CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 533

Pansa e la “Battaglia di Roma” nell’agenda del Pannunzio

Due appuntamenti culturali in programma nei prossimi giorni

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Venerdì 7 febbraio alle ore 15,30 nella Sala Cinema del Museo Nazionale del Risorgimento (piazza Carlo Alberto 8), il Centro “Pannunzio” invita alla proiezione del film di Luigi Cozzi “LA BATTAGLIA DI ROMA 1849”, ispirato al libro di Giovanni Adduci “Un Garibaldino a casa Giacometti”, premiato dal Centro “Pannunzio”. Interverranno Umberto Levra, Presidente del Museo Nazionale del Risorgimento e lo storico Pier Franco Quaglieni. L’iniziativa è promossa in occasione dei 170 anni dagli avvenimenti narrati nel libro e nel film.Prenotare a info@centropannunzio.it
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Martedì 11 febbraio alle ore 17,30, a Palazzo Cisterna (via Maria Vittoria 12), il Centro “Pannunzio” organizza un RICORDO DI GIAMPAOLO PANSA, recentemente scomparso. Ricorderanno il giornalista che scrisse su “La Stampa”, “Il Giorno”, “Il Corriere della Sera”, “La Repubblica”,” L’Espresso”, “Panorama” e l’autore coraggioso di numerosi libri di grande successo sulla storia italiana,  Marco Castelnuovo, Gianni Oliva, Pier Franco Quaglieni. A Pansa fu conferito nel 2006 il Premio “Pannunzio”.Coordina Elisabetta Cocito .

Pelagio Palagi a Torino. Fino al 9 febbraio

In Galleria Sabauda, omaggio al grande architetto che firmò il restyling delle più importanti residenze reali di Casa Savoia

Fino al 9 febbraio 2020

A Torino, il bolognese Pelagio Palagi, formatosi – sotto la guida del conte mecenate Carlo Filippo Aldrovandi – all’Accademia Clementina di Bologna, arriva all’età di 57 anni. Era il 1832. E di esperienza, assolutamente poliedrica, Palagi ne aveva già maturata parecchia. Dal 1806 al 1815 aveva infatti lavorato a Roma, collaborando anche con Antonio Canova nell’ambito dell’ Accademia Italiana, gomito a gomito con gli artisti allora più rappresentativi del neoclassicismo italiano. Parentesi formativa importante, cui seguirono gli anni trascorsi a Milano, dove Pelagio apre una scuola privata (in diretta concorrenza con l’Accademia di Brera) e dove si dedica soprattutto alla ritrattistica e alla pittura di figura, producendo opere per la grande committenza privata in cui la lezione classicista viene spesso solleticata dalle cifre storico-romantiche assimilate attraverso l’incontro con Francesco Hayez, il massimo interprete della svolta romantica dell’arte lombarda. Alla fine degli anni Venti, ottiene l’incarico di eseguire gli interventi architettonici, d’ornato e di progettazione scultorea del Palazzo Arese Lucini e della Villa Cusani Tittoni Traversi di Desio.

Fu probabilmente in quegli anni che la sua fama di eclettico artista, architetto, pittore, scultore, disegnatore e decoratore d’interni (ma Palagi nutrì, fin dagli anni romani, anche profondi interessi archeologici e collezionistici) giunse fino alla Corte dei Savoia e alle orecchie di un re come Carlo Alberto – per il quale la cultura rappresentò sempre una parte più che importante nell’ambito dei suoi interessi personali e della sua non poco faticosa avventura politica – che nel 1832 lo volle a Torino (dove visse fino al 1860), in qualità di “Pittore preposto alla decorazione dei Reali Palazzi”. Per il Palagi, iniziano allora gli anni del massimo fervore artistico (ottiene anche la cattedra di Ornato all’Accademia Albertina di Belle Arti) e del successo conclamato, dedicandosi, fra gli altri, ai progetti di ripristino del Castello di Racconigi e di Pollenzo, ma soprattutto all’ammodernamento del Palazzo Reale di Torino, luogo per eccellenza in cui l’arte del Palagi ha raggiunto la sua massima espressione, testimoniata per l’appunto dai 31 fogli, selezionati fra le centinaia custodite dalla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna e cuore della mostra ospitata fino al 9 febbraio dell’anno prossimo nello “Spazio Scoperte” della Galleria Sabauda torinese, messi in dialogo, dove possibile, con le opere concretamente realizzate, cui gli stessi disegni si riferiscono.

