CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 289

La banalità del male. Arte e memoria per non dimenticare

Conferenza con Giovanni Carlo Federico Villa

 

per la Giornata Mondiale in Memoria delle Vittime dell’Olocausto

 

venerdì 27 gennaio 2023 ore 17

 

Palazzo Madama – Sala Feste

Piazza Castello, Torino

In occasione della Giornata Mondiale in Memoria delle Vittime dell’Olocausto,Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica propone, venerdì 27 gennaio alle ore 17, la conferenza di Giovanni Carlo Federico Villa dal titolo La banalità del male. Arte e memoria per non dimenticare.

“È possibile far poesia dopo Auschwitz?”: insieme all’ineludibile domanda di Theodor Adorno ci si può chiedere se l’arte sia lo strumento adatto a descrivere la realtà della Shoah, a rappresentare l’irrappresentabile per il tramite della pietasgrafica, pittorica, architettonica e anche così giungere a una coscienza collettiva di quanto l’uomo è stato capace di compiere contro ogni logica.

In un racconto per immagini si narrerà “la banalità del male”, il passaggio dalla normalità della quotidianità ai pogrom e alle deportazioni, avendo a guida le incisioni di Isaac Celnikier e gli acquerelli di Felix Nussbaum, i disegni di Theresienstadt di Leo Haas e i lavori di Walter Spitzer e David Olère. Artisti che con le loro opere mostrano lo strenuo impegno nel trasmettere la memoria delle deportazioni naziste degli ebrei, di cui sono stati testimoni, loro stessi sopravvissuti o assassinati nei campi di concentramento, per giungere al lavoro di Christian Boltanski e a Maus, la graphic novel di Art Spiegelman, che diviene memoria privata e collettiva, alternando tragedia e divertimento, brutalità e tenerezza in uno struggente romanzo visivo.

Un’arte, come strumento di memoria figurativa, che raramente è esposta nei musei. Così che i temi che riguardano l’Olocausto sono poi stati espressi in monumenti e memoriali – dal Padiglione italiano di Auschwitz di Primo Levi, Luigi Nono, Mario Samonà e Ludovico di Belgiojoso al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, al Museo Ebraico di Berlino – capaci di divenire depositari di una memoria dal forte potere emotivo, rendendo storie personali la storia di tutti.

Un incontro non solo per mostrare quanto è stato – la riduzione dell’essere umano a pura quantità e la cancellazione della sua individualità – ma per far comprendere la gravità di quanto è avvenuto tramite una lettura emozionale ed etica.

Al mattino la conferenza si terrà in due scuole secondarie di II grado della città di Torino: il liceo artistico Renato Cottini e il Liceo Regina Margherita, proseguendo così l’intensa attività, che Palazzo Madama, in collaborazione con i dirigenti scolastici, sta portando avanti con le scuole del territorio.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili

 

Un affresco delirante, una tragedia per molti il passaggio dal muto al cinema sonoro

Sugli schermi “Babylon” di Damien Chazelle

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

O lo si ama o lo si detesta. O lo accettiamo o lo rigettiamo pressoché in blocco. O lo vogliamo considerare un affresco dove le luci e le zone d’ombra possono coabitare o non ci rimane altro che un assordante quanto disordinato intrico di colori. A chi scrive queste note, note di certo non buttate giù non appena digeriti i lunghi titoli di coda ma a giudizio lasciato depositare con tranquillità, “Babylon” è sembrato un film più di pancia che di cervello, uno spettacolo eccessivamente ambizioso e pronto ad annusare l’aria dell’arroganza, straripante e bulimico, dedito all’eccitazione e alla sfrenatezza delle immagini, delirante oltre ogni ragionevolezza, dove ci piacerebbe salvare almeno quell’atmosfera di disperata sopravvivenza che vi circola per gli interi 188’: non riuscendo a comprendere tuttavia in concreto se proprio quell’atmosfera sia il frutto del lavoro – guardato in filigrana – di Damien Chazelle o se ci arrivi da una visione tutta nostra della fabbrica hollywoodiana dei sogni, della Mecca del cinema che, in un tempo lontano come in questo nostro quotidiano, tutto promette e pochissimo concede.


