CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 367

Un dongiovanni mordi e fuggi, allegramente diviso tra vita e teatro

Sul palcoscenico dell’Erba “Il fidanzato di tutte”

Il mondo dello spettacolo, un gruppo di ragazze e ragazzi, aspiranti attori e cantanti, ballerini, in un continuo alternarsi di successi e piccole delusioni. Il mondo dei provini e delle audizioni, dei talent che possono aprire ogni porta, di un successo improvviso che ti potrebbe imporre come stella di prima grandezza, una scommessa all’estero che potrebbe farti fare un bel salto nel mondo internazionale. Un gruppo dove circolano affetti e amicizia, storie d’amore che si sgonfiano come sono sbocciate o avventure che mescolano improvvisazioni e sesso, quando si arriva al dunque cui tutti aspirano. Magari anche un briciolo più o meno grande di invidia, ti verrebbe da pensare. Al centro del gruppo è “Il fidanzato di tutte” – autori Francis Jackets e Jérôme Dagneau (viene il dubbio che, almeno in buona parte, qualcuno si nasconda dietro questi nomi, qualcuno vicino a Torino Spettacoli? e poi: quanto c’è di aggiornato o di autobiografico nelle parole di Luca e dei suoi compagni?), regia di Girolamo Angione, in scena all’Erba sino a domenica 20 -, ovvero quel Luca, bello, spigliato, rubacuori, “dongiovanni mordi e fuggi”, casanova senza freni, che cerca di far innamorare tutte le ragazze che gli capitano a tiro, avventure sui due mesi e niente più, sicuro di far breccia ma sempre lasciato a bocca asciutta: e così, con tutta la debolezza che fa da contraltare alla spudorata esistenza di ogni giorno, si rifugia nei consigli di una invisibile quanto ironica psicologa (il lettino delle confessioni è al centro della scena firmata da Gian Mesturino), o tenta di fare suoi i face time che il primo amore, un’attrice più grande di lui ormai ritiratasi lontano dai palcoscenici, nella tranquilla casa in riva al lago, gli elargisce, pieni di ricordi e di speranze verso il futuro soprattutto, con il grande e materno comandamento di abbracciare in maniera definitiva e seria il teatro. Nel tentativo di rimettere ordine nella sua vita sentimentale e di dar corso ai suoi progetti di lavoro, Luca dovrà anche accorgersi che i sentimenti più autentici gli vengono da un amico del gruppo, che forse per troppo tempo se ne è rimasto zitto.

Decisamente brillante, divertente, infiorettata di dialoghi quasi mai banali, eccellentemente frizzante nelle coreografie e nelle canzoni che tutti prima o poi si ritrovano a cantare, a dimostrazione di quanto siano bravi (non tutti sullo stesso livello, ma le strade sicure sono già parecchie), “Il fidanzato di tutte” va a nozze con il suo interprete principale, Elia Tedesco, ormai faccia di riferimento per Torino Spettacoli, disinvolto quanti altri mai, piacione in perfetta e sfacciata consapevolezza, pronto allo stesso modo a ballare come a mettersi in cache-sex dorato e accappatoio ben aperto, per quello che ora è a tutti gli effetti il suo pubblico. Lui sorride e si inventa facce, ci sa fare, spadroneggia sul palcoscenico, sa costruirsi una comicità immediata, e se c’è un momento di stanca è pronto a riprendere il ritmo.

Elio Rabbione

La riqualificazione di Staffarda

Con i lavori di restauro e risanamento conservativo delle coperture del complesso abbaziale di Staffarda, la F.O.M. – Fondazione Ordine Mauriziano ha compiuto il primo passo di un progetto più ampio per il rilancio e la valorizzazione di uno dei più grandi monumenti medioevali del Piemonte

 

La riqualificazione del complesso abbaziale e del borgo rurale di Staffarda – nell’ambito della partecipazione al Bando Regione Piemonte (a cui sono stati destinati complessivamente 750mila euro) per la valorizzazione del distretto UNESCO piemontese – è partita il 12 novembre scorso con i lavori di restauro e risanamento conservativo delle coperture del complesso abbaziale. I 559.709 euro sono cofinanziati con i fondi FSC (Fondo di Sviluppo e Coesione).

«I restauri – sottolinea Marta Fusi, dirigente F.O.M.– rappresentano solo il primo passo di un progetto più ampio per il rilancio e la valorizzazione dell’intero complesso che comprende sia la parte aulica e sia la parte rurale di un simbolo del territorio cuneese e piemontese ed esempio del patrimonio della Fondazione Ordine Mauriziano dal grande valore identitario e culturale da tutelare e riscoprire».  

Il complesso abbaziale di Staffarda è un caso esemplare di bene culturale catalizzatore di dinamiche di sviluppo sostenibile. Tutto il progetto, comprese le fasi autorizzative, e la fase realizzativa, è stato coordinato e seguito, anche nel ruolo chiave della direzione dei lavori, dal personale degli uffici interni della F.O.M.

