CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 3

“In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta…”

Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia

In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a meta’, c’e’ l’isola di San Giulio”. Così comincia uno dei più bei racconti di Gianni Rodari, “C’era due volte il barone Lamberto”. Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia: il lago d’Orta e l’isola di San Giulio.

Infatti, Gianni Rodari, nacque ad Omegna, all’estremità nord del lago, il 23 ottobre del 1920. Lì, suo padre – originario della Val Cuvia, che domina la sponda “magra” del lago Maggiore – aveva un negozio di commestibili e gestiva un forno da pane, svolgendo il mestiere del prestiné, del fornaio. La casa e la bottega erano vicine al lago che, come ricordava Rodari, «giungeva a pochi metri dal cortile in cui crescevo». Leggendone le pagine prende forma l’immagine del più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Che s’accompagna alla sua singolarità. Infatti, contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d’Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna, dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona il quale, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel lago Maggiore.

E al centro del lago dove, dalle opposte sponde si guardano, una in faccia all’altra, Orta e Pella, si trova l’isola di San Giulio. Nel medioevo il lago era noto come “lago di San Giulio” e solo dal XVII secolo in poi cominciò ad essere conosciuto con l’attuale nome di “lago d’Orta”, acquisito dalla località di maggior prestigio e risonanza. La storia, se non vogliamo risalire al neolitico o all’età del ferro, quando il lago era abitato dai celti, ci dice che – alla fine del IV secolo – i due fratelli greci Giulio e Giuliano, originari dell’isola d’Egina fecero la loro comparsa sul lago e si dedicano con un certo accanimento(con il beneplacito dell’imperatore Teodosio)alla distruzione dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. E qui la leggenda vorrebbe che San Giulio, una volta incaricato il fratello di edificare a Gozzano, all’estremità sud del lago, la novantanovesima chiesa, si mise alla ricerca del luogo più adatto per erigere la centesima. La scelta cadde sulla piccola isola ma, non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull’isola dovette misurarsi con focosi draghi e orribili serpenti. Sconfitte e cacciate per sempre le diaboliche creature (ma erano poi così diaboliche? Mah…) , gettò le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la Basilica di San Giulio. La storia s’incaricò poi di far passare molta acqua sotto i moli dei porticcioli del lago d’Orta. Dai longobardi fino all’assedio dell’ isola di San Giulio – in cui si era asserragliato Berengario d’Ivrea – furono secoli di guerre. Nel 1219 dopo una contesa ventennale tra il Vescovo e il Comune di Novara, nacque il feudo vescovile della “Riviera di San Giulio”. E ,più di 500 anni dopo, nel 1786, il territorio cusiano passò sotto la casa Savoia ( che videro riconosciuto il loro potere solo 31 anni dopo, nel 1817), trasmigrando così dalla Lombardia al Piemonte. Ma, vicende storiche a parte, il lago d’Orta – “ il più romantico dei laghi italiani” – è davvero un gioiello che ha sempre fatto parlar bene di se. Gli abitati rivieraschi d’Orta, Pettenasco, Omegna, Nonio, Pella, San Maurizio d’Opaglio, Gozzano.

O l’immediato entroterra di Miasino, Ameno, Armeno, Bolzano Novarese, Madonna del Sasso, sono state località meta di viaggi ed oggetto di cronache e racconti. Non è un caso che nell’Ottocento fosse quasi d’obbligo considerarlo come una delle più suggestive tappe del “Grand Tour” di molti aristocratici d’Oltralpe. Honoré de Balzac, che c’era stato, lo descriveva così nella “Comédie humaine”: “Un delizioso piccolo lago ai piedi del Rosa, un’isola ben situata sull’acque calmissime, civettuola e semplice, (…). Il mondo che il viaggiatore ha conosciuto si ritrova in piccolo modesto e puro: il suo animo ristorato l’invita a rimanere là, perché un poetico e melodioso fascino l’attornia, con tutte le sue armonie e risveglia inconsuete idee….è quello, il lago, ad un tempo un chiostro e la vita….”. E’ il lago che, soprattutto in autunno, riflette i colori della stagione e diventa un po’ malinconico, suggerendo a poeti come Eugenio Montale di dedicargli delle composizioni o ad Ernesto Ragazzoni di scrivere questi versi: «Ad Orta, in una camera quieta / che s’apre sopra un verde pergolato, / e dove, a tratti, il vento come un fiato / porta un fruscio sottil, come di seta, / c’e’ un pianoforte, cara, che ti aspetta, / un pianoforte dove mi suonerai / la musica che ami, e che vorrai: / qualche pagina nostra benedetta». Territorio ricco di fascino e di riferimenti letterari, meta ideale di artisti e scrittori, le località attorno al lago appaiono sovente nelle opere di altri importanti autori. Per Mario Soldati, grande regista e scrittore, Orta è uno dei luoghi di riferimento, visto che sul lago – nella frazione di Corconio –  iniziò a scrivere i suoi primi libri importanti come “America primo amore” e “L’amico gesuita”, oltre ad ambientarvi alcune pagine de “I racconti del maresciallo”.

Per non parlare poi d’Achille Giovanni Cagna ( con il romanzo “scapigliato” dedicato agli “Alpinisti Ciabattoni”), Mario Bonfantini( La tentazione ), Carlo Emilio Gadda (Viaggi di Gulliver), Laura Mancinelli con il suo dolcissimo “La musica dell’isola”, Carlo Porta, Friederich Nietzsche. Un altro “scrittore di lago”, ma di un lago “diverso” come il Maggiore – il luinese Piero Chiara – scrisse: “Orta, acquarello di Dio, sembra dipinta sopra un fondale di seta, col suo Sacro Monte alle spalle, la sua nobile rambla fiancheggiata da chiusi palazzi, la piazza silenziosa con le facciate compunte dietro le chiome degli ippocastani, e davanti l’isola di San Giulio, simile all’aero purgatorio dantesco, esitante fra acqua e cielo“.  Il lago d’Orta è un piccolo gioiello azzurro in mezzo ai monti, chiuso ad est dal Mottarone e riparato ad ovest dalle cime che dividono il Cusio dalla Valsesia. Certe mattine, appena s’accenna l’alba, la nebbiolina sospesa sull’acqua lo rende misterioso, affascinante. Tanto quanto se non addirittura più di quelle giornate d’autunno, nitide e terse, quando riflette i mille colori dei boschi nello specchio delle sue acque tranquille.

Marco Travaglini

Piero Chiara e la narrazione della provincia italiana

Il 23 marzo del 1913 nasceva a Luino lo scrittore Piero Chiara. Anni fa, in occasione del centenario dell’evento sul muro esterno dello storico Caffè Clerici, l’amatissimo locale e “ufficio” dello scrittore  che guarda sul porto vecchio, venne collocata una targa con una frase del celebre romanziere tratta da l’Avvenire del Verbano del 30 novembre1934. Vi si legge: “In Luino vi è qualche cosa di inesprimibile e di spirituale che non può andare vestito di parole; è qualche cosa di più che la tinta locale, è quel mistero di attrazione che fa innamorare di un luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo”. Un ritratto di quest’angolo di provincia chiuso tra il lago Maggiore, i monti delle valli Dumentina e Veddasca e la frontiera con la Svizzera.