Chazelle crede nelle sfide, ne è il cantore, tutto il suo cinema è lo specchio dell’essere umano che si batte per afferrare la vittoria, nei campi più diversi, è tutto un’aspirazione al successo, da “Whiplash” (il sogno di Andrew di diventare il migliore batterista jazz) a “La La Land” (grazie al quale vinse l’Oscar come miglior regista, il più giovane nella storia del cinema) a “First Man – Il primo uomo”, narratore dell’avventura di Neil Armstrong, primo uomo sulla luna con l’Apollo 11. Qui sembra ripetere ho tante cose da dire e le devo dire tutte, e dirle furiosamente (quant’era più lucido narrativamente e psicologicamente John Schlesinger nel “Giorno della locusta”, è il primo titolo che mi viene in mente, su quegli anni, su quel mondo, su quella disperazione), quasi con rabbia, una rabbia cinematografica, espressa nelle continue spigolosità del racconto, nel nervosismo del montaggio (non certo un capolavoro) di Tom Cross, nella colonna sonora (questa sì eccezionale, s’è già portata via un Golden Globe) dell’abituale collaboratore Justin Hurwitz, devo mostrare senza mezzi termini quel che è stata Hollywood, i successi del muto e il passaggio al sonoro, al di là dell’esplosione del “Cantante di jazz” nel ’27, la tragedia di molti: per gli idoli maschili che avevano costruito la propria fortuna a suon di bei visi e gagliardi portamenti, per quelli femminili, che oltre a sfoderare un bel faccino dovettero metterci una voce che con le nuove tecniche risultarono inudibili.

Qui tutto inizia con quell’elefante spinto, quasi issato su per le strade polverose dei deserti del sud della California, capace di riversare nel bel mezzo di quel pandemonio quanto di più schifoso ha sinora trattenuto in pancia, destinato ad una festa che nelle sembianze crude dell’orgia allinea amplessi in bella vista, un nano a cavalcare un membro alto quanto lui, montagnole candide di cocaina offerte nei vassoi, nudi in ogni angolo, una ragazza che ha abusato una volta per tutte delle droghe circolanti e che adesso è necessario far sparire su due piedi. Una festa, definiamola così, in cui s’aggira Jack Conrad (Brad Pitt), immaginate una sorta di John Gilbert, droga e alcol e donne, divo osannato ma non certo pronto a reggere negli anni il peso dei nuovi cambiamenti per cui preferirà mettere fine ad una carriera e ad una vita sempre più in discesa; si aggira Nellie LaRoy (Margot Robbie, brava se la si accetta nella visione del regista), già una diva, ne è convinta lei mentre cerca di convincere il gran mondo, ma ancora a corto di una grande occasione, ambiziosa e pronta a ogni esperienza, sfrenata, decisa a tutto pur di scalare i gradini della Mecca; si aggira il povero e sprovveduto Manuel Torres (Diego Calva, forse il più credibile), uomo tuttofare degli studios nascenti, ma anche baciato da un colpo di fortuna per imboccare la strada del produttore esecutivo.

Tre destini che s’incontrano e s’incrociano, che più o meno violentemente scivolano verso i gradini più bassi. Nei grandi ingranaggi, nel meccanismo che stritola senza guardare in faccia nessuno, ci sono le ubriacature e la mancanza di credibilità di Jack, tenta di vivere Nellie costretta a difendersi dalle critiche sempre più negative, dando infelicemente spettacolo di sé mentre nel deserto, davanti a quelli che contano nello showbiz, combatte con un serpente o, all’ennesimo ricevimento, non riesce a far altro che vomitare vistosamente sulla faccia del padrone di casa; c’è Manuel che si aggira davanti all’ingresso degli studios, un mondo che altre troppo fantasiose giravolte del destino l’hanno costretto a lasciare, riducendosi ad un malinconico ingresso in un cinema a bearsi di Gene Kelly in “Cantando sotto la pioggia”, in un estremo finale che pare tanto un nuovo “cinema paradiso”.

Non ci si riesce a innamorarsi delle avventure dei tre protagonisti, di tanto in tanto qualche spruzzo di verità e di autentica passione (la cattura dell’ultimo sole per poter girare una scena, la sceneggiatrice che pone Jack davanti alla cruda realtà della sua esistenza). Purtroppo prevale nella scrittura di Chazelle, piena all’orlo di quei fuochi d’artificio più scalcagnati che sorprendenti, quella volontà di infarcire d’episodi, alcuni a rasentare il ridicolo – quello del serpente ne è una prova, un altro a ripararsi dalle grinfie di un coccodrillo fa il paio in stupidità. “Babylon” finisce con l’essere uno scivolone non da poco nella filmografia di questo autore trentottenne ed è di certo un rammarico per chi aveva considerato “La La Land” uno dei più perfetti film dei primi decenni di questo nuovo millennio.

Scienza e creatività in musica

2022 PROGRAMMA 2023XXXI edizione  

I CONCERTI DEL POLITECNICO

POLINCONTRI MUSICA  

 

POLITECNICO DI TORINO    

Aula Magna “Giovanni Agnelli”

corso Duca degli Abruzzi 24  

inizio concerti ore 18,00  

Secondo appuntamento per la programmazione del ciclo Scienza e Creatività in coproduzione con Rivolimusica, Scene dal vivo, Istituto Musicale Città di Rivoli, lunedì 30 gennaio ore 18 presso l’Aula Magna del Politecnico di Torino.

