CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 197

La sete dei Crociati, Hayez alla Gam

La grande sete tormenta sempre di più i Crociati che si avvicinano alle mura di Gerusalemme e l’unica preoccupazione che domina tra i cristiani è la mancanza d’acqua. La Prima Crociata sta per concludersi nel luglio 1099 ma rischia addirittura di fallire. La sofferenza dei crociati finisce impressa sulla tela del veneziano Francesco Hayez (1791-1882) che con straordinaria forza la raffigura nel quadro “La sete dei Crociati di fronte a Gerusalemme” esposto a Palazzo Reale mentre alla Galleria d’arte moderna e contemporanea, all’interno della mostra “Hayez, l’officina del pittore romantico”, si trova un focus sulla Sete dei crociati. Si tratta di una speciale sezione dedicata ai disegni preparatori per la sua opera più impegnativa e ambiziosa che l’artista aveva predisposto come il suo capolavoro ultimato a metà Ottocento per Re Carlo Alberto che lo commissionò ad Hayez nel 1833.
Il tema, storico-letterario, è tratto dal poema “I Lombardi alla Prima crociata” (1826) di Tommaso Grossi da cui fu tratta l’opera di Verdi. Nella tela monumentale si avvertono la fatica e le emozioni del pittore nel descrivere una scena così intensa e drammatica che si svolge di fronte alla Città Santa, sotto un cielo infuocato di sabbia e calore, a un passo dalla conquista. Persone che svengono, chi tenta di riempire l’anfora con la poca acqua rimasta, chi prega chi sta bevendo per farsi lasciare qualche goccia e c’è anche il soldato che respinge due donne che si stanno gettando su un’altra donna intenta a bere. “Il disastro cresceva ogni giorno, si implorava la pioggia o uno di quei miracoli con cui Dio aveva salvato dalla sete il suo popolo d’Israele. Il calore estivo infieriva su tutti, piante e animali morivano, il torrente di Cedron si era seccato, le cisterne del territorio erano colme di terra o avvelenate. La fontana di Siloe non bastava alla moltitudine dei cristiani. Così lo storico francese dell’Ottocento Joseph François Michaud descrive il dramma della sete per i Crociati davanti a Gerusalemme nel suo volume “Storia delle Crociate” (1812-1822). Hayez tratteggia una delle scene più struggenti della Prima Crociata.
Dietro l’opera c’è un lavoro studiato e preparato a lungo con decine di disegni, appunti visivi e fogli tracciati a matita. Spesso insoddisfatto dell’esito finale, Hayez ricrea, cancella, rielabora, modifica fino alla perfezione e pare soffra egli stesso, davanti alla sua tela, per il tormento che assaliva i Crociati. Il quadro lo tenne occupato per molto tempo e molte delle figure presenti furono ridipinte più volte. Non basta un intero esercito per conquistare la Città Santa, bisogna fare i conti con la mancanza d’acqua che indebolisce la grande armata cristiana. “In mezzo a una campagna arida e ardente, sotto un cielo di fuoco, incalza Michaud, l’esercito crociato fu presto vittima della sete che era così grave da curarsi poco della scarsità dei viveri”. C’è molta attualità nell’opera di Hayez che dipinge una pagina di storia drammatica in un luogo segnato nei secoli da tensioni perenni.
Laggiù si combatteva novecento anni fa e si combatte ancora oggi in Terra Santa, in Palestina, in luoghi sacri alle religioni monoteiste. Accanto alla Sete dei Crociati compare un altro quadro di carattere storico di Hayez che racconta un episodio della predicazione della Prima crociata di Pietro l’Eremita (1050-1115) che, attraversando città e borgate, predica la Crociata a cavallo di una bianca mula con il crocifisso in mano. Ammirato da Stendhal il quadro suscitò a Brera grande entusiasmo quando apparve dal momento che si era nel pieno del Risorgimento e “vi si poteva leggere un riferimento all’attualità politica e alla necessità di un riscatto nazionale”. Alla Gam, oltre ai dipinti a soggetto storico, si possono vedere, fino al 1 aprile 2024, un centinaio di opere di Hayez con i disegni preparatori provenienti da collezioni pubbliche e private.                       Filippo Re

GAM, MAO e Palazzo Madama: 25.390 visitatori

 

Da mercoledì 1 a domenica 5 novembre 2023 nei musei della Fondazione Torino Musei

 

 

 

 

Cinque giorni di grandissima affluenza alla GAM, al MAO e a Palazzo Madama. Sono stati ben 25.390 i visitatori che, dal 1 al 5 novembre 2023, hanno scelto i tre musei civici torinesi all’insegna dell’arte contemporanea, moderna, asiatica e antica in occasione del ponte di Ognissanti, ma anche grazie al grande fermento per tutte le iniziative dell’Art week Torinese. Tantissimi turisti, soprattutto appassionati di arte, hanno affollato la città, e le sale dei musei.

 

In particolare, 14.135 persone da tutta Italia hanno visitato in cinque giorni, formando lunghe code, la GAM con le mostre in corso Hayez. L’officina del pittore romantico; Gianni Caravaggio. Per analogiam; Michele Tocca. Repoussoir (Wunderkammer) e Simone Forti (Videoteca).

Il MAO ha accolto 2.711 visitatori tra le mostre Trad u/i zioni d’Eurasia, Metalli sovrani; Una breve elegia; Animo Chen (t-space) e centinaia di persone hanno affollato l’inaugurazione di Declinazioni contemporanee (progetto diffuso). 