Nello specifico, il progetto di restauro prevede la messa in sicurezza di una grande parte delle coperture del complesso abbaziale, a cominciare dalla manica su piazza Roma (quella sovrastante, tra l’altro, la biglietteria e il Bar “Il Sigillo”), che nel tempo aveva evidenziato problematiche anche di natura strutturale, con cedimenti e rotazioni di alcune capriate che richiedevano interventi urgenti per mantenere le necessarie condizioni di sicurezza.

Verranno sostituite quindi alcune travi dell’orditura principale portante nell’area “ex-granaio”, ormai giunte alla fine della vita utile, e realizzata una cordolatura di collegamento di tutte le capriate per rendere meno sensibile, nel futuro, l’intera orditura a fenomeni di sbandamento. L’intervento di risanamento conservativo interessa inoltre l’intera copertura della chiesa abbaziale, la totalità dei tetti del chiostro (compresa la parte in “lose” di pietra) ed alcuni fabbricati accessori, con livelli di intervento diversificati a seconda dello stato di conservazione di ciascuna porzione di copertura, che è stato indagato in fase di progetto avvalendosi di sopralluoghi minuziosi e persino di un volo eseguito con un drone che ha fornito interessanti viste da cui i progettisti della F.O.M. hanno tratto dati importanti sullo stato di conservazione dei manti di copertura in coppi.

«I limiti economici del finanziamento – precisa Luigi Valdemarin, architetto F.O.M. – purtroppo non permettono di dare una risposta esaustiva a tutte le criticità rilevate, ma sono fondamentali per garantire la conservazione del complesso architettonico e innescare un processo che possa portare, nel prossimo futuro, a recuperare anche altre porzioni del complesso abbaziale al fine di ampliare l’attuale percorso museale».

Il rifacimento dei manti di copertura, secondo gli accordi intercorsi tra Soprintendenza e uffici F.O.M., non comporterà variazioni significative dal punto di vista dell’impatto estetico: tutti i coppi antichi ancora in buone condizioni verranno recuperati e utilizzati come copertura, mentre i cosiddetti “coppi canale” (quelli inferiori) verranno sostituiti con manufatti nuovi, dotati di ganci atti a prevenirne lo scivolamento e quindi più sicuri e duraturi, ma di tipo “anticato”, quindi quasi indistinguibili dal manufatto storico.

Una particolare attenzione è stata prestata anche al tema del rispetto dell’ambiente, con l’adozione di particolari accorgimenti volti alla tutela dei chirotteri, che ormai fanno parte integrante dell’ambiente storico dell’abbazia. A questo proposito, i progettisti, in accordo con l’Ente Parco del Monviso, hanno prescritto l’utilizzo di impregnanti e vernici per le strutture lignee esenti da componenti ritenute tossiche per le specie animali presenti nella zona, oltre che ovviamente per l’uomo.

 

ABBAZIA DI S. MARIA DI STAFFARDA

 

Staffarda rappresenta storicamente e culturalmente un perno per il territorio cuneese e piemontese, in quanto borgo cistercense e rurale. Fondata tra il 1122 e il 1138 sul territorio dell’antico Marchesato di Saluzzo, l’Abbazia benedettina cistercense aveva raggiunto in pochi decenni una notevole importanza economica quale luogo di raccolta, trasformazione e scambio dei prodotti delle campagne circostanti, rese fertili dai monaci con estese e complesse opere di bonifica. L’importanza economica aveva portato all’abbazia privilegi civili ed ecclesiastici che ne fecero il riferimento della vita politica e sociale del territorio.

Nel 1690 i Francesi, guidati dal generale Catinat, invasero l’Abbazia distruggendo l’archivio, la biblioteca, parte del chiostro e del refettorio; dal 1715 al 1734, con l’aiuto finanziario di Vittorio Amedeo II, vennero effettuati lavori di restauro che in parte alterarono le originali forme gotiche dell’architettura. Con Bolla Pontificia di Papa Benedetto XIV, nel 1750, l’Abbazia ed i suoi patrimoni divennero proprietà dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, ed eretti in Commenda.

Del complesso abbaziale si evidenziano in particolare la Chiesa, con il Polittico di Pascale Oddone e il gruppo ligneo cinquecentesco della Crocifissione, il Chiostro, il Refettorio, con tracce di dipinto raffigurante “L’ultima cena”, la Sala Capitolare e la Foresteria. Gli altri edifici costituiscono il cosiddetto “concentrico” di Staffarda, ossia il borgo, che conserva tuttora le storiche strutture architettoniche funzionali all’attività agricola, come il mercato coperto sulla piazza antistante l’Abbazia e le cascine.

 

INFO

www.ordinemauriziano.it

Ivrea Capitale del Libro, il plauso della Regione

«La notizia dell’assegnazione ad Ivrea di Città Capitale del Libro deve riempire di orgoglio non soltanto la comunità eporediese ma tutti i piemontesi, un riconoscimento che premia la cultura umanistica del lavoro nella terra di Adriano Olivetti, un imprenditore ispirato dalla lettura e dallo studio in cui tutti gli italiani si riconoscono nel segno del lavoro e dell’ingegno. Con Ivrea il Piemonte diventa a tutti gli effetti un territorio Faro nel campo della Cultura».

