CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 5

Quando gli Astigiani corsero il Palio sotto le mura di Alba

Era il primo vero Palio, correva l’anno 1275. Asti e Alba si detestavano. Guelfa la prima, ghibellina e roccaforte angioina la seconda, tra le due città scoppiò un lungo conflitto che si concluse con la vittoria astigiana e, per scherno, gli astesi corsero il primo Palio proprio sotto le mura di Alba. Ma come gli astigiani vivevano il Palio nel Duecento? Mentre Asti si prepara a correre il Palio 2025 andiamo indietro nel tempo di 750 anni quando nacque la storica manifestazione. Tutta la città vi partecipava, anche più di adesso, gli astigiani si riversavano in massa per le strade cittadine, affollavano quello che oggi è corso Alfieri accompagnando fantini e cavalli montati a pelo, senza sella, come avviene oggi, con urla forsennate sullo sfondo di una “foresta” di torri, oltre 120 che circondavano Asti. Otto secoli fa il Palio non era solo una festa religiosa, aveva un carattere anche politico, come segno di sfida simbolica al potere angioino. Era più di una corsa, era un momento di unità e di orgoglio per la città che cercava di riaffermare la propria indipendenza con una competizione accesa e spettacolare tra le contrade, con banchetti, musica e celebrazioni. Così Asti viveva il Palio verso la fine del XIII secolo ed era tutt’altro che una piccola comunità, contava quasi 50.000 abitanti contro i 73.000 di oggi.
 Sono molte le città che organizzano il Palio, il più popolare è quello di Siena in Piazza del Campo ma non è il più antico d’Italia. Per trovare il più antico bisogna andare proprio ad Asti. I 750 anni del Palio di Asti verranno festeggiati domenica 7 settembre con la tradizionale corsa a cavallo nella centrale piazza Alfieri ma come si svolgeva in pieno Medioevo? A quell’epoca Asti era una potente città guelfa, nemica di Alba, Alessandria e Acqui Terme, tutte ghibelline, e con l’arrivo di Carlo I d’Angiò nel nord della penisola, Asti scese in guerra contro le le truppe angioine. Il conflitto durò quindici lunghi anni e terminò con la battaglia di Roccavione nel novembre 1275 e la vittoria degli astigiani. In quell’occasione, come scrisse il cronista locale Guglielmo Ventura, gli astigiani corsero il primo Palio proprio sotto le mura della nemica Alba, sostenuta dagli angioini, dopo aver saccheggiato le vigne confinanti. Un sorta di “Palio di guerra” fortemente voluto dagli astesi per umiliare Alba. In realtà, fino alla metà del Trecento, la corsa si svolse “alla tonda” in un percorso circolare che corrispondeva più o meno all’area delle piazze Alfieri e Libertà. Quando Gian Galeazzo Visconti, signore di Asti, fece costruire una nuova cittadella fortificata, la corsa non si tenne più “alla tonda” ma “alla lunga”, su un percorso lineare di due chilometri e mezzo lungo corso Alfieri. Rispetto ad oggi il Palio si correva il 1 maggio, giorno della festa di San Secondo, patrono della città.                                              Filippo Re
nella seconda foto affresco della corsa del Palio “alla lunga” di Ottavio Baussano nel palazzo del Comune di Asti.

