CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 167

“Orogenesi”. E’ un “elogio alla delicatezza” la personale di Alessandra Maio

Allestita alla Galleria “BI-BOX Art Space” di Biella

Fino all’11 novembre

Biella

Inaugurata a fine agosto, proseguirà fino a sabato 11 novembre, la personale dell’artista bolognese Alessandra Maio, nuovo progetto della Galleria “BI-BOX Art Space” di via Italia a Biella, a cura della critica d’arte Maria Chiara Wang. A introdurre e a rendere immediatamente partecipi al significato e al tema della rassegna, la Maio (“Accademia di Belle Arti” a Bologna, Laurea Magistrale in “Storia dell’Arte Contemporanea” nonché “arteterapeuta”, con residenza fra Aosta e il capoluogo emiliano, e alle spalle un palmarèsricco di molteplici mostre in Italia e all’estero) ha voluto saggiamente partire citando (da “Notti insonni”) le parole – sempre attuali – di Hermann Hess, “Premio Nobel per la Letteratura 1946”: “Solo chi ha necessità di un tocco delicato, sa toccare con delicatezza”. E’ infatti intorno alle suggestioni offerte dal termine “delicatezza” che prende l’ incipit e si sviluppa in modo lineare, nel suo complesso, l’intera esposizione. “Delicatezza” come leggerezza e vulnerabilità, come impalpabilità e raffinatezza: caratteristiche di ognuna delle opere presenti nello spazio biellese: dagli acquerelli appartenenti alla produzione più recente e che conferiscono il titolo alla mostra (allusivo non al linguaggio geologico, ma alla duplice componente del termine – oro e genesi – riferita alla potenza generativa dell’arte) ai versi racchiusi nelle “cianotipie” dal tipico colore “Blu di Prussia”. L’attività artistica della Maio è infatti fortemente caratterizzata dall’uso della scrittura, che nelle sue opere s’inserisce spesso nel disegno, “creando – sottolinea la curatrice – una fitta trama di parole che dialoga e si fonde con la pittura, mettendo in cortocircuito significati e immagine”. Nella serie di tele “Pelle” la “delicatezza” è riferita “a quella membrana che rappresenta il confine tra il corpo umano e il mondo esterno, quella superficie sottile che protegge e allo stesso tempo mette in comunicazione con l’alterità”. Nell’installazione “Limen (l’importanza della delicatezza)” il concetto si esprime attraverso il gesto lento del cucito, con il quale l’artista ha, in modo genialmente bizzarro, messo insieme numerose paia di guanti di cotone, così come nella fragilità delle chiocciole che le adornano. Infine, “delicatezza” come aspetto complementare di quella preziosità insita nell’uso della “foglia oro”, nuovo elemento della ricerca artistica di Alessandra Maio. Dopo la fase gestuale veloce della stesura dell’acquerello e quella lenta, riflessiva e meditativa della scrittura, “l’applicazione della foglia – sottolinea la stessa artista – funge ora da fase finale di ‘condensazione’”. In un intreccio di cromie che, all’interno dell’opera, assumono significati ben diversi di interpretazione: la “riflessione” il blu, la “trasformazione” il giallo e l’“energia vitale”il rosso. L’arte come segno. L’arte come colore. L’arte come miracolo di delicatezza. L’arte come terapia. Scrive Alessandra Maio: “Torno e ritorno al mio respiro/al mio ritmo/finalmente mi sento/respiro piano con delicatezza/faccio spazio dentro di me/osservo i vuoti che si creano/non mi fanno paura/ci passa l’aria e risuonano/compongono una nuova armonia/respiro dopo respiro/prendo consapevolezza del mio ritmo/dei miei bisogni/sento il calore dell’assenza/mi annodo/assumo una nuova forma/mi trasformo/e/respiro”.

Gianni Milani

“Orogenesi”

Galleria “BI-BOX Art Space”, via Italia 38, Biella; tel. 015/3701355 o www.bi-boxartspace.com

Fino all’11 novembre

Orari: giov. e ven. 15/19,30; sab. 10/12,30 e 15/19,30

Nelle foto:

–       Mostra in allestimento

–       “Torno e ritorno al mio respiro”, acquerello, pastelli e foglia d’oro su carta di cotone, 2023

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Alison Espach “Questi adulti” -Bollati Boringhieri- euro 18,00

Dopo il successo del precedente “Appunti sulla tua scomparsa” (ispirato alla morte di uno dei suoi fratelli adolescente) ora la scrittrice americana 39enne fa di nuovo centro con questo romanzo che, in parte, può essere considerato di formazione.