Progetti (mirabili anche sotto l’aspetto prettamente grafico e coloristico) che ben raccontano la struttura monumentale, in conformità alle grandi ambizioni del sovrano e al cerimoniale di corte, che il grande architetto volle conferire alla principale residenza dei Savoia. Il suo fu un attento e geniale lavoro di restyling, supportato dalla stretta collaborazione con un team di “professionisti” di prim’ordine: di pittori (Francesco Gonin e Carlo Bellosio), scultori e stuccatori (Giuseppe Gaggini, Francesco Somaini e Diego Marielloni), ebanisti (Gabriele Capello detto il Moncalvo) e bronzisti (ditta Colla e Odetti, Manfredini e Viscardi). L’esposizione (curata da Giorgio Careddu, Franco Gualano e Lorenza Santa dei Musei Reali, con la collaborazione di Marinella Pigozzi dell’Ateneo bolognese) assembla, accanto ai disegni progettuali relativi al Salone delle Guardie Svizzere e alle principali Sale di Rappresentanza, anche alcune opere effettivamente realizzate e tuttora conservate a Palazzo Reale: dal dipinto raffigurante “San Michele Arcangelo”(olio su tela del 1844) del milanese Carlo Bellosio esposto per la prima volta a Torino, al taboretto “stile Impero” scolpito in legno dorato (uno dei dodici progettati per la Sala del Consiglio e delle Udienze) fino al candelabro figurato in bronzo dorato opera di Manfredini e Viscardi. Ampio rilievo è dato alla progettazione della grande Sala da Ballo, certamente fra le sale neoclassiche più belle d’Europa per la ricchezza dei materiali utilizzati e per la qualità artistica delle opere incluse.

A seguire, i preziosi disegni realizzati per le Sale allestite al Secondo Piano di Palazzo Reale per le nozze di Vittorio Emanuele II celebrate nel 1842 e quelli per la Cancellata in bronzo di Piazzetta Reale e per i Giardini interni. Infine al Piano Nobile è possibile seguire un vero e proprio itinerario pelagiano, con rimandi ai disegni in mostra e visite guidate anche ad ambienti del Secondo Piano normalmente chiusi al pubblico, come i suggestivi Salotto Blu e Salotto Rosso, completamente riallestiti dal Palagi.

Gianni Milani

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“Pelagio Palagi a Torino. Memoria e invenzione nel Palazzo Reale”

Galleria Sabauda – Palazzo Reale, piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/19560449 o www.museireali.beniculturali.it

Fino al 9 febbraio 2020

Orari: dal mart. alla dom. 8,30/19, lun. 10/19

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Nelle foto

– Palazzo Reale di Torino Sala da Ballo
– Pelagio Palagi: disegni in esposizione
– Candelabro in bronzo dorato (ditta Manfredini e Viscardi)
– Carlo Bellosio: “San Michele Arcangelo abbatte Lucifero”, olio su tela, 1844

 

 

 

 

 

 

In un semplice giorno d’inverno

Stagione molto particolare, l’inverno. Tempo capace, come scriveva Victor Hugo, di cambiare “in pietra l’acqua del cielo e il cuore dell’uomo”

Ma è anche il periodo che più di altri favorisce l’immaginazione, fa pensare, aiuta i ricordi, la fantasia. Riordina i pensieri e genera storie. Se poi le storie diventano racconti e questi, uno in fila all’altro, diventano un libro come “In un semplice giorno d’inverno” (Impremix Edizioni Visual Grafika) ai lettori non resta che sfogliarlo e scoprirne piacevolmente il contenuto. Già il titolo è indicativo e l’autrice, Maria Teresa Carpegna, ambienta in questa stagione, nelle giornate che precedono le feste di fine anno, tra nebbie, neve e silenzi che le precedono e che seguono, quattordici storie di uomini e donne come tanti “ la cui vita scorre, giorno dopo giorno, nella felicità ingannevole o nella semplice serenità”.

 

Dal primo racconto, profondo e garbato, dove la statuetta di Gesù bambino porta alla memoria protezione e complicità nei tempi orribili della persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, agli altri dove le emozioni che ognuno di noi ben conosce – quelle belle e serene, e quelle amare e dure – riflettono ciò che portiano dentro. I vicini di casa, lo scrittore che vive la crisi della sua famiglia e tra i boschi cerca il modo di chiudere la sua vita e poi, mezzo assiderato, viene salvato e avverte un calore diverso, nella sua mente e nel cuore;una dolce e triste prostituta che legge i libri ad un uomo rimasto eterno bambino mentre in un’altra vicenda ecco ancora una donna che avverte come una rivelazione, dopo l’ictus che ha colpito l’amante, un profondo senso di solitudine e la necessità di tornare a vivere la propria vita, di essere generosa con se stessa e di non sprecare in una storia sbagliata gli anni migliori della sua gioventù. A volte basta una foto, come nel racconto “Una diversa carestia”, a far maturare una maggior coscienza su ciò che accade attorno a noi mentre “Un appuntamento al buio”, nato come uno scherzo malizioso finisce paradossalmente con la più classica applicazione della legge del contrappasso. Ci sono quasi sempre, nei racconti, la neve e la montagna che l’autrice (nata a Giaveno e residente in una borgata sopra Coazze) conosce e ama e sullo sfondo, il profilo invernale di Torino, con le sue luci e l’anima complessa, rigorosa, persa in lunghi e laboriosi silenzi, interrotti da brevi e sporadici sprazzi di allegria durante il periodo delle feste.