Le grange dei marchesi Cavour e Gozzani

Le grange vercellesi costituivano già nei tempi antichi un vasto territorio compreso tra Crescentino, Livorno Ferraris, Trino e 
Fontanetto Po, rappresentando fonte di ricchezza per la presenza di abbondante acqua.
Continuamente contese dalle comunità e abbazie di San Genuario e Lucedio, erano considerate le fattorie dei monasteri. L’abbazia di Santa Maria di
Lucedio fu costruita nel 1109 al tempo di Guglielmo I° di Monferrato, passata ai monaci cistercensi provenienti dalla Francia con atto del 1123 redatto dal marchese Rainero. La tenuta di Lucedio era costituita dalle attuali grange di Castel Merlino, Montarolo (Montis Auriolo), Montarucco, Ramezzana, Darola ovvero la Versailles delle risaie (Corte Auriola), Leri (Alerii) e con altri appezzamenti del Canavese e Monferrato rappresentò la massima espansione della risicoltura.
Leri, una delle grange più antiche, comprendeva una fortificazione oggi inesistente e fu bonificata dai monaci per la coltivazione del riso, acquisita dal monastero di San Genuario nel 1179. Lucedio era una posizione strategica lungo la via Francigena, motivo di scontro tra le dinastie Gonzaga, Savoia e Napoleone, rappresentando un centro di potere economico, politico e religioso. Con l’occupazione francese del Piemonte, la tenuta di Lucedio venne divisa con Decreto della Commissione Esecutiva del 1801 in seimila azioni del valore di 500 lire ciascuna, obbligandone l’acquisto ai cittadini più facoltosi, ma nel 1804 ritornò al demanio. Nel 1807 Napoleone cedeva Lucedio e le sei grange al cognato Camillo Borghese, governatore generale del Piemonte prima della restaurazione, per tre milioni di lire quale quarta parte del prezzo delle 322 opere formanti la galleria d’arte romana del valore di dodici milioni di lire, da lui venduta al governo francese.
Caduto Napoleone, Borghese voleva vendere le sette grange ai privati, ma i Savoia ne sequestrarono i beni dalla Magistratura. Ritenuto illegale il sequestro dal protocollo di Parigi del 1816, le grange furono vendute  dal Borghese nel 1818 al marchese Michele Benso di Cavour, al marchese Carlo Giovanni Gozzani di San Giorgio (figlio di Carlo
Antonio e Sofia D’Oria) e a Luigi Festa, direttore di una società immobiliare di affitti proprietà di Giuseppina Gattinara e Marco Antonio Olivero, già tenutaria delle grange concessa dal demanio nel 1807. La spartizione della tenuta avvenne nella misura di 24/24: 6/24 al Festa con Darola, Montarolo e 1/2 Ramezzana, 6/24 al Cavour con Leri e Montarucco, 12/24 al Gozzani con Lucedio, Castel Merlino, 1/2 Ramezzana e la tenuta S. Bernardino di Trino. La spartizione effettiva avvenne solo nel 1822. All’Ordine Mauriziano furono restituite prima le tenute di Montonero nel 1818, quindi Gazzo e Pobietto nel 1827, già passate al demanio e poi vendute alle Regie Finanze dello Stato nel 1854.
La comunità di Lucedio fu così soppressa e aggregata al comune di Trino nel 1818 e ancora oggi ne forma una frazione. Michele Benso era in effetti l’amministratore di Lucedio, ma il Borghese voleva inserire al suo posto Evasio Gozzani di San Giorgio, già amministratore, con il figlio Giuseppe, del Borghese e della moglie Paolina Bonaparte nelle segreterie di Roma. Non trovando accordo economico, Evasio (definito il marchese pazzo) propose l’acquisto di Lucedio al nipote Carlo Giovanni, il quale era già in affari con il Benso per la creazione della prima società di navigazione del lago Maggiore con una società di Locarno. Evasio riuscì ad inserire in casa Borghese il nostro architetto Luigi Canina, dove ebbe inizio la propria fortuna. Carlo Giovanni nel 1827 lasciò in eredità il suo enorme patrimonio, costituito in sette milioni di lire, al cugino d’Austria Felice Carlo Gozani.
Con il proprio fallimento dichiarato dal tribunale di Casale nel 1861, in parte dovuto al gioco d’azzardo, Felice Carlo fu costretto a vendere le grange di Lucedio a Raffaele de Ferrari duca di Galliera, insignito nel 1875 del titolo principe di Lucedio per i servizi resi alla patria dai Savoia con Regio Decreto. Le stazioni ferroviarie genovesi furono intitolate ai coniugi de Ferrari, Genova Principe di Lucedio de Ferrari e Genova Brignole dal nome della moglie Maria Brignole Sale. Tramite l’acquisto del conte Paolo Cavalli d’Olivola nel 1937, oggi Lucedio è proprietà della figlia contessa Rosetta, pronipote della contessa Paolina Gozani sepolta a Casale nella tomba gentilizia del marito Alessandro Cavalli d’Olivola, legale del padre Felice Carlo sepolto a San Giorgio nella tomba gentilizia del conte Umberto Cavalli d’Olivola. Il marchese Carlo Giovanni e i suoi genitori sono sepolti nel sotterraneo, da loro acquistato, della chiesa parrocchiale di San Giorgio edificata dal nonno di Carlo Giovanni, marchese Giovanni Battista Gozzani.
Titus Gozani, ultimo marchese di San Giorgio vivente della linea austriaca e la moglie Eva Maria Friese, abitanti in Germania, nel 1998 fecero visita alla cugina Rosetta nella tenuta di Lucedio e nel 2019 ritornarono, su nostro invito, nelle proprietà dei loro antenati, i palazzi Treville e San Giorgio Gozzani di Casale e il castello Gozzani di San Giorgio. Il padre di Titus, marchese Leo Ferdinando III°, incontrò nel 1937 il cugino conte Paolo Cavalli d’Olivola nel castello Gozzani di San Giorgio. La grangia di Leri proprietà di Michele Benso, vicario e sovraintendente generale di polizia e politica di Torino, venne affidata nel 1835 al secondogenito Camillo e alla contessa di Clermont-Tonnerre, società che si sciolse con la morte del marito.
La nuova società formata dal conte Camillo Benso di Cavour, dal fratello primogenito marchese Gustavo e dall’agricoltore Giacinto Corio portò una forte innovazione all’azienda applicando i nuovi principi dell’agronomia, confermando quanto Camillo aveva manifestato nella valorizzazione delle
Langhe. Da pochi anni è in corso un progetto di recupero per tutelare e valorizzare il Borgo Leri Cavour, luogo di riposo dello statista, promosso dall’associazione L.E.R.I. Cavour ODV presieduta da Roberto Amadè. Il Borgo ha organizzato domenica 11-12-2022 il primo concerto di Natale sul piazzale della chiesa, ospitando il Casale Coro diretto dal maestro Giulio Castagnoli.
Armano Luigi Gozzano 

Al Filatoio di Caraglio Helmut Newton e alla Castiglia di Saluzzo Ferdinando Scianna

Il Filatoio di Caraglio e la Castiglia di Saluzzo, esemplari unici del patrimonio architettonico piemontese,  ospiteranno nell’autunno 2025 due mostre monografiche su due protagonisti indiscussi della fotografia del Novecento, Helmut Newton (1920-2004) e Ferdinando Scianna (1943).

