CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 13

L’isola del libro. Scrittori… e dintorni

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Barbara Lanati “The Village Generation” -Ombre Corte- euro 20,00

Barbara Lanati è un’autentica autorità e uno scrigno di sapere nel campo della letteratura anglo-americana. E’ docente emerita all’Università di Torino, straordinaria traduttrice e biografa di Emily Dickinson, americanista tra le più quotate, profonda conoscitrice della vita e dell’arte di autori classici di lingua inglese. Con il valore aggiunto di una straordinaria abilità comunicativa e divulgativa.

In questo libro -scorrevole e appassionante come un romanzo- ripercorre idee e azioni della generazione di uomini e donne, nata a fine Ottocento, che ha dato il via a cambiamenti epocali, in campo sociale e culturale ed impresso un’accelerazione agli albori del Novecento.

Lanati è straordinaria nel guidarci all’inseguimento di personaggi che hanno segnato la letteratura, l’arte e le idee nelle strade del Village nella Big Apple, intorno a Washington Square, a Provincetown sulla punta estrema di Cape Cod nel Massachussetts, poi fino alla strepitosa luce di Taos nel New Mexico.

Ancora prima, ce li presenta a Parigi, dove le ide innovative della cultura europea fanno da apripista all’era che verrà. Lì ci fa incontrare i fratelli Leo e Gertrude Stein; lei geniale e ricca mecenate, collezionista di capolavori all’epoca sconosciuti e di autori ancora in cerca di fama. Il suo studio-soggiorno in Rue de Fleurus, (con le pareti ricoperte di quadri oggi esposti nei maggiori musei del mondo) era il crocevia di creatività e delle menti più geniali delle avanguardie parigine. Tra loro: Hemingway Picasso, Joyce, Fitzgerald ….

Lanati ricostruisce, anche con l’interessante contributo di foto d’epoca, il clima di nuove idee e movimenti politici e, tra pubblico e privato, riprende, tra le altre, anche le complesse traiettorie di vita e battaglie di Emma Goldmann e John Reed.

Poi ci introduce nella vita privilegiata e stravagante di Mabel Dodge. Ricchissima, 4 matrimoni, parecchio disinvolta, ambiziosa, caratterizzata da una sorta di ingordigia culturale. Avrebbe voluto essere un’ape regina – come la Stein- dotata della sovrana capacità di intuire le potenzialità ancora in embrione dei grandi geni che raccoglieva intorno a sé.

Nelle pagine di Barbara Lanati attraversiamo il mondo insieme a Mabel Dodge e viviamo le sue mille scoperte ed esperienze, fino all’approdo a Taos. E’ lì, nell’incredibile luce del New Mexico, che troverà la sua dimensione e creerà la sua oasi, calamita di artisti.

 

 

Marco Tornar “Nello specchio di Mabel”

-Edizioni Tracce- euro 11,00

Questo libriccino è un’autentica perla preziosa, rara e purtroppo difficile da trovare. L’ha scritto il poeta e scrittore Marco Tornar, nato a Pescara nel 1960, dov’è morto improvvisamente per un malore nel 2015, a soli 54 anni. Uomo di grande sensibilità e profonda cultura, innata classe, una vita dedicata alla poesia e alla patria delle lettere.

Mabel Ganson era nata a Buffalo il 26 febbraio 1879 in una facoltosa famiglia di rigoroso stampo vittoriano. Il padre severissimo; la madre totalmente disinteressata alla figlia, che crebbe tra nonne, babysitter, scuole elitarie, spostata da un luogo lussuoso all’altro e senza dimostrare particolare inclinazione allo studio.

Disinvolta e capricciosa ebbe una vita movimentata.

Impalmò 4 mariti. Fu la signora Evans nel 1900, Dodge nel 1904, Sterne nel 1916 e in ultimo Luhan nel 1923; consorte con cui, lasciata New York, rimase fino all’ultimo in New Mexico.

Eccetto questo, gli altri furono tutti matrimoni avventati.

Neppure il ruolo di madre fu nelle sue corde. Ebbe un figlio dal primo marito John Evans e negli anni successivi anche una figlia adottiva, ma entrambi sono praticamente assenti dalla sua vita e dalle sue memorie.

Dopo la morte (in un incidente di caccia) del primo marito, la madre la convinse ad allontanarsi da Buffalo. Diretta a Parigi, sul transatlantico conobbe e si innamorò dell’affascinante architetto bostoniano Edwin Dodge e nel giro di 4 mesi lo sposò.

A Firenze si trasferirono nel 1905 iniziando la loro vita a villa Curonia. Dimora di probabile impianto tre-quattrocentesco, che acquistarono dai baroni lettoni De Nolde. La lasciarono nel 1914, ma risultarono proprietari fino al 1935.

