CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 440

Materada, la malinconia della frontiera nel dramma dell’Istria

Un piccolo borgo vicino alla più grande Umago, in una terra di frontiera, questa dell’Istria, punto d’incontro di tante etnie (Italiani, Slavi e Croati), nei secoli assoggettati alla Repubblica Veneta, all’Impero Austro-Ungarico, all’Italia e infine inglobati nell’allora nascente Jugoslavia. Terra aspra, ricca di contrasti, che si riflettono anche nei suoi abitanti, spesso diffidenti, in ragione della precarietà dello stesso luogo di vita

In “Materada”, scritto nel 1960 da Fulvio Tomizza, si  narra la storia dell’esodo istriano molto meglio di quanto possa fare un qualsiasi trattato storiografico o sociologico. Parole e storie dove s’incastrano – come tessere di un mosaico –  frasi, fatti e vita. Un romanzo crudo, dove la narrazione è sofferta e il ricordo della propria terra (Tomizza vi era nato nel 1935) riemerge con forza. Claudio Magris, a proposito di Materada, ha scritto: “Quando uscì nel 1960 “Materada” – il primo e forse miglior romanzo dell’allora giovanissimo e sconosciuto Fulvio Tomizza – arricchì di una nuova e forte pagina la poesia della frontiera, delle sue lacerazioni e della sua unità. Il mondo da cui nasceva il libro – l’Istria nel momento dell’ultimo esodo, nel 1954 – era un mondo realmente straziato dai rancori, torti e vendette sanguinose fra italiani e slavi e Tomizza l’aveva vissuto e patito”.

Materada è un piccolo borgo vicino alla più grande Umago, in una terra di frontiera, questa dell’Istria, punto d’incontro di tante etnie (Italiani, Slavi e Croati), nei secoli assoggettati alla Repubblica Veneta, all’Impero Austro-Ungarico, all’Italia e infine inglobati nell’allora nascente Jugoslavia. Terra aspra, ricca di contrasti, che si riflettono anche nei suoi abitanti, spesso diffidenti, in ragione della precarietà dello stesso luogo di vita.

Al termine dell’ultima guerra mondiale, dopo lunghe trattative diplomatiche si definì un nuovo assetto territoriale che assegnò alla Jugoslavia gran parte della Venezia Giulia (in pratica quasi tutta l’Istria e le terre ad Est di Gorizia). Il trattato di Parigi del 1947 ratificò questo passaggio di Istria e Dalmazia alla Jugoslavia, scatenando l’esodo del novanta per cento della popolazione italiana (circa 300.000 persone), che abbandonò la casa e gli averi e cercò rifugio in Italia o emigrò oltreoceano. Con i trattati del 1954 la zona B dell’Istria, in cui Materada era inclusa, venne assegnata definitivamente alla Jugoslavia anche se fu permesso scegliere se restare o passare a Trieste, verso l’Italia: è in questo lacerante scenario storico che Tomizza, allora venticinquenne,  ambientò”Materada”. L’autore, che visse quei periodi, ne fece un romanzo corale, per quanto incentrato sulla famiglia Kozlovich, in cui si rifletteva la sua esperienza personale. Un libro in cui speranze, delusioni e rassegnazioni si avvicendano, emergono, si assopiscono, ritornano.

E’ palpabile lo stato d’animo degli italiani, l’emarginazione nei loro confronti del regime comunista di Tito, un intreccio di storie di tanta povera gente la cui unica e ultima scelta è di restare, perdendo la propria identità nazionale, o andarsene verso l’ignoto. Da circa un decennio, il  10 febbraio,  si celebra il Giorno del Ricordo ( istituito con la legge 30 marzo 2004/92)  per conservare e rinnovare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Grazie anche a “Materada” e a Fulvio Tomizza, scrittore di frontiera, quella storia non sarà dimenticata.

 

Marco Travaglini

 

Cento anni fa nasceva il generale Amoretti: scopri’ la scala di Pietro Micca

18 dicembre 2020 Centenario di nascita del Gen. Guido Amoretti

Caro direttore, il 18 dicembre 1920, cento anni fa, un secolo, nasceva Guido Amoretti. Era appena finita la Prima Guerra Mondiale, alla quale il papà Oreste aveva partecipato come “autiere” dello straordinario autocarro Fiat 18 BL. In poco più di due anni tra la mamma Maria a Torino e il papà al fronte si scambiarono 500 cartoline, quasi una al giorno. Papà e mamma innamorati e straordinari che trasmisero al figlio Guido il fuoco della curiosità e la passione per la ricerca. Di suo ci aggiunse, tra le tante virtù, una straordinaria determinazione. Un anno di guerra in Grecia da giovane ufficiale di fanteria e due in vari lager tra Polonia e Germania ne temprarono un carattere indomito. Quando nel 1956, capitano, dalla finestra dell’ex-Scuola di Guerra che si affacciava su via Guicciardini vide spuntare le mura sbrecciate delle gallerie di contromina della Cittadella, scoperchiate e in procinto di essere ingoiate dalle fondamenta del palazzo delle Entrate, rientrò in guerra…la sua guerra personale per salvare e valorizzare la storia e l’inestimabile patrimonio sotterraneo di Torino. Sapeva che ci voleva qualcosa di speciale per fermare le ruspe, autorizzate a distruggere senza guardare il passato. Con instancabile e lucida ricerca, mise a segno la scoperta del secolo e della sua vita: la vera scala di Pietro Micca, rimasta nascosta per 252 anni, era proprio lì, nel luogo degli scavi. Quell’1° ottobre 1958 la città scoprì la sua storia e accettò che venisse salvaguardata.