“Negli iconismi di Kircher la pretesa dell’esattezza scientifica produce il più dissennato delirio della fantasia, così che diventa veramente impossibile, più che nell’opera scritta, discernere il vero dal falso. In fondo quello che dobbiamo a Kircher è l’idea che sulla scienza e sulla tecnica si possa sognare”. (Umberto Eco)

Giorgio Strano, responsabile delle Collezioni del Museo Galileo di Firenze, ci racconta misteri e bellezze del geniale e discusso Organum Mathematicum di Kircher, in dialogo con l’arpa celtica di Elisa Petruccelli e il flauto traverso di Claudia Fassina.
Athanasius Kircher fu gesuita, filosofo, storico e museologo tedesco che ebbe, tra le tantissime, l’intuizione di creare una macchina “omnia in omnibus”, un’enciclopedia all’avanguardia, depositaria del sapere: dall’Aritmetica e Geometria a Fortificatoria, Cronologia, Horografia, Astronomia, Astrologia, Steganografia, Musica.

L’unico esemplare originale di Organum Mathematicum (XVII secolo) è conservato in ottimo stato proprio presso il Museo Galileo.

per il ciclo Scienza e Creatività 

in coproduzione con l’Istituto Musicale Città di Rivoli 

Lunedì 30 gennaio 2023       L’organum mathematicum di Kircher

Giorgio Strano responsabile delle Collezioni del Museo Galileo di Firenze

Elisa Petruccelli arpa celtica  

Claudia Fassina flauto traverso

Giorgio Strano
Responsabile delle collezioni presso l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, svolge attività di ricerca e di divulgazione soprattutto nel campo della storia dell’astronomia. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste di storia della scienza italiana e straniere. Ha collaborato alla realizzazione di mostre sulla storia della scienza e dell’astronomia: Scienziati a Corte (2001), Machina Mundi (2004), La relatività da Galileo a Einstein (2005), Il Telescopio di Galileo (2008-2009), Astrum2009. Astronomia e strumenti da Galileo ad oggi (2010). È membro della Scientific Instrument Society e della ScientificInstrument Commission della IUHPST. Dal 2007 al 2020 è stato general editor della collana Scientific Instrument and Collections, edita da Brill.

Elisa Petruccelli
Dopo aver studiato canto moderno si avvicina al mondo dell’arpa con Silvia Bonino. Si specializza nella tecnica e nel repertorio irlandese e scozzese con Enrico Euron e Gráinne Hambly. Partecipa a masterclass con: Laoise Kelly, Gráinne Hambly, Rachel Hair, Seana Davey Enrico Euron e Anne Gaelle Cuif. Laureata in Lettere Antiche segue i corsi della SIEM e i seminari del Centro Goitre per la formazione e la didattica. Nel 2019 ottiene la qualifica di Operatore Sistema Goitre dopo il percorso triennale di Didattica Musicale “Insegnare musica ai bambini”.
È tra i soci fondatori della Celtic Harp International Academy per promuovere la conoscenza e la ricerca sui diversi aspetti storicoculturali, artistici e stilistici dell’arpa celtica attraverso masterclass, festival, concerti e conferenze. Dal 2020 organizza il Festival internazionale di Arpa Celtica di Pamparato in cui partecipa come docente e concertista. Insegna arpa celtica e svolge laboratori di propedeutica musicale in scuole primarie e dell’infanzia. Suona come arpista e cantante nel gruppo folk CelticStrings e studia danza irlandese presso l’Accademia di Danze Irlandesi Gens d’Ys.

Claudia Fassina

Si avvicina al mondo musicale giovanissima e inizia a studiare flauto traverso sotto la guida di Marco Giaccaria. Nel 2006 consegue la licenza triennale per compositori e strumentisti di teoria e solfeggio presso il conservatorio “G. Verdi” di Torino e nel 2008 si approccia allo studio di batteria e percussioni etniche. Negli anni entra a far parte di formazioni musicali di vario genere come polistrumentista e questo la porterà a suonare in numerose situazioni concertistiche, in Italia e all’estero, a pubblicare album e a incidere parti strumentali come ospite in diverse produzioni. 

Dal 2016 si avvicina alla formazione ABRSM (The AssociatedBoard of the Royal Schools of Music) da cui conseguono nel 2018 il diploma di performance in flauto traverso ARSM e nel 2021 il DipABRSM, diploma in flauto traverso, with distinction

Attualmente è docente di batteria e flauto traverso e si sta dedicando alla composizione di brani 

per uno spettacolo teatral-musicale.