 

Con le mostre Liberty. Torino capitale e Dove finiscono le traccePalazzo Madama ha accolto nelle sue sale ben 8.543 visitatori. Anche in questo caso molte persone hanno aspettato pazientemente in coda in piazza Castello.

 

L’importante affluenza di pubblico nei suoi musei si somma, per la Fondazione Torino Musei al grande successo di Artissima 2023 e Luci d’Artista 26° edizione.

 

Il giorno di maggiore affluenza è stato ieri, sabato 4 novembre con 6.692 ingressi (4.000 alla GAM, 872 al MAO e 1.819 a Palazzo Madama).

 

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Isabel Allende “Il vento conosce il mio nome” -Feltrinelli- euro 22,00

Non ha bisogno di presentazione la scrittrice cilena 81enne Isabel Allende che in questo romanzo affronta il dramma delle separazioni familiari causate da eventi storici o da politiche immigratorie. Due i protagonisti, età e latitudini diverse, ma lo stesso dramma che li unisce; lo sradicamento dalle loro vite per colpa della violenza e dei tempi bui in cui si trovano a vivere. Due destini che si incrociano nel presente.

Il titolo rimanda all’anonimato che avvolge i bambini dichiarati “illegali” alle frontiere e definiti solo con dei numeri. Invece la bimba protagonista si àncora agli affetti del passato sussurrando al fantasma della sorellina morta «Il vento conosce il mio nome»; afferma così di essere una persona che non ha perso la sua identità, qualcuno sa chi sia e magari la sta cercando.

Il personaggio maschile è Samuel Adler, anziano disincantato del quale la Allende ricostruisce la vita partendo da quando era bambino durante il nazismo. All’epoca aveva 6 anni, era ebreo – austriaco e il padre era scomparso durante la Notte dei cristalli il 9 novembre 1938. La madre era riuscita a metterlo in salvo, costretta però a separarsi per sempre da lui.

In quegli anni terribili, infatti, la Gran Bretagna si era offerta di aiutare i piccoli ebrei (ma solo loro e non i genitori, per non scompensare gli equilibri del mercato del lavoro interno). Era nato così il progetto Kindertransport: treni carichi di bambini che dovevano lasciare i parenti e affrontare prove durissime da soli, per essere poi accolti da famiglie o da orfanotrofi inglesi. I convogli che partirono tra 1938 e 1940 salvarono la vita a oltre 10mila piccoli ebrei. Loro sopravvissero, mentre le loro famiglie finirono nei forni crematori; ma si porteranno per sempre dentro il trauma dello sradicamento.

Il piccolo Samuel è uno di loro: intelligente, coraggioso, sensibile, dotato per il violino e lo attenderà una vita lunga, complicata e sempre con un buco nel cuore.

L’altra protagonista è stata ispirata alla Allende da una storia realmente accaduta, quella di una bimba salvadoregna non vedente e il fratellino che, in seguito alla politica immigratoria, vennero separati dalla madre. Nel romanzo la piccola si chiama Anita, ha 7 anni, è cieca, la sorellina è morta. Insieme alla madre Marisol è approdata negli Stati Uniti nel 2019, per finire stritolata dall’incubo delle separazioni familiari imposte da Trump al confine col Messico.

Una vicenda come la scrittrice ne conosce tante grazie alla Fondazione che ha creato nel 1996 in memoria della figlia Paula (morta nel 1992 a 29 anni per una malattia rara), alla quale ha dedicato l’omonimo libro. La Fondazione aiuta soprattutto donne e ragazze e, negli ultimi anni, soprattutto rifugiate.

Che ne sarà dei due protagonisti? Non resta che lasciarsi trasportare dalla bravura della Allende: pagina dopo pagina, orrori dopo orrori, ingiustizie dopo ingiustizie. Ma c’è anche la solidarietà, la determinazione e l’aiuto concreto di persone positive; come l’assistente sociale Selena Durán e l’avvocato Frank Angileri che faranno la differenza con il loro impegno e consentono un finale che scalda gli animi.

 

Alex Johnson “Una stanza tutta per se. Dove scrivono i grandi scrittori” -L’ippocampo- euro 19,90

 

Il 54enne scrittore e giornalista ci accompagna nelle stanze di 50 scrittori, e insieme alle illustrazioni di James Oses, ci permette di entrare con rispetto e curiosità nei luoghi in cui alcuni grandi mostri sacri a livello planetario hanno messo nero su bianco i loro capolavori. Ne racconta gli ambienti, i ritmi di lavoro, le fissazioni e le abitudini, permettendoci di andare dietro le quinte in cui “il genio” ha regalato immensi capolavori letterari.

In ordine alfabetico si parte da Isabel Allende, autrice di uno dei libri più belli mai scritti “La casa degli spiriti”; e scopriamo che inizia ogni nuovo romanzo rigorosamente l’8 gennaio, suo “giorno sacro” e scoprirete perché. Lo scrisse a Caracas dove si era rifugiata dopo il colpo di stato militare in Cile; nella cucina dell’appartamento di fortuna, e da allora di strada ne ha fatta parecchia scrivendo dove poteva: macchina, bar o altri luoghi di fortuna.

Nel 2001 nella casa nuova a San Rafael in California, in fondo al giardino che guarda la Baia di San Francisco fa costruire la sua “Casita”, stanza pensata inizialmente come spogliatoio per la piscina. Lì ha scritto almeno 12 libri, fino al divorzio e alla vendita della villa nel 2016. Nei suoi studi ci sono sempre oggetti che raccontano la sua vita, carichi di significati.