Due anni e mezzo dopo, 14 maggio 1961, con l’aiuto dei minatori dell’esercito, l’allora capitano Guido Amoretti offriva alla Città e all’Italia del primo centenario dell’Unità il museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706.

Sono passati quasi sessanta anni e il museo, che il Generale Amoretti ha realizzato con passione e competenza ad ha servito con energia e lungimiranza per quasi cinquanta anni, è il suo monumento ai posteri:patrimonio storico, architettonico, culturale, valoriale e identitario conosciuto e visitato da migliaia di studenti e di curiosi è in corso di allargarsi ad altri siti sotterranei della storica Cittadella (il Pastiss, il Cisternone, il Rivellino degli Invalidi) che lentamente si manifesta sempre più e di cui in gran parte è stato scopritore e strenuo difensore.

E della nostra Storia è stato un insostituibile, competente e appassionato ricercatore e divulgatore. Un’opera che le raccoglie tutte è “Il Ducato di Savoia dal 1559 al 1713” pubblicato negli anni 1984-87 e ristampato nel 2008 negli originali 4 tomi corredati da un dettagliato indice dei nomi e dei luoghi.

Lo hanno affiancato e stanno continuando in questo meritorio impegno i tanti e appassionati Volontari dell’Associazione Amici del museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706, con il Gruppo ricerche e scavi, il Gruppo Guide e il Gruppo Storico Pietro Micca della Città di Torino, da oltre cinquant’anni animatori dei vari settori del museo. Ne hanno conservato e implementato l’eredità i suoi successori, generale Sebastiano Ponso dal 2008 al 2017 e attualmente il generale Franco Cravarezza.

Ne ha recuperato e raccolto il grande patrimonio di vita e documentario in tutti i campi del suo vasto impegno storico la figlia Carla nel ODV “Archivio Guido Amoretti” da lei fondato e che ora è in corso di fusione nella disponibilità del museo.

Altre sfide attendono il museo, come la preparazione del suo 60° anniversario nel 2021 con ulteriori progetti tra i quali la “sfida per l’accessibilità e inclusione culturale nel museo Pietro Micca” che comporterà lavori infrastrutturali, nuove attrezzature tecnico-informatiche e performanti allestimenti, per i quali il museo, tramite l’Associazione, ha già riscosso il sostegno della Banca d’Italia e attende quello di altri importanti enti del territorio.

Per solennizzare l’anniversario di venerdì 18 dicembre il museo dedica al Generale Amoretti tre eventi: la messa in Duomo alle ore 18 per i coniugi Maria e Guido Amoretti, entrambi nel centesimo anniversario di nascita, e due iniziative virtuali online sul sito www.museopietromicca.ite sulla pagina www.facebook.com/museo.pietromicca:

alle 09 il Pietro Micca Tour nr. 35Perché ti ricordi sempre del mio amore. Tuo Guido per tutta la vita
alle ore 16 la videoconferenza dal museo Pietro Micca dal titolo Un amore di museo. Guido Amoretti scopritore e conservatore a cura dello storico Piergiuseppe Menietti, l’architetto Fabrizio Zannoni e la figlia Carla, coordinati dal gen. Franco Cravarezza.

La straordinaria eredità del generale Guido Amoretti è patrimonio di tutti e merita di essere conosciuta, valorizzata e goduta.

Per tutti, Comune di Torino in primis, un impegno da mantenere.

                                                                                                    Gen. Franco Cravarezza

Direttore del museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706

Intrecci barocchi

Ecco gli appuntamenti del  20, 22 e 27dicembre

Sempre alle 18.30 sulle pagine social degli organizzatori (Academia Montis Regalis, Accademia Maghini, Accademia Corale Stefano Tempia e I Musici di Santa Pelagia) su quella di Intrecci Barocchi, e sul canale YouTube di SoloClassica Channel

Per informazioni: Segreteria Stefano Tempia
tel. 011 0209882, dal lunedì al venerdì, ore 9,30-12,00