 

Nei racconti di Maria Teresa Carpegna ci sono anche solitudine e amarezza per quel che avrebbe potuto essere e non è stato, per le scelte che richiedevano un coraggio che non si è avuto. Spesso c’è un ultima possibilità, un possibile riscatto come i genitori separati che si riconciliano con il figlio o l’affetto della pianista nei confronti della ragazza che, nonostante il suo enorme problema, ama davvero la musica. La celebre artista, infastidita dalle banalità, prova così un piacevole stupore che esplode in una imprevista tenerezza e nella piena comprensione di un sentimento sopito. Più o meno tutte le vite rappresentate nelle quattordici storie che danno corpo a “In un semplice giorno d’inverno” sono lievi, malinconiche o divertenti, proponendo minuscoli e inaspettati eventi che porteranno ad imprevedibili sviluppi. Può essere un disvelamento come in “Tutta la vita davanti”, un gesto d’altruismo e d’amore per i libri ( in “Flessibilità”, ad esempio, i testi sono quelli che raccontano, in parole e cifre, la contabilità di una piccola drogheria) oppure un’altra opportunità nonostante la crisi abbia stravolto abitudini, attività e vite come in “Piste da sci”. I libri sono come gli specchi e spesso riflettono l’anima di chi li scrive. Maria Teresa Carpegna ha sempre lavorato con i libri. Ha gestito per diversi anni, insieme al marito, una libreria a Giaveno e ora si dedica alla cura dei testi come editor e talent scout, insegna in corsi di scrittura narrativa e organizza laboratori su vari temi, sempre dedicati alla scrittura. Questa raccolta di racconti è la sua prima “prova d’autore”. Alla fine dei ringraziamenti, a fondo pagina, si augura che siano piaciuti perché, scrive, “temo non sarà che l’inizio”. Personalmente mi sento di commentare che questa è davvero una buona notizia per noi lettori.

Marco Travaglini

Dieci candidature agli Oscar ma quel che più ti affascina sono gli apporti tecnici

Sugli schermi “1917” di Sam Mendes

 PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

E allora che dire di questo 1917 che Sam Mendes – magnifico autore di titoli quali American Beauty o Era mio padre, Jarhead o Revolutionary Road – ha scritto e diretto, mettendo da parte le proprie incursioni bondiane e tornando con la memoria ai racconti di guerra del nonno Alfred, che aveva combattuto per due anni sul fronte francese? di un titolo che già s’è aggiudicato i Golden Globe per il miglior film e la miglior regia, che da un paio di giorni si fregia di sette premi Bafta (miglior film, miglior regia, miglior film britannico, miglior fotografia tra gli altri) e che tra una settimana – Tarantino e Bong Joon Ho permettendo, troppo presto Scorsese essendo stato messo fuori da ogni competizione – potrebbe stringere una o più (dieci le candidature raccolte) di quelle statuette che “somiglia(no) tanto a mio zio Oscar”? di un titolo che sbandiera a cuore aperto i sentimenti del pacifismo, che parla di amicizia e di sacrificio e di orrori bellici, che ha tutti i numeri per intenerire i cuori dei membri dell’Academy?

