Subito dopo aver partecipato quest’oggi alla cerimonia di apertura degli Apt Torino 2023 in piazza d’Armi, dove hanno regalato una breve performance a tutti i fan dopo i saluti istituzionali, piemontesissimi Santi Francesi, hanno appreso dall’annuncio ufficiale del direttore artistico Amadeus, della loro partecipazione a “Sanremo Giovani”. Il duo musicale di Ivrea composto da Alessandro De Santis (voce e chitarra) e Mario Francese (tastiere e producer), già vincitore di X Factor nel 2022, è tra gli 8 finalisti che prenderanno parte alla serata di Sanremo Giovani 2023, in onda dal Teatro del Casinò di Sanremo, martedì 19 dicembre, in prima serata su Rai1, Radio2 e in streaming su Raiplay. Gli altri artisti che hanno superato le audizioni, svoltesi nei giorni scorsi, dal vivo, nella storica sede della Radiofonia di via Asiago in Roma e che si aggiungeranno ai 4 cantanti provenienti da Area Sanremo sono: Bnkr 44, Clara, Grenbaud, Lor3n, Jacopo Sol, Tancredi e Vale LP. Il 19 dicembre in 12 si contenderanno tre posti tra i Big in gara al Festival di Sanremo che si svolgerà dal 6 al 10 febbraio 2024. Il titolo del brano in gara dei giovanissimi Santi Francesi, anno di nascita 1997, è: “Occhi tristi”. Igino Macagno
San Martino trionfa con El Greco
Asti, la città dalla storia millenaria
A cura di piemonteitalia.eu
Adagiata sulla riva del Tanaro e sulle colline del Monferrato, Asti è una cittadina piemontese che, oltre ai suoi eccellenti vini e prodotti enogastronimici, offre ai visitatori tante sorprese, che andrebbero gustate con calma.
La città vanta una storia millenaria, fondata inizialmente dai romani, nel IV secolo divenne ducato longobardo, almeno fino al 1159, quando si trasformò in un Comune libero, diventando, da questo momento in poi, la città più potente del Piemonte…
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https://www.piemonteitalia.eu/it/esperienze/asti-la-citta-dalla-storia-millenaria
Lovisolo, “Michele lascia il segno”
Ritornano alla “TeArt” di Torino i sogni e le fantasie, cariche di colore, di Michele Lovisolo
Fino al 22 novembre
Milani! Il piacere strabordante dell’incontro. E a seguire l’immancabile (guai non ci fosse!) abbraccio. Quello suo. L’abbraccio di Michele. L’abbraccio di Michi. Timido e potente, a un tempo. Carico di tutto il bene e l’affetto di questo mondo. Sono passati alcuni anni dal nostro ultimo incontro. In mezzo vicende anche poco piacevoli, che Michi pare aver metabolizzato. Lo incontro, insieme al suo “grande” papà Davide, all’ingresso dell’Associazione Artistico-Culturale “TeArt”di via Giotto, a Torino. Qui Michele Lovisoloespone per la terza volta, dopo “Scintille di emozioni” (2012) e “Narrare con i colori”(2019). L’attuale rassegna ha per titolo “Michele lascia il segno”. Titolo quanto mai azzeccato, perché Michi “lascia sempre il segno”. E non solo attraverso i suoi dipinti, ma nella quotidianità di una vita che è puro inno al candore dei sentimenti e forte argine di difesa contro le brutalità del mondo.