Così il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore alla Cultura Turismo e Commercio Vittoria Poggio dopo l’assegnazione a Ivrea di Capitale Italiana del Libro 2022.

«La Regione – hanno sottolineato il Presidente e l’Assessore – ha sempre creduto nella candidatura nazionale della città, ed è oggi più che mai al fianco dell’amministrazione che si aggiunge a Torino e al Piemonte come territorio trainante nel campo librario e della lettura».

Chinese Beauties: lo Spazio Musa di Torino ospita il SuperMao sorridente di Xu De Qi

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Dopo la personale di Zhang Hong Mei, prosegue il progetto del polo museale che approfondisce le personalità della nuova scena artistica cinese contemporanea

 

Fino al 20 marzo 2022, lo Spazio Musa di Torino (Via della Consolata, 11) ospita Chinese Beauties, la mostra personale dell’artista cinese Xu De Qi, uno dei maestri indiscussi della Nuova Pop Art Cinese.

 

Con questa mostra, il polo museale torinese, che aveva già ospitato la personale di Zhang Hong Mei, prosegue il suo progetto di approfondimento delle più importanti personalità della nuova scena artistica cinese contemporanea, che si stanno affermando sempre di più come veri e propri talenti a livello mondiale.  

 

Tra le opere esposte, anche SuperMao, un’opera iconica ed emblematica della nuova Cina di Xi Jinping, proiettata verso la conquista non solo del mondo, ma anche dell’universo, che ritrae un Mao sorridente che sovrasta la Terra, sfrecciando verso il cielo. 

 

Si tratta della prima mostra personale dell’artista a Torino, organizzata da Diffusione Italia e curata da Vincenzo Sanfo, che mostrerà l’evoluzione della sua arte e del suo punto di vista sul mondo. Un piacevole viaggio in grado di far scoprire la particolarità di un artista originale, ma anche uno spazio espositivo del tutto particolare, che trasuda la storia di una città costruita su reperti di epoca romana stratificati tra medioevo e settecento, un luogo unico e fortemente impressivo.

 

Nato nel 1964, a cavallo tra la fine dell’epopea maoista e il boom economico cinese di questo millennio, Xu De Qi è una sorta di caposcuola di quello spirito nuovo e critico verso un modo vecchio e stantio di fare arte in Cina. Un modo ancora irrimediabilmente legato a schemi ormai superati dal tempo, e spesso ancorati a riletture pedisseque di temi antichi, ripetuti infinitamente.

 

Il suo lavoro è ludico, gioioso, colorato e di chiara matrice Pop, ma privo, per ragioni generazionali, di quelle rivendicazioni di tipo politico che hanno caratterizzato, anche in maniera commercialmente cinica, i lavori della generazione a lui di poco precedente.

 

La sua visione ottimista è quella di nuova Cina irrimediabilmente proiettata verso un futuro, irreversibile, nonostante le brusche frenate di una classe politica che fatica ad adeguarsi ai cambiamenti. Un approccio che rende l’arte di Xu DeQi un vento fresco e rilassante, pieno di grandi speranze, in un futuro da lui rappresentato da giovani ragazze che oscillano tra tradizione e innovazione .

 

Le sue immagini, divenute elementi iconici, sono spesso utilizzate in Cina o negli Stati Uniti dai media per raccontare la Cina contemporanea, vista attraverso le sue opere con un sottile velo di ironica provocazione verso modi e metodi di vita presi a modello dalle nuove generazioni cinesi.

 

Noto e apprezzato a livello internazionale, ha esposto in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Europa, prendendo parte anche ad esposizioni presso i più prestigiosi spazi espositivi, come la Biennale di Venezia, il Centre Pompidou, il Coral Spring Museum, il Barbican Center for thé Arts. 

 

MUSA è un luogo magico e ricco di storia nel centro storico della città millenaria, al crocevia di sotterranei che univano tra di loro i palazzi nobiliari del tempo.

Il recupero architettonico è avvenuto vivendo e respirando i muri e i pavimenti che venivano alla luce e che facevano apparire nuovamente la propria anima solenne, dopo essere rimasti nascosti nei secoli sotto fredde coperture cementizie. Un luogo intriso di sacralità ai piedi della Madonnina Consolatrice, a cui i torinesi hanno sempre affidato i loro voti, ma anche dolcemente romantico per le storie ricche di passione e tormenti vissute nel sottosuolo.

Il design, curato interamente dal proprietario, ha rafforzato la naturale bellezza di ciò che rappresenta l’immenso patrimonio storico, culturale ed artistico che è conservato nei nostri palazzi, diventandone un luogo di profonda ispirazione.

 

La mostra di Xu Deqi sarà aperta al pubblico con ingresso gratuito sino alla fine di marzo. 