Nonostante l’incessante progredire degli studi, esiste ancora un diffuso pregiudizio secondo il quale la civiltà barocca sarebbe stata appannaggio quasi esclusivo di artisti, letterati e musicisti uomini, con la sola Artemisia Gentileschi a tenere alto il vessillo del genio femminile. In realtà, tra il XVII e il XVIII secolo non mancarono le compositrici di grande talento, che seppero farsi valere di fronte ai colleghi, come dimostra il concerto in programma domenica 20 dicembre alle 18.30, che fa parte del cartellone della “Stefano Tempia”. Protagonista della serata sarà infatti la veneziana Barbara Strozzi, figlia adottiva del poeta Cesare Strozzi, che ci ha lasciato una raffinatissima produzione vocale, che sotto il profilo stilistico si inserisce nel solco della seconda prattica tracciato da Claudio Monteverdi. Le sue opere verranno eseguite dal soprano Lucia Cortese che – dopo il concerto che l’ha vista accompagnata dalla Camerata Accademica di Padova diretta da Paolo Faldi – questa volta sarà affiancata dall’ensemble bolognese Harmonicus Concentus guidato dal violinista Gabriele Raspanti.

Martedì 22 dicembre alle 18.30 le quattro associazioni contraenti di Intrecci Barocchi presenteranno il concerto natalizio, che vedrà riunite sotto la bacchetta di Claudio Chiavazza le orchestre barocche dell’Academia Montis Regalis e dei Musici di Santa Pelagia, il Consort Maghini, l’organista Matteo Cotti e i solisti Valentina Chirico e Massimo Lombardi. Come è lecito attendersi da una rassegna come Intrecci Barocchi, il padrone di casa sarà Johann Sebastian Bach, che verrà rappresentato dalla deliziosa cantata Nun komm der Heiden Heiland scritta per la prima Domenica di Avvento e dal celeberrimo mottetto Lobet den Herrn alle Heiden. Ovviamente, in un concerto del genere non poteva mancare il Concerto grosso op. 6 n. 8 “Fatto per la notte di Natale” di Arcangelo Corelli, uno dei brani più emblematici della Festa più dolce dell’anno. Al contrario, del tutto imprevedibile è la presenza della suggestiva ma quasi sconosciuta cantata Pastores loquebantur di Franz Xaver Brixi, compositore boemo di grande interesse, scomparso nel 1771 all’età di appena 39 anni.

La rassegna si chiuderà domenica 27 dicembre alle 18.30 con Oh di che lode, di che stupore, un concerto interamente dedicato all’eclettica figura di Benedetto Marcello, patrizio veneziano, che si seppe distinguere, oltre che come abile diplomatico della Serenissima, come letterato, pungente polemista (il suo Teatro alla moda delineò con graffiante ironia il panorama musicale dei suoi tempi), nonché raffinato compositore. Tra le opere più significative di colui che amava autodefinirsi “dilettante di contrappunto” spiccano i Salmi Davidici pubblicati nella raccolta Estro poetico-armonico, opere di grande originalità, nelle quali il compositore seppe inserire anche melodie tradizionali ebraiche, che dimostrano il grande rispetto che nutriva nei confronti della comunità ebraica, un fatto per nulla usuale all’epoca. Queste opere verranno eseguite dagli Armonici della Serenissima, un ensemble a geometria variabile costituito per l’occasione dal contralto Giovanna Dissera Bragadin, dalla gambista Silvia De Rosso (che eseguirà da solista una sonata per viola da gamba di Vivaldi) e dall’organista Luigino Favot. Da notare che questo concerto è stato registrato nella Chiesa di San Giovanni in Bragora di Venezia, un luogo particolarmente caro agli appassionati della grande musica, perché al suo interno nel 1678 ricevette il battesimo Antonio Vivaldi.

La “Censa di Placido” che incantò e ispirò Beppe Fenoglio

Dalla Fondazione “Bottari Lattes” al Comune di San Benedetto Belbo, passaggio delle consegne. Monforte d’Alba (Cuneo)

Luogo “in cui è custodito il vero spirito della Langa fenogliana”, più volte citato nelle opere dello scrittore albese – e per questo dichiarato nel 2012, dalla Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte, edificio di particolare interesse storico e culturale – la “Censa di Placido”, la “Casa di Placido”, passa dalla Fondazione “Bottari Lattes” al Comune di San Benedetto Belbo in cui la costruzione ( acquisita con asta pubblica nel 2010 dalla Fondazione di Monforte d’Alba ) ha sede.

