusse nei fatti quei luoghi creati dalla nuova società ottocentesca per la segregazione di soggetti non utili alla sua costruzione nei canoni etico/economici, quali folli, derelitti e soggetti marginali.

Il Festival intende quindi superare la sua dimensione di spettacolo e intrattenimento e, nei suoi limiti, vuole contribuire al dibattito sulle trasformazioni sociali che sta attraversando tutti i settori del nostro vivere quotidiano proponendo artisti che si stanno interrogando nella propria opera su come costruire una nuova società, su quali valori farlo, percorrendo quali strade in futuro e quali sono state percorse in passato.

Ecco quindi che sul palco del Cortile della Lavanderia a Vapore del Parco della Certosa di Collegno (To) si potrà assistere all’odierna scena musicale e alle sue risposte relative alla necessità di avviare la costruzione di una nuova società.

La Vie en Rose

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TORINO CELEBRA LE GRANDI VOCI AL FEMMINILE

Quattro spettacoli, una lettura, tre concerti.  Al Conservatorio Giuseppe Verdi, Quattro coppie di artiste ci intratterranno e ci delizieranno con le loro voci, i loro strumenti e il loro amore per l’arte e la musica.

Apertura il 3 luglio con Laura Morante ed Eugenia Costantini che saranno Rosine e Antoinette, madre e figlia adolescente ma soprattutto rivali, protagoniste del romanzo Il Ballo di Irene Némirovsky, uno spaccato di borghesia francese del primo novecento, fatua e superficiale, un dramma del risentimento e dell’ambizione. Saranno accompagnate al pianoforte da Francesca Giovannelli.

Il 9 luglio, il soprano Erika Grimaldi e il mezzosoprano Martina Belli con la pianista Jeong Un Kim, interpreteranno Mimì e Manon, Norma e Violetta, Fiordiligi e Dorabella, eroine dell’opera ottocentesca. “Dall’opera buffa al melodramma romantico al verismo”, il mondo delle donne, le sfumature, la ricchezza emotiva, la dolcezza, l’innocenza ma anche la sfacciataggine e le contraddizioni. La meravigliosa lirica al femminile.

Il 15 luglio si esibiranno invece Ginevra Di Marco e Cristina Donà, cantautrici e interpreti, stili diversi che si intrecciano. Brani nuovi e altri rivisitati per l’occasione. Due protagoniste della scena rock indipendente italiana che condivideranno il palco “attraverso voci e sguardi, naturalezza, empatia e potenza espressiva a svelare intesa e sancire amicizia”.

Infine il 23 luglio arriva il jazz con due voci italiane, Ada Montellanico e Maria Pia De Vito, che celebreranno Billie Holiday, la Lady Day, la Signora del Blues, a 60 anni dalla sua scomparsa, e Joni Mitchell, la Lady of the Canyonnel dai tempi di Woodstock fino alle raffinate sonorità jazz.

 

Maria La Barbera

E’ possibile acquistare i biglietti, posto unico numerato € 5 presso:
Urban Lab
Piazza Palazzo di Città 8/F dal lunedì al sabato dalle 10.30 alle 18.30
tel 011 011 24777- estatetickets@comune.torino.it
Infopiemonte
Via Garibaldi angolo piazza Castello – tutti i giorni dalle 10.00 alle 17.00
pagamenti accettati esclusivamente con bancomat o carta di credito
Numero Verde 800 329 329
Online
www.torinoestate.it – www.vivaticket.it
Il costo del servizio di acquisto è di € 1 per ciascun biglietto