Il viaggio prosegue e tra le tante curiosità più o meno note ecco alcune particolarità dei grandi scrittori in ordine sparso.

Usavano uno scrittoio portatile in legno e con piano inclinato: Jane Austen nella casa di famiglia a Steventon nell’Hampshire; le sorelle Bronte nella sala da pranzo-soggiorno del presbiterio di Hawort dove il padre era ministro della chiesa anglicana; Thomas Hardy che lavorava in una stanza particolarmente spoglia.

Honoré de Balzac preparava personalmente la miscela di caffè e ne beveva almeno una cinquantina di tazze al giorno. John Steinbeck era fissato per le matite alle quali faceva la punta ogni mattina, rigorosamente nere e solo di alcune marche particolari. W.H.Auden, oltre a essere un fumatore incallito, amava lavorare immerso nel disordine di tazze e piatti sporchi, rimasugli di cibo; quello che gli amici chiamavano il “tugurio”. Anton Čechov pretendeva che la sua scrivania fosse rivolta verso il giardino, mentre ad Agatha Christie, per scrivere, bastava un tavolo robusto ovunque si trovasse, ed Ernest Emingway era solito scrivere in piedi.

Queste solo alcune delle tante chicche del libro.

 

Alberto Riva “Ultima estate a Roccamare” -Neri Pozza- euro 17,00

La prima cosa che viene in mente leggendo questo tenero e bellissimo libro è che la grandezza di certi personaggi –Calvino, Citati, Fruttero & Lucentini, Fellini, Age & Scarpelli, Garboli, Orengo, Tobino e altri a questo livello- sia scomparsa con loro. Lasciando il posto a un mondo spesso becero, superficiale, ignorante e volgare dove la caratura si misura in base a follower e comparsate in tv.

Niente a che vedere con il viaggio biografico e artistico che il giornalista e scrittore Alberto Riva compie nell’enclave dei personaggi che hanno fatto grande la cultura italiana (e non solo) del Novecento.

Fulcro di quella stagione fu Roccamare, sulla costa della Maremma. Tutto iniziò quando Pietro Citati, che aveva casa nella zona, sapendo che l’amico Gianni Merlini (patron della Utet), cercava un luogo di vacanza ideale, gli parlò di Castiglione della Pescaia. Lì le spiagge erano ancora vergini e il conte proprietario della pineta la stava lottizzando per fare case estive. E’ così che il grande editore insieme a Carlo Fruttero si innamorarono del luogo, acquistarono un lotto nella vegetazione a due passi dalla spiaggia, e costruirono due case vicine.

Quando Calvino andò a trovarli convinsero pure lui, e a seguire ci furono tanti altri che in quel paradiso si ritagliarono spazio e tempo. Ecco l’inizio di una stagione irripetibile, in cui personaggi straordinari vissero tranche importanti delle loro vite su quella striscia di litorale. Periodi di vacanze, vita in famiglia, creatività, incontri, conversazioni profonde e lievi allo stesso tempo. Tra spiaggia, libri, sceneggiature, amicizie profonde e durature.

Molti gli aneddoti che Riva racconta e che danno la misura di quanto quegli intellettuali fossero portatori meravigliosi di grande ingegno; ma vivessero con semplicità, unita a educazione, umiltà. Curiosi del mondo e indagatori dei massimi sistemi della vita; comunque capaci di godere delle piccole cose, di ciò che conta davvero e degli affetti più cari. Una grandezza che apparteneva a quel mondo e che Riva ricostruisce anche con una malinconia alla quale il lettore non può che associarsi immaginando Fruttero e Calvino che dialogano, Furio Scarpelli che a Roccamare scriveva più sceneggiature contemporaneamente…qui è nato il film di Scola “ La famiglia”.

 

Kate Barry “My own space” -Éditions de La Martinière- euro 34,90

La fotografa di questo splendido libro è la figlia primogenita di Jane Birkin.

E’ morta a 46 anni, nel 2013; volata dal quarto piano della sua casa parigina, dopo una vita appesantita dall’uso di droghe e male di vivere; lasciando aperto il dubbio sulla sua misteriosa morte, probabilmente cercata. Una vita piena di talento, ma tragica.

Era nata l’8 aprile 1967 a Londra dal primo matrimonio di Jane Birkin (appena 18enne) con il compositore John Barry. Un amore travolgente che si schianta contro il disinteresse da parte di lui, troppo preso da se stesso, la sua arte, le sue priorità e i tradimenti. La Birkin si sente come un’appendice e la nascita della figlia Kate accentuerà ancor più il senso di solitudine. La relazione turbolenta naufraga: nel 1967 Jane prende Kate piccolissima e vola a Parigi dove l’aspetta il futuro.

La svolta della sua vita è l’incontro con Serge Gainsbourg, e la canzone “Je t’aime …moi non plus” che interpretano insieme. Fanno scandalo, diventano la coppia erotica per eccellenza e segnano un’epoca. Da loro nasce Charlotte, altra talentuosa creatura.

Gainsbourg sarà comunque un padre amorevole anche nei confronti di Kate che vive con loro e lo chiama “papà”. Poi anche questa unione si infrange. Jane non ce la fa più a sopportare Serge, sempre più ubriaco, sporco, autodistruttivo, quasi irriconoscibile.

Lo lascia e a soffrire per la separazione è soprattutto Kate che all’epoca aveva16 anni e inizia a drogarsi. La vita familiare è costellata di litigate, Kate non rispetta nulla e nessuno, svaligia gli armadi griffati della madre ed è in perenne rotta di collisione

con lei. Segue la disintossicazione, ma lo spettro della droga segnerà la vita di Kate, fotografa di successo, compagna di un tossico e madre di Roman.