Un passo importante. La concessione al Comune permetterà infatti di poter accedere con più facilità ai finanziamenti pubblici necessari per il completamento del restauro – già avviato in questi anni dalla stessa Fondazione con risorse proprie e con contributi della Fondazione C.R.C. e del G.A.L. (Gruppo azione locale Langhe e Roero Leader), oltre che della “Cantina Terre del Barolo” e della casa editrice “Einaudi” – dell’edificio, risalente alla prima metà dell’Ottocento, in pietra di Langa, con il tetto in lose e i solai in legno. Costruita nella centrale contrada dei Casazzi, a San Benedetto, in quell’alta Valle Belbo particolarmente amata da Beppe Fenoglio che (fra Cravanzana e San Benedetto, passando per Feisoglio, Niella Belbo, Mombarcaro e Bossolasco) era solito trascorrere qui gran parte delle sue vacanze estive, la “casa di Placido” da sempre soprannominata la “Censa di Placido”, era la classica bottega di paese che all’epoca vendeva di tutto, dai generi di monopolio agli alimentari alle stoviglie fino alla merceria e alla ferramenta ed era anche adibita a bar e osteria, denominata “L’Osteria dei fiori”, con il forno per il pane sul retro.

Rimasta aperta fino al 1991 e lungamente frequentata da Fenoglio, la censa è scenario e sfondo di diversi episodi narrati nelle sue opere, centro ideale del microcosmo paesano che rappresenta nei suoi racconti di Langa: il luogo degli incontri, dei dialoghi e dei pettegolezzi, delle aspirazioni, delle tragedie di una piccola realtà chiusa che diventa esemplare della condizione stessa dell’uomo nel mondo. Oltre che nel romanzo “La malora” ( “Dovevamo sentirci piuttosto forti se, quando io ero sugli otto anni, i miei tirarono il colpo alla Censa di San Benedetto. La presero invece i Canonica, coi soldi che s’erano fatti imprestare da Norina della posta”), è presente nei racconti “Un giorno di fuoco”, “Superino”, “La novella dell’apprendista esattore” e “Il paese”, dove lo scrittore racconta le partite di pallone elastico che si giocavano nel cortile dell’osteria.

Ricco di antiche suggestioni è anche lo spazio antistante alla “Censa”, con la panca di pietra sovrastata dai due maestosi ippocastani, sotto i quali lo scrittore amava sedersi a contemplare il Passo della Bossola, in attesa del passaggio della corriera di Alba, “madama la corriera”, momento che scandiva la vita del paese. Momento fra i tanti, insieme alle voci, alle chiacchiere alle rivalità e agli aneddoti buttati lì con una risata da quel Placido Canonica, gestore della “Censa”, arguto affabulatore di racconti – più o meno veri – della Langa fenogliana e lui stesso diventato protagonista costante delle storie che sanbenedettesi di Fenoglio. Oggi quei muri, quella slabbrata bottega su cui il tempo ha infierito non poco necessitano di un attento e definitivo restauro, garantito dalla concessione in usufrutto gratuito al Comune di San Benedetto Belbo. Sotto il segno di una garantita sinergia fra la Fondazione “Bottari Lattes” e l’amministrazione pubblica, con lodevoli prospettive e obiettivi ambiziosi. “La nostra volontà – spiegano Caterina Bottari Lattes, Presidente della Fondazione, ed Emilio Porro, Sindaco di San Benedetto– è quella di restituire alla comunità la vecchia osteria di Placido Canonica quale luogo di incontro e di attività culturali, allestendo anche il museo interattivo. Il sogno che ci impegniamo a far diventare realtà è fare rivivere questo spazio, così simbolico e ricco di letteratura e storia, come luogo di incontro, di scambio, di socialità e di lettura, con incontri, seminari, esposizioni. Ma anche creare un punto di accoglienza turistica e di ristoro per gustare la cultura attraverso i sapori enogastronomici del territorio”.
g. m.

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Nelle foto
– La “Censa di Placido”, com’é oggi
– Beppe Fenoglio
– Caterina Bottari Lattes

Passi stracciati

RILETTI PER VOI / “Passi stracciati” (Voglino editrice), il libro di Erri De Luca racconta l’incontro con i reclusi di un ospedale psichiatrico in Bosnia. Il testo, un vero e proprio romanzo poetico, è accompagnato dalle foto in bianco e nero di Claudio Massarente che “restituiscono l’abbandono di un popolo lasciato a se stesso.