Oggi Michele ha 41 anni. Trent’anni fa (quanto sono vecchio!) è stato mio allievo alla mitica media “Pascoli” di piazza Bernini, ex “Educatorio Duchessa Isabella” e, dal 2015, sede dell’“Ufficio Pio Compagnia di San Paolo”. Presenza indimenticabile – e indimenticata – la sua. Già allora amava disegnare. Creare forme fantastiche, “pasticciare” in piena libertà con i colori. Credo, senza peccare di immodestia, che quei tre anni trascorsi alla scuola di piazza Bernini (leggendaria preside, la Mariolina Bertinetti e il Pippo Leocata, oggi artista di meritata notorietà, capace di instillare a fondo i germi buoni della “creatività” nei nostri ragazzi) abbiano dato tanto a Michi. Ma Michi, soprattutto, ha dato tanto a tutti noi che gli stavamo intorno. Ai suoi prof., alle sue compagne e ai suoi compagni di classe. E alla scuola tutta. Perché Michele era allora presenza importante in ogni attività (non solo di classe) per tutti i “pascoliani”. “Lasciava il segno”, e ben profondo, per riprendere il titolo della sua attuale mostra alla “TeArt”. Qui, in via Giotto, presenta fino a mercoledì 22 novembre, una ventina di opere, alcune realizzate negli ultimi anni e altre di recente composizione. Varie le tecniche: oli, tempere, acquerelli e interessantissimi collages. Dietro tutte, gli insegnamenti ormai ventennali impartitigli dalla brava Anna Maria Borgna (suo autentico “Angelo custode” artistico) nell’atelier di via Belfiore, condiviso dalla pittrice con il compagno (di vita e d’arte) Mario Bianco. “La mia presenza amichevole – sottolinea Anna Maria Borgna – è quella di stimolare la curiosità di Michi verso nuove possibilità tecniche, materiali e strumenti a disposizione, di aiutarlo nelle scelte, facendo sempre un passo indietro per permettergli di esprimersi con la maggiore libertà possibile. Ad ogni incontro nell’atelier uno accanto all’altra, siamo alleati, complici e giocosi nella ricerca di una nuova scoperta. Perché a Michele piace molto scherzare, ma al momento buono si abbandona al piacere della pennellata che stende, che sovrappone, che lavora con vari e imprevedibili interventi fino a quando non è soddisfatto”.
Paesaggi, nature morte, ritratti femminili: la base su cui Michi si cimenta è sicuramente figurativa e, giustamente, scolastica, anche se in parete non mancano composizioni astratte, libere nell’ideazione dell’impianto segnico e nella stratificazione, spesso vorticosa (senza vincolo alcuno) del colore. Sono i “fuori gioco” di un piccolo grande artista che non riesce, nei momenti di migliore creatività, a trattenere la fantasia o il gusto esuberante del colore, di una matericità cromatica, in alcune pagine paesistiche soprattutto, tipicamente e piacevolmente espressionista. E qui Michele è il Michele che “parla ad alta voce”. Sicuro e contento di sé. Che si rivolge a noi a cuore aperto. Divertito. Appagato. Permettendosi anche dotte “citazioni”. Omaggi a Picasso, a Manzù, a Goya ma soprattutto al trasognato Mirò. Al surreale, eclettico, immaginario artistico del Maestro spagnolo, affascinato da quel suo prepotente “automatismo psichico” che a Mirò faceva trascrivere in pittura i propri pensieri, i propri voli onirici, “senza il filtro della ragione”. E Michele senta sua questa strada, praticandola con risultati pittorici di indubbia piacevolezza.
Dice ancora, in proposito, Anna Maria Borgna: “Michele negli anni è divenuto più audace e disposto alle novità, più autonomo nelle scelte, e questa è una meta importante, quanto il suo benessere e piacere nell’atto di dipingere. E potersi poi specchiare nella sua opera finita. Sono tante e svariate le sue opere finora … e quante nuove ci aspettano!”. Un augurio che facciamo nostro. Al prossimo abbraccio, caro Michele. Al prossimo “tuo” abbraccio. Timido e potente. Carico di tutto il bene e l’affetto di questo mondo.
Gianni Milani
“Michele lascia il segno”
Associazione Artistico-Culturale “TeArt”, via Giotto 14, Torino; tel. 011/6966422 o www.teart.associazione@gmail.com
Fino al 22 novembre
Orari: dal mart. al sab. 17/19
Nelle foto: “Omaggio a Mirò”, “Collages”, “Da Manzù, omaggio a Picasso”, “Paesaggio”
Il Peninsulario ligure di Magliani
Marino Magliani è l’autore di Peninsulario, raccolta di racconti pubblicata dalle edizioni Italo Svevo.