Kate Berry aveva un carattere schivo ed introverso e nessuna intenzione di diventare attrice o cantante. Il suo talento era la capacità di fermare la vita, volti e immagini con l’obiettivo. Durante una sfilata di moda trova la sua strada maestra: diventare fotografa professionista. Si rivela subito eccezionale in quel lavoro che le corrisponde perché le permette di esprimere la sua vena artistica, ma senza essere protagonista in prima persona. Lei che non ama parlare ed apparire, è invece bravissima nel dare voce ai volti e ai corpi dei suoi soggetti.

Ha una sensibilità speciale nell’interpretare quello che gli altri celano nell’anima e nel cuore. Alle foto di moda alterna quelle con grandi personaggi dello spettacolo e della cultura a livello mondiale. Predilige immagini in bianco e nero, volti senza trucco ed ha una capacità unica nel cogliere le profondità infinite di uno sguardo. Basta guardare le foto professionali fatte soprattutto ai suoi familiari, a partire da madre e sorelle.

In questo prezioso volume spiccano per bellezza e intensità le foto alle sorelle Charlotte e Lou (nata dall’ultimo matrimonio di Jane Birkin con il regista Jacques Doillon). Primi piani dei suoi affetti più profondi, di rara bellezza e spessore emotivo.

Ma anche spazi aperti come spiagge e baie che trasmettono la bellezza intrisa di solitudine.

Un libro postumo che diventa ancora più importante e testimonia un talento che non c’è più. Resta il dubbio sulla sua morte. Quel terribile 11 dicembre 2013 in cui a raccogliere il corpo della figlia sfracellata sull’asfalto dopo un volo di 4 piani dalla sua casa parigina, è la madre Jane. Per lei una tragedia dalla quale non si riprende più. Quel giorno interrompe per sempre la scrittura dei suoi diari e questo la dice lunga sullo strazio e il vuoto causati da quel dolore.

 

 

XII EDIZIONE DI THE OTHERS  Oltre il 20% in più di pubblico

 

Torino, 5 novembre 2023 – Si è chiusa la XII edizione di The Others Fair, la fiera dedicata all’arte contemporanea emergente del panorama dell’Art Week Torinese. “Sono stati oltre il 20% in più di pubblico per questa edizione 2023. È stata l’edizione con il più alto numero di visitatori di sempre, nonostante si sia chiuso alle 21 anziché a tarda notte” è questo il commento di Roberto Casiraghi e Paola Rampini, fondatori di The Others Fair.

 

La location scelta, il Padiglione 3 di Torino Esposizioni progettato da Pier Luigi Nervi, ha ospitato inoltre per l’ultima volta la fiera permettendo la realizzazione di un display espositivo cosmico per esplorare l’universo dell’arte contemporanea. Non è mancato anche l’invito a fare esperienza diretta dell’arte attraverso il gioco, con l’“InterstellArt Cup il campionato di biliardino a cui hanno partecipato galleristi, artisti, curatori, collezionisti e giornalisti con un premio vinto da due artisti del gruppo Cuicuocua (The Game Gallery)..

 

Oltre 70 gli espositori presenti in fiera provenienti da Argentina, Austria, Francia, Germania, Lituania, Perù, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna e Svizzera, oltre che dall’Italia, a partire da Torino (con la presenza di 5 realtà indipendenti) fino a Palermo attraverso gallerie, spazi non profit e artist run space. Particolarmente forte quest’anno la presenza di gallerie provenienti dai Paesi dell’Est.

 

Tra le novità di quest’anno al Padiglione 3 di Torino Esposizioni: 4 performance artistiche proposte da altrettante gallerie, italiane e internazionali, che hanno coinvolto il pubblico in un’esperienza dell’arte sempre più sensoriale e partecipata. Ma non solo, anche un programma di talk curato dall’art sharer Elisabetta Roncati con un’Arena che ha coinvolto oltre 30 ospiti per discutere e confrontarsi sull’arte contemporanea sui temi dell’attivismo, delle nuove tecnologie, del gender e della queerness.

 

La qualità della proposta artistica di questa XII edizione è stata particolarmente apprezzata grazie alla varietà dei linguaggi in un confronto artistico intergenerazionale che riconferma The Others come piattaforma di incontro, di scambio e di dialogo che da sempre si contraddistingue la fiera per la sua vocazione provocatoria, eclettica e internazionale, in grado di sprigionare energie creative sempre nuove.

 

La XII edizione ha riflettuto sui grandi temi d’attualità a partire dal focus su Iran e libertà, inadeguatezza e disagiolegame con il territorio di appartenenza e le proprie tradizioniincontro tra arte visiva e altri linguaggi creativi, l’approfondimento sul linguaggio della fotografia contemporanea, all’ambiente e ai suoi elementi ed una sezione dedicata allo sguardo al femminile.

 

Anche in questa edizione 2023, The Others Art Fair è riuscita nel proprio intento di dare spazio e visibilità alle realtà emergenti, rompendo gli schemi grazie a un format unico e indipendente che continua a sostenere il fondamentale dialogo tra pubblico, arte e territorio.

 

I SETTE PREMI ASSEGNATI DA THE OTHERS ART FAIR

Sono sette i Premi, nazionali e internazionali, assegnati nel corso della dodicesima edizione della Fiera, tra cui quattro Premi di acquisizione e tre di residenza, a partire dal “Premio Comitato PDA Amore e Colore” vinto da Felicija Dudoit presentata Contour Art Gallery di Vilnius (Lituania).