In un giorno d’aprile del 1917 a due giovani caporali, Blake e Schofield, il generale Erinmore (Colin Firth) affida l’ordine di bloccare l’attacco del colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) e del suo battaglione di 1600 uomini su un nemico in fuga, ignorando questi che quella ritirata altro non è che una trappola, infida e strategica, che al contrario nasconde subdolamente una nuova offensiva che vedrebbe la sanguinosa carneficina di tutti quegli uomini. Blake, inoltre, è spinto più di ogni altro in quell’impresa, dal momento che tra le forze di quell’attacco c’è anche suo fratello. Si tratterà di percorrere le prime trincee e di riversarsi nella terra di nessuno, di attraversare terreni dilaniati dalla battaglia, di immergersi in buche ed in enormi pozze d’acqua piene di carcasse d’animali e di cadaveri su cui passeggiano corvi e topi, di incrociare visi orribili e mani ridotti a scheletri, di isolarsi tra casolari abbandonati, di cadere dentro le pericolose acque di un fiume, di addentrarsi in un villaggio ridotto a macerie dove ancora si può nascondere un fuoco accogliente ed una donna da proteggere, o in un bosco dove qualcuno ha ancora la forza di intonare una canzone che raccolga lo spirito di speranza di ognuno, di raggiungere il comando per il compito finale. Un viaggio, metro dopo metro, con tutta la propria fatica, forse sotto l’occhio invisibile del nemico, appena una decina di chilometri, cadenzato nel tempo reale, dove con la macchina da presa Sam Mendes inventa un continuo, lungo quanto “falso” piano sequenza, un (saggio) esperimento interrotto da espedienti, da momenti di buio, dal passaggio dai chiarori della giornata alle ombre della notte. Una macchina da presa che s’incolla ai protagonisti, a Schofield (George MacKay, il suo compagno è Dean-Charles Chapman) soprattutto che sarà costretto ad un certo punto a proseguire la strada da solo, che non li molla un istante, che scava di fronte o alle spalle, che cattura le varie stazioni della missione, le emozioni, le paure, i pochissimi momenti di pretesa ironia: ma il giudizio trattenuto sul terreno del condivisibile di chi scrive è perché spesso hai la netta sensazione che la sceneggiatura scritta dal regista e da Krysty Wilson-Cairns sia più costruita che umanamente vissuta (un episodio per tutti: il breve incontro tra il soldato e la giovane donna mentre tutto intorno, nel paesino di Ecoust brucia) e che il personaggio principale non riesca a costruire e mostrare un significativo svolgimento psicologico. E proprio quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello di 1917 – l’uomo avvolto da quel incessante (?) piano sequenza – finisce col dare sì un senso di claustrofobia tra quelle distese di desolazione, ma altresì con l’appiattire tutto quanto è racconto ed emozione.

Non è un impoverimento del film: ma quel che più ti affascina sono gli apporti tecnici, la grande squadra che ha inventato e costruito meraviglie al film. In primo luogo le scenografie di Dennis Gassner e Lee Sandales, la fotografia di un maestro come Roger Deakins (ha “appena” vinto l’Oscar due anni fa per Blade Runner 2049 ma perché non ridarglielo?), entusiasmante, con quei notturni che sono un vero capolavoro, la colonna sonora di Thomas Newman o gli effetti speciali o i montaggi sonori. Mentre rimane ben in piedi la validità dell’idea e della costruzione di Mendes, nella memoria, tra gli autori che ci hanno raccontato il grande conflitto, restano altri nomi, il nostro Rosi o l’immenso Kubrick.

Il buio dei manicomi: a Racconigi doppio appuntamento

“I colori del nero” e “Camille” sotto il segno di Progetto Cantoregi

Venerdì 7 e sabato 8 febbraio
Racconigi (Cuneo)

Due eventi, uno letterario e uno teatrale, per raccontare le vite – non vite che si consumarono all’interno dei manicomi. In Italia, nel “Chiarugi” di Racconigi, (sarcasticamente chiamato dai racconigesi “La Fabbrica delle Idee” e chiuso nel 1981 dopo l’entrata in vigore della legge “Basaglia”) e in Francia, nell’ospedale psichiatrico di Montfavet-Avignon , dove fu rinchiusa e dove morì la scultrice francese Camille Claudel. La proposta del doppio appuntamento arriva da Progetto Cantoregi – la nota compagnia teatrale fondata a Carignano nel ’77 dal regista e autore Vincenzo Gamna – in collaborazione con la Città di Racconigi e il locale Centro Culturale “Le Clarisse”. Luogo del duplice incontro, la SOMS (via Carlo Costa, 23), l’ex Salone Sociale di Racconigi appartenuto alla “Società Operaia di Mutuo Soccorso” e trasformato nel 2019 da Progetto Cantoregi in “spazio di comunità, partecipato e multiculturale”.


Il primo incontro é in agenda per venerdì 7 febbraio, ore 21, con lo scrittore Giovanni Tesio (già ordinario di Letteratura Italiana all’Università del Piemonte Orientale e per trentacinque anni collaboratore de “La Stampa”) che presenterà il suo nuovo libro “I colori del nero. Arte e vita nel manicomio di Racconigi” (Mercurio editore), insieme a Francesco Occhetto e con accompagnamento musicale al violoncello di Simona Colonna. Il volume racconta storie e vicende degli utenti dell’ospedale, soffermandosi sul fondamentale ruolo che l’arte e l’arteterapia hanno avuto nel fornire ai degenti validi strumenti per poter esprimere le proprie emozioni e il proprio mondo interiore. La presentazione sarà anche accompagnata da un’esposizione di disegni che furono realizzati da alcuni utenti dell’ex ospedale psichiatrico.