Racconta la fatica di crescere della protagonista Emily, a partire da quando ha 14 anni e guarda al mondo degli adulti con occhio acuto e intelligente. Siamo nel Connecticut, primi anni Novanta, a Fairfield, tra case lussuose e scuole private, ed Emily, decisamente più avanti dei suoi coetanei, preferisce osservare come si muovono nella vita “i grandi”.

E’ l’inizio di una serie di avvenimenti che ne segneranno la crescita e le tappe della vita. Il suo mondo va in pezzi quando i genitori decidono di separarsi e di lì in poi sarà una girandola di esperienze. La narrazione parte dalla festa per i 50 anni del padre che distrugge la famiglia per la sua relazione con la moglie del vicino, Mrs Resnick. Gli eventi precipitano quando il marito dell’amante, un brutto giorno, esce in giardino e mette fine ai suoi tormenti infilando la testa in un cappio. Alla scena assiste, in silenzio e sgomento, proprio Emily.

Le cose cambieranno ancora quando il padre fa una figlia con l’amante, ed Emily si ritrova a fare i conti con la disperazione materna che aumenta a dismisura. In seguito il genitore si trasferirà a Praga inanellando relazioni con altre donne, mentre gli anni scorrono con Emily palleggiata da un genitore all’altro.

A segnare la vita della protagonista c’è pure la relazione con il suo professore di inglese Mr. Basketball, iniziata con approcci inappropriati del docente 24enne attratto dall’allieva 15enne. Il resto sarà passione travolgente fatta di sesso e infatuazione, sensi di colpa, vergogna, incontri segreti. Una relazione clandestina che continua, tra alti e bassi, anche quando Emily è ormai adulta, ma stregata da quel legame che fatica a mettere da parte.

Il tutto raccontato con profondità ed ironia, attraverso lo sguardo di Emily che, man mano che cresce, si rende conto dei mille difetti e dei continui errori di quegli adulti che tutto possono essere, ma non esattamente modelli da imitare.

 

 

Shehan Karunatilaka “Le sette lune di Maali Almeida” -Fazi Editore- euro 20,00

Non è sempre di facile lettura questo romanzo dello scrittore Karunatilaka, nato nello Sri Lanka nel 1975, che gli è valso il prestigioso Booker Prize nel 2022.

La storia è ambientata nel suo paese, nel 1989, al culmine del conflitto sanguinario che vide su fronti opposti la maggioranza buddista e il governo contro i separatisti induisti del nord e dell’est e di etnia Tamil, durato dal 1983 fino al 2009, lasciando lo Sri Lanka in bancarotta.

Su questo sfondo si sviluppa la trama forsennata e pirotecnica, a tratti grottesca e surreale. 471 pagine che raccontano i 7 giorni (7 lune) che il defunto fotoreporter Maali Almeida, gay clandestino, dello Sri Lanka, ha a disposizione per scoprire il suo assassino e farsi giustizia. Al suo “risveglio” sente il corpo smembrato affondare nelle acque del lago Beira, ma non ha idea di chi ce l’abbia buttato. Dopo una vita turbolenta e la passione per il gioco d’azzardo, ora si trova in uno spazio intermedio tra la vita e la morte. E’ lui stesso a narrare la sua storia di fantasma smemorato che cerca di risolvere il proprio omicidio.

Impossibile riassumere o rendere anche solo lontanamente il fascino intrigante di questo romanzo che viaggia tra corpi smembrati dai macabri squadroni della morte, fantasmi sospesi che assistono ai ritrovamenti delle loro spoglie mortali massacrate e gettate in acqua dentro sacchi della spazzatura. Sono continue, ironiche e divertenti, le incursioni tra questo e l’altro mondo. Personaggi e anime bizzarri, avventure spassose e tragicomiche, delitti e depezzamenti di corpi a iosa.

Il fantasma di Maali si ritrova in una sorta di limbo che assomiglia parecchio a un gigantesco apparato burocratico, con regole rigide da rispettare; per esempio le anime dei morti possono andare solo nei luoghi in cui i loro corpi sono stati da vivi. Soprattutto il tempo concesso nel limbo è di soli 7 giorni, prima di riunirsi con la “Luce Eterna”; o più probabilmente reincarnarsi in qualche altro essere vivente.

Lungo le pagine si dipana un viaggio onirico in cui tutti -governo, secessionisti, politici e civili- commettono qualche crimine e nessuno vive indenne da brutture e violenze.