 

Informazioni sulla mostra

Dove

Spazio Musa

Torino, Via della Consolata, 11, (TO)

 

Quando

Fino al 20 marzo 2022

 

Orario di apertura

Da martedì a sabato 15:00 – 19:00 

Lunedì e domenica chiuso

 

Costo

Ingresso libero

 

Sito web: https://spaziomusa.net

L’acceso colorismo di Georgij Moroz, tra nevi e girasoli

Nelle sale della Galleria Pirra

Di Georgij Moroz, uno dei maggiori rappresentanti del postimpressionismo russo, la torinese Galleria Pirra (corso Vittorio Emanuele II 82) presenta nelle sue sale una serie di oli di medie e grandi dimensioni, poetiche nevi e coloratissimi fiori, ad esaltazione della natura che circondava l’artista, angoli presi dal giardino di casa o distese bianche poco lontane, nell’immagine esatta di quei fiocchi appena caduti o del disgelo, di inverni freddissimi che non accennano a finire o di un cielo azzurro che timidamente, a poco a poco, tenta di imporsi all’orizzonte.

Moroz nasce in Ucraina, a Dneprodzerzinsk, nel 1937, passa attraverso gli insegnamenti della scuola d’arte della città d’origine e quelli della scuola di belle arte di Kiev, per portare a termine il ciclo di studi dell’Accademia di San Pietroburgo (dove morirà nel 2015) all’inizio degli anni Sessanta. L’attività espositiva inizia un decennio più tardi e s’intensifica a partire dal 1980 con numerose mostre anche all’estero (passò anche a Torino, in queste stesse sale instaurò non solo un rapporto tra gallerista e artista ma una vera occasione d’amicizia), con varie personali di spiccato successo. Nel 2002 espone alla mostra per i 70 anni dell’Unione dei Pittori di San Pietroburgo e l’anno successivo è presente alla rassegna per celebrare i trecento anni della fondazione della città. Lontano dai soggetti “alti”, dagli schemi celebrativi di regime che al contrario occupano le opere di altri artisti suoi contemporanei, Moroz si affida alla natura che lo circonda, ne cattura tutta la poesia, continua, quotidiana, attraverso un colorismo estremamente squillante, acceso e reso ancor più “presente”, tangibile, dalle pennellate che depone – ti verrebbe da dire, per alcuni casi, quasi con ostinazione e rabbia – sulla tela. Sono grumi biancastri o gialli o violacei, prepotenti, aree massicce, stesi a volte direttamente dal tubetto, a riempire la tela. Si imbatte felicemente e rende con una verità davvero concreta, immerso in un favolistico en plein air, i pini ancora circondati dalla coltre bianca (“La gazza ladra” del 2007 e la staccionata e il covone ricoperti di “Appena nevicato” del 2004) e le apparizioni di piccoli laghi ghiacciati, come ricostruisce le tante suggestioni personali che gli suggeriscono una panca di legno più o meno nascosta tra gli alti girasoli, a ridosso di una finestra della casa (“Pioggia con il sole”, 2003), o le vaste distese di glicini (“Viola vellutato”, 2005), forse i suoi fiori preferiti che dipinge con più gioia, o i piccoli vasi di fiori poggiati su un tavolo, all’aperto, sotto la luce di un sole che preannuncia la primavera.

O ancora quel panorama che suddivide cielo e terra, questa percorsa da un torrente intensamente azzurro, con le mucche al pascolo e le basse erbe battute dal vento, quello percorso da nuvole cariche e copiose, nell’immagine affettuosa che Moroz offre della sua terra. Soggetti immediati e semplici, la realtà di ogni giorno, ripetuti in piccole varianti più e più volte ma sempre capaci di raccontare una storia propria.

Sempre, in ogni soggetto, nasce una sorprendente luminosità, dentro una natura dolce e prepotente al tempo stesso, un omaggio a quanto circonda l’autore: soltanto un paio sono in mostra gli esempi di personaggi ad occupare la tela, il bimbo intento a leggere all’interno della casa (“Lettura”, 2001) e “La ragazza col cappellino rosso” (2001), dai tratti nervosi ma felice rappresentazione di un momento di tranquillità. La mostra rimarrà aperta sino al 27 marzo. Da vedere.

Elio Rabbione

Nelle immagini:

Georgij Moroz, “Pioggia con il sole” (2003); “La gazza ladra” (2007); “Vicino al fiume” (1998)

“Torinese del Sud”. 2022: corre l’“anno leviano”

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Proseguono alla “Fondazione Giorgio Amendola” di Torino, in occasione dei 120 anni dalla  nascita di Carlo Levi, gli incontri dedicati al poledrico artista “torinese del Sud”