Sarà invece una toccante pièce teatrale titolata “Camille”, quella programmata per sabato 8 febbraio, ore 21, e dedicata alla vita intensa e tormentata della celebre scultrice francese Camille Claudel (1864 – 1943), allieva e musa ispiratrice di Auguste Rodin, internata in manicomio, dove trascorse trent’anni della sua vita, accusata di pazzia e paranoia. Accompagnato dalle musiche di Arturo Annecchino, elaborate dal vivo da Michele Rosati, lo spettacolo vede l’ideazione e l’interpretazione dell’attrice Astra Lanz, nota al grande pubblico per aver interpretato il ruolo della giovane madre superiora Suor Maria, nella fiction di “Don Matteo”, accanto a Terence Hill. “Camille” è tratto dalle lettere scritte dalla stessa scultrice prima e durante l’internamento in manicomio (avvenuto nel 1913), risalenti all’arco di tempo tra il 1886 e il 1932, e rappresenta un viaggio nella vita dell’artista, soprattutto nel suo mondo interiore, con le sue passioni, i conflitti e le modalità di reazione agli avvenimenti. “Ciò che propongo – spiega Astra Lanz –  è una suggestione di Camille nel suo atelier, ed io stessa sono spettatrice del processo che le sue lettere mi hanno suggerito. Il mio non è un lavoro studiato a tavolino, quindi meno artificio c’è meno si viola lo spazio intimo di una persona che è stata realmente rinchiusa in manicomio trent’anni, che ha realmente sofferto e scritto, chiedendo aiuto”.


Info: 335/8482321 – 338/3157459 – www.progettocantoregi.it -info@progettocantoregi.it Fb Progetto Cantoregi – Tw @cantoregi – IG Progetto Cantoregi

g. m.
 

Le foto di Astra Lanz in “Camille” sono di Marina Magri

 

Apeiron: materia indefinita, immortale e indistruttibile

Poesia / a cura di Alessia Savoini

Thauma
Apeiron: principio infinito e indeterminato dal quale tutte le cose hanno origine e nel quale tornano a dissolversi quando si conclude il ciclo stabilito per esse da una legge necessaria. È una materia in cui gli elementi non sono ancora distinti, è materia indefinita, immortale e indistruttibile, quindi divino.
Anassimandro
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Quando le viscere siderali delle nascite
implosero
nella contaminazione cosmica delle terre
e negli oceani di Saturno si polverizzarono le acque,
quando i miti dell’altrove divennero stigma di celebrazione dei popoli,
indotti o sedotti
dal più lontano squarcio visibile di cielo,
attribuendo all’impermanenza mortale delle stelle
la causa delle loro influenze,
quando circostanziati dai confinanti orizzonti dei cedri
inquadrarono la libra della colpa,
quando
– ancora –
la propensione dei rami attingeva vita dal respiro del sole,
allor si sgretolarono i dardi delle divine imputazioni,
e
quivi
l’impatto delle astinenze,
la cornice delle introspezioni;
nel ventre dell’ignoto,
il calamo delle parvenze.
Scorgo gli esotici fluidi del plesso ancestrale,
ricordo
il sollazzo nei meandri delle acque uterine,
sotto la cripta costolare del palpito,
quando,
scalza,
vestivo d’indulgenza il prurito dei paguri
al rilascio dell’onda come unico atto di approdo.
Ho riposto nelle urne siderali del credo
il significato ultimo dell’essere,
senza per questo riuscire a salpare l’ancora dalle estorsioni del sentimento.
Tedio.
Inapparenza si cela
  all’anarchico istinto di prevaricazione
e sottoponendosi all’umile condizione della carne,
nella percezione esprime le sue pretese.
Che l’esistenza organica tutta si risolve nel presente.
Tranne che per un sintomatico effetto di persuasione cognitiva,
come se lo stupore potesse accostarsi al dolore nell’inferenza assiomatica della percezione,
ostacolato dalla capacità sovversiva della coscienza di autopreservarsi dall’assoluto.
La perversione del tempo annienta sé stesso
e ai dettami dell’oblio
si rende possibile la nascita di una nuova coscienza,
quando il siero fecondo della carne decade nel ventre olistico della  convergenza.
Ed ogni lascito supernovistico si esaurisce nell’eco della sua luce,
fintanto che la morte
dell’ultimo istante visibile
collide nel vuoto creativo delle cose che si susseguono.
Anche una stella è soggetta all’oblio.

Synästhesie, sensazioni differenti in un’unica visione

I Synästhesie presentano “Bless”, il nuovo Ep che mostra le sfaccettature più scure e vicine al clubbing del duo torinese pubblicato con l’etichetta spagnola Awen Records

Si chiamano Emiliano Di Clemente e Simone Mancin, due giovani che nel 2014 hanno iniziato a collaborare grazie all’amore di entrambi verso generi musicali come la progressive house, la new wave, l’electronica ed il filone techno.