POLINCONTRI Orario: 9.30 – 12.45 Tel. +39 011.090.7926/7806 – fax +39 011.090.7989e-mail: Polincontri@polito.it  – www.polincontri.polito.it/musica/

A teatro “Vaduccia: l’importante è che ci sia qualcuno”

Prosegue a partire dal 24 gennaio, la stagione 2022/2023 del teatro Marcidofilm!, con in calendario, fino al 29 gennaio, la pièce dal titolo “Vaduccia: l’importante è che ci sia qualcuno”

 

Riprende il 24 gennaio la stagione 2022/2023 del teatro Marcidofilm!, che propone quattro titoli tra le produzioni più recenti della Compagnia, oltre all’appuntamento annuale con le serate di poesia, in collaborazione col Salone del Libro di Torino.

Dal 24 al 29 gennaio prossimi sarà in scena la pièce “Vaduccia: l’importante è che ci sia qualcuno”, adattamento di Marco Isidoridel testo originale di Abraham B. Yehoshua, dal titolo “L’amante”.

Dal 28 febbraio al 5 marzo prossimi saranno in scena le “Memorie del sottosuolo” di Fedor Dostoevskij.

Dal 9 al 14 maggio prossimi si potrà assistere allo spettacolo “Happy Days in Marcido’s Field 2022”

Il 21 maggio sarà di scena la pièce “Nadotti/Marcido/Berger.

La programmazione si apre con “Vaduccia: l’importante è che ci sia qualcuno”, per la trasposizione e regia di Marco Isidori,produzione di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa 2021, con l’autorevole interpretazione di Maria Luisa Abate, che mette in scena vaneggiamenti e senilità, a metà tra i sentimenti di una israeliana e di un giovane arabo integrato. La pièce racconta la storia di una novantasettenne ebrea che, nell’ultimo scorcio della sua vita, risvegliatasi da una malattia che le aveva tolto ogni consapevolezza vitale, rendendola un minerale (una pietra, afferma lei di sé medesima), si trova a dover condividere la vita quotidiana con un ragazzo arabo piovuto quasi dal cielo. La vecchia, di nome Vaduccia, stravagante, piena di pregiudizi, carica delle eredità emotive della sua esistenza, non solo riesce a relazionarsi col suo giovane nemico, ma a giungere a provare per esso un sentimento amoroso.

Il linguaggio con il quale la storia viene portata in scena, risulta vorticosamente ritmico, puntualmente oggettivo e diabolicamente simbolico. La performance dell’interprete, la straordinaria Maria Luisa Abate, si avvita con fatale inesorabilità in un parossismo non solo interpretativo ma anche fonico, approdando quella compiutezza teatrale che rappresenta uno dei cardini della ricerca scenica dei Marcido. Qui per “compiutezza” si intende non soltanto l’immersione totale, vale a dire senza scampo o via di fuga, nell’estremo dolore del confronto con la propria inadeguatezza, ma anche la necessità di riuscire a superarsi per donare al pubblico un forte momento di comunione sentimentale.

MARA MARTELLOTTA

 

Teatro Marcidofilm!

Torino, Corso Brescia 4/bis interno 2

Orari recite da martedì a sabato ore 20.45, domenica ore 16.00

Informazioni e prenotazioni: 011 8193522 – 3393926887 -3287023604

info.marcido@gmail.com

“Ricorderesti il mio nome se ti vedessi in paradiso?”

Music Tales, la rubrica musicale 

Ricorderesti il mio nome

se ti vedessi in paradiso?

avresti le stesse sensazioni

se ti vedessi in paradiso?”

Siamo nel 1992, avevo vent’anni.

Eric Clapton scriveva e dedicava a suo figlio Conor, scomparso nello stesso anno, a soli 4 anni, cadendo dal 53º piano di un palazzo a New York, la ballata “tears in heaven” (lacrime in paradiso).

La canzone è stata dapprima incisa nella colonna sonora del film Effetto allucinante del 1991, e poi nell’album Unplugged (vincitore del Grammy come Album dell’anno) l’anno successivo. È tra le canzoni di maggior successo interpretate da Clapton e conquistò nel 1993, tre Grammy Awards: “Registrazione dell’anno”, “Canzone dell’anno” e “Miglior interpretazione vocale maschile”. Inoltre, Tears in Heaven, si trova al 362º posto della lista dei 500 migliori brani musicali secondo Rolling Stone.

Anni dopo, la canzone è stata dedicata anche alle vittime dello tsunami del 2004, cantata da diverse celebrità come Ozzy e Kelly Osbourne, Phil Collins, Elton John, Mary J. Blige, Rod Stewart, Gwen Stefani, Scott Weiland, Robbie Williams, Josh Groban, Ringo Starr, Steven Tyler, Andrea Bocelli, Katie Melua, Slash alla chitarra e Duff McKagan al basso elettrico.