Nato nel 1960 a Dolcedo, in provincia di Imperia, dopo aver trascorso gran parte della vita all’estero, divide la vita tra la sua Liguria e la costa olandese, dove scrive e traduce. I suoi ultimi lavori sono stati Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere, 2018) e Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma, 2021), incluso tra i candidati al Premio Strega 2022. Per Magliani e il suo Peninsulario, così come accadde per Nico Orengo, il paesaggio dell’anima dove sono racchiusi i ricordi e i più intimi sentimenti è quello del Ponente ligure, una lunga lingua di terra stretta tra il mare e le montagne che si estende a ovest di Genova fino al confine con la Francia. Un orizzonte geografico che diventa uno dei protagonisti delle vicende narrate da Magliani dove le valli diventano fenditure, microcosmi, vere e proprie penisole. In questa raccolta il lettore è accompagnato, attraverso una narrazione spesso ironica che ricorda, come sostiene Filippo Tuena nella prefazione, la prosa visionari di Italo Calvino e delle sue Città invisibili. Dai vitelloni di balera del primo racconto ( “Manico”) che scendono dalla valle Argentina e dalle località dell’interno a Taggia, a caccia di turiste con un aplomb del tutto particolare fino alla valle percorsa dalle acque del Roia che scende dalle alture austere delle Alpi Marittime fino alla foce di Ventimiglia con la strana coppia del poliziotto Zanellu e dello spacciatore Pantera nel racconto “La quota della frontiera”, complici per momentanea necessità, nonostante i rispettivi ruoli siano contrari e opposti. C’è forse una lieve concessione a fugaci cenni autobiografici ne “L’uomo veloce” dove s’intrecciano le strade del grande editore milanese e dello scrittore ligure che ha passato gran parte della sua esistenza all’estero. Ne “Il muro di Jantje” è un olandese il protagonista del ripristino di una protezione franata in una delle valli più corte, la Val Prino dai dolci declivi, le colline terrazzate di ulivi e vigne, i boschi di roveri e piccoli borghi alle spalle di Porto Maurizio. Una terra che Magliani conosce benissimo, raccontandola con passione usando la metafora del muro per soffermarsi sulla Liguria pietrosa e severa dell’entroterra, dove i protagonisti – come si legge nel libro – non sono mai i turisti estivi o di un breve fine settimana ma “coloro che rimangono in ogni stagione, che vivono di solitudini a volte, spesso di nostalgie, ma soprattutto di ossessioni”. A ogni racconto, compreso “Il cuculo”, quinto e ultimo della raccolta che narra del postino di Sorba, un tale Umbertin che tra i muretti a secco e le distese di taggiasca della valle Impero chiamavano semplicemente l’U da Posta, corrispondono realtà più o meno sperdute della West Coast del ponente ligure. E’ in quelle terre che i tanti Orfeo, Gregorio, Secondo, Adele diventano protagonisti alla pari dell’ambiente che li circonda. Sono i loro misteri, la quotidianità di un mondo che tende a non mutare e l’inconfessabile desiderio di guardare oltre, il detto e il non detto, le tradizioni che resistono ai cambiamenti e le abitudini che si dividono tra virtù e vizi, i paesi di pietra e l’aria salmastra che sale dal mare, le vecchie bocciofile e le bottiglie stappate di Pigato e Rossese, Vermentino e Ormeasco che accompagnano pagina dopo pagina in questa terra variegata, capace di stupire con le sue misteriose “penisole”.
Marco Travaglini
Fino al 31 marzo 2024, una trilogia video e un’installazione audio-visiva site specific, firmate da Magda Drozd e Michael Höpfner, invitano a scoprire la montagna oltre ciò che è noto e razionale. La mostra è il punto di partenza di un progetto lungo un anno incentrata sul concetto di cammino.
Martedì 31 ottobre, Torino – Il Museo Nazionale della Montagna non manca all’appuntamento con la Torino Art Week di Torino e inaugura oggi Stay with Me. La montagna come spazio di risonanza, a cura di Andrea Lerda. Un progetto immersivo ed emozionale che parte dal cammino come strumento di ricerca e osservazione, praticato dalla sound artist svizzera Magda Drozd e dal walking artist austriaco Michael Höpfner, per esplorare la dimensione fisica e mentale dello “stare” nell’ambiente montano come momento di scambio emotivo tra genere umano e natura.
La mostra è allestita nello spazio dedicato alle mostre temporanee ed è costituita da una trilogia video e un’installazione audiovisiva, appositamente prodotte per questo progetto. Sono state ispirate dalle camminate di Höpfner sulle Alpi e dalle registrazioni dei suoni nei territori tra Italia e Francia da parte di Drozd. Utilizzando riferimenti visivi e poetici, la narrazione invita a riscoprire spazi di lentezza, armonia e consapevolezza. Un’esperienza emozionante, che tocca le corde più profonde dell’animo umano e che propone di guardare al territorio montano non più in modo contemplativo, ma da una prospettiva di astrazione. Il risultato è un racconto visivo e sonoro dal carattere concettuale, che affascina per la sua delicatezza e per il suo invito ad andare oltre la conoscenza razionale e ad abbandonarsi alle emozioni.