 

Un’immagine che, volendo, può essere estesa a buona parte dei paesi che si affacciano sulle due sponde del Verbano. Figlio di un siciliano immigrato al nord come impiegato delle Regie Dogane e di Virginia Maffei, originaria di Comnago, minuscola frazione di Lesa sulla sponda piemontese del lago Maggiore, Piero Chiara frequentò diversi collegi come il San Luigi di Intra e il De Filippi di Arona. Dopo una breve parentesi in Francia, terminati gli studi e vinto un concorso come “aiutante volontario cancelliere” svolse l’impiego statale in Veneto e nella Venezia Giulia, tornando poi nella sua provincia per approdare infine a Varese. In quegli anni, da autodidatta, s’impegnò nello studio e nella formazione letteraria senza rinunciare a frequentare i tavoli con il gioco delle carte e il biliardo dei vari caffè. E’ lì che trarrà gli spunti letterari su ambienti e persone che diventeranno molti anni più tardi i protagonisti dei suoi racconti e romanzi. Nel gennaio 1944, per sfuggire ad un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista, Chiara varcò il confine, rifugiandosi in Svizzera dove visse l’esperienza di internato nei campi di Büsserach, Tramelan e Granges–Lens. Ricoverato all’ospedale di St.Imier, frequentò la casa cattolica di Loverciano nel distretto ticinese di Mendrisio. Finita la guerra restò per qualche tempo in territorio elvetico insegnando e pubblicando la prima opera, la raccolta di poesie Incantavi. Da quella silloge che nel titolo alludeva al toponimo dei cascinali sopra Luino emergevano le passioni, le affinità e il profilo di un giovale esule riflessivo, malinconico, dotato della stoffa necessaria per intraprendere un viaggio originale in campo letterario. Il 25 aprile 1945 dalla tipografia di Poschiavo nel canton Grigioni usciva il primo libro a firma di Piero Chiara. Il suo primo editore, don Felice Menghini (scomparso prematuramente nel ‘47 in un incidente di montagna a soli 38 anni, fra i principali autori della Svizzera italiana come poeta, traduttore ed elegante prosatore) ne fece tirare fino a 500 copie intuendone il valore. Al consenso della critica corrispose anche quello del pubblico: nonostante le frontiere ancora chiuse ne furono venduti 150 esemplari in un mese. Abbandonata negli anni ’50 l’amministrazione della giustizia Chiara si dedicò alla scrittura, al giornalismo (collaborando alla terza pagina del Corriere della Sera) e alla letteratura, come curatore di opere classiche, in particolare del Settecento, tanto da essere considerato un’autorità nel campo degli studi su Giacomo Casanova. Scrisse anche una seria e documentata biografia del Vate che riposa a Gardone Riviera nel mausoleo del Vittoriale, intitolata La vita di Gabriele D’Annunzio. Conobbe poi il successo con i racconti e i romanzi la cui ambientazione era quella della provincia che resterà lo scenario di tutta la sua esperienza di scrittore. Sui luoghi della sua piccola patria (il Lago Maggiore, le valli e i suoi paesi, Luino e la Svizzera italiana) spaziò con lo sguardo innamorato di chi li sentiva parte di sé. Erano i luoghi dell’anima e frequentandoli, come scrive l’associazione degli Amici di Piero Chiara, sembra quasi che “dietro un’insenatura del lago, da un angolo di strada di paese, da una valle a specchio dell’acqua o da un battello che cuce l’uno all’altro i pontili delle opposte sponde, debba comparire uno dei suoi personaggi: una delle sorelle Tettamanzi, magari sottobraccio a Emerenziano Paronzini, oppure l’Orimbelli con la Tinca, o il pretore di Cuvio Augusto Vanghetta”. E’ la provincia profonda con i suoi caffè e i giocatori di carte, le avventure di impenitenti flâneur che vagano oziosamente per le vie dei paesi, delle acque battute dai venti di tramontana, le piccole isole, i battelli e i tanti moli degli imbarcaderi, storie amare o scabrose vicende di corna e tradimenti. Offrendo un approdo letterario a questo mondo Piero Chiara raggiunse il successo con romanzi come Il piatto piange (1962), La spartizione (1964, Premio Selezione Campiello), Il balordo (1967, Premio Bagutta), L’uovo al cianuro(1969), I giovedì della signora Giulia (1970), Il pretore di Cuvio (1973), La stanza del Vescovo (1976), Le corna del diavolo (1977), Il cappotto di astrakan  (1978),Una spina nel cuore (1979) e tanti altri fino al postumo Saluti notturni dal Passo della Cisa. Molti di questi lavori vennero ridotti e sceneggiati per il grande schermo e per la tv, in qualche caso con delle fugaci apparizioni dello stesso Chiara per dei piccoli camei come in Venga a prendere il caffè da noi di Alberto Lattuada. In una intervista, parlando del suo rapporto con la scrittura, disse: “Scrivo per divertirmi e per divertire:se mi annoiassi a raccontare, starei zitto, come starei zitto se sapessi che i lettori si annoiano ad ascoltare o a leggere i miei racconti. Qualche volta faccio ridere, o meglio sorridere e qualche volta commuovo il lettore o lo faccio impietosire con le mie storie. Mi sembra giusto, anzi normale: se ride alle mie spalle o a quelle dei miei personaggi o se si impietosisce ai nostri casi, vuol dire che ho colto nel segno: mi sembra che raccontandogli la storia di un uomo, con le sue miserie, le sue fortune e la sua stoltezza, in fondo gli conto la sua storia”. Piero Chiara è stato a tutti gli effetti “il poeta delle piccole storie del grande lago”, il maestro di tutti coloro che si sono cimentati con quella che viene definita la letteratura della profonda provincia italiana.

Marco Travaglini

Jane Austen e i tarocchi. Lo Scarabeo celebra i 250 anni 

A dicembre 2025 ricorre il 250esimo anniversario della nascita di Jane Austen, una delle più amate e influenti scrittrice della letteratura mondiale. Per celebrare questa ricorrenza straordinaria, lo Scarabeo rende omaggio all’autrice inglese di “Ragione e sentimento”, “Orgoglio e pregiudizio”, “Emma” e altri capolavori, con un mazzo di tarocchi dedicato, “Jane Austen Tarot”. È pensato per i lettori della sua opera e i collezionisti di tarocchi più esigenti. Il mazzo, creato appositamente per la ricorrenza, celebra i successi di Jane Austen attraverso il linguaggio simbolico dei tarocchi, intrecciando archetipi, personaggi, atmosfere e temi senza tempo: l’amore e l’orgoglio, il destino e la scelta, le convenzioni sociali e il desiderio di autodeterminazione. Un dialogo affascinante tra letteratura e divinazione, capace di restituire la modernità dello sguardo della grande scrittrice. Attraverso gli arcani maggiori, vengono affrontate le questioni dello spirito e del destino, mentre gli arcani minori si concentrano sugli aspetti più concreti e quotidiani dell’esistenza. I quattro semi incarnano i quattro elementi fondamentali, riflettendo le molteplici dimensioni dell’esperienza umana: le candele, simbolo di passione, energia e iniziativa; le tazze, che rappresentano i sentimenti e le relazioni; le penne, espressione del pensiero razionale e analitico, e i denari, legati alle questioni pratiche e tangibili della vita. Ogni carta è ispirata a un personaggio o a una scena tratta dalle opere di Austen, reinterpretato attraverso il linguaggio dei tarocchi. Non è necessaria una conoscenza pregressa, né dei romanzi dell’autrice né della tradizione tarologica per apprezzare o utilizzare questo mazzo. Le immagini e i simboli parlano all’intuizione, rendendo l’esperienza accessibile, evocativa e coinvolgente.