Da lì è nato Synästhesie, la parola tedesca che indica la Sinestesia, un disturbo che assegna ad una stimolazione sensoriale una diversa percezione. È proprio questo il concetto alla base del loro progetto: due menti che percepiscono sensazioni differenti e ne creano una visione unica.

Negli anni seguenti sono arrivate le prime release, con l’Ep “Tunnel” su Inlab Recordings, e le uscite su Inner Symphony (Steyoyoke), il singolo “Lotus” (remixato poi da Clawz SG) e il remix di “The Miracle Of A Million Lights” di Rauschhaus; questi ed altri brani inediti sono stati supportati da artisti del calibro di Tale Of Us, Øostil e SOEL. I loro set si distinguono per l’uso della melodia e per la grande varietà di sound e generi che caratterizzano l’intero progetto.

Oggi, 3 febbraio, è la volta di Bless, che in due tracce mostra come i due ragazzi italiani abbiano intrapreso un viaggio tra sonorità techno e melodie progressive, quasi oniriche. La title track “Bless” ed il secondo brano “Materia Oscura” stanno già riscuotendo un buon successo nell’ambiente underground, ricevendo il supporto di artisti di fama internazionale. E da oggi il loro «piccolo viaggio oscuro» è su Spotify e su tutti gli store digitali

“Vitamine Jazz”, i nuovi concerti

Gli appuntamenti della settimana all’Ospedale Sant’Anna per la rassegna“Vitamine Jazz” già arrivata al centocinquantottesimo concerto e alla sua terza stagione, organizzata per la “Fondazione Medicina a Misura di Donna” e curata da Raimondo Cesa

I concerti avranno inizio dalle ore 10.00 nella sala Terzo Paradiso in via Ventimiglia 3 aperta al pubblico, dedicata alle pazienti e ai loro cari.

Martedi 4 febbraio “Flow Mind ”

Sara Voghera voce
Davide Ferro chitarra
I “Flow Mind” sono un duo acustico composto da Sara Voghera e Davide Ferro, rispettivamente una cantante e un chitarrista di Torino. Hanno iniziato a collaborare a partire dal 2014. Nel corso degli anni si sono esibiti in atelier, sale concerti e altri locali di Torino. Il loro repertorio spazia dallo smooth jazz al blues.


Giovedì 6 febbraio sarà la volta del gruppo “Jazz Tape”

Arianna Cibonfa, voce
Maurizio Malano, chitarra

Il progetto “Jazz Tape” nasce dall’unione artistica tra la cantante Arianna Cibonfa e il chitarrista
Maurizio Malano entrambi musicisti jazz e amanti di musica italiana
anni ’50 e ’60.
I Jazz Tape, come una pellicola di un vecchio film, guidano l’ascoltatore in un viaggio
attraverso i più bei brani del cinema, il tutto arricchito da standard jazz, cantautorato
italiano anni ’50 e ’60 e sonorità attuali. Voce e chitarra sono le protagoniste
in una serata in cui il jazz fa da filo conduttore.

ARIANNA CIBONFA

Studia canto moderno e jazz da dodici anni, prima in scuole private
e poi al Conservatorio “G.F. Ghedini” di Cuneo dove nel 2019 consegue il Diploma di II
Livello in Canto Jazz con il massimo dei voti. Durante il suo percorso accademico, entra in contatto con numerosi docenti di spicco del panorama nazionale: Tiziana Ghiglioni, Danila Satragno, Barbara Raimondi, Laura Conti, Luigi Bonafede, Riccardo Zegna, Riccardo Fioravanti, Luigi Martinale, Bruno Mosso e
molti altri. Approfondisce lo studio della voce attraverso Masterclass con importanti cantanti americane,
tra cui Jay Clayton e Liane Carroll. Fa parte di diverse formazioni musicali fra cui, il quartetto “BlindWink” formatosi sul territorio cuneese dove, tra i suoi membri, vanta Riccardo Serra (fondatore dello storico gruppo occitano Lou Dalfin), dal 2016 ricopre il ruolo di docente di Canto moderno e jazz in diverse scuole private.

MAURIZIO MALANO

Ha conseguito le Lauree Ordinamentali di Secondo e di Primo Livello in Chitarra Jazz al conservatorio “C. F. Gedini” di Cuneo, entrambe con la valutazione di
110 e lode, con la docenza di insegnanti del calibro di Alessio Menconi,
Riccardo Galardini, Riccardo Fioravanti, Luigi Bonafede, Riccardo Zegna, Gianni Negro,
Luigi Martinale, Gianluca Tagliazucchi.
E’ titolare del corso di chitarra moderna (Rock, Blues, Jazz) presso l’associazione “Musica
Insieme” di Grugliasco (To), presso “MusicLand & DanceLand” di Ciriè (To).