Non propriamente un testo volutamente politico, ma sicuramente una denuncia efficace dei recenti anni bui del paese, tra corruzione, discriminazioni razziali, malaffare e violenza dilaganti, giustizia inesistente e tanto sangue.

26 anni di conflitto, più di 100 mila morti -di cui 40 mila civili- crimini contro l’umanità di ogni tipo. Sparizioni forzate, delitti efferati, massacri di poveri innocenti attuati dalle forze del governo, bambini-soldato usati dalle Tigri Tamil e tanto altro orrore sono l’orribile bilancio di una delle guerre civili più sanguinose degli ultimi decenni, in un area del mondo in cui vivere è complicato.

 

Giulia Alberico “I libri sono timidi” -Galaad Edizioni- euro 12,00

Per chi ama leggere, questo libro è un po’ come ritrovarsi a casa e riconoscersi. Sono pagine che avremmo voluto scrivere noi per esprimere al meglio la passione divorante della lettura. E non possiamo che venire piacevolmente travolti dai ricordi dell’autrice, che parlano anche del nostro vissuto.

Ci si riconosce a pelle con i pensieri di Giulia Alberico, per anni insegnate di lettere a Roma. La professoressa che tutti avremmo voluto avere, e che sicuramente deve aver contagiato schiere di studenti con il meraviglioso e salvifico virus della lettura.

La sua navigazione immersa nei libri è iniziata prestissimo, in età prescolare, e non è mai finita. Racconta di quando bambina, prima di essere in grado di decifrare i segni scritti, leggeva ascoltando le storie narrate dagli adulti; parole per lei legate in modo indissolubile agli odori, a seconda dell’oratore.

Poi l’urgenza di cavarsela da sola e la meraviglia precoce di un bimba piccolissima che praticamente impara a leggere prima ancora di andare a scuola. L’amore per la lettura sgorga in lei dirompente fin dai 4 anni; quando in uno sperduto paesino in provincia di Chieti, dove non c’è un asilo, segue la madre -maestra elementare- da una classe all’altra come ospite.

Scorrono pagine in cui ricorda la prima mesta libreria che poco la convinceva con le vetrine di rosari, santini e pubblicazioni sacre, più che altro simile a una sacrestia. Ben diverso è l’universo di libri che le si schiude in una casa di zii preti la cui biblioteca è un luogo delle meraviglie in cui lei a 7 anni si perde letteralmente, ammaliata e assetata di letture.

Dal primo libro letto -“La luna e sei soldi” di Somerset Maugham- non si è mai più fermata. Ha il sapore anche del nostro passato il suo ricordare la fascinazione di collane editoriali memorabili, come la Medusa e i piccoli BUR, o i primi Oscar Mondadori. E via lungo tutte le tappe della sua vita, compresi i primi sceneggiati in bianco e nero ispirati dai grandi classici della letteratura, che si andavano a vedere dal vicino fortunato che possedeva un televisore.

I libri la consolavano, placando angosce e tristezze man mano che si addentrava nelle pagine. Le aprivano mondi nuovi; come quello della giustizia con la lettura del “Buio oltre la siepe”, o i classici russi e americani che ampliavano ulteriormente il suo orizzonte. E via … di libro in libro, dai primi scelti sull’onda dell’emozione a quelli della maturità selezionati con criterio, sempre onnivora e curiosa di tutto.

Un’ emozionante biografia letteraria dell’autrice che lega le varie letture alle tappe della sua vita. Non solo ci incanta, ma ci spinge a riesumare anche i nostri ricordi di letture nel passato. E già… perché anche questo è uno dei tanti poteri sprigionati dalle pagine di un libro.

 

 

Luca Briasco “Il re di tutti. Un ritratto di Stephen King”

– Salani- euro 16,00

400 milioni di copie vendute, oltre 700 romanzi frutto della sua mente geniale, lui è il maestro dell’Horror a livello planetario; che piaccia oppure no, è comunque un mostro sacro. L’americanista agente letterario Luca Briasco ne traccia un profilo interessante, non un saggio critico, piuttosto un biografia filtrata attraverso le letture di alcuni suoi romanzi.

Risultato, un libro snello e scorrevole che ripercorre le tappe salienti della vita di King, nato a Portland il 21 settembre 1947; in quell’affascinante Maine dove ha ambientato molte delle storie che gli hanno dato successo e fama.

Scopriamo che ha avuto un’infanzia segnata dall’abbandono del padre. Stephen ha appena due anni, quando l’incostante e donnaiolo genitore, Donald Edwin King, esce di casa per comprare le sigarette e non si fa mai più vedere.