L’artista è Lola Airaghi, fumettista italiana formatasi alla Scuola del Fumetto di Milano, che ha collaborato negli anni con alcuni dei principali editori italiani, tra cui Sergio Bonelli Editore, Edizioni BD e Lo Scarabeo. Il suo stile  espressivo e narrativo, si distingue per la sua capacità di fondere suggestione visiva e costruzione simbolica. Diane Wilkes è cartomante da oltre mezzo secolo, nonché scrittrice e insegnante di tarocchi e altri metodi divinatori. Da più di trent’anni svolge divulgazione a livello internazionale, affermandosi come voce tra le più autorevoli in campo tarologico. La casa editrice Scarabeo nasce a Torino nel 1987, unendo la competenza collezionistico, l’amore per l’illustrazione e il gusto per l’immagine dei fondatori Mario Pignatiello e Pietro Alligo, a cui oggi si affianca la giovane editrice Sofia Pignatiello. In 35 anni di attività, la Scarabeo è diventata leader mondiale nel campo dei tarocchi proponendo mazzi firmati dai più grandi artisti di questo secolo, quali Corrado Roi, Paolo Eleutieri Serpieri, Milo Manara, Guido Crepax, Ferentino Pinter e Sergio Toppi.

Mara Martellotta

“Make some noise”, torna SeeYouSound

L’anno si chiude con una prima anticipazione sul SEEYOUSOUND International Music Film Festival, un unicum in Italia per la sua line up dedicata al cinema a tematica musicale, che tornerà dal 3 all’8 marzo a Torino, per la sua dodicesima edizione. Nelle sale del Cinema Massimo di Torino, risuonerà di nuovo l’inconfondibile mix di suoni e immagini, quest’anno al grido “make some noise”, un invito a farsi sentire, scuotere se stessi e chi ci è accanto dal torpore in cui la società attuale ci vuole immersi. SEEYOUSOUND incoraggia il pubblico a reagire, richiamando l’importanza del cinema, della musica e della cultura tutta come appigli concreti e resistenti cui aggrapparsi per risollevarsi oggi, domani e sempre. Molti titoli del cartellone si fanno portatori di questo messaggio, su tutti quelli inseriti nella rassegna “Rising Sound – Music is the weapon”, che incarna da sempre l’anima più impegnata del Festival. I temi scelti dalla curatrice Juanita Àpraez Murillo, e dal suo team, si concentrano sul potere trasformativo e identitario della musica nella società contemporanea, una forza capace di cambiare la Storie e le storie, di ispirare il vissuto individuale e di innescare processi di rivolta e trasformazione collettiva. Quest’anno il cartellone porta al festival cinque documentari, tutti in anteprima italiana, che accompagneranno il pubblico di SYS alla scoperta di personaggi, epoche e luoghi diversi Uniti da un filo comune. La musica come pratica di vita, capace di riverbera nel tempo, e di continuare a ispirare e mettere in relazione  individui e comunità. Il primo di questi si intitola “Legacy”, diretto da Manal Masri, è che racconta la storia di alcuni fra i più grandi musicisti jazz afroamericani che, tra gli anno Cinquanta e Settanta, trovarono rifugio e successo in Scandinavia per sfuggire al razzismo dilagante negli Stati Uniti. Il film, realizzato nel 2024, ripercorre i passi di Dexter Gordon, Don Cherry e Quincy Jones, che in Svezia sono stati accolti per il loro talento. Oggi i figli raccontano questo storia di razzismo ed esilio, e il prezzo che i figli a volte pagano per la libertà dei padri. La storia di ciò che resta nelle vite degli altri quando si compie una scelta radicale.
Il secondo documentario, diretto nel 2025 da Fabien Pisani, si intitola “Para Vivir: The Implacable Times of Pablo Milanés”, è un affresco intimo del leggendario musicista cubano Pablo Milanese, cofondatore del movimento della Nueva Trova. Attraverso filmati d’archivio e interviste, il documentario ripercorre la vita dell’artista, fatta di battaglie personali, e il suo complesso rapporto con il panorama politico e culturale a Cuba negli anni Sessanta e Settanta. Restituisce così il bilancio esistenziale di un uomo la cui arte si è intrecciata indissolubilmente con la storia della sua nazione, e che ha vissuto sulla sua pelle un sogno collettivo.

“Sun Ra do the impossible” approfondisce l’eredità di Sun Ra, visionario musicista jazz, visionario poeta dell’afrofuturismo, e la sua influenza come pensatore e leader del collettivo musicale Arkestra, da lui fondato negli anni Cinquanta. La regista, Christine Turner, che ha presentato il documentario al Tribeca FF di New York lo scorso giugno, ci accompagna in un viaggio illuminante nella vita di questo grande artista, bilanciando con grazia i ricordi dei membri dell’Arkestra, con interviste a studiosi di musi a e indimenticabili filmati di Sun Ra Live. Il risultato è un ritratto stimolante e fedele di un personaggio privo di compromessi artistici, che ha contribuito a plasmare non solo il jazz, ma tutto il panorama culturale del Novecento e oltre.

“The Banyo Boys” è un titolo fresco d’uscita in Gran Bretagna, che segna il debutto nel lungo del regista britannico Johann Naiar, con radici in Guiana, Malesia e India. Il documentario, per la prima volta in Italia grazie a SYS, racconta l’ascesa dei Madalitso Band, un duo di musicisti di strada del Malawi, composto da Yobu Maligva e Yosefe Kalekeni. Il film ripercorre la loro avventura, dall’incontro nel 2002 al tour tra Europa e USA nel 2023, la loro trasformazione in musicisti passati dalle strade Lilongwe fino a divenire star internazionali dop essere stati scoperti da Neil Nayar.

“We want the funk” di Stanley Nelson e Nicole London, che rappresenta un viaggio sincopato nella storia e nell’evoluzione del funk, dalle radici che affondano nella musica africana, nel soul e nel jazz, fino alla sua affermazione nell’immaginario collettivo. Ne segue lo sviluppo attraverso figure chiave come James Brown, la psichedelia di Parliament Funkadelic, l’impatto culturale dell’afrobeat di Fela Kuti e la trasformazione del Girl Group Label, mostrando anche come il funk abbia influenzato poi la new wave e l’hip hop, celebrando come linguaggio universale di libertà, ritmo e resistenza.

Il programma della dodicesima edizione si completerà con le sezioni competitive dedicata a documentari e lungometraggi di finzione, cortometraggi, videoclip e sonorizzazioni, e la rassegna Into the Groove, un mix eclettico di titoli accomunati da u ‘anima pop.

Mara Martellotta

Musei Reali di Torino: sarà un anno “mai visto” 

 

Il 2026 porterà con sé una programmazione ricca di iniziative inedite e scoperte affascinanti, tra percorsi e attività culturali.

Un palinsesto che sarà svelato nel corso di una conferenza stampa, attesa nella seconda metà di gennaio, ma che si inaugura il 6 febbraio con la mostra dossier Beato Angelico negli occhi di Bartholomäus Spranger. Giudizi Universali a confronto.

Fino al 3 maggio, l’esposizione tematica propone, per la prima volta, un confronto diretto tra la straordinaria e pionieristica invenzione iconografica, elaborata da Beato Angelico intorno al 1425-1428, per la rappresentazione del Giudizio Universale nella celebre tavola oggi conservata al Museo di San Marco — eccezionalmente concessa in prestito dalla Direzione Regionale Musei Nazionali Toscana, nell’ambito delle relazioni culturali e di scambio tra musei del Sistema museale nazionale del Ministero della cultura — e l’opera appartenente alle collezioni della Galleria Sabauda, eseguita dal pittore fiammingo Bartholomäus Spranger tra il 1570 e il 1571 per papa Pio V. Quest’ultima, dichiaratamente ispirata al modello di Beato Angelico, consente di indagare le modalità di ricezione, reinterpretazione e trasmissione di un prototipo figurativo di grande fascino, mettendo in luce continuità e trasformazioni del tema  tra primo Rinascimento e Manierismo maturo. L’esposizione si tiene in occasione del rientro ai Musei Reali della tavola di Fra Giovanni da Fiesole raffigurante la Madonna dell’Umiltà, concessa in prestito alla mostra monografica Beato Angelico (Firenze, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco, 26 settembre 2025 – 25 gennaio 2026).