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità librarie. A cura di Laura Goria

Isabelle Allende “Lungo petalo di mare” -Feltrinelli- euro 19,50

Cominciamo subito col dire che Isabelle Allende è una donna simpaticissima e autoironica, come ha dimostrato al pubblico, affascinato dalla sua verve, quando ha presentato il libro alla Nuvola Lavazza di Torino. Brillante il modo di raccontare pagine importanti della sua vita. Da come, all’alba delle sue 77 primavere, ha sferrato un attacco frontale all’assiduo ammiratore che la corteggiava, inanellando così il suo terzo matrimonio pochi anni fa. Perché oltre a non dimostrare assolutamente la sua età (ha sottolineato che però gli è costato mucho dinero), è fermamente convinta che ci si può sempre e ancora innamorare come a 18 anni; solo, si ha meno tempo da perdere.

Poi ha raccontato l’ incontro con il grande Pablo Neruda: lei era una giovane giornalista e lui si rifiutò di concederle un’intervista dicendo che inventava troppo per il mestiere che faceva e che avrebbe dovuto invece dedicarsi alla narrativa. Quindi un grazie anche al poeta se la vita ci ha regalato gli splendidi romanzi dell’Allende.

Chiusa la parentesi biografica passiamo al “Lungo petalo di mare”. E’ la bellissima e travagliata storia del medico Victor Dalmau, scappato dalla guerra civile spagnola nel 1939, grazie all’aiuto di Pablo Neruda che noleggiò il piroscafo Winnipeg e portò più di 2000 repubblicani -in fuga dal regime franchista- in Cile. Esuli che ricominciarono daccapo per rifarsi una vita. A bordo della nave ci sono Victor e la giovane pianista Roser Bruguera i cui destini si uniscono indissolubilmente nel paese che è un “lungo petalo di mare e neve” . Tra amori passionali, matrimonio di facciata e poi unione profonda; attraversando pagine storiche durissime come il golpe che nel 1973 fece cadere il presidente cileno Salvador Allende e consegnò il paese alla lunga e spietata dittatura dei colonnelli e alla morte di migliaia di desaparecidos. Vi anticipo solo che anche Victor, diventato cardiologo di fama, finirà tragicamente impigliato nella rete di interrogatori, torture e   prigionia. Poi un nuovo esilio in Venezuela e altre pagine magnifiche che vi aspettano.

Per questo romanzo -con echi che richiamano il capolavoro assoluto della Allende “La casa degli spiriti”, del 1982, da cui l’omonimo film con Jeremy Irons- si è ispirata alla vita vera dell’esule Victor Pey che conobbe in Venezuela. Lo incontrò 40 anni fa e solo ora si è decisa a raccontare la sua storia. Lui è morto – a 103 anni e lucidissimo fino alla fine- 6 giorni prima che lei potesse mandargli il manoscritto.

E ancora una volta questa somma scrittrice di lingua spagnola più letta al mondo (22 romanzi, tradotti in 35 lingue e 67milioni di copie vendute) ha imbastito una storia che non è solo quella di un grande amore, ma anche di rifugiati politici, esilio, migrazioni e ricerca di identità. Tutte cose che lei ha vissuto sulla sua pelle; è infatti la nipote del presidente socialista Salvador Allende destituito da Pinochet e fu costretta all’esilio. Un tema più che mai attuale .

 

Sandra Petrignani   “Lessico femminile” -Laterza-   euro 18,00

Questo è un affascinante mosaico di scrittrici e scrittura al femminile, a spasso nei secoli e a più latitudini del globo. La giornalista e scrittrice Sandra Petrignani è bravissima nel ricostruire i tasselli di vita di grandi autrici e vi consiglio anche i suoi precedenti “La scrittrice abita qui” (2002, libro di viaggio nelle case-museo di grandi scrittrici del 900), “Marguerite” (2014, dedicato alla Duras) e “La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg” (2018).

In “Lessico femminile”   rilegge pagine di grandi autrici del passato –dalla Bronte alla Woolf- e contemporanee – dalla Ernaux a Joyce Carol Oates- mettendole a confronto, scandagliando i temi a loro più cari e sottolineando la loro sensibilità e il loro sguardo sulla vita, squisitamente geniale e femminile.