Il prossimo appuntamento govedì 17 febbraio

Scrittura e arte. Cinema. Impegno politico e sociale. Su questi temi si incentrano gli incontri organizzati dallo scorso dicembre dalla torinese “Fondazione Giorgio Amendola”, in concerto con l’“Associazione Lucana in Piemonte” e in collaborazione con il “Centro Studi Piero Gobetti”, in occasione e a ricordo dei 120 anni dalla nascita di Carlo Levi  (Torino, 1902 – Roma, 1975). A corollario e in contemporanea alla suggestiva mostra dedicata  (fino al prossimo 4 marzo) sempre negli spazi della Fondazione di via Tollegno, a “I volti del ‘900 nei ritratti di Carlo Levi”, gli incontri – tesi a dare il giusto peso e valore nel panorama culturale del secolo scorso alla figura di uno scrittore, pittore, fervente antifascista e lucido uomo politico, iconizzato al Sud e troppo  spesso trascurato al Nord e nel suo Piemonte – riprenderanno il prossimo giovedì 17 febbraioper concludersi venerdì 4 marzo. Su “Carlo Levi e il cinema” tratterà ampiamente Elisa Oggero, il prossimo giovedì 17 febbraio (ore 16) mettendo in evidenza il fascino fortemente esercitato dalla “settima arte” su  Levi che, fra l’altro, collaborò al restauro di due storici film quali “Patatrac” realizzato nel ‘31 da Gennaro Righelli (fra i primi esempi italiani di cinema sonoro) e “Il grido della terra” (1949) di Duilio Coletti, oltre a produrre insieme a Carlo Mollino i bozzetti preparatori per  il “Pietro Micca” di Aldo Vergnano (1938), film perduto di cui restano solo cinque minuti conservati al “Museo Nazionale del Cinema” di Torino. A seguire altri due appuntamenti. Giovedì 24 febbraio (ore 17,30), saranno gli storici Cesare Pianciola e Giovanni De Luna a dialogare su “La formazione di Levi nella Torino di Gobetti e di Gramsci e il suo impegno in Giusizia e Libertà”. A chiudere il percorso, venerdì 4 marzo (ore 17,30), un dibattitto di sicuro interesse sul docufilm del 2019 “Lucus a lucendo. A proposito di Carlo Levi” di Enrico Masi e Alessandra Lancelotti, con interventi di Raffaele Benfante, Stefano Levi della Torre (pittore e nipote di Levi) e Pietro Polito, direttore del “Centro Studi Piero Gobetti”.

Tutti gli incontri sono ad  ingresso libero, con obbligo di “green pass”, fino ad esaurimento posti. Saranno anche occasione per visitare la mostra (di cui sopra) “I volti del ‘900 nei ritratti Carlo Levi”: un percorso per immagini (sono una quarantina i dipinti esposti) che raccontano un mondo legato a Levi da forti vincoli ideologici e di comune pensiero ed umana empatia, realizzato con tratti pittorici di assoluta essenzialità e di multiforme forza espressiva. Dal delicato silente “Autoritratto con cappello” del 1928 alla vigorosa tempesta di colori del “Ritratto di Leone Ginzburg con le mani rosse” del 1933.

Alla “Fondazione Giorgio Amendola” è possibile anche ammirare una preziosa riproduzione fotografica in formato reale (18,50 x 3,20 m.) del famoso “Telero Lucania ‘61”, cinque enormi pannelli in cui c’è tutto il “dolore antico” e il “coraggio di esistere” di quel Sud e in particolare di quella “sua” Lucania – dove nel ’35 fu esliato dal regime fascista e dove (nel cimitero di Aliano) oggi riposa – che Levi imparò ad amare e a farne voce di dolente eterna poesia nel suo epico “Cristo si è fermato a Eboli” del ’45. Dedicato alla memoria di Rocco Scotellaro, il sindaco poeta di Tricarico diventato suo fraterno amico, il “Telero” fu realizzato da Levi su invito di Mario Soldati per rappresentare la Basilicata alla grande mostra organizzata a Torino per il primo Centenario dell’Unità d’Italia ed è oggi custodito al “Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata”, sito a Matera in “Palazzo Lanfranchi”.

Per info: “Fondazione Giorgio Amendola”, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it

g.m.

Nelle foto:

–         “Autoritratto con cappello”, olio su tela, 1928

–         “Ritratto di Leone Ginzburg con le mani rosse”, olio su tela, 1933

–         Particolare del “Telero Lucania ‘61”