 

Scade il 31 gennaio il bando del Premio InediTO

“Questo nostro mondo umano, che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace” è tratto dalla poesia ‘Al principe’ di Pier Paolo Pasolini, scelto in occasione dei cinquanta anni dalla morte del poeta scrittore friulano, ed è  il nuovo input grafico illustrato da Francesca Rossetti del Premio InedITO Colline di Torino, giunto alla sua venticinquesima edizione, dopo aver premiato in tutti questi anni centinaia di autori e scoperto nuovi talenti di ogni età e nazionalità,  sostenendoli e accompagnandoli verso il mondo dell’editoria e dello spettacolo.

Il bando del Premio scadrà il 31 gennaio prossimo ed è dedicato alle opere inedite di tutte le forme di scrittura, dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica al teatro, dal cinema alla musica, in lingua italiana e a tema libero, con esclusione di testi generati dall’intelligenza artificiale.

Sul successo maturato negli ultimi anni è stata dedicata una nuova sezione alla Graphic Novel. Sono state istituite le collaborazioni con la  Scuola Internazionale di Comics, il Palmosa Fest Festival Nazionale di Arte e Letteratura di Castelvetrano in provincia di Trapani, i festival “La grande invasione” di Chieri nel Torinese, e “Chiavi di lettura” di Chivasso nel Torinese, nonché la partnership con l’etichetta discografica “Sorridi Music” che premierà i vincitori e realizzerà la compilation “InediTO Music” con i brani di tutti i finalisti .

Il premio è stato inserito da diverse edizioni nella manifestazione “Il maggio dei libri” promossa dal Centro per il Libro e la Lettura , e ha ottenuto in passato il contributo e l’alto patrocinio del MIBACT. Nella scorsa edizione anche il contributo della Regione Piemonte, Consiglio Regionale del Piemonte, il patrocinio di Città Metropolitana di Torino, Città di Chieri, Città di Moncalieri e del Salone del Libro, il sostegno di Fondazione CRT, Camera di Commercio di Torino, Iren e Aurora Penne.

Mentre da questa edizione riceve nuovamente il patrocinio di ANCI Piemonte e Città di Chivasso. Collabora con Film Commission Torino Piemonte.

Possono partecipare autori già affermati o esordienti di ogni età e nazionalità. Migliaia gli iscritti in questi anni da tutta Italia e dall’estero, dall’Europa agli Stati Uniti, dall’America Centrale al Sud America, dall’Africa all’Asia, all’Australia, centinaia gli autori che il Premio ha sostenuto e accompagnato verso il mondo dell’editoria e dello spettacolo, senza abbandonarli al loro destino.

Grazie a un montepremi di 8 mila euro i vincitori delle varie sezioni riceveranno un contributo per la pubblicazione, promozione e produzione delle opere. Saranno inoltre assegnati premi quali “InediTO ritrovato”, dedicato a un’opera inedita di scrittori non viventi, conferito nelle passate edizioni a Primo Levi, Alfonso Gatto, Italo Svevo, Alessandro Manzoni, Grazia Deledda e Totò. “InediTO young”, destinato ad autori minorenni, “InediTOpic”, ispirato all’input grafico di questa edizione e “InediTOi.a.”, a un’opera realizzata tramite intelligenza artificiale.  Il concorso è organizzato dall’associazione Camaleonti di Chieri e diretto da Valerio Vigliaturo. Il comitato di lettura è presieduto da Riccardo Levi, mentre la giuria, presieduta da Margherita Oggero e, tra gli altri, il poeta Aldo Nove, Mary Barbara Tolusso, Stefania Bertola, Davide Bregola, Matteo Casali, Michele Di Mauro, Irene Dionisio, Gnut. Entro marzo la designazione dei finalisti presso la scuola Holden di Torino, che riceverà una scheda di valutazione della giuria. A maggio la proclamazione dei vincitori al Salone del Libro 2026 e la premiazione che si svolgerà attraverso la consegna dei premi e un reading degli autori vincitori.

Per il bando consultare il sito https://www.premioinedito.it/bando-2026

Info: info@premioinedito.it – cellulare: 3336063633

Mara Martellotta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Giolitti, Forattini e il “Pannunzio” – Difendere i Comuni  montani! – I non laureati – Differenze – Lettere