E’ un libro che   possiamo prendere come guida per scoprire o riscoprire, pagine magnifiche di capolavori; ma ci conduce anche nelle pieghe più intime del pensiero e delle vite delle scrittrici. Ogni capitolo è   dedicato ad un tema condiviso da molte di loro. Per esempio, c’è l’importanza e il modo di intendere la casa -tempio di vita e nido ordinato- come quella della baronessa Karen Blixen che lasciata alle spalle la fallimentare piantagione di caffè in Africa tornò a scrivere nella sua avita dimora in Danimarca. C’è l‘importanza di avere “una stanza tutta per se” caldeggiata da Virginia Woolf e le tante case al centro dei suoi romanzi e della sua esistenza. Per arrivare all’affascinante ”La grande casa” di Nicole Krauss (del 2010).   Poi tra gli altri temi gli amori e i loro percorsi, le relazioni pericolose come il colpo di fulmine per il marito Ted Hughes che cambiò la vita della poetessa suicida Sylvia Plath. O ancora quelli di coppie famose, spesso molto competitive e a volte fallimentari come Flaubert e Louise Colet, Scott e Zelda Fitzgerald, Sartre e de Beauvoir, o Lillian Hellman e Dashiell Hammett… E tra gli altri spaccati al femminile anche i rapporti complessi tra madri e figli e pagine bellissime dedicate alla solitudine di geniali autrici, al loro modo di affrontare la materialità o l’effimero delle cose.

 

Annie Ernaux “L’evento”   – L’Orma editore – euro   15,00

La Ernaux è una delle scrittrici francesi più seguite perché ha saputo reinventare un personalissimo modo di raccontare la sua vita, trasformandola in specchio che riflette anche indagine sociale ed esistenziale. L’evento che racconta è urticante e drammatico. E’ la narrazione dell’aborto clandestino procuratosi quando era giovane studentessa di lettere, incinta e disperata. Erano gli anni 60, in piena epoca gollista, quando interrompere una gravidanza indesiderata era illegale, difficile e altamente rischioso. E’ la discesa agli inferi della 23enne che vuole a tutti i costi liberarsi del feto e si schianta contro un muro di ostacoli, solitudine, doppia moralità. I suoi genitori non devono sapere, il padre del bambino se ne lava le mani e l’unica ad aiutarla sarà una compagna di scuola –ironia della sorte- molto borghese e cattolica convinta. E’ il racconto struggente di vergogna, sensi di colpa, ginecologi che fanno finta di non capire, tentativi falliti di risolvere da sola il problema infilzandosi con un ferro da calza. Ma il bimbo che nessuno vuole è tenacemente ancorato alle pareti uterine.

La soluzione del problema è nelle mani di una squallida “fabbricante d’angeli” che lucra sulle sventure di sprovvedute fanciulle. La protagonista si ritrova così in una misera stanza adibita per la bisogna, con il ventre invaso da sonde e il pericolo incombente di una setticemia. Straziante la scena in cui “nei bagni dello studentato avevo partorito allo stesso tempo una vita e   una morte” quando con l’aiuto della compagna taglia il cordone ombelicale che la legava al feto di tre mesi… che le scivola tra le gambe e lei getta nella tazza del water. Pagine difficili anche da leggere, immaginiamoci da scrivere affondando la penna nel proprio drammatico passato. La Ernaux ancora una volta è riuscita a mettere in parole “..un’esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo”.

Al via le iniziative degli Amici di Villa della Regina

Con l’inizio del nuovo anno, riprendono le attività dell’associazione culturale

Il primo appuntamento è la  serata di presentazione del calendario delle iniziative del 2020, calendario che si presenta particolarmente ricco di nuove proposte. Quest’anno il Direttivo ha deciso di dedicare più spazio all’organizzazione di iniziative indirizzate ai soci e agli amici che da tempo sostengono l’attività dell’Associazione.

“Il magico potere della comunicazione olfattiva”

giovedì 6 febbraio ore 18.30
Fondazione Paideia Onlus – via Moncalvo 1 Torino.

Patrizia Balbo, consulente di marketing olfattivo e studiosa di simbologia e astrologia, propone un viaggio nel tempo e nella storia, attraverso l’evoluzione dell’Arte del profumo e del Linguaggio dello Zodiaco.

COME PARTECIPARE

La serata, con aperitivo in chiusura, è aperta ad accompagnatori ed amici e l’offerta minima è di 10 euro per i soci e 12 euro per i non soci che potete versare anticipatamente con bonifico bancario sul c/c dell’Associazione o pagare in loco. In ogni caso, la prenotazione dei posti va fatta entro lunedì 3 febbraio, scrivendo alla casella mail infoamicivilladellaregina@gmail.com

Questo primo incontro sarà anche l’occasione di rinnovare la quota di adesione 2020 per chi non avesse già provveduto oppure di associarsi per la prima volta all’associazione.
Anche per il 2020 la quota è rimasta invariata a 100 euro che diventano 85 se ci si iscrive in coppia (1 socio deve essere nuovo).

Riprendono anche gli incontri con lo storico dell’arte Luca Avataneo, che sarà presente all’evento del 6 febbraio e illustrerà il programma di visite organizzato per l’associazione.

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Mariateresa Buttigliengo,  presidente dell’associazione, nella foto di Daniela Foresto pubblicata da  ScattoTorino

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