«L’esperienza della mostra invita gli spettatori ad accedere a una dimensione metafisica profonda, in cui essenzialità, attenzione e disincanto sono prerequisiti fondamentali per un modo diverso di vivere il tempo presente» spiega il curatore Andrea Lerda.
La mostra è il primo passo di un progetto ambizioso, Stay with Me. A Whole Growing Exhibition, nato nel quadro dei festeggiamenti per i 150 anni dalla fondazione del Museo Nazionale della Montagna, che cadono nel 2024. «Un traguardo importante, che, nell’ambito del Programma Sostenibilità e del Programma di Arte Contemporanea, verrà celebrato attraverso un palinsesto artistico e multidisciplinare incentrato sul tema del cammino» dice la direttrice Daniela Berta.
Il tema sarà analizzato da una prospettiva multifocale, con una serie di appuntamenti pubblici come panel, workshop ed eventi artistici, tra la fine del 2023 e durante il 2024, grazie al sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo. Nelle indagini di ricerca saranno coinvolte figure creative attive a Torino, in Piemonte, a livello italiano e internazionale e istituzioni storiche come l’Accademia Albertina di Belle Arti. I lavori confluiranno poi in una mostra dal titolo A Walking Mountain, che sarà presentata a novembre 2024, in occasione della settimana dell’arte contemporanea a Torino.
Il primo talk del progetto, Stay with Me – An opening panel with breakfast, si terrà al Museomontagna venerdì 3 novembre alle ore 11 ed esplorerà i temi della risonanza, del cammino e della relazione psico-fisica con la montagna. Interverranno gli artisti Michael Höpfner e Magda Drozd in dialogo con Paolo Costa, filosofo, ricercatore della Fondazione Bruno Kessler di Trento e autore del libro L’arte dell’essenziale, Andrea Lerda, curatore della mostra, assieme alla direttrice del Museomontagna, Daniela Berta. Il talk sarà preceduto da una colazione offerta ai partecipanti alle 10.30.
Sabato 2 dicembre 2023 dalle 15 alle 18 è previsto Walk with Me – Walk Discover Share, un pomeriggio di ricerca rivolta al pubblico e alla comunità artistica, in collaborazione con l’Associazione Va’ Sentiero e incentrato sul cammino come pratica condivisa. L’Associazione presenterà la ricerca fotografica del lungo viaggio compiuto nel 2019 lungo il Sentiero Italia CAI. Condivisione, circolarità e sostenibilità saranno analizzati con il coinvolgimento diretto delle comunità che abitano le Terre Alte.
Il 26 e 27 gennaio 2024, l’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino e il Museomontagna ospiteranno Walkscapes, due giorni di studio sul tema del cammino. Nella prima giornata, dalle 10.30 alle 16.30 presso l’Auditorium dell’Accademia è previsto un workshop con la partecipazione di artisti che operano in Piemonte, tra cui Marzia Migliora, Bepi Ghiotti, Caretto I Spagna e sulla scena italiana come Giorgio Andreotta Calò, Claudia Losi e Antonio Rovaldi.
Sabato 27 gennaio alle 16 presso il Museomontagna Hamish Fulton e Michael Höpfner dialogheranno con Andrea Lerda intorno alla pratica della Walking Art.
In collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, sabato 23 e domenica 24 marzo 2024 si terranno due giornate in compagnia dell’artista Luana Wojaczek Perilli, con camminate nel Bosco del Monte dei Cappuccini e nella Riserva della Biosfera Collina Po, laboratori di ceramica e contestualmente incontri e interviste con le comunità dell’Appennino per approfondire il progetto Cantalamissa di mappatura dell’Appennino e delle sue comunità montane.
Ad arricchire il calendario di appuntamenti, un ciclo di laboratori educativi e visite didattiche a tema “Suoni ed emozioni” e “Nel mezzo del cammino”.
Tutti i materiali raccolti durante gli eventi in programma saranno poi rielaborati per essere inseriti nel catalogo della già citata mostra finale A Walking Mountain.
Stay with Me è realizzato con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo, Phileas Foundation di Vienna, Federal Ministry for Arts, Culture, the Civil Service and Sport (Austria), Kultur Niederösterreich (Austria), Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura, Fondazione Elisabeth Jenny-Stiftung (Riehen), Regione Piemonte e Camera di Commercio di Torino.