Giolitti, Forattini e il “Pannunzio”
Con il direttore di questo giornale Cristiano Bussola  e Toto Vullo ho ricordato Giorgio Forattini e mi è tornato alla mente un episodio curioso che avevo dimenticato. Un sabato dei primi anni 2000 presentai ad Alassio un libro del prof. Aldo Mola, non ancora senatore del regno d’Italia che non c’è più dal 1945. Dopo lo invitai a cena  in un bel ristorante sul mare e gli parlai del progetto di Maria Grazia Imarisio, Diego Surace e di chi scrive, di allestire una mostra antologica di vignette su Giovanni Giolitti il più caricaturizzato insieme a Cavour e Andreotti.
Pensavo si trattasse di una persona corretta e, a parole, amica. Il professore e  futuro senatore del regno che fu, già la settimana dopo  presentò in Regione un improvvisato progetto con richiesta di fondi che ricalcava quello di cui gli avevo parlato. Voleva batterci sul tempo. Forattini, a cui avevo parlato, chiedendogli una vignetta per il catalogo della eventuale mostra, quando seppe di questo sublime  gesto di lealtà e correttezza, si disse indignato e nel giro di poche ore mi mandò una sua straordinaria vignetta che venne esposta nella mostra inaugurata dal presidente della Regione Enzo Ghigo e da Zanone con grande partecipazione di pubblico. Non bastò una  sontuosa cena pacificatrice offerta a Centallo un anno dopo dal senatore Beppe Fassino ad appianare un dissidio rimasto in piedi per quasi un quarto di secolo. Una delle storie più incredibili che ho vissuto in 57 anni anni di studi e di attività culturale. Forattini mi disse: “ringrazi Mola che è uno sconosciuto, perché altrimenti lo avrei distrutto in una vignetta”.
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Difendere i Comuni  montani!
Il ministro Calderoli sembrerebbe abituato, per sua stessa ammissione, allo stile “porcellum”, espressione calderoliana doc in relazione ad una legge elettorale da lui scritta. E’ strano che sia ancora ministro, ma tant’è. Il dentista di Bergamo è molto  longevo politicamente.
La  sua legge che dovrebbe cancellare oltre 150 comuni montani, è cosa che non sta né in cielo né in terra, confondendo, tra l’altro, comuni alpini ed appenninici. La montagna va tutelata, si sta totalmente spopolando e impoverendo. I veri regionalisti come i valdostani Chabod e i due  Passerin d’Entreve’s si metterebbero le mani nei capelli.
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I non laureati
Solo un governo che ha un numero altissimo di non laureati come ministri e sottosegretari, poteva pensare di annullare, persino con effetto retroattivo, il riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici. Hanno tentato di farlo e hanno dovuto fare marcia indietro. Solo chi non sa cosa sia una laurea e i sacrifici che essa  richiede, può giocare con i diritti, quelli veri  dei cittadini. Spiace perché le promesse di cancellare la legge Fornero sarebbero diventate una effimera e falsa promessa elettorale tradita alla prima occasione.
Per altri versi, mentre Monti resta odioso, la Fornero è una studiosa seria che merita rispetto. Chi andò a molestarla sotto casa, dimostrò di essere uno zulù. Ammesso che non sia interpretato come una forma di razzismo. In tal caso parlerei di persona incivile, una categoria ben presente anche in Italia.
Differenze
Il giornale   “La S t a m p a”,  ancora una volta, ha dimostrato che informare in modo equilibrato  non è il suo forte. Nella stessa pagina ha dedicato  un grosso articolo su più colonne con una grande fotografia all’Iman di San Salvario liberato dai giudici e un box di poche righe all’assoluzione del ministro Salvini da parte della Cassazione per il presunto (e falso) sequestro di persona di cui venne accusato quando era ministro degli Interni e tentò di limitare  gli sbarchi di clandestini in Italia. Informare significare rispettare i fatti e non imporre letture preconcette.
Questo  “stile G i a n n i n i”   ha fatto perdere lettori e soldi al giornale di via Lugaro, ma   M a l a g u t i   e i suoi continuano sulla strada della perdizione imperterriti, fidandosi dei futuri articoli gratis di Gambarotta che non è proprio un Enzo Bettiza.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Condomìni
La legge sui condomini prima firmataria   Elisabetta   G a r d i n i    che non giudico con la cultura politica minima necessaria per legiferare, sta creando già subito problemi. E’ assurdo che si voglia imporre ai condomini in regola di pagare per i morosi contro cui è l’amministratore a doversi rivalere avviando un contenzioso legale. Possibile che il Parlamento pulluli di incompetenti?  Tina Mussarini
E’ proprio così. Troppi incompetenti, troppe persone loquaci che urlano, ma non sanno, non pensano, non leggono, non sanno scrivere. Gente che urla, si agita come il deputato di Alessandria che ha ormai smarrito la continenza polemica.  Senatus mala bestia, senatori boni viri, dicevano i Romani. Qui troppi deputati e senatori, dopo il dimagrimento grillino del numero, sono pessimi.
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Il Chiampa
Che l’ex sindaco ormai quasi ottantenne Chiamparino difenda il progetto di fare del centro sociale di corso Regina, covo di violenti, un bene comune, rivela come il Chiampa sia un politico assai discutibile come è inevitabilmente un vecchio comunista nostalgico. Chiamparino dovrebbe godersi la lauta pensione e meditare prima di parlare. Si faccia quattro passi salutari sotto i portici di piazza Vittorio dove abita. La sua voce è solo un’eco del passato destinata  a non più tornare.  Gianni Mathieu
Non aggiungo una parola, sottoscrivo tutto. Chiamparino non mi è mai stato particolarmente simpatico, compreso il suo famoso figlio Tomaso, un tempo sui suoi manifesti elettorali. Anche Tomaso si è, per nostra fortuna, volatilizzato.
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Cinquantesimo anniversario
Festeggia anche la Unitre per i suoi cinquant’anni. È  stato un passatempo per molti anziani, ma ritengo nulla di significativo in termini culturali. Nulla di universitario. Un docente senza laurea amava ripetere spesso di sé: le ore più belle io le passo in Ateneo per tentare di farmi passare come professore universitario. Era un marchese decaduto. Leggendo un articolo ho capito perché l’Unitre  è un  mero passatempo per la terza età: il divieto di adottare libri di testo. L’Università è studio severo, non cazzeggio magari con offerta di caffè a metà mattina. Se non si studia, è solo un parcheggio per anziani, un “centro sociale senza bocciofila”.   Vincenzo Luotto
Condivido,  anche se è un po’ troppo severo. Offrire assistenza agli anziani è atto generoso. Rispetto ai centri sociali dei giovani questi inoltre  non fanno danni. Tra i tanti non laureati che vorrebbero frequentare l’Unitre  c’è anche il grande Culicchia. Basta il nome per rivalutare l’Unitre. Anche il suo amministratore è un pensionato che ha lavorato all’Unione industriale e adesso ammazza il tempo, amministrando l’ente benefico come Marzano, classe di ferro 1940,  fa con gli ex allievi di un noto liceo, anche portandoli in gita scolastica come fossero studentelli.

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

L’anno nuovo che non arriva – Drammatico. Regia di Bogdan Muresanu, con Adrian Vancica e Nicoleta Hâncu. Premio Orizzonti a Venezia 2024 come miglior film. La rivoluzione che mette fine al dispotismo di Ceausescu, sei vite e sei storie che s’incrociano nella giornata del 20 dicembre 1989, le repressioni della polizia e il popolo che insorge. Un regista deve salvare il suo show di Capodanno dal momento che l’attrice principale se n’è fuggita via e la soluzione potrebbe essere l’impiego di un’attrice teatrale, il figlio che tenta di fuggire in Iugoslavia attraverso le acque del Danubio, un ufficiale della Securitate che deve trasferire la madre in una nuova che lei odia, il trasloco da parte di un operaio terrorizzato alla notizia che suo figlio abbia potuto scrivere la lettera a Babbo Natale confessandogli che il padre vuole la morte del dittatore. Ma la rivoluzione avrà inizio. “Un film molto politico ma anche un thriller del quotidiano perché l’autore ci rende complici di tutte queste storie arrotolate tra loro, grazie alla perfeytta compagnie di attori, finendo con la scintilla della grande manifestazione popolare: all’insurrezione si addice il documento reale”, ha scritto Maurizio Porro su Corsera. Durata 138 minuti. (Centrale V.O., Fratelli Marx sala Chico e Groucho)

Attitudini: Nessuna – Documentario. Regia di Sophie Chiarello. Aldo Baglio e Giovanni Storti e Giacomo Poretti celebrano i trent’anni di collaborazioni e amicizia e indimenticabile comicità sui palcoscenici e sugli schermi italiani, un viaggio emozionante di risate e ricordi. Durata 117 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Reposi sala 4, The Space Torino, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Avatar – Fuoco e cenere – Fantascienza, azione. Regia di James Cameron, con Sam Worthington, Zoe Saldana, Sugourney Weaver, Kate Winslet e Oona Chaplin. Alla morte del figlio Neteyam, Jake Sully ritorna al combattimento e a questo allena i figli, la sposa Neytiri elabora nel silenzio il suo lutto. Partono dalla loro terra portando con sé Spider, il ragazzo umano che essi hanno un tempo adottato: nel viaggio alla volta dell’antica base, pieno di avventure, saranno attaccati dal popolo vulcanico dei Mangkwan, estremamente feroce, guidato dal temibile Varang. Terzo appuntamento con la gloriosa saga dell’autore di “Titanic”. Durata 198 minuti. (Massaua anche 3D, Ideal 3D, 4K e in V.O., Lux sala 1 e 3 anche V.O., Massimo 3D e V.O., Reposi anche 3D, The Space Torini, Uci Lingotto anche V.O. e 3D, The Space Beinasco, Uci Moncalieri anche 3D)

Bugonia – Commedia / Fantascienza. Regia di Yorgos Lanthimos, con Emma Stone, Jesse Plemons e Alicia Silverstone. Due giovani ossessionati dalle teorie del complotto che decidono di rapire l’influente CEO di una grande azienda, convinti che sia un’aliena decisa a distruggere la terra. Convinti della sua natura extraterrestre, passano alla cattura e a un serrato interrogatorio. La situazione si complica quando la ragazza del giovane rapinatore, l’imprenditrice e un investigatore privato coinvolto nella vicenda si ritrovano intrappolati in una battaglia mentale ad alta tensione. La Stone nuovamente musa ispiratrice del regista di origini greche. Presentato a Cannes. Durata 120 minuti. (Greenwich Village)

Buon viaggio, Marie – Commedia drammatica. Regia di Enya Baroux, con Hélène Vincent. Malata terminale stanca di curarsi, l’ottantenne Marie ha scelto di recarsi in Svizzera per sottoporsi alla procedura del suicidio assistito. Incapace di dire la verità al figlio Bruno, volenteroso ma inconcludente e senza una lira, e alla nipote adolescente Anna, si confida invece con il rude ma gentile assistente sanitario Rudy, il quale si ritrova suo malgrado alla guida del camper che porterà tutta la famiglia verso la Svizzera, dopo che Marie ha raccontato la bugia di eredità da riscuotere. Riuscirà la donna, amorevole ma inflessibile nella sua decisione, a dire la verità alle persone che ama e Rudy a dare una direzione alla sua vita? Durata 97 minuti. (Greenwich Village)