Ma di questo molto poco mi importa, ci è dato a sapere da wikipedia e tanto di cappello, ma…quel che veramente mi regala emozionaalmente questo brano è sofferenza, speranza, amarezza e arresa. Tutto allo stesso tempo.

Oggi, nel giorno del funerale di una persona a me molto vicina, ve la voglio regalare questa canzone, dedicandola a chi non possiamo respirare più; senza spendere altre parole se non queste:” non aspettate, se potete, a cambiare vita, a cambiare voi stessi, a sorridere, a mettere una camicia che non volete sciupare, a mangiare la cosa che vi piace di più senza pensare ai chili di troppo; non rimandate un appuntamento, non privatevi di un abbraccio, non lasciate che ci siano cose non dette. Cercatevi, non risparmiatevi, non mandatevi un whatsapp ma andate a bere una cosa insieme…suonate e cantate insieme, accarezzate chi avete di fianco e diteglielo quanto lo amate o quanto vi fa incazzare.

Questo meccanismo delle dodici ore di lavoro ogni giorno, del “domani poi lo farò”, produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita.

Fosse anche solo l’occasione per star bene.

La vita è solo ed esclusivamente adesso.

Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto.”

Buon ascolto

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=0lOBE7IwUOY&ab_channel=MusicTravelLove

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Castello di Moncalieri Il cantiere di architettura nel XVII secolo

Il Castello di Moncalieri

Mercoledì 25 gennaio, alle ore 17.30, alla Biblioteca Civica A. Arduino di Moncalieri, Via Cavour 31,  per il Ciclo di Incontri “Sguardi su Moncalieri”, organizzati dall’Assessorato alla Cultura della Città di Moncalieri, la Biblioteca civica “A. Arduino” e il Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis di Torino,  conferenza di

Maria Vittoria Cattaneo, Politecnico di Torino,

Il Castello di Moncalieri

Il cantiere di architettura nel XVII secolo

 

Interverrà l’Assessore alla Cultura Laura Pompeo

Introduce Albina Malerba

Nel corso del Seicento, su committenza di Cristina di Francia, prima Madama Reale, gli architetti Andrea Costaguta e Amedeo di Castellamonte svolgono un ruolo significativo nell’ ampliamento e ristrutturazione del Castello di Moncalieri. Castellamonte, in particolare, si occupa del disegno della residenza e dei suoi giardini per un trentennio, continuando ad operare, dopo la morte della prima Madama Reale, secondo la volontà del figlio Carlo Emanuele II e della sua consorte, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Gli esiti del suo intervento, grazie al quale ha dato forma attraverso l’architettura all’ideologia del potere sabaudo, sono tuttora leggibili.

Prossimo appuntamento:

Mercoledì 8 febbraio 2023, ore 17,30, Maria Carla Visconti e Lorenza Santa (Musei Reali Torino), Domenico Ferri e la sua équipe. Artisti e artigiani per l’Appartamento Reale al Castello di Moncalieri 

Cavour e la cucina diplomatica

Il conte Camillo Benso di Cavour, nato a Torino nel 1810, primo presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, lo possiamo definire come uno dei creatori, ma principalmente promotore della diplomazia culturale.

La quale esiste in diversi contesti delle relazioni internazionali e da sempre ha avuto un ruolo molto importante per la nostra nazione. La diplomazia culturale è stata un elemento importante sia nel passato sia ai giorni d’oggi, in quanto rappresenta un vero e proprio strumento di soft power per rafforzare le relazioni tra i diversi Stati, ma anche un modo per promuovere il nostro Paese, riconosciuto a livello mondiale come “una potenza della bellezza e cultura”. Strategia che Cavour seppe applicare molto bene durante i suoi incontri diplomatici, tra un pranzo e una buona bottiglia di vino, infatti, affermava molto spesso Plures amicos mensa quam mens concipit, ovvero, cattura più amici la mensa che la mente. Tanto da affidare sempre qualche bottiglia di Barolo ai suoi diplomatici quando partivano in missione per qualche città straniera. Come possiamo pensare, un’altra delle sue passioni era nel campo dell’enologia. Contribuì a migliorare il Barolo nel 1840, con l’aiuto e la consulenza di un enologo francese il Conte Louis Oudart, creando un vino con una tecnica di fermentazione migliore, rendendolo più secco e di lungo affinamento.

Sofia Scodino

 

 

Doppio appuntamento per il public program di Buddha10

Diasporas Now: Rieko Whitfield + Micaela Tobin (White Boy Scream) e Chinabot: Jpn Kasai & Neo Geodesia

Martedì 24 e mercoledì 25 gennaio 2023 ore 18.30

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

 

Il 24 e 25 gennaio il MAO Museo d’Arte Orientale ospita un doppio appuntamentonell’ambito del public program della mostraBuddha10.