Uno squarcio duro su un paese che scompariva, dopo la dissoluzione della ex Jugoslavia e l’incedere drammatico del conflitto che l’insanguinò nella prima metà degli anni ’90. “Eravamo troppo pochi per diventare lago e troppi per essere inghiottiti dalla terra”, diceva lo scrittore Mehmed Mesa Selimovic, bosniaco d’origine musulmana. L’incontro coi reclusi dell’ospedale psichiatrico bosniaco, dove la pazzia risulta essere più “normale” della guerra che si sta combattendo, si accompagna ai gesti di solidarietà verso la gente che soffriva, verso quel paese al quale la comunità internazionale aveva riservato una colpevole indifferenza che sfociò in silenziosa complicità con violenti e assassini. Una vicenda che annunciava come il dopoguerra sarebbe stato altrettanto duro quanto la guerra stessa. Dal testo è stato poi tratto l’omonimo spettacolo di Assemblea Teatro. Scrive Renzo Sicco, scrittore e regista, direttore artistico della compagnia teatrale torinese: “Ci impressionò:c’erano dentro guerra, dolore, violenza e amore. Decidemmo un allestimento per voce e percussioni, una batteria per simulare mitragliatrici e bombe. Un’assordante continua esplosione contro una voce flebile,che però diventa superiore perché la forza è motivata dall’amore”. “Passi stracciati” è una riflessione sull’assenza della comunità internazionale nella “guerra fredda” compensata, solo in parte, dal volontariato di tanti che, come Erri De Luca (a quel tempo autista di camion per il trasporto di viveri e medicinali),si prodigarono a garantire aiuti umanitari. Resta indelebile la terribile testimonianza di dolcezza della protagonista, Glazba. La ragazza, con la sua lucida follia, cancella la sua precedente identità ( Sjenka, “ombra”) e diventa “Glazba”, parola che in superficie appare dura ma dal significato dolce che, tradotta, equivale, a “musica”. La pazzia permette a lei di intravedere ancora un gesto possibile d’amore, negato invece nella realtà vissuta tutt’attorno e descritta con terribile efficacia dalle fotografie scattate nei luoghi in cui è ambientata la storia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Una lezione poetica contro i conflitti, i muri che vengono eretti, il nazionalismo esasperato al punto da generare odio e violenza. Una buona lettura utile per riflettere sul recente passato e – per dirla con le parole di Predrag Matvejević, indimenticabile e finissimo intellettuale – riflettere sul recente passato per capire il presente e pensare al futuro, “poiché un popolo non esiste senza la sua memoria”.

Marco Travaglini

Opera Viva Barriera di Milano, Luisa Turuani: Ma non è questo il giorno (2020)

Flashback, l’arte è tutta contemporanea presenta:  The flashback special project Opera Viva Barriera di Milano, il Manifesto

Luisa Turuani
Ma non è questo il giorno (2020)

Inaugurazione in diretta Facebook (@flashbackfair)
Mercoledì 16 dicembre, ore 18.30

Mercoledì 16 dicembre alle ore 18.30 in diretta Facebook  @flashbackfair – da piazza Bottesini a Torino si inaugura l’ottavo manifesto di Opera Viva Barriera di Milano, progetto ideato da Alessandro Bulgini, curato da Christian Caliandro e sostenuto dalla fiera d’arte Flashback: Ma non è questo il giorno (2020) di Luisa Turuani.

Il tema della fiera Flashback è Ludens, ispirato al racconto di fantascienza La variante dell’Unicorno di Roger Zelazny e all’opera di Johan Huizinga: il gioco inteso dunque come fondamento della vita umana e della creatività, come approccio fondamentale per la ricostruzione continua del mondo e come attività sacra.

Quest’anno il progetto Opera Viva Barriera di Milano, che solitamente terminava con la fine della fiera in presenza al Pala Alpitour, si è esteso nel tempo – grazie al sostegno delle istituzioni pubbliche e private torinesi – con altre due opere, quella di Gianmarco Cugusi presentata il 25 novembre e quella di Luisa Turuani, che si sono classificate subito dopo i due vincitori della open call (Noura Tafeche e Luigi Presicce) nella valutazione della giuria.

L’opera di Luisa Turuani è parte di una “performance a tempo variabile”: il gelato si scioglie lentamente, cola lungo il braccio, i colori si mescolano e si sovrappongono. Il riferimento alla Statua della Libertà rimanda a un’idea di liberazione, mentre l’evento dello ‘scioglimento’ segnala una sorta di paralisi ironica, di tragedia che non si innesca e che continuamente si ripiega su sé stessa. Si genera così una tensione sottile tra dramma e ironia, tra azione e inazione.

Quella di Turuani è un’immagine sul tempo e fatta di tempo, sullo scorrere del tempo e sul suo fermarsi, sul suo cristallizzarsi: il tempo come durata ma anche come attimo, come sospensione metafisica, come immagine fissa che comprende e non contiene un’azione, un protrarsi.

Come scrive l’autrice nella sua presentazione del manifesto: “L’azione si rivolge a un vicolo cieco, nessuno verrà, ma nel caso in cui qualcuno dovesse arrivare non vorrebbe essere lì. Nulla accade se non l’evidenza del tempo che passa, la gloriosa maestà del piacere di essere ora.”

Luisa Turuani (Milano, 1992) vive e lavora a Milano. Dopo aver studiato scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, Luisa Turuani indaga la natura umana per mezzo dei desideri che l’uomo investe sugli oggetti. Recenti mostre personali e collettive includono: Domani Qui Oggi, Palazzo delle Esposizioni, Roma; Artagon Live, Parigi, 2019; GQ-Passion for the path of art, Cardi Gallery, Milano, 2019; BienNoLo, Milano, 2019; UKYA City Take Over, Nottingham, 2019; Non sto più nella pelle, Brescia, 2019; Vanno e vengono dalle mie mani, riss(e), Varese, 2018; Tirarsi fuori, P420 Gallery, Bologna, 2017, Artagon III, Parigi, 2017. Ha partecipato a numerosi premi: nel 2019 è tra i vincitori del Premio AccadeMibact, del Premio O.R.A. ed è finalista del Premio Laguna; lo stesso anno vince il Premio Combat per la sezione video. Nel 2018 vince il Premio Nocivelli ed è finalista al Premio Fabbri e al Premio Arteam.