Bus 47 – Drammatico. Regia di Marcel Barrena, con Eduard Fernàndez e Clara Segura. In fuga dai fascisti spagnoli, il giovane Manolo si rifugia nei pressi di Barcellona, fondando e costruendo con altri membri di una stretta comunità il quartiere di Torre Barò. Vent’anni più tardi Manolo guida gli autobus giù in una città difficilmente raggiungibile per via delle rapide stradine montuose che la separano da Torre Barò, dove l’uomo continua a vivere assieme alla moglie Carmen e alla figlia Joana, diventata ormai adulta. Mal visti dalla polizia locale e ignorati dalla burocrazia di Barcellona nelle loro richieste di trasporto pubblico che arrivi fino alla cittadina, gli abitanti covano un certo malcontento. Quando la situazione precipita, sarà Manolo a farsi carico di un gesto di protesta simbolico, sequestrando il “suo” autobus numero 47 e portandolo in cima alla montagna. Durata 110 minuti. (Greenwich Village)

C’era una volta mia madre – Commedia drammatica. Regia di Ken Scott, con Leïla Bekhti. Nel 1963 Esther partorisce Roland, il più giovane di una numerosa famiglia. Roland è nato con un piede torto che gli impedisce di alzarsi in piedi. Contro il parere di tutti, Esther promette al figlio che che camminerà come gli altri e che avrà una vita favolosa. Da quel momento in poi, la madre non smetterà mai di fare tutto il possibile per mantenere questa promessa. Durata 102 minuti. (Romano sala 3)

Eternity – Commedia. Regia di David Freyne, con Elizabeth Olsen, Miles Teller e Callum Turner. Film che ha inaugurato felicemente il 43° Torino Film Festival. C’è voluto una manciata di anni perché la sceneggiatura di Pat Cunnane trovasse un posto sul tavolo di qualche produttore di Hollywood, perché l’irlandese David Freyne, con un paio di lungometraggi alle spalle, fosse accreditato in veste di regista, il cast fosse composto e finalmente “Eternity”, con cui si è ieri sera inaugurato il Torino Film Festival numero 43 e che dal 4 dicembre arriverà sugli schermi, venisse girato. Commedia romantica, 115’ di piacevolezze e divertimento venati da qualche pizzico di toni drammatici che non impensieriscono più di tanto, di quelle che si potrebbero ripensare legate agli anni Quaranta o Cinquanta, affidate alle coppie Powell/Mirna Loy o Hepburn/Spencer Tracy, di quelle per cui vedresti facile facile dietro la macchina da presa quel gran genio di Frank Capra, un carico di amori e languori, di affanni e di finali lieti, di script svolti sempre con garbo e gusto e girandole che certo non t’annoiano – anche se per qualche strada secondaria degli ultimi minuti è difficile mantenere chiarezza e ritmo, ma comunque uscendo più che convinti che “the end” arriva con tutte le carte in regola. Tutto parrebbe naturale, solo che qui siamo nell’aldilà, in un mondo “altro” circondato da un cielo fatto di teli dalle nubi colorate, di quelli che già abbiamo visto anni fa in “Truman Show”, un mondo dove una giovane Joan, arrivata dopo aver lasciato in terra una donna anziana consunta dal cancro, ha la possibilità lunga una settimana di tempo per decidere con chi voglia trascorrere l’eternità: la scelta dovrà essere pensata tra Larry, che lì l’ha da poco preceduta essendosi strozzato con un assaggio di biscotti durante una riunione di famiglia che avrebbe preteso di essere felice, e il primo suo sposo Luke, bello e perfetto agli occhi di tutti, costretto tuttavia un giorno a partire per combattere in Corea e là morire. Con il risultato che da 67 anni l’eterno innamorato la sta aspettando tra l’arrivo di un treno e l’altro che trasportano defunti nelle praterie celesti, con un solerte CA o Consulente dell’Aldilà, tra una sala d’aspetto e un’altra di smistamento, tra una nuvola qua e l’altra là. C’è il tempo per ripercorrere il lungo tunnel dei ricordi, per gite in montagna o ombrelloni in riva al mare, pensieri d’un tempo e chiarimenti sulle doti di questo o di quello, finché il trio amoroso non s’ingarbuglia più del dovuto. Senza dimenticare che una soluzione va comunque presa. Non è certo il caso di raccontare i tanti sviluppi di cui la storia, felicemente surreale, si alimenta né definire con chi Joan deciderà di trascorrere “il resto dei suoi giorni”, se l’espressione non sapesse altresì di troppo terreno: sarà sufficiente dire degli ingranaggi perfetti stabiliti tra i tre interpreti, Elizabeth Olsen e i suoi pretendenti di egual misura, Miles Teller (Larry) e Callum Turner (Luke), cui s’aggiunge una vaporosissima e davvero brava Da’Vine Joy Randolph, che già si conquistò l’Oscar quale miglior attrice non protagonista un paio d’anni fa con “The Holdovers – Lezioni di vita” di Alexander Payne. Un applauso in più va alle scenografie di Zazu Myers, eccezionali, qualcosa che sa di Ziegfield degli anni d’oro. Durata 114 minuti. (Centrale V.O., Fratelli Marx sala Chico)

Father mother sister brother – Commedia drammatica. Regia di Jim Jarmush, con Tom Waits, Adam Driver, Charlotte Rampling, Cate Blanchett e Vicky Krieps. I panorami diversi del nord degli States, Dublino e Parigi, tre nuclei familiari che da troppo tempo hanno diradato rapporti e visite, un fratello e una sorella sui quaranta fanno visita a un padre che li chiama attorno a sé soltanto quando gli butta male sul lato economico, le due figlie di una scrittrice la raggiungono per l’appuntamento annuale di gustare insieme una tazza di tè e cercano di apparire una più dell’altra felici della loro situazione, due gemelli di vent’anni si ritrovano nell’appartamento che è stato dei genitori, morti in un incidente. Legano le coppie piccoli oggetti, piccole occasioni: un Rolex, chissà se vero o falso, delle parole, un brindisi con il tè o con il caffè, un gruppo di skaters che passa veloce, il disagio di ognuno. Leone d’oro alla 82ma Mostra del cinema di Venezia. Durata 111 minuti. (Nazionale sala1 anche V.O.)

Gioia mia – Drammatico. Regina di Margherita Spampinato, con Marco Fiore e Aurora Quattrocchi. Nico è un bambino di oggi, dipendente dal telefono e con lo smalto sulle unghie. All’improvviso viene strappato al suo mondo “del nord” per passare un mese d’estate in Sicilia, in compagnia di un’anziana zia, Gela. A casa della donna non c’è il wifi né l’aria condizionata, e si mangiano prelibatezze a cui il suo palato non è ancora pronto. Ci sono solo i giochi di carte, l’adorabile cagnolino Franck, e un condominio intero popolato di nonne e nipoti, più forse qualche spirito che abita gli appartamenti dell’ultimo piano ed è causa di strani rumori. Nico e Gela, ognuno radicato nelle proprie certezze ma con dolori simili nel cuore, dovranno pian piano cercare un linguaggio comune. Durata 90 minuti. (Romano sala 2)