 

Martedì 24 gennaioore 18.30 saranno ospiti del museo Reiko Whitfield e Miacaela Tobin per una conversazione e narrazioni alternative su identità migranti, background intersezionali, decolonizzazione, self-empowerment, cura e supporto reciproco.

Il termine diaspora è usato in relazione all’arte per parlare di artisti emigrati di prima o successive generazioni, che riprendono e utilizzano le proprie diverse esperienze culturali e identitarie, spesso creando nelle loro opere narrazioni alternative in contrasto a idee e strutture consolidate.

Mai prima d’ora è stato così importante per gli artisti raccontare le loro storie alle proprie condizioni, quindi mettiamoci in ascolto!

In questo pomeriggio molto speciale Rieko Whitfield, artista, scrittrice e musicista giapponese-americana di base a Londra, una delle fondatrici di Diasporas Now, piattaforma di solidarietà diasporica che si occupa di discorsi contemporanei sulle identità migranti, e Micaela Tobin, soprano e sound artist, filippina-americana di prima generazione di base a Los Angeles, presenteranno due dei loro più recenti lavori: due film/opere musicali che partono da mitologie speculative per togliere centralità alle traiettorie storiche del colonialismo eurocentrico.

In parte rituale sonoro, in parte narrazione diasporica, “BAKUNAWA: Opera of the Seven Moons” di Micaela Tobin è un’opera sperimentale e coinvolgente basata sull’omonimo album acclamato dalla critica di Tobin, che rivendica la mitologia pre-coloniale delle Filippine dopo secoli di violenta cancellazione culturale. Raccontando la storia di Bakunawa, un drago simile a un serpente della mitologia filippina, Tobin porta la sua voce al di fuori delle mura imperialistiche del teatro dell’opera e sulla Costa della California di fronte all’Oceano Pacifico – creando un ponte sonoro verso le isole delle Filippine in un atto di guarigione.

“Regenesis: An Opera Tentacular” di Rieko Whitman è una storia sui cicli della vita, sulla morte, sull’importanza della comunità ambientata in un mondo post apocalittico e narrata in modo non lineare tramite l’impersonificazione di avatar soprannaturali. La narrazione in tre atti è ispirata a Izanami, dea shintoista della creazione e della distruzione, che brucia fino a morire per dare vita al mondo. “Regenesis” mette in scena una mitologia speculativa evocando esseri soprannaturali che guariscano il corpo sofferente della terra, attraverso l’utilizzo di metodi di collective care e creando al contempo prototipi alternativi di futuri sostenibili.

Lo screening delle due opere musicali sarà seguito da una talk su temi diasporici in cui interverranno le due artiste, moderato da Ilaria Benini, editor della collana Asia di Add editore, ed esploratrice della scena culturale asiatica contemporanea.

 

Mercoledì 25 gennaio alle ore 18.30 il MAO ospita invece una serata con Chinabot, collettivo che vuole cambiare la discussione sulla musica asiatica. Canti Khmer, samples di karaoke, musica popolare giapponese, juke e batteria metal.

Sin dal suo lancio l’etichetta-collettivo londinese Chinabot ha ampliato e demistificato la percezione pubblica delle scene musicali sperimentali asiatiche pubblicando opere bizzarre, imprevedibili e innovative di artisti provenienti da varie regioni dell’Asia. Ogni uscita è stilisticamente varia e significativamente concettualizzata attraverso riferimenti culturali locali, esperienze di ascolto immersive che sono più adatte per il teatro d’avanguardia che per i club.

L’etichetta lavora per dare spazio alle varie unicità del continente asiatico a livello di culture, tradizioni e generi (sia musicali che identitari) e per dare spazio agli artisti provenienti dai paesi in via di sviluppo dell’Asia. Ciò include come parte del suo modus operandi uno sforzo per l’ampliamento della conoscenza del continente che vada al di là delle scene giapponesi e cinesi, che ormai da tempo rappresentano la produzione creativa dell’Asia sulla scena mondiale, e la rappresentazione di temi di attualità e politica asiatica. Gran parte della produzione di Chinabot è infatti tematica, incentrata su governi, geopolitica e ambiente nel tentativo di stimolare la discussione e far luce su questioni sottorappresentate con artisti le cui opere abbracciano argomenti come disordini nazionali, decolonizzazione, femminismo, fluidità di genere e futurismo cyborg.

Per questa serata speciale il MAO ospita unaselezione di videoclip di artisti Chinabot e una talk con Saphy Vong, fondatore dell’etichetta, eGiulia Mengozzi, assistente curatrice presso il PAV Parco Arte Vivente, parte di ALMARE, collettivo dedicato alle pratiche contemporanee che usano il suono come mezzo espressivo, e di AWI – Art Workers Italia.