Al Filatoio di Caraglio, nel Cuneese, antico setificio seicentesco tra i più importanti d’Europa, oggi polo culturale e sede del Museo del Setificio Piemontese, dal 23 ottobre prossimo al 1 marzo 2026 sarà allestita l’esposizione intitolata “Helmut Newton. Intrecci”.
La mostra riunisce oltre cento fotografie, tra cui diversi scatti inediti, frutto delle prestigiose collaborazioni con brand di fama internazionale come Yves Saint Laurent, Ca’ del Bosco, Blumarine, Absolute Vodka e Lavazza.

La rassegna è  curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino, ed è  introdotta da una serie di fotografie che hanno consacrato Newton come uno dei più celebri fotografi di moda del mondo, e restituisce lo sguardo audace di un autore capace di creare scenari onirici, ambigui e provocatori. La complicità con modelle come Monica Bellucci, Nadia Auermann, Kate Moss, Carla Bruni e Eva Herzigova, unita alla fiducia da parte degli stilisti, delle riviste e dei brand internazionali, gli ha permesso di ridefinire canoni della fotografia, facendone un linguaggio teatrale e evocativo. Nel corso degli anni Newton si è  avvicinato alle grandi committenze della moda, sviluppando anche progetti per marchi prestigiosi del mondo produttivo, come la Lavazza, esplorando aspetti nuovi del suo stile, sempre iconico e radicale.
“Helmut Newton. Intrecci”, appositamente concepita per il Filatoio di Caraglio dalla Fondazione Artea, realizzata in collaborazione con il Comune di Caraglio, offre un percorso originale, approfondendo alcuni aspetti inediti della carriera del grande fotografo.
Analogamente ad un’altra esposizione, sempre promossa dalla Fondazione Artea e dedicata a Ferdinando Scianna, ospitata alla Castiglia di Saluzzo, nel Cuneese, antica fortezza e residenza marchionale, oggi spazio museale e luogo del contemporaneo, che negli ultimi due anni ha accolto progetti dedicati ai grandi maestri della Magnum Photos.
Dal 24 ottobre 2025 al primo marzo 2026 verrà ospitata, infatti, alla Castiglia di Saluzzo, la personale di Ferdinando Scianna, originario di Bagheria nel 1943, primo fotografo italiano ad essere annoverato tra i membri della prestigiosa agenzia internazionale.

La mostra reca il titolo “La moda, la vita” ed è curata dal direttore artistico de ‘Le Stanze della Fotografia’ a Venezia, Denis Curti, realizzata in collaborazione con il Comune di Saluzzo, e indaga uno dei capitoli meno noti della carriera di Scianna, la moda. Si tratta di un tema che l’artista affronta utilizzando il linguaggio da fotogiornalista e scardinando ogni estetica patinata a favore di una narrazione più umana. Esemplificativa, in questo percorso, la campagna promossa per Dolce &Gabbana, con la modella Marpessa, ambientata in diverse località della Sicilia.
Il percorso espositivo presenta oltre novanta fotografie, che costituiscono la produzione di Scianna realizzata tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, per alcune delle più importanti riviste al mondo come Stern, Vogue e Vanity Fair. Negli scatti di Scianna si fondono memoria e intuizione, fotografia e letteratura, etica e stile, in un approccio che ha consentito all’artista di capovolgere i modelli in genere consacrati al fascino delle passerelle, rendendo la fotografia di moda un racconto visivo capace di mantenere intatto il legame tra verità, cultura e immagine.

Mara   Martellotta

Liberty misterioso: Villa Scott

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte 

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.

Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo Breve.

Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l’Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty:  Mucha  e  Grasset
9.  La linea che veglia su chi è stato:  Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa  Grock

Articolo 4. Liberty misterioso: Villa Scott

Talvolta il cinema va in cerca di luoghi suggestivi e unici, per rendere la pellicola ancora più indimenticabile. Uno di questi ambienti da cellulosa si trova nella collina torineseuna villa silenziosaNascosta in un elegante “vedo non vedo” tra il verde degli alberil’abitazione si affaccia indifferente sul panorama torinese che si prostra poco più in  delle sue fondamenta. È Villa Scott, situata in Corso Giovanni Lanza 57, uno dei più fulgidi esempi dello stile floreale a livello nazionale. Il committente, Alfonso Scott, consigliere delegato della Società Torinese Automobili Rapid, nel 1901 acquista un appezzamento di terreno precollinare affidando l’incarico di costruire una villa per la propria famiglia all’ingegnere Fenoglioche allora aveva 36 anni