 

Operæ, il più diffuso sistema di archiviazione e gestione su smartphone e tablet per collezionisti, ha scelto Simone Negri con “Accadimento #149” proposto da Eshgallery e l’artista Koro Ihara con l’opera “Dyeing green #0” della galleria d’arte Faber da inserire nell’ambito della “Collezione Operæ”.

 

Il “Nice (He)art Prize” creato da Francisca Viudes,  è stato assegnato a Fausto Gilberti della Wizard Gallery e ad Andrea Fiorino di A.more Gallery. Questo premio dà ai vincitori la possibilità di partecipare al “The (He)art for (He)art Program” con base nella città di Nizza.

 

Spazio 88, società di servizi ha deciso di premiare Glenda Costa di Crumb Gallery per l’opera “Visioni notturne in un limoneto” e Giulia Sfernazza della galleria d’arte Faber con “Frammenti”. Il premio di acquisizione è rivolto a opere in grado di ispirare la fiducia nelle possibilità umane e di promuovere un sentimento di sicurezza e tranquillità.

 

“Prospettiva Insulare” ha scelto per la residenza a Tenerife rivolta a un artista under 35 residente in Italia Wang Yuxiang di Dose Art di Shanghai. L’artista sarà ospitato per due settimane nello spazio che Giovanni Ozzola ha realizzato a Santa Cruz de Tenerife.

 

Behnoode Foundation per il suo premio di acquisizione ha scelto tre opere ovvero “Swim Till I Sank” di Gabriele Stabile della galleria Raw Messina, “Hex for the swarm” di Catherina Cramer Giulietta Ockenfuss della galleria Mouches Volantes, ed “Efebo Stellina 4” di Elisa Marino della galleria Young Volcano.

 

Infine è stato consegnato il premio Zenato Academy per la fotografia contemporanea al milanese ventiduenne Giacomo Erba per l’opera “Rizoma” (2022) della galleria Stayonboard.

 

 

Rock Jazz e dintorni a Torino: Motta e la Bud Spencer Blues Explosion

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Per “Moncalieri Jazz” al Porto, si esibisce Sabrina Mogentale e Gilson Riveira. Al Teatro Colosseo arriva Raphael Gualazzi. Willie Peyote è di scena al Concordia di Venaria.

Martedì. Al’Otium Pea Club suona il quartetto Noi Duri in Pink.

Mercoledì. Al Lambic è di scena Lou Dalfin in versione acustica. Al Concordia si esibisce il rapper Il Tre. Per “Moncalieri Jazz” alle Fonderie Limone è di scena Karima preceduta da Osvaldo Di Dio e Ugo Viola.

Giovedì. All’Hiroshima Mon Amour si esibiscono Ensi e Nerone. Al Corso Parigi è di scena la cantante Carly Harvey. Alle Fonderie Limone si esibisce Serena Brancale e Elephant Claps.

Al Comala canta Paolo Archetti Maestri.

Venerdì. Alle Fonderie Limone tributo a Frida Kahlo con il messicano Israel Varela e il tributo a Calvino dal vocalist Albert Hera. All’Hiroshima arriva Motta con il suo nuovo disco “La musica è finita”. Allo Spazio 211 suonano i Cani Sciorri e Treehorn. Al Magazzino sul Po si esibisce Khalab. All’Off Topic suonano gli Studio Murena.

Sabato. Alle Fonderie Limone si esibiscono i We Wonder di Fabrizio Bosso. Alle OGR parte la tournèe dei Blues Spencer Blues Explosion. Al Folk Club suona il trio di Antonio Faraò. Al Magazzino sul Po si esibiscono gli Youff.

Domenica. Al Margot di Carmagnola sono di scena gli Antillectual. Finale di “Moncalieri Jazz” all’Auditorium Toscanini con un tributo a Lelio Luttazzi. L’Orchestra Rai diretta da Steven Mercurio e un gruppo di otto elementi con ospiti Bosso, Nico Gori e le Voci di Corridoio. L’Imbarchino ospita il duo Tarawangsawelas.