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STAY WITH ME
Magda Drozd
Michael Höpfner
La montagna come spazio di risonanza
Museo Nazionale della Montagna – Piazzale Monte dei Cappuccini 7, Torino
Inaugurazione: 31 ottobre ore 18
Date di mostra: Dal 1 novembre al 31 marzo 2024
Orari: da martedì a venerdì, 10.30-18 I Sabato e domenica: 10-18
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Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” – CAI Torino
Piazzale Monte dei Cappuccini 7 – 10131 Torino
+39 011 6604104 – posta@museomontagna.org
Ivo Andrić e il piccolo Caffè di Lutvo
E’ verde, la Bosnia. Boschi, vallate, montagne e fiumi sono le gemme di una natura sfacciatamente bella da suscitare quasi imbarazzo. Fiumi limpidi che corrono nelle gole tra monti aspri per poi precipitare in spettacolari cascate e laghi. Come l’Una, un fiume che – s’intuisce dal nome stesso – è davvero unico con le sue isole, i canali e una vegetazione tanto ricca da trasmettere un senso di pace incredibile. Delle cascate di Kravica, lungo il fiume Trebižat, a quaranta chilometri da Mostar, dicono un gran bene. Io non le ho viste ma mi sono fidato di Mustafà che me le ha descritte come uno dei luoghi più incantevoli dell’Erzegovina. In una versione ridotta di quelle del Niagara, sono alte una trentina di metri e precipitano in un anfiteatro naturale, offrendo uno spettacolo che lascia senza fiato. E la Neretva, dalle gelide acque verdi smeraldo, che attraversa il paese tra strette gole verso nord-ovest per poi piegare a sud, attraversare Mostar e sfociare nell’Adriatico?
Qui, tra le montagne del nord della Bosnia, tra rupi e fitte foreste dove gli orsi convivono con cervi e daini, dal gennaio all’aprile del 1943 si combatté la durissima battaglia della Neretva, con le formazioni di Tito che riuscirono , con una rocambolesca e geniale azione a compiere una ritirata strategica che fece fallire l’obiettivo dell’Asse di accerchiare e distruggere le forze partigiane. Neretva ( così in serbo-croato, altrimenti conosciuta come Narenta) “dove scorre il tempo irreale e scorre l’acqua. Acqua contro Terra. Tremante svanisce, tremante riappare”, come canta Ginevra Di Marco in una canzone dal titolo come il nome del fiume. Montagne massicce, dunque, formate dalle tre cinture parallele delle alpi Dinariche, con le principali vette bosniache della Treskavica e della Bjelašnica, del gruppo del Vlašić fino a quello del Jahorina, con l’omonimo monte e quelli bellissimi e tristemente noti del Trebević e dell’Igman, attorno a Sarajevo. Queste barriere naturali, situate a ridosso dell’Adriatico, hanno consentito la formazione di particolari microclimi caratterizzati da una grande, straordinaria biodiversità. Difficile dar conto della varietà di tesori naturali, di specie rare di flora e fauna autoctone, difficilmente rintracciabili nel resto d’Europa. Per tanti aspetti la Bosnia è il corno dell’abbondanza, la cornucopia d’Europa. Come definireste altrimenti un paese di foreste e monasteri ortodossi, di chiese cristiane e antichi minareti, borghi medievali e tanti, tanti ponti ad unire e far incontrare le opposte rive dei fiumi? Un paese così non si trova in nessuna altra parte d’Europa. Nonostante tutto. Nonostante le contraddizioni e la violenza che l’ha scosso fino nel profondo dell’anima del suo popolo. Nonostante tutto continua a offrirsi agli sguardi di chi non si limita ai luoghi comuni e continua a raccontare con la sua immensa storia e di cultura. Nonostante tutto, come gli avventori del piccolo Caffè di Lutvo, a Travnik. Nel suo “La cronaca di Travnik”, Ivo Andrić scriveva: “ In fondo al mercato di Travnik, sotto la sorgente fresca e gorgogliante del fiume Šumeć, è sempre esistito, da che mondo è mondo, il piccolo Caffè di Lutvo. Ormai neanche gli anziani ricordano Lutvo, il suo proprietario; da almeno cento anni egli riposa in uno dei cimiteri intorno alla città. Tuttavia si va sempre a “prendere un caffè da Lutvo”, e così ancora oggi il suo nome ricorre spesso nelle conversazioni, mentre quello di tanti sultani, visir e bey è da tempo sepolto nell’oblio”. C’è una frase che descrive bene la sensazione che prova un viaggiatore attento nell’avvicinarsi ad un luogo d’incontro di storie, culture che si uniscono, si contaminano e, al tempo stesso, prendono strade diverse o addirittura opposte. Un luogo molto bello ma non facile e che, in ogni caso, non lascia indifferenti. La frase, quasi fosse una chiave con cui tentare di aprire una porta o un forziere, senza peraltro riuscirvi, la regala ancora l’autore de “Il ponte sulla Drina”: “Nessuno può immaginare che cosa significhi nascere e vivere al confine fra due mondi, conoscerli e comprenderli ambedue e non poter fare nulla per riavvicinarli, amarli entrambi e oscillare fra l’uno e l’altro per tutta la vita, avere due patrie e non averne nessuna, essere di casa dovunque e rimanere estraneo a tutti, in una parola, vivere crocefisso ed essere carnefice e vittima nello stesso tempo”.