La madre Ruth prende lui e il fratello adottato e inizia a cercare svariati lavori, soggiornando presso vari parenti. Donna sola, forte, responsabile e soprattutto molto intelligente, tanto da essere la prima a cogliere le qualità del figlio e incoraggiarle.

Stephen fin da piccolo è un lettore seriale, come se cercasse nuovi mondi in cui stemperare i suoi dolori. Inizia a scrivere racconti, ma la svolta è quando ha 12 anni, una mente brillante e fantasia da vendere, e la madre gli regala una macchina da scrivere Underwood, sulla quale battere i tasti da cui escono i manoscritti che inizia a inviare agli editori e alle riviste.

Adulto, sposato e -contrariamente al padre- marito fedelissimo e irreprensibile, è nella scuola dove insegna quando la moglie gli telefona per dargli la notizia che cambierà per sempre la loro vita. Siamo nel 1973 e l’editor Bill Thmpson Doubleday decide di pubblicare “Carrie”, trasposto anche in film di successo. A dare forma alla ragazzina bullizzata dalle compagne di scuola sarà la meravigliosa Sissy Spacek, all’epoca giovanissima talentuosa e capace di scatenare una furia diabolica. Ed è solo l’inizio della carriera dello scrittore capace di guardare negli abissi della mente e trasformarli in best seller inimitabili.

 

Opera Viva Barriera di Milano il Manifesto: Pierluigi Pusole

Quinto appuntamento

9° edizione intitolata Opera Viva, Luigi l’addetto alle affissioni

 

AMICO

Lunedì 25 settembre 2023

ore 18.30

Torino, Barriera di Milano, Piazza Bottesini

E’ l’artista Pierluigi Pusole con l’opera Amico (2018) a inaugurare il 25 di settembre alle ore 18.30 il quinto appuntamento dell’anno di Opera Viva Barriera di Milano, Il Manifesto.

Per questo quinto appuntamento l’artista Pierluigi Pusole presenta AMICO (2018), particolare di una composizione più grande appartenente alla serie EXPERIMENTS che, a sua volta, rientra nel progetto I.S.D. / IO SONO DIO.

Nel progetto l’artista riscrive una dimensione in cui si combinano naturale e artificiale.

La ricerca di Pusole in questa serie si caratterizza per la presenza della figura umana nel contesto del paesaggio, figura a volte modificata, raddoppiata, aumentata o diminuita nelle dimensioni. Nel caso di AMICO l’artista ne sceglie una visione poco rassicurante: un paesaggio in cui un uomo avanza mentre tiene in mano una motosega, un paesaggio in cui la forza del colore sembra essere la struttura portante della raffigurazione, quella stessa forza che trasforma l’opera in un “esperimento divino”.

 

E poiché anche l’opera di Pusole subisce il cambiamento e si ritrova ribaltata da Luigi, l’addetto alle affissioni: quali nuovi significati assume?

Le caratteristiche dell’opera ne escono potenziate ed enfatizzate dal rovesciamento che sembra connotarsi ancor di più come un esperimento del Dio/artista.

Il progetto/opera di arte pubblica ideato nel 2015 da Alessandro Bulgini negli anni ha ospitato più di 50 artisti italiani e stranieri, interpreti dello spazio pubblico di 6×3 metri di Piazza Bottesini a Torino.

L’edizione 2023, intitolata “Opera Viva, Luigi l’addetto alle affissioni” si concentra sul concetto di ribaltamento: nessuna figura curatoriale, soltanto gli artisti e Luigi, l’addetto alle affissioni, che appenderà tutte le immagini capovolte.

Vivono e lavorano a Torino gli artisti selezionati per l’edizione 2023, per sottolineare ancora una volta l’importanza del tessuto culturale e artistico della città di Torino.

Sergio Cascavilla, Gianluca e Massimiliano De Serio, Luigi Gariglio, Turi Rapisarda, Pierluigi Pusole e Alessandro Bulgini.

Pierluigi Pusole Torino, 1963

Pusole è tra le voci più innovative e originali della nuova pittura italiana, in costante confronto con i nuovi mezzi di produzione di immagini. Dalla fine degli anni Ottanta partecipa a importanti collettive e personali in Italia, Spagna, Germania, Belgio e Argentina, tra cui la Biennale di Venezia del 1991, Dodici Pittori Italiani nel 1995 e Cambio di Guardia nel 1996. La sua pittura è caratterizzata dal celere, evocando la rapidità dei mezzi di comunicazione e la produzione di immagini. Come tutti quelli della sua generazione non aveva vissuto i segni del reale, la sua è una pittura che si sofferma in figure utopiche e visioni alternative. Successivamente la figurazione viene abbandonata, concepita dall’artista come trappola formale e si avvicina ad una pittura che l’artista definisce “antinaturale”, priva di qualsiasi segno del reale e capace di creare un’esperienza, senza mai trascurare il paesaggio.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Martin Craig e Paolo Benvegnu.