A seguire il concerto in streaming da Kyoto di JPN Kasai, che abbina musica popolare giapponese Ondo e Minyo a juke e footwork minimali, ed un live dello stesso Vong che mixa samples di canti Khmer, karaoke e batteria metal sotto lo pseudonimo di Neo Geodesia.

*Entrambi gli incontri si svolgeranno in inglese

Info e prenotazioni:eventiMAO@fondazionetorinomusei.it

Costo per i due eventi: 15 € intero | 10 € ridotto studenti

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Annie Ernaux  “Il ragazzo”      -L’Orma editore-  euro  8,00

E’ l’ultimo libro del Premio Nobel 2022 Annie Ernaux, e racconta in prima persona l’amore con un uomo più giovane di 30 anni. Uno studente che non ha nome, volto, né descrizione fisica; ma è diventato il suo amante quando lei aveva 54 anni ed era madre di due figli ormai adulti, quasi coetanei del suo nuovo amore.

Un testo breve in cui la scrittrice 82enne -che ha fatto del racconto della sua vita la personale cifra stilistica- ripercorre, con l’intimità di una confessione, i passaggi in cui lui l’aveva cercata con insistenza per lettera. Dapprima le remore di lei per il gap generazionale, poi una serata al ristorante ed è rimasta affascinatadalla timidezza del giovane.

E’ nata così una relazione fuori dagli schemi. Lei matura borghese benestante e celebre; lui uno squattrinato apatico, indifferente al lavoro e all’impegno politico.

Il seguito è quello di ripetuti incontri tra serate insieme, litigi, film e sesso con quello studente sempre in bolletta, che le ricorda i tempi in cui anche lei annaspava nella vita e nei problemi economici. Lui ha una fidanzata che lascia per frequentare liberamente la donna in menopausa; continua ad incontrarla in gran segreto e la ama con la foga ormonale della gioventù.

Come andrà a finire lo scoprirete. Per la scrittrice questa liaison proibita e clandestina rappresenterà anche un ulteriore tassello nella sfida alle convenzioni sociali che ha sempre combattuto.

 

Sara Durantini Annie Ernaux. Ritratto di una vita”   -dei Merangoli edizioni-   euro 18,00

Sara Durantini, scrittrice e collaboratrice di svariate riviste librarie online e cartacee, da quando ha letto il primo testo della Ernaux, a 20 anni, ne è rimasta affascinata; dalla donna e dalla sua potente scrittura in cui mette nero su bianco la sua vita, le sue emozioni e i suoi pensieri.

Questo libro -tra saggistica, narrativa e giornalismo- contiene un ritratto inedito della vincitrice del Premio Nobel. A partire dall’infanzia a Lillebone in Normandia, all’adolescenza, poi gli studi, l’aborto, il matrimonio e i figli; insomma la vita della scrittrice. Frutto di approfondite ricerche, queste pagine delineano un preciso quadro biografico della scrittrice.  

Culminano con l’incontro a Cergy e l’intervista (forse più un’amabile chiaccherata tra donne) che la Ernaux concede alla Durantini. Una lunga intervista inedita in cui la Ernaux svela anche dettagli mai raccontati prima dei suoi rapporti con i genitori; la madre in primis, che per anni è stata il suo modello di riferimento. Poi la scoperta di Simone de Beauvoir e una nuova consapevolezza di sé come giovane donna dagli orizzonti più ampi.

Torna anche il tema dell’aborto che la Ernaux ha vissuto traumaticamente in prima persona e di cui ha scritto. Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza rimane per la scrittrice  un principio inviolabile, che dovrebbe essere garantito a tutte le donne dalla Costituzione, in termini di legge e lontano dai pericoli della clandestinità. Ma nell’intervista vengono toccati infiniti altri argomenti sui quali la Ernaux esprime il suo sguardo lucido e profondo.

 

Rebecca West  “Il ritorno  del soldato”   –Fazi Editore- euro 16,00

Questo è il libro di esordio di Rebecca West, pseudonimo della scrittrice inglese  Cicely Isabel Fairfield, nata nel 1892 e  morta nel 1983. Una vita romanzesca in cui è stata anche instancabile viaggiatrice, giornalista, critica letteraria e femminista ante litteram. L’autrice della fortunata trilogia dedicata alla famiglia Aubrey, in questo suo primo romanzo aveva  invece affrontato un tema tragico e complesso: le conseguenze della guerra sull’animo umano. E da questo romanzo fu tratto l’omonimo film nel 1982.

Chris Baldry torna dalla guerra, atteso nella signorile casa sulle colline inglesi dalla moglie Kitty e dalla cugina Jenny. Ma quando era al fronte il soldato ha perso la memoria, ora non riconosce nulla della vita che aveva lasciato per imbracciare le armi. L’orrore delle trincee e della morte dei compagni ha segnato non tanto il fisico quanto la sua psiche e sono stati cancellati i ricordi degli ultimi  15 anni.