Queste 155 pagine racchiudono affascinanti scorci di quel periodo

sulle colline di Arcetri, immersi nello sfarzo degli interni e degli arredi; intenti ad ampliare stanze e bovindo. Impegnati anche a piantare roseti, rampicanti e ridisegnare il maestoso parco che ancora oggi racconta del passaggio dei Dodge e ci parla dei loro prediletti angoli segreti in mezzo alla spettacolare e rigogliosa natura.

Villa Curonia divenne soprattutto punto di ritrovo di grandi nomi blasonati e della cultura. Mabel fu assidua frequentatrice della colonia aristocratica inglese, molto amica di Lady Walburga Paget (moglie dell’ex ambasciatore inglese a Roma e Vienna) che l’aiutò a raccogliere attorno a sé tutti quelli che più contavano.

Tra gli ospiti di maggior spicco nella villa, Mabel ebbe anche Gertude Stein con la sua compagna Alice B. Toklas. A loro assegnò la camera da letto vicino alla sua e annotò le abitudini della Stein, tra le quali, scrivere di notte. Sempre molto attenta a quell’acuta mecenate che lei cercava di emulare anche lì sulle colline fiorentine.

Nel libro poi ci sono altri aneddoti, come la particolare amicizia con il marchese Bindo Peruzzi de Medici, ultimo spiantato della gloriosa casata. Il suo legame con Mabel suscitò pettegolezzi, la gelosia e l’aut aut di Edwin che per un po’ mise l’oceano di mezzo. Al ritorno dall’America, dopo un del tutto casuale incontro per strada, scivolato nell’indifferenza di Mabel, il marchese nel volgere di poche si uccise con un colpo di pistola…

 

 

Norman Mailer “Il difficile mestiere dello scrittore” -La nave di Teseo”- euro 25,00

Mailer è un gigante della letteratura mondiale, nato in New Jersey nel 1923, morto a New York nel 2007, dopo una vita densa come poche altre.

Due volte premio Pulitzer, altrettante il National Book Award, ha attraversato un caleidoscopio di passioni, impalmato 6 mogli (fu arrestato per aver accoltellato la seconda) e collezionato svariate amanti, messo al mondo 8 figli e uno lo ha adottato.

L’esordio clamoroso risale al 1948 con l’opera colossale “Il nudo e il morto”, frutto della sua esperienza di due anni sul fronte filippino e giapponese durante la Seconda guerra mondiale; per molti, uno dei migliori romanzi americani del Novecento. Da allora non si è più fermato e ha pubblicato oltre 30 opere.

Il difficile mestiere dello scrittore”, invece, risale al 2003 e solo ora è stato tradotto in italiano; e ci sommerge con una messe di scritti, pensieri, intuizioni, approfondimenti, osservazioni sullo stile, a partire dall’autoanalisi del suo.

Grande grafomane -con un enorme bagaglio di vita e qualche stravizio- in questo libro, Mailer, mette al centro i pericoli del suo mestiere, le sue sventure e le gioie. Ma anche il senso di solitudine e cosa abbia comportato la fama, tra pro e contro.

Poi ragiona su trama, personaggi e la loro psicologia, intreccio e dialoghi. Guarda agli altri scrittori che l’hanno ispirato o che non amava per niente…ma questa è solo la punta d’iceberg di un libro che racchiude davvero un immenso e affascinante mondo, tutto da scoprire.

 

 

Jaime Bayly “I giganti” -Feltrinelli- euro 19,00

Un lutto ha segnato recentemente il mondo letterario; la morte dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, nato ad Arequipa il 28 marzo 1936, morto a Lima il 13 aprile scorso 2025. Aveva festeggiato da poco l’89esimo compleanno, circondato dai familiari.

E’ stato uno dei massimi romanzieri e saggisti contemporanei. Premio Nobel per la Letteratura nel 2010, esponente di spicco della rinascita della letteratura latinoamericana.

Impegnato politicamente negli anni Cinquanta, dapprima sostenne la rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro, poi ne prese le distanze criticandola apertamente e in seguito fu fondamentalmente liberale.

Questo libro mescola vicende realmente accadute e fatti inventati che riguardano due giganti della letteratura sudamericana, Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez. Legati per anni da una profonda intesa, entrambi scrittori, vicini di casa, padrini ognuno di un figlio dell’altro.

Il racconto di Bayly inizia dalla rottura della loro amicizia, frantumata con il celebre cazzotto che Mario Vargas Llosa diede a “Gabo” davanti a un cinema di Città del Messico. Il pugno fu accompagnato da queste parole: «Questo è per quel che hai fatto a Patricia».

Era il 1976 e in queste pagine l’autore tenta di ricostruire i fatti che sarebbero dietro questa motivazione; ma non si è mai saputa la vera ragione di quel gesto violento che mise fine a un legame tra due geni amici e le rispettive famiglie.