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Lambic Morgan replica per 2 sere consecutive.

Martedì. Al Blah Blah suonano gli svedesi Baby Jesus. Per il festival “To Listen To” a Villa della Regina è di scena Jèrome Noetinger.

Mercoledì. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Paolo Benvegnu. All’Osteria Rabezzana suona Martin Craig & The Black City.

Giovedì. All’Hiroshima è di scena Giuliano Dottori. Per “To Listen To” al Conservatorio suona la The Orchestra Of Futurist Noise Intoners diretta da Luciano Chessa.

Venerdì. Al Circolo della Musica Rivoli si esibisce il cantautore Gnut. Al Museo Storico Reale Mutua suonano Giorgio Li Calzi e Paolo Dellapiana. All’Hiroshima è di scena la cantante Lidiya Koyccheva e la Balkan Orchestra. Al Cap 10100 per “La Postura del consenso” si esibiscono le Bambole di Pezza.  Al Conservatorio per “To Listen To”suonano: l’Ensemble Elettroacustico SMET, Tomoko Sauvage e i percussionisti Stanislas Pili, Nicholas Remondino, Sebastiano De Gennaro in duo con Andrew Quinn.

Sabato. Al teatro Colosseo sono di scena gli Scott Bradlee. Al Magazzino sul Po suonano i Xiu Xiu. Al Cap 10100 sono di scena Elasi e I’m Not a Blinde. All’Imbarchino si esibiscono Monopoly  Child Star Searchers con i Wow. Allo Ziggy suonano i The Foreign Resort. Al Conservatorio conclusione di “To Listen To” con James Dashow e il chitarrista Paolo Angeli. Al Blah Blah si esibiscono gli Hollywood Killerz.

Domenica. Alla bocciofila Rami Secchi è di scena Amantes Del Futuro. Al Bunker  “Krisma Tv Day” con Andy dei Bluvertigo, Johnson Righeira e Milano 84.

Pier Luigi Fuggetta

Stefano Berardino, l’artista dei motori

STEFANO BERARDINO PER IL FESTIVAL CAR 2023

Live painting dell’Artista dei Motori con protagonista la storica FIAT 508S Balilla Coppa d’Oro. L’opera realizzata diventa primo premio del Concorso d’Eleganza.

Domenica 24 settembre 2023 | Revigliasco Torinese

Dopo il successo della prima edizione torna, domenica 24 settembre a Revigliasco Torinese, il Festival Car 2023, dedicato a tutti gli appassionati di vetture storiche.

Un appuntamento a cui non poteva mancare Stefano Berardino, il giovane pittore ortese conosciuto come l’artista dei motori  che proprio delle automobili, sua più grande passione, ha fatto il soggetto principale della propria produzione pittorica.

L’artista sarà infatti protagonista di un live painting dedicato proprio al Festival Car 2023: durante la giornata Berardino, armato di colore, spatole e pennelli, dipingerà una FIAT 508S Balilla Coppa d’Oro.

La celebre vettura storica, tra le più ricercate dai collezionisti, datata 1933 e ispirata alle spider inglesi dell’epoca, prenderà forma sulla tela in tutte le sue caratteristiche e peculiarità uniche, grazie all’occhio attento e la mano ferma dell’artista, abituato a riprodurre i soggetti delle sue composizioni in modo accurato e preciso. Dalla coda affusolata ai parafanghi di tipo motociclistico, la FIAT 508S Balilla Coppa d’Oro sarà rappresentata, su spesso sfondo materico impreziosito da sabbia e polvere di quarzo, in stile realistico che strizza l’occhio alla Pop Art.

Al termine del live painting l’opera verrà consegnata come primo premio al vincitore del Concorso d’Eleganza, il cuore di Festival Car 2023, una “passerella” con oltre 100 tra le più belle auto d’interesse storico e collezionistico che regaleranno una panoramica emozionante della storia dell’auto e che, novità di quest’anno, saranno coinvolte in un’emozionante parata che dallo scenografico Castello di Moncalieri arriverà nel centro storico di Revigliasco, sulla collina Torinese.