Il maestro – Drammatico. Regia di Andrea Di Stefano, con Pierfrancesco Favino, Roberto Zibetti, Edwige Fenech e Tiziano Menichelli. Felice Milella ha 13 anni, un talento per il tennis e un padre pronto a sacrificare ogni cosa per fare di lui un campione – che il ragazzo voglia o no. Raul Gatti è un ex tennista un tempo arrivato agli ottavi di finale al Foro Italico, ma al momento in cura presso un centro di salute mentale. Raul pubblica un annuncio offrendosi come insegnante privato e il padre del ragazzo, ingegnere gestionale della SIP privo di grandi disponibilità economiche ma non di sogni di gloria, vede in lui l’uomo ideale per aiutare suo figlio a passare dai tornei regionali a quelli del circuito nazionale, facendogli da maestro accompagnatore. Felice si rende però presto conche che Raul potrebbe non aver nulla da insegnargli su un campo da tennis, ma forse qualcosa su come liberarsi dell’ingerenza paterna. Durata 125 minuti. (Fratelli Marx sala Harpo, Greenwich Village)

Monsieur Aznavour – Drammatico. Regia di Mehdi Idir e Grand Corps Malade, con Tahar Rahim. Dalla sua infanzia vissuta in totale povertà alla sua ascesa alla fama, dai suoi trionfi ai suoi fallimenti, da Parigi a New York, la scoperta del viaggio eccezionale di un artista. Intimo, intenso, fragile e indistruttibile, dedito alla sua arte sino alla fine, ecco uno dei cantanti più immortali di tutti i tempi, il mitico Charles Aznavour. Durata 133 minuti. (Classico)

Norimberga – Drammatico. Regia di James Vanderbilt, con Russell Crowe, Rami Malek e Michael Shannon. Film di chiusura del recente TFF. In quell’occasione scrivevo: “…le ultime immagini del festival appartengono alla macabra apparizione di Herman Göring – che ha le sembianze ormai irrimediabilmente possenti di Russell Crowe, eccellente – in Nuremberg, scritto (è stato tra laltro lacclamato sceneggiatore di “Zodiac” di Fincher) e diretto da James Vanderbilt – qui alla sua opera seconda in qualità di regista, dopo Truth – Il prezzo della verità”, 2015 -, a raccontare con parole ben lontane da quelle del difficilmente dimenticabileVincitori e vintidi Kramer la tragedia dellOlocausto (con immagini di repertorio) e il giudizio che le nazioni vincitrici della terra ne dettero durante i giorni e il processo di Norimberga, Ribbentrop e Hess e Seyss-Inquart e gli altri a subire morti e ergastoli. Vanderbilt focalizza il proprio racconto sullincarico che lo psichiatra americano Douglas Kelly (lo interpreta Rami Malek, meritato Oscar come Freddie Mercury) – un altro che non cede è il giudice della Corte Suprema degli States Robert Jackson (un validissimo Michael Shannon) – riceve allo scopo di valutare lo stato mentale dei prigionieri nazisti e di stabilire se essi siano idonei a sostenere il dibattimento per crimini di guerra. Affermativo: ma lui che è scivolato su un errore compiuto con il gentil sesso che ha le vesti di una curiosa giornalista che fa il suo mestiere ed è pronta a sottrargli notizie riservate, verrà estromesso. Salvo venire reintegrato nel dibattimento grazie a certi suoi studi che porteranno nuove luci sugli atti e sulla personalità del principale imputato. Costruendo in dialoghi che non hanno certo la sensibilità di un duello in punta di fioretto ma che pur scavano a fondo nella fredda ferocia del Reichmarschall, numero due del regime hitleriano, un duello sottile e psicologico che approfondisce, che mattone dopo mattone costruisce il progredire di un rapporto e di due personalità, che contribuisce a portare a una condanna che scavalcherà la morte per impiccagione, preferendo come la Storia ci ha testimoniato Göring darsi la morte con il cianuro – verremo a sapere nelle didascalie di coda che anche Kelly, colpito dai fantasmi di quella esperienza e datosi in seguito al bere, si tolse la vita allo stesso modo, nel 1958, dopo averne ricavato un volume che non ebbe alcun successo. Incisivo nel/per il racconto lurlo che Göring getta in faccia a Kelly nel disperato tentativo di mantenere ben salda la sua supremazia, la sua eternità: “Io sono il libro, tu non sei altro che una nota a piede pagina!Il film, di uscita natalizia, che è quasi un obbligo vedere per ripassare una pagina di Storia che non dev’essere dimenticata”. Durata 148 minuti. (Due Giardini sala Nirvana e Ombrerosse, Ideal anche V.O., Lux sala 2, Nazionale sala 3, Reposi sala 5, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Springsteen – Liberami dal nulla – Drammatico/Biografico. Regia di Scott Cooper, con Jeremy Allen White e Stephen Graham. Il film segue il cantante nella realizzazione dell’album “Nebraska” del 1982, anno in cui era un giovane musicista sul punto di diventare una superstar mondiale, alle prese con il difficile equilibrio tra la pressione del successo e i fantasmi del suo passato. Inciso con un registratore a quattro piste nella sua camera da letto in New Jersey, l’album segnò un momento di svolta nella sua vita ed è considerato una delle sue opere più durature: un album acustico puro e tormentato, popolato da anime perse in cerca di una ragione in cui credere. Durata 112 minuti. (Greenwich Village sala 2)

Un crimine imperfetto – Thriller. Regia e con Franck Dubosc, con Laure Calamy e Benoît Poelvoorde. Ambientato in un remoto villaggio del Giura, dove Michel e Cathy tirano avanti vendendo alberi di Natale. Con il figlio dodicenne Doudou, ragazzino con difficoltà, vivono in una vecchia fattoria tra montagne innevate, conti in rosso e sogni ormai sbiaditi. La coppia è allo stremo: troppe rate da pagare, troppe delusioni e un inverno che non sembra finire mai. Una sera, sulla strada del ritorno, Michel inchioda di colpo per evitare quello che sembra un orso sulla carreggiata. La manovra azzardata lo fa schiantare contro un’auto sul ciglio della strada, i cui passeggeri a bordo muoiono sul colpo. Preso dal panico, Michel chiama Cathy. Dopo un breve, gelido silenzio, decidono insieme di nascondere tutto. Mentre tentano di far sparire i corpi, nel bagagliaio dell’auto incidentata scoprono una borsa con oltre due milioni di euro in contanti. Quello che inizialmente sembra un miracolo natalizio si trasforma in un incubo a occhi aperti, innescando una serie di eventi caotici e assurdi. Ha scritto Maurizio Porro nelle colonne del Corriere della Sera: “Il problema è l’accumulazione dei fatti, tanti da sembrare un sogno, indagini e rimorsi, euro ed etica, un’alta tensione che si stempera in osservazioni di colore umoristico ma in un panorama notturno tenebroso, come se fosse tutto una paurosa favola per grandi.” Durata 109 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Un semplice incidente – Thriller, dramma. Regia di Jafar Panahi. Padre, madre e figlioletta percorrono di notte una strada in auto quando un cane finisce sotto le ruote della loro macchina. Ciò provoca un danneggiamento al veicolo che costringe ad una sosta per la riparazione temporanea. Un uomo che si trova sul posto cerca di non farsi vedere perché gli è parso di riconoscere nel conducente dell’auto un agente dei servizi segreti che lo ha sottoposto a violenza in carcere. Riesce successivamente a sequestrarlo ed è pronto a seppellirlo vivo quando gli viene il dubbio che si tratti di uno scambio di persona. Cercherà conferme in altri che, come lui seppur in misure diverse, hanno subito la ferocia dell’uomo. Palma d’oro al Festival di Cannes. Durata 101 minuti. (Nazionale sala 4)