“Colui il cui nome…”, ovvero la storia del barone Lamberto

Tradotto in moltissime lingue, con la sua intelligente leggerezza, resta uno degli omaggi più belli alla terra  dove lo scrittore nacque il 23 ottobre del 1920

 

“In mezzo alle montagne c’è il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a metà, c’è l’isola di San Giulio. Sull’isola di San Giulio c’è la villa del barone Lamberto,un signore molto vecchio (ha novantatre anni),assai ricco (possiede ventiquattro banche in Italia, Svizzera, Hong Kong, Singapore, eccetera),sempre malato.

Le sue malattie sono ventiquattro.Solo il maggiordomo Anselmo se le ricorda tutte.Le tiene elencate in ordine alfabetico in un piccolo taccuino:asma, arteriosclerosi, artrite, artrosi,bronchite cronica, e così avanti fino alla zeta di zoppia. Accanto ad ogni malattia Anselmo ha annotato le medicine da prendere, a che ora del giorno e della notte,i cibi permessi e quelli vietati,le raccomandazioni dei dottori..“Stare attenti al sale, che fa aumentare la pressione”, “Limitare lo zucchero, che non va d’accordo con il diabete”,”evitare le emozioni, le scale, le correnti d’aria,la pioggia, il sole e la luna”. Così inizia C’era due volte il Barone Lamberto ovvero I misteri dell’isola di San Giulio”  , uno dei racconti più belli scritti per i ragazzi da Gianni Rodari , utilizzando la forma del romanzo breve. L’intera narrazione si dipana attorno al rocambolesco tentativo, messo in atto dal barone Lamberto, insieme al fido maggiordomo Anselmo, di evitare un ormai inevitabile trapasso a miglior vita. L’isola di San Giulio, il Lago d’Orta e i suoi dintorni diventano protagonisti, insieme al barone e ai vari personaggi, del racconto rodariano. Il vecchio e ricchissimo novantaquattrenne barone Lamberto vive in una villa sull’isola di San Giulio con il maggiordomo Anselmo e sei persone il cui impiego  consiste nel ripetere  sempre , a turno, lungo le ventiquattr’ore, il nome del barone in un microfono: Delfina, Armando, il signor Giacomini, la signora Zanzi, il signor Bergamini e la signora Merlo.

Queste sei persone, per ogni “Lamberto” pronunciato vengono profumatamente pagate poiché  questo è il segreto che tiene in vita il barone, e Lamberto ha iniziato a metterlo in pratica dopo aver sentito una profezia a riguardo (colui il cui nome è sempre pronunciato resta in vita) da un arabo durante un viaggio in Egitto. Così, mentre le voci dei sei si diffondono nel palazzo del barone attraverso un sistema di piccoli altoparlanti posizionati ovunque, il nobiluomo ringiovanisce ogni giorno sempre di più, nonostante le 24 malattie di cui soffre ( che il fido Anselmo  ha scritto in ordine alfabetico nel suo taccuino). Ma un giorno l’isola di San Giulio viene occupata da una banda di malfattori che  sequestrano il barone, chiedendo ai direttori delle ventiquattro banche che possiede forti somme di denaro in cambio della sua libertà.  La storia va letta e non raccontata: solo così si scopriranno i progetti del nipote del barone, Ottavio, e come finirà  l’intera vicenda. Le storie di Rodari offrono divertimento e una girandola di situazioni e personaggi esilaranti: un modo di comprendere questo nostro mondo. E, come ha fatto spesso, anche in questo caso lascia che il finale sia deciso dal lettore. L’idea del racconto venne spiegata  così dallo stesso autore : “…il  barone Lamberto è nato diversi anni fa, in un appunto a margine di un libro sulla religione dell’Antico Egitto”, In quel libro avevo trovato un versetto che mi aveva colpito: “L’uomo il cui nome è detto resta in vita”. Lì per lì sembrava solo una poetica immagine dei rapporti tra vivi e defunti: questi, in qualche modo, continuano a vivere fin che si parla di loro, fin che il loro nome e la loro memoria tornano nei discorsi dei loro cari. Io però ho preso il versetto alla lettera come si vedrà. Così è nato il libro. Di più non posso dire, altrimenti toglierei ogni sorpresa al racconto”. Gianni Rodari confessò di aver scritto questa storia “ dopo averla raccontata a voce decine e decine di volte ad altrettante scolaresche, delle elementari e delle medie, da un capo all’altro della penisola. Ogni volta ricevevo critiche, suggerimenti, proposte. Ogni volta arricchivo la storia di nuovi episodi, vi scoprivo nuovi significati…Dovendo preparare un’edizione per le scuole medie ho subito rinunciato ad aggiungere, pagina per pagina, note esplicative, chiarimenti di parole, informazioni sui luoghi e simili. Non mi sembravano indispensabili: per i luoghi, basterà dare un’occhiata alla carta geografica del Piemonte, per le parole, basterà un vocabolario, e il piacere di sfogliarlo”. Così venne alla luce “C’era due volte il Barone Lamberto” che , tradotto in moltissime lingue, con la sua intelligente leggerezza, resta uno degli omaggi più belli alla terra  dove lo scrittore nacque il 23 ottobre del 1920.