Dalla strada alla tela, Stefano Berardino porterà al Festival Car 2023 anche con un’opera rappresentante una Alfa Romeo Tonale di Stellantis&You Torino.

www.stefanoberardino.com

Il segreto dei Templari alle porte di Torino

Un alone di mistero circonda il castello tra storie, leggende e fantasmi. Lo stato piuttosto fatiscente in cui giace fa pensare che il tempo si sia fermato ma quel che resta del maniero ci rimanda alla storia dei Templari e poi a quella dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme.

Intriso di leggende e storia il mistero templare sopravvive a pochi passi da Torino, attorno e dentro il castello medioevale della Rotta a Moncalieri. Una residenza frequentata nel Medioevo, e anche successivamente, da vari Ordini cavallereschi. Leggende sui fantasmi di cavalieri morti in battaglia e giovani donne suicide che si lanciano dalla torre della rocca circolano numerose ancora oggi.

Non solo, ma sotto il castello, sarebbe rimasta una galleria attraverso la quale si poteva raggiungere Moncalieri da una parte e il piccolo borgo Gorra dall’altra. Siamo davanti a uno scenario templare di tutto rispetto in cui affiorano una lapide murale con racconti presumibilmente legati all’epoca delle Crociate e leggende misteriose come quella di una giovane fanciulla giunta dalla Francia per sposare il proprietario del maniero. Un signore ricco e facoltoso ma troppo brutto e deforme per sposarlo. Ma le nozze erano obbligate. Un tal giorno la giovane vola, forse spinta, da una finestra e si sfracella sul ponte levatoio. Leggende che rivivono avvicinandosi alla dimora che, pur decadente e attaccata dalla vegetazione, non ha perso nulla del suo fascino antico. Si trova in aperta campagna, a pochi chilometri da Moncalieri, nella frazione La Rotta, tra la statale e l’autostrada ed è raggiungibile percorrendo un sentiero sterrato e polveroso nelle cui vicinanze scorrono il Po, il Banna e lo Stellone. L’antico edificio aveva una funzione strategica: difendere il ponte sul torrente Banna sul quale passava la strada romana proveniente da Pollenzo. Passò in seguito ai cavalieri Gerosolimitani di Moncalieri che possedevano altri terreni nella zona e che nel Quattrocento ristrutturarono ampiamente l’edificio. I Cavalieri dell’Ordine del Tempio, fondato nel 1118-19, furono presenti in Piemonte e a Torino, secondo gli storici, già nella prima metà del dodicesimo secolo. Con la torre di vedetta, un grande cortile interno, l’ospizio per i pellegrini, la cappella, le stalle, il pozzo, magazzini e sotterranei, il castello presentava le caratteristiche di una “domus” templare e, secondo la studiosa Bianca Capone Ferrari, la Rotta assumeva le sembianze di una casa-forte templare dipendente dalla domus templare di Sant’Egidio di Testona vicino al ponte sul torrente Banna. La Capone scrive che il nome del castello deriverebbe dalla rotta, dalla sconfitta subita dal duca Tommaso di Savoia nella guerra contro i francesi nel 1639 ma già nel Quattrocento veniva indicato come Grancia Rupta dai gerosolimitami di Moncalieri. O forse ancora il nome deriverebbe da una rotta militare antica oppure da rotha (roggia) per la presenza di molti corsi d’acqua che scorrono nella zona. Non si sa quando i templari lasciarono la fortezza ma un documento conservato nell’archivio della città attesta che, verso la fine del Duecento, alla Rotta erano già presenti i Gerosolimitani. Negli anni Ottanta il fortilizio fu restaurato e riportato all’antico splendore. Come detto, le leggende sul castello  sono talmente numerose che hanno suscitato l’interesse di curiosi ed esperti secondo i quali il momento più propizio per “osservare” i fantasmi sarebbe la notte tra il 12 e il 13 giugno.

Filippo Re

25 luglio-8 settembre 1943: i 45 giorni che sconvolsero l’Italia

IL CONVEGNO DEL CENTRO PANNUNZIO

In Italia, scrive Ennio Flaiano, “la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi” e suggerisce di invitare alle tavole rotonde anche storici dell’arte per conoscere, in una forse vana, per l’Italia, ricerca della verità, “quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia”. Le parole, amare, di Flaiano sono state lo spunto di apertura del convegno organizzato dal Centro Pannunzio presso il collegio San Giuseppe lo scorso 21 settembre per rievocare quei drammatici 45 giorni e per incoraggiare, al contrario, una lettura degli avvenimenti basata su un doveroso apporto di chiarezza di analisi e di riflessione critica, grazie alla partecipazione di studiosi eminenti: il prof Gianni Oliva e il prof Pier Franco Quaglieni, direttore del Centro Pannunzio. Il previsto collegamento con la prof.ssa Carla Sodini dell’università di Firenze, è stato sospeso per problemi tecnici.