L’uomo che torna dalla Francia e varca la soglia della bella magione di Baldry Court è un perfetto sconosciuto, incapace di riconoscere volti e ruoli che questi svolgevano nella sua esistenza precedente. L’unico ricordo al quale si è fermata la sua mente risale al primo lontano amore. Nelle estati della giovinezza i primi sentimenti e sconvolgimenti del cuore erano stati per Margaret, la figlia di un fattore locale, ora donna segnata dalla vita ed invecchiata.

Eppure è a lei che Chris fa riferimento tornato dal fronte; mentre nei confronti di quella che gli dicono essere sua moglie adotta una garbata educazione.  Il romanzo racconta come nell’anima e nella mente di un uomo possano albergare sentimenti di cui gli altri sono all’oscuro, e di come il tempo sembri dilatarsi prolungando nel presente un amore lontano.

 

Jumpa Lahiri   “Racconti romani”    – Guanda-   euro 17,00

E’ bellissimo questo libro che è la storia d’amore tra Roma e la scrittrice nata a Londra  nel 1967 da genitori bengalesi, cresciuta negli Stati Uniti.

Jumpa Lahiri, vincitrice del Premio Pulitzer con il romanzo di esordio “L’interprete dei malanni” nel 2000, oggi vive tra New York e Roma dove (quando è libera dal suo lavoro di docente universitaria negli Stati Uniti) abita in un appartamento con terrazza sulle pendici del Gianicolo.

Il suo rapporto con il nostro paese è profondo, anche perché ci ha vissuto a lungo e studiato; tanto che oggi padroneggia perfettamente la nostra lingua e dal 2014 scrive e pubblica in italiano.

A Roma dedica questi 9 racconti che narrano la Città Eterna da 9 differenti punti di vista.

Dallo sguardo che la figlia del custode di una villa getta sulla famiglia che l’affitta per le vacanze alla donna americana trasferitasi in Italia e rievoca il passato, dall’uomo che ricorda le serate trascorse a casa di un’amica scomparsa all’ultimo brano ,“Dante Alighieri”, che è in parte autobiografico. La protagonistainfatti è una giovane americana (di probabili origini indiane) che ha scelto l’italiano come materia dei suoi studi, diventandone una specialista che divide la sua esistenza tra le due sponde dell’Atlantico.

Ma il fulcro del libro è comunque Roma, ritratta non solo nella sua bellezza, ma anche nelle sue pieghe più sgradevoli e difficili. Nei vari personaggi c’è sempre una parte della Lahiri; persone (le cui origini etniche non vengono chiarite, ma sottintese) che si sentono un po’ fuori luogo,  alla ricerca di una casa, oppureaffannate tra più case e vite diverse.

Racconti che mettono a nudo anche razzismi piccoli e grandi che i migranti subiscono quotidianamente; così come vengono smascherate pure  le meschinità di certa borghesia intellettuale.

 

Rock Jazz e dintorni a Torino: Raiz e gli Statuto

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Mercoledì. Al Blah Blah si esibiscono i Creepin’ Death. Al Lambic è di scena Giovanni Battaglino. Al Cafè Neruda si esibisce il folksinger Terje Nordgarden.

Giovedì. Al Dash blues con Soul Sarah e Gaetano Pellino. Al teatro Alfieri concerto di Raiz a tema dal titolo “Lechaim” con l’Auditoriumband. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Lab Graal. Al Maffei si esibisce Naska. Al Blah Blah sono di scena gli ArtemiXia Cor. Al Magazzino sul Po si esibiscono gli Al Doum & The Faryds. Allo Spazio 211 è di scena Claudio.

Venerdì. Al Magazzino sul Po suonano i Materazi Future Club. Al Folk Club si esibisce Eileen Rose accompagnata da Rich Gilbert e dal duo Musica da Ripostiglio. Al Blah Blah suonano i Temple of Deimos. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce Grayson Capps. Al Bunker suonano i Crummy Stuff, Dalton e DiscoMostro.

Sabato. Al Jazz Club si esibisce il quartetto di Max Gallo e Sabrina Mogentale. Al Cap 10100 gli Statuto festeggiano 40 anni di carriera. Al Circolo della Musica di Rivoli, fiabe in musica con il sestetto Cattivi Bambini. Al Magazzino sul Po è di scena la cantautrice Giove. Allo Ziggy si esibiscono i Corpus Delicti. A El Paso suonano per la causa Mapuche : Fukuoka, Bobson Dugnutt e Deriva e la Casa del Boia.

Domenica. Il pianista Emanuele Sartoris suona con l’armonicista Alberto Varaldo al Jazz Club.

Pier Luigi Fuggetta