Marco Travaglini

 

Quando guidavano le stelle

Di porto in porto, di tappa in tappa, si frequentano epoche diverse, vivendo il clima di Atene nel V secolo avanti Cristo, di Cartagine alla vigilia della terza guerra punica oppure della stupenda Valencia del Cid Campeador per non parlare  della Genova medievale, dell’affascinante Istanbul

Quando guidavano le stelle. Viaggio sentimentale nel Mediterraneo” è l’interessante libro di Alessandro Vanoli pubblicato da Il Mulino nella collana Intersezioni. Un viaggio dove conta il sentimento ma anche la realtà delle rotte, di incontri e storia perché “troppo poco quello che gli storici sanno davvero degli uomini di cui scrivono, delle loro paure e dei loro sogni; troppo distanti le loro passioni, le loro voci. Proprio per questo è necessario issare le vele e, con gli occhi alle stelle, raccontare semplicemente un viaggio”.In quattro navigazioni , il viaggio si snoda dall’Egeo dei tempi di Ulisse alle coste romane di Ostia, da Costantinopoli all’Andalusia, da Ragusa a Cipro e infine da Alessandria d’Egitto a Ravenna. Di porto in porto, di tappa in tappa, si frequentano epoche diverse, vivendo il clima di Atene nel V secolo avanti Cristo, di Cartagine alla vigilia della terza guerra punica oppure della stupenda Valencia del Cid Campeador per non parlare  della Genova medievale, dell’affascinante Istanbul, sospesa tra mondi e culture, e la Napoli dell’inizio del Novecento. Ogni approdo in un porto  narra un pezzo di storia del Mediterraneo, talvolta evocando il ricordo di grandi eventi o riscoprendo personaggi ormai dimenticati, ma sempre parlando di questo mare:  il Mediterraneus, che significa in mezzo alle terre, il “mare bianco” dei turchi o il “mare nostrum” dell’antica Roma.

Marco Travaglini

Liberi elettori e Mpp: “Biblioteca Bodrero”

SALUZZO:  “INTITOLATE LA BIBLIOTECA CIVICA AD ANTONIO BODRERO”

‘Signor Sindaco intitoli la Biblioteca di Saluzzo ad Antonio Bodrero’.

La richiesta viene dal Movimento Progetto Piemonte e dai Liberi Elettori Piemonte ed è contenuta in una lettera inviata al primo cittadino di Saluzzo, Mauro Calderoni. Massimo Iaretti, presidente di MPP e consigliere comunale di Villamiroglio con delega all’Identità Piemontese (unica del genere in Piemonte) ed Emiliano Racca, saluzzese, segretario dei Liberi Elettori Piemonte nella missiva l’importanza del ruolo di Bodrero nella cultura piemontese, della Provincia di Cuneo e della Città di Saluzzo.

L’intitolazione della Biblioteca di Saluzzo ad Antonio Bodrero – dicono Massimo Iaretti ed Emiliano Racca – sarebbe un giusto riconoscimento ad una persona che molto ha dato alla cultura piemontese nel secolo scorso. L’auspicio è che l’amministrazione comunale di Saluzzo tenga conto di questa indicazione”.

 

Ecco alcuni dati su Antonio Bodrero:

Antonio Bodrero (Barbo Toni Bodrìe) è forse il più grande visionario della poesia dialettale(piemontese e provenzale) del Novecento. Nella sua opera aleggia un sentimento profondo per la natura, un animismo cristiano che coglie in ogni minimo fenomeno l’epifania del Dio evangelico, laconferma del suo amore verso le creature.

Con Bodrìe – come già era avvenuto con Mistral nell’Ottocento – l’antica lingua d’oc dei trovatori esce dal sonno di tanti secoli bui e ritrova prodigiosamente lo splendore delle corti duecentesche.

Nativo della Val Varaita, fu a lungo legato a Saluzzo, dove risiedeva con la famiglia, e alla cultura del territorio del già Marchesato di Saluzzo. Fu prima insegnante di storia dell’arte al Liceo Classico di Saluzzo, poi direttore della Biblioteca Civica di Saluzzo stessa.