Bayly narra l’epoca del boom intellettuale e politico sudamericano e nel libro sfilano, tra gli altri, personaggi come Neruda, Cortázar, Fidel Castro e Salvador Allende.

E’ raccontato il periodo in cui Márquez e Llsoa si frequentavano in Spagna, condividendo anche la stessa agente letteraria che contribuì ai loro successi. Dopo lunga corrispondenza epistolare, si trovarono a Barcellona, a breve distanza uno dall’altro con le rispettive famiglie, sebbene a due livelli e in due momenti diversi della carriera.

Gli inizi furono stentati e difficili per entrambi, in cerca di fama e con pochi soldi in tasca, aiutati anche dai sacrifici delle mogli.

Márquez spiccherà il volo con “Cent’anni di solitudine” nel 1968; Vargas Llosa tra il 1963 con “La città dei cani” e il ’66 con “La casa verde”.

Due geni letterari con caratteri diversi e divergenze politiche (quando Llosa da castrista andò poi verso la destra liberale), tendenti a eccessi e qualche follia, capaci di grandi passioni e disamoramenti spiazzanti, entrambi voraci di vita.

Ma dopo quel cazzotto il filo della loro amicizia e della condivisione dei loro pensieri restò spezzato per sempre.

2 giugno, “Elisir d’amore” a Trofarello

La collaborazione tra il maestro Giulio Castagnoli e il maestro Gabriele Manassi, entrambi docenti del Conservatorio di Torino, prosegue lunedì 2 giugno in occasione della Festa della Repubblica per la stagione musicale 2025 di Trofarello. Sarà presentato l’Elisir d’Amore, capolavoro dell’opera comica ottocentesca di Gaetano Donizetti su arrangiamento in forma di concerto del maestro Enea Tonetti, direttore della Banda Musicale di S. Cecilia fondata nel 1802 che figura tra le più antiche d’Italia.

Per la parte vocale interverranno il Casale Coro di Casale Monferrato, il Coro Haendel di Trofarello e i solisti Anna Delfino soprano nella parte di Adina, Mattia Pelosi tenore nel ruolo di Memorino, Lorenzo Battagion baritono sarà Belcore, Nicholas Tagliatini basso interpreterà Dulcamara e Andrea Benfante sarà la voce narrante. Durante la manifestazione saranno consegnate le Civiche Benemerenze 2025 da Stefano Napoletano, sindaco di Trofarello. Il maestro Gabriele Manassi, polistrumentista laureato in matematica, direzione di coro e orchestra è stato insignito nel 2023 della cittadinanza onoraria di Trofarello.

Armano Luigi Gozzano

“ASA NISI MASA”, le grandi sculture di Giuseppe Maraniello

 

I Musei Reali di Torino tributano un omaggio dal titolo “Asa-nisi-masa” all’artista napoletano Giuseppe Maraniello con le sue sculture allestite in piazza Castello e alla Galleria Sabauda

I  Musei Reali di Torino rendono omaggio dal 30 maggio al 16 settembre prossimo  a uno dei protagonisti dell’arte italiana degli ultimi decenni, Giuseppe Maraniello, nativo di Napoli nel 1945. E lo fanno con  una mostra realizzata  da Nicola Loi Studio Copernico e curata da Francesco Tedeschi, dal titolo “Asa-nisi-masa”. L’esposizione presenta una serie di quattordici opere scultoree e ambientali, che dialogano con gli spazi storici e monumentali circostantI. Cuore della rassegna il Giardino di Levante,  ritornato l’11 aprile scorso  alla completa fruizione da parte del pubblico dopo i lavori di riqualificazione realizzati con i fondi del Pnrr.

“’Asa nisi masa’ è  molto più  di un  titolo evocativo – dichiara Mario Turetta, delegato dei Musei Reali di  Torino – è una chiave che ci invita a entrare nel linguaggio simbolico , stratificato e visionario dell’artista. Dalla Piazzetta Reale ai Giardini  Reali e al primo piano della Galleria Sabauda, le sue  sculture tracciano un percorso  che attraversa la memoria, il mito e la materia, in continuo equilibrio tra forma e mistero. Sono figure enigmatiche, materiali recuperati, strutture che sembrano emergere da un tempo sospeso. Tutto nelle sue opere parla un linguaggio che non si lascia tradurre, ma si offre solo allo sguardo come esperienza, come soglia da attraversare. Con questa mostra i Musei Reali di Torino rinnovano il proprio impegno nel dare spazio all’arte contemporanea,  promuovendo una visione  del museo come laboratorio aperto, dove le espressioni del presente possono confrontarsi  con la storia e nutrirsi di essa”.

Per l’artista la frase scelta come titolo della mostra non significa nulla. È  la frase che, nel film “Otto e mezzo” di Federico Fellini, Marcello Mastroianni scrive su di un foglietto trasmesso dal mago a Mademoiselle Maya, che non comprende il significato preciso delle parole, ma lo percepisce.