Ultimi giorni e grande successo a“CAMERA” per Martin Parr

E intanto si aspettano i capolavori dal “MoMA” di New York

Fino al 13 febbraio

Inaugurata nell’ottobre del 2021, resta poco meno di una settimana, fino a domenica 13 febbraio, per visitare la mostra “Martin Parr. We Love Sports”, dedicata da “CAMERA-Centro  Italiano per la Fotografia” di via delle Rosine 18 a Torino, al grande fotografo inglese e ai suoi scatti (150 le immagini presenti in mostra) di spietata e divertita e divertente ironia, capaci di cristallizzare immagini del sociale in vere e proprie icone del nostro tempo. Quelle soprattutto dedicate al mondo dello sport. Un mondo visto da spettatore e fotografo assai curioso e originale. Con l’obiettivo attratto in particolare (come nell’esplorazione dell’umana quotidianità) da chi si accalca sulle tribune o a bordo campo, dall’universo della tifoseria più che dal gesto atletico, “capovolgendo così l’immaginario visivo dello sportivo- divo”. Il fotografo come spettatore narrante di spettatori. E come dimenticare allora le sue piccole e grandi folle vocianti a più non posso sugli spalti, i gadget vistosi e goliardici, le parrucche colorate in tinta con le divise della squadra del cuore, i travestimenti grotteschi, gli abiti eleganti e un po’ snob di chi assiste alle corse dei cavalli, così come alle parures kitsch sfoggiate con la naturalezza di una sana incoscienza fino a quella piacevole teoria di cappelli candidi a larghe tese, all’apparenza immobili come statue di gesso, al “Roland Garros” del 2016”? Mostra altamente apprezzata dal pubblico torinese, fors’anche per la concomitanza con le “Nitto ATP Finals”, che da ottobre a novembre scorsi hanno fatto di Torino la capitale internazionale del tennis. Fatto sta, fanno sapere da “CAMERA”, che la grande mostra dell’autunno-inverno 2021-2022 ha, fino ad oggi, conteggiato la presenza di oltre 10mila persone. Alti, benedetti numeri, cui altri se ne aggiungeranno, incrociando le dita, nei prossimi giorni. In una volata di grande euforia, se si pensa che il Centro di via delle Rosine ha già pronto un altro bell’ asso nella manica, di quelli destinati a sbaragliare il tavolo e per davvero a “fare storia”. In un passaparola New York-Torino che porterà a “CAMERA” la grande fotografia nientemeno che del “MoMA” newyorkese. L’appuntamento, su cui – com’è ben comprensibile – è notevole l’attesa, è dal 3 marzo fino al 26 giugno prossimi. Titolo, “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”, la mostra – curata da Sarah Hermanson Meister e da Quentin Bajac con il coordinamento di Monica Poggi e Carlo Spinelli– verrà presentata per la prima volta in Italia e ciò inorgoglisce la città e ovviamente i responsabili di “CAMERA” che sottolineano: “L’esposizione è una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare il linguaggio delle arti plastiche, così gli autori in mostra, ben 121 tra nomi leggendari e sorprendenti scoperte, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo”. Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Max Burchartz, Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier- Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione “Walther” valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre. Inoltre, accanto ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis) e del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troveremo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

Gianni Milani

“Martin Parr. We Love Sports”

CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino, tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 13 febbraio

Orari: lun. merc. ven. sab. e dom. 11/19 – giov. 11/21

Luminosa polvere d’oro, l’ultimo libro di Giovanni Cordero

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Lo scrittore ci parla del suo ultimo romanzo e dei suoi progetti futuri

Ascoltare Giovanni Cordero parlare delle sue esperienze e della sua vita, vissuta tra arte, storia, psicologia e biologia (la sua prima laurea) è stato davvero interessante e piacevole così come leggere il suo libro “L’impronta di cioccolato”, primo premio al concorso Nazionale “Mario Soldati” nel 2020.
Sono convinta che questi siano incontri importanti per arricchire le propria biografia, allargare lo spettro delle proprie conoscenze e immergersi in storie che, tra la realtà e la narrazione, sono capaci di rapirti e di sospendere il tempo.
Consigliere del Ministro Urbani per il settore arte contemporanea, membro del Comitato per la nuova Fondazione del Museo Egizio e della Fondazione De Fornaris presso la Gam di Torino, funzionario della Soprintendenza per Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, Giovanni Cordero ha un curriculum professionale fitto di esperienze ed incarichi prestigiosi nell’ambito della cultura e dell’arte.
Ideatore di importanti eventi scientifici come “Esperimenta” e co-curatore di mostre e festival d’arte a Torino, dirige, inoltre, l’Istituto di Ricerca e documentazione europeo: arte, tecnoscienza e cultura.

La passione per scrittura è stata sublimata dalla pubblicazione di saggi, articoli e monografie artistiche in catalogo e, nel 2011, dal primo romanzo “Silenzi. Il destino alle 18”, Libreria editrice Psiche di Torino. Nel 2017 esce “ L’Albergo dei gatti” Editore Albatros e nel 2021 scrive il romanzo, “Luminosa polvere d’oro”, edito da Castelvecchi, una storia travagliata di un artista che dipingendo sfugge la sofferenza del mondo violento del riformatorio e del manicomio, come afferma l’autore, istituzioni totali, luoghi di ottusi rituali e obbedienza cieca. L’arte costituirà, per il protagonista del romanzo, un modo per salvarsi la vita, per sopravvivere ad un periodo funesto.

 

Professor Cordero cosa l’ha portata a scrivere il romanzo “Luminosa polvere d’oro”?

Sono stato contattato da un collezionista per una mostra antologica su Pietro Augusto Cassina, il protagonista del libro nato nel 1913 a Torino, il quale mi ha convinto ad esporre 40 dei suoi quadri al Museo Diocesano. Sono rimasto colpito dalla sensibilità che traspare dai suoi dipinti, dal suo stile e dalla sua capacità di imprimere una cifra personale molto forte. Mi hanno raccontato la sua storia e ho letto i suoi diari, scritti in calligrafia, che mi hanno rivelato il suo animo complesso e fragile, frutto della sua vita difficile e complicata. Attirato dalla sua biografia e dal suo riscatto sociale, grazie all’arte che gli ha fatto ritrovare anche uno spessore ed un equilibrio psicologico ed emotivo, ho deciso di scrivere la sua storia cercando di ritrarre gli avvenimenti di un artista autodidatta, di un uomo anticonformista segnato drammaticamente dagli eventi.