Fenoglio si impegna nella costruzionedando al  progetto caratteristiche architettoniche di alto pregio, con una chiara apertura al Liberty, e con prospetti caratterizzati da decorazioni floreali in litocemento e in ferro battutoAlla morte di Alfonso Scott, la villa passa alle Suore della Redenzioneche la utilizzano per ospitare un collegio femminilenoto con il nome di Villa Fatima. Fenoglioche lavora al progetto di Villa Scott in collaborazione con il collega Gottardo Gussonirisolve le difficoltà di realizzazione – dato che vi è un dislivello di ben 24 metri tra la villa e il cancello d’ingresso – con una scalinata e con l’inserimento di diversi corpi di fabbricaaccanto al complesso principale lievemente curvilineo della villa. Il volume della costruzione è arricchito da un apparato decorativo che trae vita anche dalla scala esternaL’edificio viene completato nel 1902, anno in cui Fenoglio si dedica anche alla palazzina Fenoglio-La Fleur di corso Francia angolo via Principi d’AcajaNel contesto dell’ampio spazio verde in cui è ubicata Villa Scott, si stagliano netti i due corpi laterali a torrettauno su quattro livelliun altro sutre, ma con un bovindo quadratocollegati da una veranda vetrata sormontata da una terrazza.  La pianta di Villa Scott è amabilmente articolata in un gioco di loggebovindivetrategli elementi litocementizi di finitura murariaripieni e turgidi con misura, quasi rinviano all’ultimo barocco, con radiosi richiami ecletticiLa fantasmagoria floreale, la fitta lavorazione del terrazzinogli ariosi loggia-ti laterali, la decorazione a stucchi e boiseries di color crema e oroil tutto perfettamente in armoniacon l’arredo interno, un mobilio apertamente ispirato a un fioritoLuigi XVI, ne fanno una dimora elegante e raffinata, e piuttosto suggestivatanto che il regista Dario Argento vi ha ambientato uno dei più celebri gialli italianiProfondo rosso, del 1975.

Villa Scott viene infatti scelta per essere la villa del bambino urlante e gioca un ruolo essenziale per lo svolgimento della trama: è tra queste mura che si trova la soluzione del mistero. Tra gli appassionatialcuni indentificano la sfarzosa e terribile residenza del film giallo-horror con l’altrettanto celebre Villa Capriglioanch’essa situata in collina e nascosta tra la vegetazionesede inquietante di vicende 

orrorifichepurtroppo più veritiere rispetto a quelle altrettanto spaventose ma irreali di Villa Scott. 

Occorre ricordare che all’epoca delle riprese la villa era utilizzata come collegio femminile e abitata da suore e fanciulle che ovviamente non potevano rimanere  mentre veniva girato il film. La produzione dovette allora trovare un escamotagepoiché non si poteva abbandonare quella location così perfettamente suggestiva! Si decise dunque di offrire un periodo di villeggiatura a Rimini alle suore e a tutte le ragazze del collegio, le quali non opposero alcuna obiezione e con la loro vacanza inaspettata contribuirono alla realizzazione di una delle pellicole horror più conosciute. Dopo un breve periodo di abbandono, la villa è stata  restaurata e adibita a residenza privata.

Alessia Cagnotto

Tsukiko la figlia della luna

Libri

UN VIAGGIO REALE IN QUELLO CHE CREDIAMO IRREALE

 

Giappone, tempi moderni. Poco più che ragazzina, Tsukiko, riceve la devastante notizia della morte dei genitori in un incidente d’auto. Ѐ un colpo terribile alla sua percezione del mondo, rispetto a una vita improvvisamente divenuta banale e vuota di qualunque significato.

A metà fra la sua volontà e la sorte, la vecchia Hana le offre da leggere un libro di insegnamenti spirituali, che però Tsukiko rigetta perché troppo distanti dai suoi stati d’animo straziati dal dolore della perdita. È una battaglia che la spinge a scaraventare il libro sulla parete della sua stanza e a dire a stessa che dovrà trovare da sola le risposte, partendo per un viaggio avventuroso verso la vetta del monte Fuji che le dicono contenga tutte le risposte, incontrando gli Elementi della natura e i loro Spiriti Custodi.

Attraversando Terra, Acqua, Fuoco e Aria giungerà anche a conoscere l’Etere, il quinto elemento.

Ma il suo vero obiettivo resta il Maestro che vive nel monte.

 

L’AUTRICE

Torinese di origine, Monica Felletti è nata il 9 settembre 1977

Dal 2000 vive e lavora a Roma

Da sempre appassionata di spiritismo e parapsicologia, ha investito tutti i suoi sforzi in una ricerca della vera comprensione di ciò che ci sembra inspiegabile.

Negli anni ha fatto parte di alcuni cerchi medianici di alto profilo, sperimentando direttamente le più diffuse tecniche di contatto con l’Aldilà.