Vinse numerosi premi di letteratura e concorsi di poesia, i premi poetici rimasero per tutta la sua vita una delle sue passioni, una concessione alla vanità.

Una volta in pensione, continuò a dedicarsi alla poesia, alla vita culturale e politica, avendo fondato prima il Movimento Autonomista Occitano, militando poi nei movimenti piemontesisti con cui venne eletto ancheconsigliere regionale. Ma è alla riscoperta, valorizzazione ed elaborazione della cultura occitana e piemontese – poetica, letteraria, artistica e politica -, che Bodrero dedicò tutta la sua vita itinerante

Tra le sue opere principali: Cristina, poema sacro (Operaia, Saluzzo 1958); La gioia dei giorni(Santa Maria degli Angeli, Verzuolo 1966); Solestrelh òucitan (Movimento autonomista occitano, Cuneo 1971); Val d’Inghildon (Centro studi piemontesi, Torino 1974); Sust (Ël pèilo, Mondovì 1985); Dal prim uch a l’aluch (Centro studi piemontesi, Torino 2000); Grinor(Primalpe, Boves 2000); Opera poetica occitana (Bompiani, Milano 2011).

Villamiroglio/Saluzzo, 13 dicembre 2020

Massimo Iaretti   Consigliere delegato all’Identità Piemontese  del Comune di Villamiroglio ​Presidente MPP – Movimento Progetto Piemonte


Emiliano Racca
 Consigliere del Comune di Villamiroglio Segretario dei Liberi Elettori Piemonte

 

 

La falsa giustizia

L’errore umano, detto bias di conferma in psicologia cognitiva, è all’origine dell’errore giudiziario nella casistica di omicidio, sia nella fase dell’indagine investigativa vera e propria sulla scena del crimine, sia in quella dibattimentale e giudiziaria nei tribunali.

L’affidabilità dell’esame del Dna come prova e la delicatezza della sua repertazione empirica, come la fallacia del contenuto della testimonianza, portano sempre più frequentemente alla condanna dell’innocente e all’assoluzione del colpevole, in una quantità sempre maggiore di sentenze, negli Stati Uniti della Common Law come nel nostro Paese, fondato sul diritto romano. A raccontarci tutto questo e a provare ha ovviare a questi gravi problemi, sono il Generale dei Carabinieri in congedo, perito legale,  biologo e fondatore dei RIS di Parma Luciano Garofano ( consulente di serie televisive R.I.S.- Delitti imperfetti, Quarto Grado su Rete 4 ) e la sociologa e antropologa criminale Maria Gaia Pensieri ( attiva sulla violenza di genere e il cyberbullismo ) nel loro ultimo saggio scientifico presentato a Casale Monferrato che ha per titolo ‘’ La Falsa Giustizia, la genesi degli errori giudiziari ’’( Infinito Edizioni, pgg.299, euro 17 ).  Partendo dalla disamina dettagliata di vicende criminali italiane ( i casi di Perugia Kercher-Knox-Sollecito, Cogne-Franzoni, Bossetti-Gambirasio, Vannini, Basile e molti altri ) e altrettante americane ( Castillo, Alcox, Krone, Maye etc. ) analizzate ai raggi x  e comparate, si arriva a raccontare i prodromi e la nascita dell’iniziativa dell’avvocato Baldassare Lauria, che realizza in Italia il ‘’Progetto Innocenti ’’ sul modello Ong americano dell’ ‘’Innocence Project’’ del 1992 ideato dagli avvocati Barry Scheck e Peter Neufeld della ebraica ‘’Yeshiva University Benjamin Cardozo School of Law’’. Un sodalizio di legali, ex detenuti, esperti di scienze umane e sociali che è riuscito a scagionare, grazie alla revisione del processo 365 persone, venti delle quali già nel braccio della morte, grazie all’esame del Dna e altre tipologie di prove. La prima sede italiana fondata nel 2014, dall’avvocato Luca Luparia, ha sede a Milano, è ramificata su tutto il territorio nazionale e fornisce il supporto scientifico e legale per la ricerca di nuove prove, utili alla revisione dei processi e la necessaria assistenza legale. Oggi quindi si rende opportuna nel campo della giustizia, una riforma che tenga conto dei progressi scientifici e tecnologici raggiunti nelle varie discipline, come una Banca dati nazionale del Dna, aggiornata sulle nuove normative internazionali ed europee, non solo centrata sulla tutela della privacy. Perché chiunque si trovi a giudicare può incorrere in errori fatali. Le più recenti teorie psicologiche, ci dicono che si tratta di errori sistematici, insiti nel comune modo di ragionare dell’essere umano, in situazioni di incertezza. Vanno attuati tutti gli sforzi per ridurre questo rischio alla stregua delle manovre di rianimazione quando un cuore smette di battere.

Aldo Colonna