 

Cosa rappresenta per lei la scrittura?

Scrivere è stata una attività e una passione centrali nella mia vita, dai saggi agli articoli e i cataloghi d’arte, fino alle poesie. I romanzi sono arrivati dopo completando così un percorso che mi sta dando molte soddisfazioni, sapere di essere letto e apprezzato è un grande piacere.

 

Ci vuole parlare dei suoi progetti futuri?

“Luminosa polvere d’oro” si ferma ad un certo punto della vita del protagonista, io sono in possesso di diverso materiale che mi permetterebbe di continuare a parlare del suo percorso esistenziale. Sarebbe bello sviluppare la narrazione aprendo un altro capitolo della vita di Cassina, concentrandosi sull’aspetto storico, approfondendo vicende che ci rimandano all’epoca della seconda guerra mondiale e al fascismo.
Un altro progetto editoriale che intendo perseguire riguarda una casa che mio figlio ha ereditato ad Aglié dove ha vissuto Guido Gozzano; mi piacerebbe scrivere di questa dimora e del famoso poeta che l’ha visitata come ospite in quanto amico fraterno del proprietario, un’altra storia dedicata alla cultura del nostro paese, ad un personaggio che ne ha fatto parte.

 

 

Comedians made in Torino. Due talenti emergenti, un microfono, mezz’ora ciascuno e una location inedita

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TORINO COMEDY LOUNGE presenta ComEDIT: UNO + UNO Comedians made in Torino”

 

Il nuovo progetto ospitato presso

EDIT Torino

 

Mercoledì 16 febbraio

Piazza Teresa Noce 15/A

Ore 20.30

SOLD OUT

 

Due talenti emergenti, un microfono, mezz’ora ciascuno e una location inedita. Il collettivo Torino Comedy Lounge inaugurerà, mercoledì 16 febbraio 2022, “ComEDIT: UNO + UNO. Comedians made in Torino”, il nuovo progetto ospitato nella suggestiva realtà di Edit Torino, il più grande birrificio artigianale della città.

Gli spazi di piazza Teresa Noce si trasformeranno, così, in un nuovo punto di riferimento per la stand up comedy locale, accogliendo, ogni mese, talenti emergenti della scena sabauda, nell’ambito della quale hanno avuto l’opportunità di formarsi e affinare le proprie capacità.

A impreziosire il primo appuntamento vi saranno, infatti, Giulia Cerruti e Angelo Amaro, due tra i nomi maggiormente noti del panorama comico torinese. Già avvezzi ai palchi più importanti della città (e non solo), Cerruti e Amaro avranno l’onore di alzare il sipario del nuovo format con i loro monologhi taglienti e corrosivi, primi di una serie di ospiti che porteranno in scena il meglio della stand up comedy sabauda.

«In questi cinque anni – commenta Antonio Piazza, fondatore del Torino Comedy Lounge e ideatore di “ComEDIT” – ci siamo dedicati a portare la scena nazionale della stand up comedy a Torino, cercando di creare un “hub della comicità” che fosse di riferimento per l’Italia. Quest’anno, però, abbiamo deciso che è arrivato il momento di valorizzare anche le eccellenze del territorio, perciò siamo molto orgogliosi di presentare il nostro nuovo appuntamento mensile, interamente dedicato ai comedian che si sono formati sul campo (e anche ai nostri open mic) e che porteranno 30 minuti del proprio repertorio migliore presso la bellissima cornice di EDIT Torino.»

Giulia Cerruti, classe 1993, dopo aver frequentato il Corso propedeutico del Teatro Stabile di Genova nel 2015, si è diplomata, due anni dopo, alla Scuola di perfezionamento per attori Shakespeare School di Jurij Ferrini. Nel 2017 ha, inoltre, dato vita, in qualità di organizzatrice, al Festival “L’arte nel pagliaio” della Cascina Duc di Grugliasco, mentre nel 2018 ha fondato la compagnia Crack24 e nel 2021 lo Spazio Cristina.

Angelo Amaro, classe 1989, è diplomato in Sceneggiatura alla Scuola Holden di Alessandro Baricco. Alla carriera di copywriter ha affiancato, nel corso degli anni, la composizione di articoli satirici, sketch comici e cortometraggi. Nel 2020 ha vinto la menzione speciale al Premio Sonego grazie al corto Fuori luogo, ora in fase di produzione.

Informazioni:

Lo show inizierà alle ore 20.30. Ingresso gratuito e uscita a cappello a sostegno delle attività dell’associazione.