E’ intervenuta, attraverso interviste, su canali YouTube dedicati al tema riscuotendo apprezzabile successo. Dopo la pubblicazione de “L’altro lato delle cose” con Serarcangeli editore e la collaborazione ad alcuni testi inerenti spiritismo e medianità, è qui alla sua prima pubblicazione indipendente.

 

La Torino oscura di Profondo Rosso

Cinquant’anni fa, nel settembre del 1974, iniziavano a Torino le riprese di Profondo Rosso, un film che sarebbe diventato un riferimento classico per gli appassionati di cinema, uno dei migliori thriller italiani di sempre. Il regista Dario Argento per la terza volte sceglieva la prima capitale d’Italia e le sue atmosfere magiche dove si scorgono, oltre alle piazze e alle vie più note del centro, il Teatro Carignano, la Galleria San Federico e piazza CLN, dove si riconoscono le fontane di fronte alle quali Gabriele Lavia e David Hemmings assistono al primo terribile delitto del film, quello della sensitiva Helga Ullman ( l’attrice Macha Méril). Hemmings (che nel film interpretava il pianista inglese Marc Daly ) incrociò sulla collina torinese alcune dimore importanti come Villa della Regina (residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, per poi raggiungere l’obiettivo della sua ricerca: Villa Scott, in Corso Giovanni Lanza, 57.

 

È quella, infatti, la lugubre “villa del bambino urlante” che si trova in Borgo Po, sulle colline della città: un edificio bellissimo, uno degli esempi più straordinari dell’art decò. “L’avevo scoperta per caso — confessò il regista — mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache dell’Ordine delle Suore della Redenzione e, siccome ne avevo bisogno per un mese, offrii alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano, che sorvegliò le riprese con austerità”. Un’ulteriore curiosità merita di essere segnalata. Quando Marc, nel film suonò al campanello di casa del suo amico Carlo, si trovò di fronte la madre di lui (Clara Calamai) che lo fece entrare in un appartamento ricco di cimeli e foto d’ogni sorta. La casa era davvero quella dell’attrice e, quindi, ciò che si vede nel film era probabilmente in gran parte ciò che davvero c’era in quell’appartamento nel 1974, diventato set per l’ultima avventura cinematografica della grande interprete del cinema italiano. Il film, quinta prova dietro la macchina da presa per Dario Argento, uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e lo consacrò, grazie al successo, come il vero maestro del brivido made in Italy.

Marco Travaglini

La Fontana Angelica tra bellezza e magia

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Oltre Torino. Storiemitileggende del torinese dimenticato.

Torino e lacqua

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Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Il fil rouge di questa serie di articoli su Torino vuole essere lacquaLacqua in tutte le sue accezioni e con i suoi significati altrilacqua come elemento essenziale per la sopravvivenza del pianeta e di tutto lecosistema ma anche come simbolo di purificazione e come immagine magico-esoterica.

1. Torino e i suoi fiumi

2. La Fontana dei Dodici Mesi tra mito e storia

3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia

4. La Fontana dellAiuola Balbo e il Risorgimento

5. La Fontana Nereide e lantichità ritrovata

6. La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?

7. La Fontana Luminosa di Italia 61 in ricordo dellUnità dItalia

8. La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma

9. La Fontana Igloo: Mario Merz interpreta lacqua

10. Il Toret piccolo, verde simbolo di Torino

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3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia

Maestosa e non vista la Fontana Angelica si erge in Piazza Solferino, nel pieno centro storico di Torino. Lopera architettonica prende il nome da Angelica Cugiani moglie di Tommaso Bainotti e madre del ministro Grande Ufficiale Pietro Bainotti. Questultimo alla sua morte decise di devolvere un lascito di 150.000 lire  alla città di Torino, affinché la cittadinanza acconsentisse al suo desiderio di far erigere una fontana in memoria dei genitori. Pietro chiese inoltre che tale opera venisse costruita in stile gotico medievale e che fosse collocata in Piazza San Giovanni davanti al Duomo. La commissione appositamente incaricata per la costruzione del monumento, costituita da Carlo Francesetti di Mezzenile, Leonardo Bistolfi, Giovanni Chevalley, Edoardo Rubino e Enrico Tovez, si oppose ad alcune indicazioni e non esaudì del tutto il volere di Pietro Bainotti. Le personalità coinvolte e lo stesso architetto e scultore Giovanni Riva, incaricato del progetto, identificarono come luogo urbanisticamente più adatto proprio Piazza Solferino. La Fontana fu inaugurata martedì 28 ottobre 1929, data molto significativa per il Regime Fascista che in quel giorno celebrava lottavo annuale dalla Marcia su Roma. La giornata era stata resa ancora più solenne dalla visita del Quadrumviro Italo Balbo, ministro dellAeronautica; in quello stesso giorno, oltre alla Fontana Angelica, vennero inaugurate case popolari e asili. Sulla cronaca de La Stampa si poteva leggere: In piazza Solferino, alle ore 17,30, si inaugura pure la Fontana Angelica. Molta folla è radunata intorno. Giungono le autorità: i due vice-podestà prof. Silvestri e avv. Gianolio, il senatore Di Rovasenda, lon. Bagnasco, lon. Ferracini, il comm. avv. Edoardo Agnelli, vice-presidente al Consiglio dellEconomia, il Rettore della Universitàcomm. prof. Pivano, il gen. Fasolis, ling. Porporato, lavv. Maccari ed altri. Lo scultore Riva, il quale da anni lavora ad ultimare la fontana che in seguito a concorso gli èstata aggiudicata, si trova fra le autorità che vivamente lo complimentano per lopera sua. Egli raccoglie il premio del suo faticoso lavoro. Dalla fontana monumentale con le sue quattro statue in bronzo che rappresentano le stagioni, si sprigiona dun tratto un alto pennacchio dacqua ed altri due veli dacqua convergono dai lati e si rovesciano nella vasca centrale. I giuochi dacqua completano leffetto decorativo della Fontana Angelica finalmente liberata dallo steccato che per tanto tempo ha ingombrato la piazza(La Stampa, 29 ottobre 1930).