A 80 anni da quei cruciali avvenimenti, si sono ripercorse le tappe convulse che portarono, a causa della colpevole inerzia delle istituzioni di allora, dopo la caduta di Mussolini e del regime fascista, alle decisioni adottate dalla corona e dal governo Badoglio nelle trattativa con gli Alleati per giungere alla firma dell’armistizio reso pubblico l’8 settembre 1943, alla fuga da Roma del re e degli Alti comandi, e al tragico destino dei militari e dei civili nei due successivi, sanguinosi anni di guerra e di guerra civile.

Si è adottata una formula innovativa, così da valorizzare la lettura delle testimonianze dirette dei protagonisti di allora, accanto alle interpretazioni critiche di alcuni tra i più apprezzati studiosi del periodo e alle opere narrative che la letteratura di riferimento ha messo a nostra disposizione, alternate agli interventi degli storici. E’ stata pertanto proposta ad un pubblico attento e interessato una coinvolgente rievocazione di quei tragici avvenimenti che le voci dei lettori Maria Grazia Gotro e Mario Piazza hanno reso con particolare intensità. Si sono ripercorse le ore drammatiche della seduta del Gran Consiglio, le trame e le decisioni che portarono all’arresto del Duce, i timori e le posizioni contrastanti dei gerarchi, gli equivoci e le indecisioni degli Alti Comandi militari nella conduzione delle trattative che portarono all’armistizio di Cassibile e alla sua proclamazione l’8 settembre ‘43. Particolarmente efficaci sono risultate le investigazioni di storici quali Renzo De Felice ed Emilio Gentile, i dati tratti dalla memorialistica dell’epoca, tra cui i diari di Dino Grandi e di Giuseppe Bottai, le testimonianze dirette di protagonisti quali Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti, le narrazioni di scrittori, da Beppe Fenoglio a Curzio Malaparte, le memorie di chi, giovane allora, come Vittorio Bachelet, assistette con costernazione allo sfacelo dell’esercito e al dissolvimento dello Stato Maggiore, e i resoconti tragici, di chi, di fronte all’intimazione del nemico di cedere le armi, decise di anteporre il senso del dovere e l’onore della bandiera alla vita propria e dei propri sottoposti, come accadde a Cefalonia al generale Antonio Gandin e ai suoi 186 ufficiali, tutti con lui passati per le armi.

L’impegnativo lavoro di attenta documentazione, di ricerca e selezione delle fonti è stato condotto e coordinato dalla giornalista Maria Luisa Alberico a nome del Centro Pannunzio ed ha contribuito, accanto alle considerazioni e ai commenti dei relatori, a far emergere un denso e variegato quadro di verità storiche, sollecitando memorie , interrogativi ed emozioni, in un clima, a detta di molti partecipanti, di indiscutibile suggestione.

Dal prof. Quaglieni sono state rievocate la controversa figura del maresciallo Badoglio e le responsabilità del governo militare- tecnico da lui composto subito dopo la caduta di Mussolini, in continuo bilico tra necessità di adottare una strategia di uscita dal conflitto in accordo con gli Alleati, il costante timore della inevitabile reazione tedesca e la sproporzione tra la propria azione di comando militare e la carenza, in quei frangenti, di una efficace azione politica. Ed è stato sottolineato dal relatore il significato storico che, a posteriori, la nascita del Regno del Sud ed il secondo governo Badoglio, ebbero sul rapporto tra Italia e Alleati, un intreccio di diffidenze reciproche prima di giungere ad una cobelligeranza tesa a superare i limiti umilianti della resa incondizionata. Nel suo intervento lo storico prof. Oliva ha ripercorso lo sbandamento conseguente all’8 settembre in tutte le armi e nelle varie zone di guerra, in Italia e all’estero, risultato di una totale mancanza di coordinamento e di visione strategica tra i vertici degli Alti Comandi cui corrispose una ingiustificata condanna del ruolo di tutto l’esercito, una acritica, e purtroppo per tanti versi perdurante, sottovalutazione dell’azione fondamentale dei militari, sia nella formazione di un vero e proprio esercito nelle regioni meridionali non sottoposte all’oppressione tedesca, sia nella genesi delle nascenti formazioni che daranno vita alla Resistenza. Non è pertanto eccessivo indicare sconvolgenti quei 45 giorni come il travaglio di un popolo che se da un lato condusse, tra indicibili sofferenze, all’acquisizione di una coscienza nazionale in grado di ripudiare la guerra, produsse, a causa di equivoci, tradimenti, sopraffazioni e lutti una frattura dolorosa nella popolazione che ancor oggi impedisce di riconoscerci unitariamente parte di una nazione. Compito dei componenti di una nazione democratica dovrebbe essere, questo il portato del convegno, un serio lavoro che consenta di fare i conti con il nostro passato, con la maturità critica e il necessario distacco che un tempo così remoto può consentire. Forse in questo modo l’”arabesco” che confonde può trasformarsi nella complessità che cerca di palesarsi.