Marco Travaglini
TSN – Teatro Superga Nichelino (TO)
Sabato 11 novembre, ore 21
Il migliore dramma giudiziario della maestra del brivido Agatha Christie per la prima volta in Italia a teatro
La nuova stagione del TSN – Teatro Superga Nichelino apre sabato 11 novembre con “Testimone d’accusa”: dalla maestra del brivido Agatha Christie, uno dei migliori drammi giudiziari mai messo in scena in Italia. Sul palco Paolo Triestino, Vanessa Gravina, Giulio Corso e altri 9 attori, oltre a uno stenografo che scrive tutti i verbali del processo su una macchina stenografica autentica del 1848 e 6 giurati scelti tra il pubblico e chiamati ad emettere il verdetto. La regia è di Geppy Gleijeses, dopo i grandi successi di Sorelle Materassi, Arsenico e vecchi merletti, Così parlo Bellavista.
Esiste la “commedia perfetta”? Forse sì. Secondo alcuni critici è “Il matrimonio di Figaro” di Beaumarchais, secondo altri è “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde. Sul più bel dramma giudiziario però non ci sono dubbi: “Testimone d’accusa” di Agatha Christie. Il gioco non verte tanto sulla psicologia dei personaggi (ci aggiriamo tra simulatori occulti, assassini, grandi avvocati) quanto sulla PERFEZIONE del meccanismo. È infernale questo meccanismo, con un colpo di scena dopo l’altro, in un crescendo raveliano, una battuta dopo l’altra. E la costruzione “giudiziaria”? Impressionante per precisione e verità, come se l’avesse scritta il più grande giudice inglese del secolo scorso. Lo spunto, come spesso accade nelle opere della Christie, parte dalla storia di una donna tradita dal marito più giovane; ed è uno spunto autobiografico. L’autrice fu tradita dal primo marito (di cui però portò sempre il cognome) e sposò poi un uomo molto più giovane di lei. Ma bastasse questo… Il film capolavoro che ne trasse Billy Wilder era assai liberamente tratto -la Christie lo considerava il miglior adattamento cinematografico della sua opera-. Il testo teatrale è assai più asciutto, non concede tregua alla tensione, affonda come una lama di coltello affilatissima (letteralmente) nella schiena di chi osserva. Considerare la “maestra del brivido” un’autrice di consumo è come valutare Hitchcock un cineasta di serie B. Agatha è un genio e tale per sempre resterà. E qui, più che in Trappola per topi, più che in Dieci piccoli indiani questo diamante luccica in tutto il suo splendore. Naturalmente metterlo in scena richiede un cast di livello superiore e un realismo (non certo naturalismo) rigidissimi. E una dovizia di mezzi scenografici e recitativi. Io l’ho messo in scena con Giorgio Ferrara, un grande e carismatico attore in genere prestato alle grandi direzioni di Festival e teatri, con Vanessa Gravina, bella, bravissima e impossibile, Giulio Corso, uno dei migliori dell’ultima generazione, e altri 9 attori, tutti perfettamente aderenti ai ruoli. Per chiudere (ed essere più chiaro) vi anticiperò due particolari: in scena avremo lo stenografo che scriverà -con il particolare ticchettio- tutti i verbali del processo su una macchina stenografica autentica del 1948 (la commedia è del ‘53), i sei giurati saranno scelti tra il pubblico sera per sera, e chiamati a giurare e ad emettere il verdetto.