Vita privata – Drammatico. Regia di Rebecca Zlotowski, con Jodie Foster, Daniel Auteuil, Virginie Efira, Mathieu Amalric e Aurore Clément. Tra thriller psicologico ed eccentrica commedia familiare (il terreno privilegiato fino a oggi dalla regista, autrice di “Un’estate con Sofia” e “I figli degli altri”), la storia di Lilian, psicanalista razionale e sicura di sé 8una Foster superlativa anche in versione francofona), che comincia a “deragliare” quando una sua paziente muore suicida. Sospettando che si tratti di un omicidio, Lilian comincia a indagare e, ovviamente, a dubitare di se stessa e delle proprie capacità, fino a sottoporsi a una seduta di ipnosi. E qui i mondi si confondono. Dubbi, certezze, insicurezze, il passato, altre vite, sospetti s’inseguono sulla faccia altera e impagabile di Jodie Foster, circondata da Daniel Aureuil (l’ex marito) e da Virginie Efira e Amalric (la vittima e l’ambiguo compagno di lei). Durata 105 minuti. (Eliseo Grande, Nazionale sala 2)

In scena al teatro Astra lo spettacolo Bloomsville

 

Nuova produzione di Tedacà, con la supervisione di Simone Schinocca

Liberamente ispirato a ‘Luci della Città’ di Charlie Chaplin, il 21, 22, 23 e 26 dicembre prossimi, debutterà lo spettacolo Bloomsville, una nuova produzione di Tedacà, diretta da Valentina Renna, con la supervisione di Simone Schinocca. L’opera è inserita nella stagione “Mostri” della Fondazione Teatro Piemonte Europa e andrà in scena al teatro Astra, in via Rosolino Pilo 6.

Bloomsville è il nome di una città come tante, in cui i personaggi del vagabondo e della fioraia si incontrano per cercare insieme quell’umanità semplice  e imperfetta che nella loro società sembra non trovare spazio. Lo spettacolo non utilizza la parola, ma mescola diversi linguaggi quali teatro fisico, danza, musiche e sonorizzazione originali suonate dal vivo da Supershock, Paolo Cipriano, polistrumentista che ha calcato i palchi di Europa, America e Medio Oriente.
Bloomsville,  come tutte le città del mondo, rappresenta un luogo ricco di contraddizioni. Tra le sue vie si muove un Vagabondo dall’animo gentile e pragmatica, che incontra diversi personaggi tra cui un borghese ricco ma infelice, fermato appena prima di un suicidio, e una Fioraia tanto sensibile quanto invisibile al resto della società. Insieme alla Fioraia, il Vagabondo affronta un percorso di dolore e speranza verso quell’umanità semplice e imperfetta che il contesto urbano tende a imbrigliare.
Bloomsville rende omaggio a Charlie Chaplin e a ‘Luci della città’ attraverso l’intreccio di diversi linguaggi “fisici”, di teatro fisico, danza jazz, tip tap e street Dance, ritrovando nella dimensione “non verbale” la cifra universale dei personaggi e della storia da narrare.

“Lo spettacolo si concentra sulla profonda dicotomia tra due mondi contrapposti – spiega la regista e ideatrice Valentina Renna – il mondo del sogno, dell’amore, della semplicità e autenticità, rappresentato dalla Fioraia, e il mondo Urbano, inteso nella sua accezione più brutale, caratterizzato da frenesia, ostentazione, ricchezza apparente e una disperazione di fondo. Il Vagabondo è costretto a barcamenarsi costantemente tra queste due realtà. A differenza del film originale la Fioraia non è cieca a livello sensoriale, ma viene resa cieca emotivamente, simboleggiando la sua incapacità iniziale di interagire con la vita in città.
La stessa città diventa in alcuni casi personaggio e viene ad essere personificata da due performer che agiscono come Parche e semplici antagonisti.
A livello visivo Bloomsville, per rendere l’idea del disagio, della chiusura e della fatica emotiva dei personaggi, utilizza la metafora dei fili. La Fioraia ne sarà inizialmente avvolta, il Vagabondo li avrà come parte dei suoi costumi, mentre il ricco li avrà perennemente visibili senza accorgersene. Due gli interni speculari presenti all’interno dell’impianto scenografico, la casa della Fioraia e del Ricco, rappresentative della dicotomia tra sogno e contesto urbano entro cui si muove il Vagabondo.
“La scenografia è costruita in prospettiva, a trapezio, per rendere omaggio alle prospettive tipiche del cinema – afferma Valentina Renna – mentre la dimensione razionale e indifferente della città  viene rappresentata dalla presenza di oggetti cubici e da costumi con una palette di colori neutri”.
La colonna sonora originale di Bloomsville è stata interamente creata da Paolo Cipriano,  in arte Supershock. Musiche e suoni vengono eseguiti dal vivo, richiamando sonorità rock, progressive e psichedeliche.
“Questa contemporaneità musicale ha l’obiettivo di togliere il velo di passato che potrebbe evocare il film a cui ci siamo ispirati, per rendere i temi che affrontiamo universali e metropolitani, perché Bloomsville è appunto una città come tante al mondo, non ha una collocazione spazio temporale” afferma Valentina Renna.
In alcune parti dello spettacolo, accanto ai cinque performer Francesca Bovolenta, Simone Fava, Diva Franceschini, Michela Paleologo, Andrea Semestrali, e al musicista Paolo Cipriano, sarà in scena un ensemble di sei danzatori e danzatrici under 25 di Tedacà.
“Sono gli allievi più talentuosi dei nostri laboratori di danza, ci piace l’idea di vederli sul palco nelle scen3 in cui si materializza il lato più popolato della città,  una dimensione abitata  dal talento delle giovani generazioni,  quindi un buon auspicio per una qualsiasi città “.

Orari spettacoli

Domenica 21 dicembre e venerdì 26 dicembre ore 17

Lunedì 22 dicembre ore 19

Martedì 23 dicembre ore 21
Teatro Astra, via Rosolino Pilo 6, Torino

Mara Martellotta

Anima Festival: il 10 luglio 2026, a Cervere, il concerto di Emma

Dopo l’annuncio di due grandi concerti negli ippodromi di Roma e Milano, oggi Emma ha svelato che il suo live tour 2026 farà tappa all’Anima Festival di Cervere il 10 luglio prossimo, unica tappa piemontese.

“Per la prima volta – spiegato Ivan Chiarlo, patron del Festival insieme alla sorella Natasha – l’anfiteatro dell’Anima ospiterà un concerto nella modalità ‘tutti in piedi’, come richiesto dall’artista per una migliore fruizione dello spettacolo. Siamo molto contenti di rendere omaggio a un’artista speciale, che porterà sul palco tutta la sua grinta, la potemza del suo repertorio e i brani che hanno segnato la sua carriera musicale, da quelli che hanno fatto ballare generazioni di appassionati fino ai brani più recenti”.

I biglietti per il concerto sono disponibili su Ticketone a partire dalle ore 14 di venerdì 19 dicembre. Il 2025 di Emma si conclude con risultati straordinari: il suo ultimo singolo “Brutta storia” è stato accolto con grande entusiasmo da pubblico e critica, raggiungendo il vertice delle classifiche radiofoniche generali. Nell’ultimo mese, inoltre, a distanza di più di 12 anni dalla sua pubblicazione, il brano “L’amore non mi basta” è tornato a dominare le classifiche streaming italiane, conquistando il primo posto della Top 50 di Spotify Italia, risultato che ha reso Emma la terza artista italiana solista, nel corso dell’ultimo decennio, a raggiungere questo traguardo. Il brano ha totalizzato oltre 120 milioni di stream rtd, e più di 75 mila creazioni su Tik Tok, diventando fenomeno virale.

Quanto all’anfiteatro dell’Anima, rimane invariata la composizione dei posti a sedere numerati per i concerti di Riccardo Cocciante, nel settembre 2026, e Claudio Baglioni, del 5 settembre 2026 e sempre nell’ambito dell’Anima Festival.

Mara Martellotta