Siamo immersi nel centro della città, circondati da alti palazzi eleganti, da macchine e pullman rumorosi e dalle rotaie del tram, curve come asole luccicanti che ricamano le strade torinesi. La piazza in cui ci soffermiamo è ariosa, lascia un raffinato gioco al sole perché la illumini, si prende i suoi spazi e tiene alla giusta distanza gli edifici che la circondano.
Piazza Solferino èuna grande piazza del centro storico della città sabauda, limitata da via Pietro Micca, via Santa Teresa, via Cernaia e via dellArcivescovado. Essa prende il nome dal comune di Solferino in provincia di Mantova, dove il 24 giugno 1859 si svolse unimportante battaglia, che vide la vittoria delle truppe franco- piemontesi contro lesercito austriaco durante la II guerra di indipendenza italiana. Fino alletà napoleonica la piazza era conosciuta come la piazza del mercato del legno, oppure come piazza del boscopiazza dei combustibili. Era inizialmente di forma irregolare e si trovava alla periferia della cittàottocentesca e delimitava i confini meridionali dellantico Castrum romano (lattuale via Cernaia). Il progetto definitivo, che portòla zona ad avere laspetto che oggi possiamo ammirare, risale al 1853, ad opera dellarchitetto Carlo Promis, successivamente vennero aggiunte le aiuole centrali.  Per quel che riguarda gli edifici, ancora oggi, uno di quelli piùnoti è il Palazzo dei telefonidi via Meucci, che oggi ospita lAgenzia del Territorio, inoltre non possiamo non nominare il Teatro Alfieri, uno degli luoghi culturali più amati dai torinesi, quando si desidera trascorrere una serata allinsegna dellarte e della cultura. Se queste sono le notizie ufficiali che ci riposta la cronaca urbana della città, non dobbiamo scordarci che a Torino si viaggia sempre su piani paralleli, e alla dimensione reale corrisponde e controbilancia sempre una versione non ufficialedei fatti. Anche il monumento della Fontana Angelica, come tanti altri edifici e angoli torinesi, pare nascondere qualcosa di più di una semplice dedica amorevole nei confronti della famiglia. Alcuni sostengono che in realtà si tratti di unopera complessa pregna di misteriosi simbolismi massonici.

La Fontana si presenta costituita da quattro imponenti figure scultoree ispirate alle quattro stagioni, due femminili e due maschili, Primavera, Estate, Inverno e Autunno. E se ai più basta incantarsi davanti alla maestria della fusione del bronzo, alla bellezza della torsione dei corpi, alleleganza e alla sontuosità che lopera emana nella sua interezza, c’è chi strizza gli occhi e decide di soffermarsi a cercare qualcosaltro.  E se la Primavera in realtàfosse la rappresentazione simbolica della virtù e lEstate quella dei vizi amorosi e degli aspetti più profani della vita? Se le due figure maschili in realtà fossero Boaz e Joaquim, guardiani leggendari delle colonne dErcole? Domande che scorrono nella mente dei curiosi come trascinate dal vortice dellacqua che esce dalle otri delle due figure centrali, quella stessa acqua che secondo alcuni è rappresentazione della conoscenza. Ancora unosservazione prima di andare via: allontanandoci piano piano dalla fontana ci si rende conto che viene a crearsi uno spazio perfettamente rettangolare nel centro dellopera architettonica, a metà tra i due guardiani; guardando con attenzione non può che essere un passaggio, lingresso per la via della conoscenza, che ovviamente ai più è precluso. Unultima cosa, intanto che si volgono le spalle allimponente Fontana, sappiate che si racconta che lo steso Giovanni Riva abbia modificato il progetto originale, muovendo il volto della statua dellInverno verso oriente, dove sorge il sole: semplice licenza artistica o attenzione verso simbologie altre? 