Pier Luigi Fuggetta

La Mole e il Museo del Cinema di Torino

Scopri – To  Itinerari e sorprese alla scoperta di Torino 

Uno dei percorsi suggeriti ai turisti in visita a Torino sono senz’altro i portici di Via Po, da P.zza Castello a P.zza Vittorio, a metà del tragitto a sinistra troviamo Via Montebello e dopo qualche passo eccola lì, a destra, affascinante ed austera, la Mole Antonelliana. “L’opera architettonica più geniale mai realizzata” questo era per il filosofo Nietzsche la Mole simbolo della città barocca. Il nome deriva dal suo architetto Alessandro Antonelli. Fino al 1908 fu l’edificio in muratura più alto del mondo. La storia della mole è molto travagliata, è stata infatti spesso in parte distrutta da intemperie e ricostruita con materiali più solidi, il simbolo di Torino è quindi anche un grande insegnamento per noi perché rappresenta la forza di ognuno nel persistere nonostante le avversità e a forza di reagire e rialzarsi si diventa più forti e non si cade più.
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LA STORIA DELLA MOLE
La Mole fu inizialmente concepita nel 1863 come un tempio israelitico, una sinagoga, senza l’attuale punta, solo con il basamento inferiore di circa 113 metri, anni dopo la costruzione, la comunità ebraica era insoddisfatta del risultato e l’architetto Antonelli decise così di renderla più alta di 47 metri. Questo richiese molti costi aggiuntivi e continue interruzioni dei lavori, con molte problematiche strutturali da superare. La comunità ebraica decise poi di cedere la Mole al Re Vittorio Emanuele II e di costruirsi una sinagoga in zona San Salvario. Nel 1880 i lavori furono quasi terminati e il noto regista Gian Luc Godart, passandoci vicino con un pallone aerostatico, faceva già ammirare ai turisti questa nuova e maestosa struttura anche se non ultimata. Nove anni dopo i lavori terminarono concludendo la parte finale della Mole con una guglia appuntita e una statua raffigurante il Genio Alato, simbolo dei Savoia. L’edificio ha quindi ora un’altezza complessiva di 167 metri.
La Mole Antonelliana venne inaugurata nello stesso anno della Tour Eiffel e vennero quindi per molto tempo paragonate. Nel 1904 un fulmine la colpì, ma per fortuna non causò gravi danni. Negli anni 50 una tromba d’aria spezzò la punta della Mole, finendo nella struttura della Rai adiacente e rischiando di ferire il noto conduttore Alberto Angela, in dieci anni la punta venne poi ricostruita ponendovi una stella a dodici punte, di tre metri e di 140 kg con sostegni molto più resistenti. La stella divenne poi il simbolo del Torino Film Festival. Dagli anni 2000 sulle fiancate della Mole troviamo un’illuminazione a led che prevede varie colorazioni spesso alternate alla sequenza numerica di Fibonacci o ai colori della bandiera italiana. All’interno della Mole vi è l’ascensore panoramico con una vista interna a 360° agibile di giorno durante la settimana  e che consente poi di poter vedere tutta la città dall’alto, mentre in alcuni periodi dell’anno nei fine settimana si può accedervi anche alla sera. La Mole inoltre la troviamo anche su numerosi libri di esoterismo perché viene considerata uno dei punti della magia bianca di Torino e secondo alcune leggende all’interno si trova nascosto il Sacro Graal. Un’importante particolarità della Mole Antonelliana è il suo stile misto fra neoclassico e neogotico e poi la forma ottagonale, molto insolita per l’epoca in cui fu costruita.
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TORINO LA PRIMA CITTA’ ITALIANA DEL CINEMA
Sotto la Mole troviamo il Museo Del Cinema attivo dal 1946 che illustra dalle origini fino ad oggi la grande crescita cinematografica avvenuta negli anni.
Il museo è diventato tale grazie anche al sostegno di molti artisti, tra cui il noto regista Giovanni Pastrone che girò a Torino il film “Cabiria”, la studiosa di cinema Maria Adriana Prolo e il giornalista Francesco Pasinetti che diedero importanti contenuti per la nascita del museo. Addentrandoci all’interno, infatti, troviamo per esempio La Statua Del Dio Moloch usata proprio nel film Cabiria, un’imponente struttura dorata utilizzata in varie scene del kolossal.
Il museo si sviluppa a spirale e segue l’ordine cronologico della nascita del cinema mostrandoci gli avvenimenti più importanti come la nascita del cinema muto in bianconero, la storia dei fratelli Lumière con i loro primi spettacoli nel 1896 e il primo film, proiettato proprio a Torino, fu gratuito per il pubblico solo per il suo primo spettacolo ma il grande successo fece si che dal 1900 Torino avesse già ben 60 sale cinematografiche. Attraversando le sale del museo troviamo poi i grandi classici del cinema muto come il già menzionato “Cabiria” diretto da Giovanni Pastone e scritto da Gabriele D’Annunzio, “Nosferatu il vampiro”, “La passione di Giovanna D’Arco”, “La corazzata Potëmkin”con Fantozzi e molti altri. Durante gli anni ’20 del fascismo le produzioni si spostarono maggiormente a Roma, ma Torino restò un grande punto di riferimento per molti registi. Proseguendo la visita troviamo i film degli anni ’50 che fecero la storia del cinema come “Gli uomini preferiscono le bionde” con Marylin Monroe, fino ad arrivare agli anni ’70 con “Guerre Stellari”, “Il Padrino” e a seguire nel  tempo fino ai giorni nostri.

Vi sono inoltre sale interattive dove potersi cimentare in nuove esperienze, giochi di luci, illusioni, sale dedicate ai Musical e altre ai numerosi film western. Troviamo poi una sala dedicata ai cartoni animati che racconta dalla loro nascita fino al giorno d’oggi, l’evoluzione avvenuta grazie alla tecnologia.
Una parte è dedicata alle mostre temporanee, nel 2023 troviamo la mostra di Tim Burton incentrata su un archivio di film del regista dalle sue origini fino agli ultimi film.
Ci sono in totale circa 6.000 film e circa 140.000 documenti fotografici oltre che manifesti e locandine.
Il Museo Del Cinema e La Mole Antonelliana sono così diventati il simbolo di Torino in Italia e nel mondo, ma la bellezza di questa città non si ferma qui, numerosi sono infatti i luoghi celebri che rendono Torino un diamante raro forse a volte ancora poco conosciuto, ma d’altronde le pietre preziose sono solo per gli intenditori.
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Noemi Gariano

Welcome Tour per scoprire Chieri e Carmagnola

4 appuntamenti: sabato 11 novembre, 23 marzo, 20 aprile e 18 maggio

 

Un Welcome Tour per scoprire il ricco patrimonio storico e artistico della cittadina di Chieri è la nuova iniziativa realizzata da Turismo Torino e Provincia in collaborazione con il Comune di Chieri, socio dell’ATL.