Piemonte longobardo

Andare per il Piemonte longobardo è da oggi più facile e più affascinante grazie alla guida storica di Elena Percivaldi, medievista, ricercatrice e collaboratrice di riviste storiche che ci porta nei tanti luoghi della nostra regione dove abbondano le tracce del passaggio del popolo che 1500 anni fa cambiò la Storia della penisola.
Con il suo libro “Sulle tracce dei Longobardi nell’Italia settentrionale”, Edizioni del Capricorno, l’autrice ci accompagna all’interno di chiese, abbazie, monasteri e necropoli che hanno fatto la storia longobarda nell’Italia del nord. Un testo agile e ben illustrato di 160 pagine che conduce i lettori, soprattutto quelli appassionati di archeologia e storia, alla scoperta di questo popolo e della sua preziosa eredità, dal Piemonte al Friuli fino all’Emilia Romagna. Nel 568 d.C. i Longobardi di re Alboino, giunti dalla Pannonia, l’odierna Ungheria, penetrarono nell’Italia del nord governata dai Bizantini e conquistarono gran parte della penisola. Varcato il confine occuparono il Friuli e dilagarono in Veneto e da qui entrarono in Lombardia per spingersi fino in Piemonte, Emilia e Toscana. Molte importanti città italiane caddero nelle loro mani. Il loro regno durò poco più di due secoli fino alla conquista di Carlo Magno nel 774, salvo il Ducato di Benevento che sopravvisse fino all’arrivo dei Normanni alla metà dell’XI secolo. Un capitolo del libro riguarda il Piemonte. Torino fu governata da diversi duchi longobardi tra i quali Agilulfo, futuro re e marito della regina Teodolinda, Arioaldo, Garipaldo e Ragimperto ma in città non è rimasta nessuna traccia del Palazzo dei duchi longobardi. Sono emersi invece resti di abitazioni, tombe e lapidi come la lapide funeraria di Ursicino, vescovo di Torino (562-609), morto a 80 anni dopo quasi 50 anni di episcopato, rinvenuta a metà Ottocento durante gli scavi nel Duomo e murata su una parete della cattedrale. I numerosi frammenti di epoca longobarda, provenienti da edifici abbattuti e recuperati durante gli scavi moderni, sono esposti nel Museo d’Arte Antica a Palazzo Madama, nel Museo diocesano e nel Museo di Antichità che conserva anche il corredo della “Dama del Lingotto”, una ricca donna longobarda del VII secolo sepolta con orecchini e altri gioielli scoperti all’inizio del Novecento scavando un pozzo in via Nizza. Anche ai confini di Torino le presenze longobarde sono numerose, dalla zona del Lingotto a Sassi, dal Fioccardo a Rivoli. Ma sono le necropoli longobarde le scoperte più stupefacenti. Da quella di Carignano con tombe nobiliari e sepolcreti a quelle ben più preziose di Collegno con 157 tombe del VI-VIII secolo e di Moncalieri-Testona con 350 sepolture. Per qualità e numero dei reperti si possono considerare tra le più importanti d’Italia. Gli oggetti di corredo rinvenuti a Collegno e a Testona, composti da fibbie di cintura in bronzo dorato e in ferro, fibule a staffa, piccole croci d’oro, coltellini, armi, monili e ceramiche, sono in mostra al Museo di Antichità di Torino.
Oltre alle necropoli i longobardi ci hanno lasciato anche formidabili strutture difensive emerse tra Torino e le vie di comunicazione verso la Francia come le “chiuse” di Susa, Aosta, Bard e Chiusa San Michele dove si svolse la celebre battaglia tra i Longobardi e i Franchi di Carlo Magno nel 773 anche se oggi resta ben poco della possibile fortificazione longobarda collocata tra il monte Pirchiriano, dove sorge la Sacra di San Michele, e il monte Caprasio. Proseguendo il nostro tour sulle orme dei longobardi in Piemonte raggiungiamo la necropoli di Borgomasino vicino all’antico ducato di Ivrea con oltre 90 tombe di uomini armati e sepolti con i loro cavalli. All’epoca longobarda, nel ducato di Asti, si fanno invece risalire chiese e monasteri come Sant’Anna, una parte della cripta della chiesa di Sant’Anastasio, strutture superstiti nei sotterranei di Palazzo Mazzetti e la cripta della Collegiata di San Secondo.
Ma la più grande necropoli della penisola è stata individuata dieci anni fa a Sant’Albano Stura, nel cuneese, con oltre 800 tombe riportate alla luce durante i lavori dell’autostrada Asti-Cuneo lungo il torrente Stura. Non ci sono resti ossei ma corredi anche molto ricchi e numerose monete. Il sito è stato ricoperto per consentire i lavori autostradali e una parte dei reperti è esposta al Museo civico di Cuneo. L’itinerario proposto dalla Percivaldi ci porta infine sull’isola di San Giulio, sul lago d’Orta, in provincia di Novara, ritenuta la roccaforte di un ducato longobardo, quello di San Giulio, fondato ai tempi di Alboino. Il libro si chiude con “dieci mete longobarde imperdibili” e tra queste spiccano il Museo di Antichità nei Musei Reali in via XX Settembre a Torino, l’Abbazia di San Colombano a Bobbio piacentino, le chiese di San Michele Maggiore e San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, il Tempietto longobardo a Cividale del Friuli, il Duomo di Monza e Santa Giulia a Brescia.
Filippo Re