Alessia Cagnotto

 

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Un  violento antisemitismo che riaffiora dal passato – Ungaretti fascista  e il mancato Nobel – La notizia e la malattia – Lettere

Un  violento antisemitismo che riaffiora dal passato
Salvo Umberto Terracini e pochi altri, i comunisti sono sempre stati anti israeliani.  Il loro antisionismo diventava spesso  anche antisemitismo. Il sionismo ha avuto  prevalentemente  una matrice socialista non marxista e questo aspetto socialdemocratico era un’altra delle fobie dei comunisti che  ad un certo punto odiarono Craxi più di Almirante. Vedo che si sta riscoprendo persino l’adesione di gran parte degli ebrei italiani  al fascismo, al fine di denigrarli, dimenticando volutamente  le leggi razziali del 1938, la deportazione in Germania e il loro sterminio. Magari torneremo anche a dover leggere pagine negazioniste o forme di esaltazione del Gran Mufti’ di Gerusalemme  che fu alleato di Hitler nella caccia agli Ebrei. Il clima odierno prevalente  è quello di un antisemitismo che divampa in Italia e in Europa in modo sempre più virulento e colpisce gli ebrei, come ha denunciato il presidente della comunità ebraica  di Milano.
L’attacco del 7 ottobre è stato dimenticato. Io non sostengo Netanyahu da cui anzi dissento, ma non posso per altri versi  sostenere in modo acritico la Palestina che come Stato non esiste e quindi non può essere riconosciuto. I primi a diffidare dei Palestinesi sono i Paesi arabi confinanti con quell’area maledetta. Chi scrive ha sempre diffidato dalla politica filoaraba di molti governi Italiani, citata oggi  come esemplare da chi avversò quei governi. La stessa Lega araba ha diffidato Hamas a non insistere con le sue imprese terroristiche. In molti post comunisti è riaffiorato l’antisemitismo della loro giovinezza in nome del quale Stalin uccise e deportò milioni di ebrei, seguendo e inasprendo la logica antisemita dell’ impero degli Zar. Anche Putin, il nuovo zar post – sovietico è antisemita. Circolano pure in Italia eleganti magliette con la controversa bandiera della Palestina esibite  snobisticamente anche al mare e un po’ dappertutto come una specie di divisa. L’episodio più folle mi è sembrato quello di un medico e di un’infermiera che gettano farmaci israeliani. Secondo gli autori, che si sono anche filmati,  il loro sarebbe “un gesto simbolico per la pace”. L’atto non merita un commento.