Chieri come non l’avete mai vista” debutta sabato 11 novembre – e prosegue sabato 23 marzo, sabato 20 aprile e sabato 18 maggio – alle ore 15 per una durata di 90 minuti. La visita è in italiano al costo di 8€, ridotto a 6€ (compreso tra 7 e 11 anni, possessori di Abbonamento Musei, possessori di Torino+Piemonte Card Junior, possessori Torino+Piemonte Card), gratuito (compreso tra 0 e 6 anni).

Siamo davvero orgogliosi di questa iniziativa – sottolinea Elena Comollo, Assessore al Turismo e Promozione del Territorio – che grazie alla collaborazione decennale tra il Comune di Chieri e Turismo Torino e Provincia consente ancora una volta di valorizzare la nostra città e le sue eccellenze storico-architettoniche, oltre alle produzioni artigianali di qualità. Il nostro obiettivo è far vivere al visitatore un’esperienza completa, che prevede il tour guidato e può proseguire con un piacevole momento di degustazione in una delle due pasticcerie che hanno ottenuto il riconoscimento di Maestri del Gusto e da uno shopping di qualità nel centro storico cittadino“.

La passeggiata guidata – con l’ausilio di guide professioniste – porterà i visitatori alla scoperta dell’antica cittadina ricca di storia e cultura, fondata dai Celti e successivamente occupata dai Romani con il nome di Càrreum Potentia. Il suo nucleo storico è infatti caratterizzato da stradine acciottolate, edifici medievali ben conservati ed è noto per la sua ricca eredità religiosa e la presenza storica di un ghetto ebraico. Il Welcome Tour Chieri permette di andare alla scoperta di numerose chiese di notevole pregio, tra le quali la cappella Gallieri all’interno del Duomo, oltre a svelare tracce della storia ebraica della città.

Al termine del tour guidato è possibile degustare specialità tipiche a prezzo concordato e fare shopping, approfittando degli sconti offerti dagli aderenti al DUC (Distretto Urbano del Commercio) che partecipano all’iniziativa mostrando la ricevuta di acquisto del Welcome Tour anche dallo schermo dello smartphone. Lo sconto è valido per acquisti effettuati il giorno stesso dello svolgimento del Welcome Tour.

I locali aderenti sono: BUTTIGLIERI Pasticceria caffetteria – DOLCI E DOLCI Pasticceria caffetteria – ARS LUDICA Giocattoli – COMPAGNIA DELLA PELLE Borse e scarpe – FB ABBIGLIAMENTO – IL FARO Alimentari per diete speciali – LA CANTINA DEL CONVENTO Ristorante – PENNAZIO ELISA Hobbistica e filati -.

Siamo certi – evidenzia Marcella Gaspardone, Dirigente di Turismo Torino e Provincia – che questa iniziativa possa contribuire a far conoscere maggiormente le attrattive di Chieri, comune a pochi chilometri da Torino e che rappresenti un importante segnale per il nostro territorio essendo il turismo un settore in grado di valorizzare il tessuto economico-sociale legato a cultura e commercio”.

Per info e prenotazioni

https://www.turismotorino.org/it/esperienze/eventi/welcome-tourr-chieri

Alla Venaria è “Festa di Sant’Uberto”

In onore del “Patrono dei cacciatori”, sfilata dell’Equipaggio della “Regia Venaria”, Santa Messa e concerto alla “Cappella della Reggia”

Domenica 5 novembre

Venaria Reale (Torino)

Appartenente alla dinastia merovingia e definito l’“Apostolo delle Ardenne”, fu vescovo di Maastricht e primo vescovo di Liegi. Intorno alla figura di Sant’Uberto (Tolosa ?,656 – Fura, 727), venerato il 3 novembre quale “Patrono dei cacciatori” e “Protettore di uomini e animali dalla rabbia silvestre”, si torna, secondo tradizione, a fare festa alla Venaria Reale, domenica 5 novembre, in linea con un’antica tradizione il cui culto si perde nei secoli: il primo a solennizzarne la ricorrenza in Piemonte fu il duca Carlo Emanuele II, seguito dai suoi successori. La nascita stessa della Reggia e della città, oltreché il loro toponimo, si devono alla pratica venatoria che si svolgeva da parte della corte sabauda fin dal XVII secolo nel territorio, un tempo denominato di “Altessano Superiore” e che comportava frequenti cerimonie e rituali legati proprio a Sant’Uberto.

Ripresi dal 1996 per iniziativa dell’“Accademia di Sant’Uberto” (in accordo con la “Reggia”, la Città di Venaria e la “Curia Metropolitana”) i festeggiamenti ritornano puntuali anche quest’anno, iniziando alle 10,30 con la sfilata dell’Equipaggio – con i “suonatori di corno” – della “Regia Venaria”  da piazza Annunziata nel Borgo Antico di Venaria verso la Reggia, per culminare alle 10,45 con la Santa Messa dedicata al Santo e celebrata nella “Cappella di Sant’Uberto” alla Reggia accompagnata da corni da caccia, trombe, timpani della “Reale Scuderia” ed organo. Conclusione alle 11,30, con un omaggio musicale a Sant’Uberto da parte dell’Equipaggio della “Regia Venaria” (corni da caccia), Musici della “Reale Scuderia” (ottoni e timpani) e organo. Per  tutti sarà non solo un’occasione di ascolto, ma un vero e proprio momento da vedere e vivere.