Geppy Gleijeses
Sabato 11 novembre, ore 21
Testimone d’accusa
Di Agata Christie
Regia di Geppi Gleijeses
Traduzione Edoardo Erba
Con Vanessa Gravina, Giulio Corso
Con la partecipazione di Paolo Triestino
E con Michele Demaria, Antonio Tallura, Sergio Mancinelli, Bruno Crucitti, Paola Sambo, Francesco Laruffa, Erika Puddu, Lorenzo Vanità
Scene Roberto Crea
Costumi Chiara Donato
Artigiano della luce Luigi Ascione
Musiche Matteo D’Amico
Aiuto Regia Norma Martelli
Biglietti: 17 euro galleria, 23 euro platea
La stagione 2023-2024 del Teatro Superga è promossa dalla Città di Nichelino e Sistema Cultura, con il sostegno di Fondazione CRT e Regione Piemonte, firmata dalla direzione artistica di Alessio Boasi, Fabio Boasi e Claudia Spoto, in collaborazione con Piemonte dal Vivo. Produzione esecutiva Fondazione Reverse. Creative mind: Noir Studio.
Info
Teatro Superga, via Superga 44, Nichelino (TO)
011 6279789
www.teatrosuperga.itbiglietteria@teatrosuperga.it
IG + FB: teatrosuperga
Orari biglietteria: mar, gio, ven e sab 16-19; mer 10-13 e 14-19
I biglietti si possono acquistare presso la biglietteria del Teatro Superga, sul luogo dell’evento nei giorni di spettacolo dalle ore 18
OGGI SI E’ TENUTA LA PRESENTAZIONE A ROMA
La 41esima edizione del Torino Film Festival si terrà dal 24 novembre al 2 dicembre a cura del Museo Nazionale del Cinema presieduto da Enzo Ghigo e diretto da Domenico De Gaetano, direzione artistica di Steve Della Casa.
L’immagine guida è dell’artista torinese Ugo Nespolo, ispirata ad uno dei più celebri fotogrammi di Sentieri selvaggi di John Ford: John Wayne ha tra le braccia Natalie Wood.
Quest’anno il TFF dedicherà un omaggio al famoso attore americano. L’inaugurazione della 41esima edizione si svolge alla Reggia di Venaria.
Sarà ospite d’eccezione della serata – in diretta su Hollywood Party, Rai Radio3 – il regista Pupi Avati, madrina della cerimonia d’apertura Catrinel Marlon.
Tra gli ospiti, Oliver Stone (che riceverà il Premio Stella della Mole) Fabrizio Gifuni, Christian Petzold, Caterina Caselli e Paolo Conte.
E ancora Kyle Eastwood a Drusilla Foer, Mario Martone Barbara Ronchi, Baloji, Thomas Cailley, Roberto Faenza e Laura Morante. Protagonista il ritorno della commedia, popolare e d’autore.
Le chiamavamo televisioni libere, poi locali, poi private e infine commerciali. Sta di fatto che volenti o nolenti, hanno alimentato il nostro immaginario dagli anni 70, prima dell’avvento della cosidetta “era berlusconiana”. E’stata l’inventiva pionieristica e imprenditoriale di Renzo Villa che nel lontano 1977, in quel di Legnano realizza quel miracolo via etere che è ancor oggi Antenna 3 Lombardia.
Ci racconta questa avventura il giornalista Cristiano Bussola, in un agile saggio a metà tra la storia del costume e la sociologia della cultura: “Una fetta di sorriso Renzo Villa, l’inventore della tv commerciale raccontato da chi lo ha conosciuto” ( Paola Caramella editrice, 2022, pagg. 230, €. 18 corredato da un ricco apparato fotografico). In realtà l’autore, Renzo Villa non l’ ha mai conosciuto in maniera diretta. Come precisa nelle pagine introduttive, Villa è stato l’ispiratore principale, del suo avviamento alla professione giornalistica prima cartacea alla “Vita Casalese” poi a Prima Antenna, già Studio Televisivo Padano, come cronista e commentatore politico. Attraverso le interviste (alcune dirette alcune telefoniche) a una carrellata di personaggi (portati poi al successo da Villa) l’autore riesce a ricostruire nei minimi particolari, la realizzazione di quel sogno, nell’arco temporale di un decennio. Teo Teocoli e Massimo Boldi (scoperti al mitico Derby di Milano) poi Donatella Rettore e i Righeira solo per citarne alcuni. Ma anche maestranze e tecnici sentiti sui loro rapporti professionali e umani. Pochi anni dopo la sua prematura scomparsa nel 2010 a 69 anni, la moglie Wally Giambelli, la compagna di una vita, attraverso l’ente “Associazione Amici di Renzo Villa” ne tiene viva la memoria con iniziative di promozione sociale e formazione professionale (per materiale audiovisivo e di testo consultare: viaperbusto15.it ).