Merita invece solidarietà Tommaso Cerno (nella foto di copertina), direttore del “Tempo”, letteralmente aggredito e minacciato di morte  da  gruppi anarchici  per le inchieste giornalistiche sulla contiguità tra ambienti politici italiani ed estremisti arabi. C’è da sperare che a Cerno giungano tutte le più alte solidarietà a tutela della libertà di stampa minacciata. E’ scontato il sostegno della presidente del Consiglio e di alcuni governatori del Centro – destra. Va riconosciuta la solidarietà  a Cerno di Giuseppe Conte, non così scontata. Ma non basta, perché essere solidali con chi è stato minacciato di morte è un dovere da parte di tutti coloro che rifiutano la violenza. Difendere la libertà di pensiero e di stampa è un dovere elementare di tutti. C’è da augurarsi che la campagna di odio non abbia cancellato  anche  la tolleranza volterriana di chi non condivide le idee altrui. Voltaire diceva di voler lottare fino alla morte per difenderle.
Oggi la faziosità è tale che l’idea di Voltaire appartiene ad un passato remoto.  Per altri versi lo stesso filosofo e polemista francese era, a sua volta, un intollerante. Ciò non giustifica chi, di fronte alle minacce contro Cerno e i giornalisti del “ Tempo”, volta gli occhi da un’altra parte, fingendo di non capire. Ma ci sono anche gli estremisti filo-palestinesi, i fondamentalisti  professionali che da sempre  stanno dalla parte dei violenti. E sono orgogliosi della loro faziosità manichea contro la democrazia liberale e l’Occidente.
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Ungaretti fascista  e il mancato Nobel
Giuseppe Ungaretti fu fascista e amico di Mussolini che conobbe durante la I Guerra Mondiale. La sua prima raccolta di poesie divenuta poi “L’allegria “venne dedicata al futuro Duce di cui si dichiarò “fieramente” sostenitore. Venne nominato Accademico d’Italia e poi chiamato nel 1942  “per chiara fama” , quindi senza superare concorsi, ad insegnare Letteratura italiana  alla “Sapienza” di Roma. Non ci sono documenti che attestino una sua laurea neppure all’estero: a Parigi consegui’ un diploma biennale Dopo la caduta del regime tolse la dedica a Mussolini alla sua raccolta poetica e fece il pesce in barile.
Croce chiese che venisse riconsiderata la sua posizione universitaria. Venne difeso dal neo- comunista ex crociano  Natalino Sapegno, da Carlo Bo ed altri e venne reintegrato in cattedra. Fu  anche difeso da  Giuseppe De Robertis ,studioso delle “varianti ungarettiane” (che ignoro’ la cancellazione della dedica  e la premessa rimaneggiata) il quale aveva ricoperto la cattedra di Attilio Momigliano, cacciato per motivi razziali. Ungaretti, togliendo la dedica e cambiando la  compromettente premessa, passò indenne nella bufera del dopoguerra. Ma la cosa non passò inosservata alla Giuria del Nobel dove tentò parecchie candidarsi all’ambito e lucroso riconoscimento. Ebbe immeritatamente il Nobel Salvatore  Quasimodo piccolo poeta del secondo Ermetismo, mentre il poeta ermetico per eccellenza, Ungaretti, almeno in una parte della sua produzione,  rimase a bocca asciutta. Ebbe invece  il Nobel il più grande poeta italiano del ‘900 Eugenio Montale, ma lo ebbe scandalosamente anche il guitto Dario Fo, contiguo all’estremismo  rosso. Tutto sommato, se lo ebbe Fo, l’avrebbe dovuto ottenere Ungaretti che si allineò al fascismo come la maggioranza degli intellettuali. Andrebbe inoltre ricordato che Fo andò volontario nella  X Mas della Repubblica sociale italiana, niente al confronto di una dedica in un libro di poesia.
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La notizia e la malattia
Ho letto del ricovero in un ospedale di un alto prelato con nome e cognome per insufficienza respiratoria. La notizia si completa, facendo sapere anche  le gravi condizioni dell’illustre degente.
La privacy è gravemente violata, ma soprattutto nessuno ha pensato alla possibilità che il degente possa leggere la notizia che lo riguardi. Mi pare un giornalismo che non  sa rispettare i malati e gli effetti che anche poche righe possono determinare sulle persone.
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Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com 
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Il futuro dei monarchici
Ho letto  in un suo articolo della sua sorpresa in merito al fatto storico che il principe Emanuele Filiberto  di Savoia ha posto fine alla diatriba dinastica con i cugini Aosta e ha fatto passare dalla sua il grande storico  e senatore prof.  Mola che è presidente della Consulta dei Senatori del Regno d’Italia che dichiarò addirittura la illegalità della discendenza del ramo legittimo  dei Savoia per il matrimonio di suo padre  Vittorio Emanuele IV che fu massone  e amico di Gelli come il grande Storico di Torre San Giorgio. È un bell’esordio anche in Piemonte ad un convegno a   Racconigi e a un pranzo a Piea. A ranghi riuniti i monarchici sapranno tornare ad essere decisivi per il futuro dell’Italia. Giuseppe Cuzzolin
Pubblico la Sua lettera perché cerco di dare spazio a tutte le opinioni anche a quelle  che altrove non troverebbero accoglienza. La Sua lettera mi ricorda molto l’operetta, un genere decaduto da tempo. Io mi ero limitato a segnalare un convegno su Umberto II a cui come relatori c’erano il principe e il prof. Mola, sostenitore  dei Duchi d’Aosta e autore di un documento in cui veniva dichiarato decaduto Vittorio Emanuele a causa del suo matrimonio. Adesso lei mi da’ una lettura dei fatti che non sapevo. Sarà così? Il futuro di questo disgraziato paese  comunque non dipende, per nostra fortuna, dalle novità che Lei ci racconta  quasi come un cortigiano devoto, miracolosamente   sopravvissuto alla fine del secolo scorso.
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I vaccini
Il ministro della Sanità  Schillaci ha azzerato la commissione sul Covid  da lui stesso creata perché composta anche da novax. È un atto di faziosità assurda che nega il pluralismo. Francesca di Nola
Io concordo con il ministro che ha ,sia pure tardivamente, escluso i novax che sono quelli che hanno remato contro il Paese in balia della tragedia pandemica in nome di una falsa  libertà che in effetti è licenza irresponsabile. Sono d’accordo su una commissione che valuti con equità  l’operato di Conte e Speranza e soprattutto dei loro più stretti collaboratori, persone  queste ultime, non proprio esemplari. A discolpa di Conte e di Speranza c’è il fatto incontestabile che si trovarono repentinamente di fronte ad una realtà totalmente nuova, anche se l’Italia avrebbe dovuto aggiornare il piano anti pandemico che rimase per anni lettera morta. Ci sono i soliti fessi che approfittano della confusione per chiedere la non obbligatorietà dei vaccini, dimostrando una superficialità infantile. I vaccini  – va ribadito – devono restare obbligatori. Altrimenti cadiamo nel baratro di un nuovo Medio Evo.
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Casa Pound
Secondo il ministro Giuli Casa Pound non deve essere sgombrata. Se vera è un’affermazione gravissima che dimostrerebbe la  sudditanza del governo verso l’estrema destra extra-parlamentare
Vincenzo Vittorelli
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Concordo con Lei. Nel mio articolo, in cui plaudo allo sgombero del Leoncavallo, ho scritto che adesso tocca a tutti i centri sociali che occupano abusivamente locali abusivi, in primis casa Pound che occupa locali del Comune  di Roma. Mi domando perché Gualtieri sia stato inerte, come la sindaca grillina. Ogni acquiescenza verso gli estremisti di destra e di sinistra sarebbe  anche un gravissimo errore politico da parte del Governo, direi che sarebbe  anche un regalo alle opposizioni, offerto su un vassoio d’argento.