La cerimonia, di livello europeo, ha le sue origini in età medioevale ed era anche denominata, in allora, “Missa canum” (“Messa dei cani”), per l’uso di benedire i cani e i loro proprietari alla fine della funzione. Cosa che avverrà anche domenica 5 novembre. L’uso di accompagnare momenti della Messa con musica, in particolare i corni da caccia, è documentato dal XVIII secolo.

L’ingresso è libero, fino ad esaurimento posti.

Da segnalare anche che l’arte musicale dei suonatori di corno da caccia identitaria del Piemonte, ed in particolare della “Reggia” e della “Palazzina di Caccia” di Stupinigi, è stata riconosciuta “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità” dall’“Unesco” nel 2020 (candidatura multinazionale di Francia, Italia, Belgio e Lussemburgo).

Le reliquie di Sant’Uberto Martire, dono di papa Clemente IX a Carlo Emanuele II per “La Venaria Reale”, si trovavano dal 1669 nella “Cappella della Reggia”. Per espresso volere del pontefice, l’edificio religioso che le ospitava doveva essere accessibile non solo dall’interno del palazzo, ma anche da tutti i fedeli, per rendere possibile la venerazione anche a chi non appartenesse alla corte: è questa una possibile motivazione dell’apertura della “Chiesa di Corte” della Venaria verso la piazza, rendendola in tale modo non solo cappella riservata alla corte interna al palazzo. Cessata la funzione di residenza reale della Venaria, dal 1819 la reliquia è conservata a Stupinigi nella “Chiesa della Visitazione di Maria Vergine”, sulla piazza della Palazzina, per volontà di Vittorio Emanuele I.

La rievocazione della cerimonia ha inteso conservare anche ai nostri giorni questo spirito di condivisione tra “Reggia” e “Borgo Antico” di Venaria Reale.

Per ulteriori infowww.lavenaria.it  – www.residenzerealisabaude.com

  1. m.

Nelle foto: immagini di repertorio

L’APOCALISSE un’esposizione di Mauro Gottardo

Sabato 4 novembre, alle ore 18.00
Galleria Gliacrobati 

 

a cura di Bianca Tosatti e Tea Taramino

 Sabato 4 novembre 2023, alle ore 18.00, Galleria Gliacrobati (via Ornato 4, Torino) inaugura L’Apocalisse, esposizione dell’artista Mauro Gottardo, a cura di Bianca Tosatti e Tea Taramino, in mostra fino a sabato 30 dicembre 2023.

Mostra monografica dedicata al ciclo dell’Apocalisse di Mauro Gottardo, un artista straordinario per la qualità del linguaggio visivo in grado di mostrare sia le sue più intime paure e conoscenze sia un ampio e originale repertorio grafico e calligrafico.

Questa mostra vuole essere un progetto inclusivo che propone importanti collegamenti di senso tra Arte Contemporanea e arti considerate marginali come Art BrutOutsider ArtArte Irregolare; un’impresa culturale consapevole che l’arte é anche fatto di persone capaci di scompaginare le certezze acquisite proprio quando, oggi più che mai, sono messe in crisi dai cambiamenti imprevisti nel campo della salute pubblica, dell’economia e della convivenza sociale.

La mostra é un invito alle istituzioni culturali e ai singoli a utilizzare questo tempo difficile dominato da conflitti internazionali per guardare negli angoli più nascosti della produzione culturale indipendente dove si accampano energia intellettuale, maestria e visioni capaci di commentare l’attualità da angolazioni inedite, talvolta abbaglianti.

L’Apocalisse (2008 – 2015) di Mauro Gottardo è un’opera visionaria densa di riferimenti simbolici, spesso profetici, letterari, religiosi, sessuali e politici, composta da 270 elementi di diverse dimensioni: figure umane, animali mitici, simbologie che si ripetono e si alternano su un tappeto di scritture visive, sovente tracciate su carte di recupero. Così L’Apocalisse diventa un archivio segreto di testimonianze, collegamenti, premonizioni, riferibili alla minaccia del potere in tutti i suoi aspetti: da quello economico, politico e culturale alla aggressività nei confronti della salute fisica e mentale umana.

Oggi più che mai ci sembra il momento giusto per avvicinarci a tale capolavoro sconosciuto e complesso che merita di essere apprezzato in ambiti culturali pubblici. Il ciclo di lavoro sull’Apocalisse inizia nel 2008 stimolato dalla visione, presso il Museo Diffuso della Resistenza di Torino, di (R)esistere per immagini, una mostra su Germano Facetti, grafico internazionale, documentatore e testimone della storia del “secolo dell’odio”. In particolare, a ispirare Gottardo è la “scatola gialla” che conteneva il suo taccuino della prigionia in campo di concentramento fatto di disegni, foto e appunti per quello che sarebbe poi divenuto il documentario “The yellow box” di Tony West.

Partner

Forme in bilico aps, Fermata d’autobus Onlus, Dipartimento Educazione GAM/ Galleria d’arte Moderna e Contemporanea / Fondazione Torino Musei, Dipartimento Educativo Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Tactile Vision Onlus

Con il sostegno di 

Città di Torino e Fondazione CRT

Evento nell’ambito dei progetti 

Panopticon – Rassegna Singolare e Plurale – Per arte e per lavoro

 

Galleria Gliacrobati

Via Luigi Ornato, 4, 10131 Torino

Giovedì e venerdì dalle 16.00 alle 19.30

Sabato dalle 11.00 alle 19.30

info@gliacrobati.com

www.gliacrobati.com