Grazie a un mix di volontà, tenacia e capacità non comune di tessere relazioni umane, Renzo Villa lascia il dazio di Varese e prima approda a Tele Biella con Enzo Tortora, imparando tutto sulla televisione, poi dopo mille vicissitudini e traversie, diviene il patron di Antenna 3 Lombardia.
Fa l’intrattenitore, il pubblicitario e addirittura il cantante-attore (sua ambizione giovanile), nel mitico Studio 1 di Via per Busto 15 a Legnano, unendo in qualche modo nelle sue trasmissioni, lo status di direzione a quello di subalternità. In un equilibrato amalgama di assunzione di ruoli. Fino al fallimento nel 1987, determinato dal mercato pubblicitario e dall’accanimento della concorrenza e al passaggio alla nuova proprietà, Espansione Tv, poi dal 2004 passata nel Gruppo Mediapason di Sandro Parenzo, terzo gruppo televisivo privato italiano. Tanto che Silvio Berlusconi gli offrì 9 miliardi delle vecchie lire, per rilevargli il gioiello di Legnano. Ma lui rifiutò, sostenendo, parafraso sintetizzando al meglio il suo essere che: “se la pubblicità è l’anima del commercio, questa non deve divenire commercio dell’anima”. La sua e dei telespettatori. Tra le figure professionali mirabilmente descritte da Bussola nel libro, ne voglio ricordare tre, che più mi hanno colpito.
La prima è Patrizia Ceccarini (in arte Cecchi) che ad Antenna Tre accompagnava da valletta Ric e Gian nei loro sketch, dopo una lunga esperienza al teatro tenda con Vittorio Gassman. Molti anni dopo la sua avventura con Villa, tornò in visita negli studi a Legnano e di fronte alle mura diroccate e dismesse dei locali, si commosse fino alle lacrime, nel ricordare quegli anni meravigliosi, trascorsi lavorando con il con il compianto Renzo Villa.
La seconda è la testimonianza di Gian Paolo Parenti, che come l’autore del volume approdò al mondo della televisione, grazie allo stimolo della televisione stessa, in questo caso citando Karl Popper, divenuta suo malgrado, buona maestra. Oggi è docente di Marketing televisivo al corso di laurea in Media e giornalismo dell’Università di Firenze. Insegna all’Università Cattolica di Milano ed è autore di saggi sulla televisione.
E ultimo ma non ultimo, voglio ricordare il tecnico di trasmissione di Telebiella, conosciuto da Villa all’inizio della sua attività manageriale, Peppo Sacchi, che in parola afferma: “Ormai in tv si assiste a sproloqui di venti minuti. E ogni minuto rubato al pubblico è un minuto rubato alla vita del pubblico stesso. Con il proliferare incontrollato delle televisioni private i cui programmi segnano il trionfo della volgarità, dell’osceno, della violenza, del turpiloquio e forniscono un informazione che quando non è completamente falsa, è incompleta, deformata, tendenziosa, diretta a favorire interessi di parte. È legittimo porsi la domanda: Telebiella fu un bene o un male?”

Risposta di Sacchi: “Fu sicuramente un bene perché ha dato il via alla televisione privata, favorendo le opportunità di lavoro a decine di migliaia di persone che vivono di televisione. Un male perché aprì la stura a quel gran casino che é la tv di oggi”. Che non fu quella di Renzo Villa che con Ettore Andenna produsse tra gli altri il programma “la Bustarella” prototipo di ciò che lo stesso Andenna condusse in seguito alla Rai come “Giochi senza Frontiere” che apriva la televisione a una concezione europeista nei contenuti, ancora senza Ue e moneta unica. Concludendo voglio ricordare lo slogan che coniò Marshall McLuhan nel suo scritto “Il villaggio globale” riguardo alla televisione : “Il mezzo è il messaggio”. E allora vigiliamo con la nostra coscienza critica, con l’ausilio dello zapping col telecomando. Senza moralismi. E’ l’unico mezzo di difesa che abbiamo.
Aldo Colonna