Maria Luisa Alberico

 

“Pierino e il lupo”, con testi e voce di Dario Fo al Teatro Concordia

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Pierino e il lupo 

Domenica 24 settembre, ore 16

 

 

“Pierino e il lupo”, liberamente ispirato alla favola musicale di Sergej Prokofiev, con testi e voce di Dario Fo e scene di Emanuele Luzzati, è il primo appuntamento di “Favole a merenda”, il programma delle domeniche pomeriggio a teatro con le proposte teatrali dedicate ai più piccoli a prezzi popolari.

Tre attori pasticcioni mettono in scena, o per meglio dire cercano di farlo, la ben nota favola musicale “Pierino e il lupo” di Sergej Prokofiev. Già dal nome complicato iniziano i primi problemi, perché i tre non hanno proprio studiato e sono costretti a improvvisare ed inventare idee strampalate, cercando la complicità del pubblico, per orientarsi fra gatti, papere, lupi, corni e clarinetti. Per fortuna su di loro regna indiscussa la figura del Grande Narratore che, con la sua voce, li guida sicuro lungo il percorso della fiaba. Ma i tre attori, un po’ clown un po’ comici dell’arte, sono talmente distratti e confusionari che non seguono bene il racconto, provano a fare previsioni azzardate sui destini dei protagonisti della fiaba e spesso dovranno chiedere aiuto ai bambini per capire meglio la storia e permettere al Grande Narratore di proseguire. Come bimbi curiosi, i tre attori, proveranno a reinventare i personaggi: “Come cambierà il carattere del lupo se invece di affidarlo ai corni lo facciamo suonare agli archi?” e giocando insieme con il pubblico in una orchestra immaginaria, in un libero gioco di associazioni, scopriranno che in “Pierino e il lupo” la cosa importante è che la storia inventata faccia i conti con la musica e con i suoi vari momenti espressivi. Prokofiev ha scritto la sua fiaba musicale con un preciso scopo educativo: far conoscere ai bambini (e ai grandi) i principali strumenti dell’orchestra, il loro suono, il loro carattere espressivo. Per questo ha associato ad ogni strumento un personaggio e un particolare motivo musicale.

La voce narrante dello spettacolo, “il Grande Narratore “, è la voce di Dario Fo che, con il suo genio teatrale, rivisita la fiaba originale ridonandole una nuova giovinezza.

Sulla scena i tre attori utilizzano lazzi e gags per costruire un ponte fra la storia e il pubblico. La loro confusione diviene pretesto per puntualizzare e sottolineare passaggi didattici importanti. Il meccanismo di complicità con il pubblico fa in modo che, a volte, siano i bambini stessi a spiegare, impersonificando il ruolo di insegnante per questi tre alunni poco studiosi. Ogni piccolo spettatore può quindi, nei momenti di interazione, dare aiuto, chiarificazioni e suggerimenti, divenendo così protagonista di un percorso di apprendimento.

 

Domenica 24 settembre, ore 16

Pierino e il lupo

Età consigliata: 4-10 anni

Produzione: Fondazione Aida ets

Adattamento teatrale e regia: Nicoletta Vicentini

Con: Enrico Ferrari, Rossella Terragnoli e Annachiara Zanoli

Musiche: Sergej Prokofiev registrate dall’Orchestra Verdi di Milano per gentile concessione della rivista Amadeus

Scene: Emanuele Luzzati

Costumi: Maria Bellesini

Illustrazioni: Emanuele Luzzati

Tecnico audio e luci: Riccardo Carbone

Biglietti: adulto 10 euro – bambino 7 euro

Castello di Miradolo: Italo Calvino. Immagini e note a piè di pagina