Le opere di Giuseppe Maraniello, che sono andate definendosi progressivamente attraverso la combinazione di tele, materiali di recupero ed elementi scultorei in bronzo e ferro, si sviluppano  secondo diverse soluzioni, sia a parete, sia nello spazio architettonico e paesaggistico, secondo una sintesi tra la memoria di temi e immagini  e l’elaborazione dei materiali.

Nelle sculture di Maraniello, anche quelle di grande formato, allestite in Piazzetta Reale e nei Giardini Reali, le figure del suo mondo fantastico prendono forma in situazioni di forte impatto visivo. Qui si incontrano demoni, come il diavolo alato che riporta alla mente le immagini del Cimitero Monumentale di Pisa, centauri della mitologia greca che si combattono in duello, in una sorta di allegoria dell’uomo che lotta contro se stesso, figure ibride, di funamboli, di ermafroditi, figure che alludono ai miti, riletti con estrema ironia. Sono presenti nelle sue opere scultoree alambicchi, otri, borracce che ricordano certe forme disseminate in molti dei dipinti di Hieronymus Bosch. Di particolare rilevanza è  l’opera intitolata “Il Nido”, un luogo che accoglie la ragnatela dei sogni e delle fantasie possibili, dalla struttura esile di rami derivate dalle colate di fusione che, come altri materiali di recupero, diventano parte delle sue composizioni.

“Ecco che scatta – spiega Sandro Parmiggiani – in chi si sofferma davanti a queste opere l’invito a immergersi, almeno in parte, in una sorta di mistero, sulle tracce delle ignote  associazioni che, nella fantasia dell’artista, li hanno generati, cercando di svelare qualcuno dei significati profondi che vi sono racchiusi e  che ancora non sono venuti alla luce”.

Il percorso espositivo si conclude con tre sculture al primo piano della Galleria Sabauda, precisamente con una scultura dal titolo  “Il gatto dorme rotondo” del 2009 in marmo statuario e oro a foglia su bronzo e due mosaici con inserti in bronzo e ferro, dal titolo “Tueio” (2005) e “L’occhio di Narciso” ( 2009).

Mara Martellotta

 

foto IGINO MACAGNO

Rock Jazz e dintorni a Torino: Jazz is Dead!

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Lunedì. Al Bunker per Jazz is Dead! suonano : Teeta + Galas, Timpani Music Forum, Ghost Dubs, Mad Professor, The Bug Presents Machine, Cortex Light. Allo Spazio 211 si esibiscono gli Alan Sparhawki.

Martedì. Allo Ziggy sono di scena i Fazi. Al Blah Blah suonano Le Syndicat Electronique. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Giulia Mei.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana è di scena Venegoni & Co. All’Off Topic suonano i 4GOT 10.

Giovedì. Al Magazzino sul Po si esibisce Arssalendo. All’Hiroshima è di scena Francesco Tricarico. A El Barrio suonano i French Police. Al cinema Massimo inaugurazione di Cinemambiente con i Perturbazione che sonorizzano il film muto “Wonder Of The Sea”.

Venerdì. Al Blah Blah suonano i The Cleopatras + Animaux Formidables. Al Vinile sono di scena i The Bartenders.

Sabato. Allo Ziggy si esibiscono gli Junius. Al Blah Blah suonano i Black Wings of Destiny.

Pier Luigi Fuggetta

Quasi 40mila fan per Vasco all’Olimpico

Erano 36mila i fan  e altrettanti questa sera per Vasco Rossi. All’Olimpico di Torino dopo tre anni è partito il Vasco Live Duemilaventicinque. La Rockstar che alloggia al Principi di Piemonte ha infiammato il pubblico con i suoi brani più amati.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La vergogna di Osimo: Moro, Valiani e Spadolini – Le famiglie di un tempo – 25 Aprile e 2 Giugno – Lettere

La vergogna di Osimo: Moro, Valiani e Spadolini
Nel 1975 il governo Moro – La Malfa , quello che ebbe, tra gli altri, come ministro dei beni culturali lo storico Spadolini (che sulla sua tomba volle scritta  con falsa modestia la  frase “Un Italiano”, la stessa che si legge sulla tomba di Mazzini), firmò alla chetichella l’infame trattato di Osimo che diede alla Jugoslavia de  iure un’ulteriore fetta di territorio italiano. Era ministro degli esteri Mariano Rumor, definito un untuoso  comunistello di sagrestia  di scuola dorotea, che si rivelò anche  fragile e inefficiente presidente del Consiglio.
Ad Osimo a trattare il governo mandò un oscuro funzionario del ministero dell’Industria. I triestini si sentirono traditi e dalla protesta nacque l’abbandono della Dc e la nascita della lista civica del “Melone” che ebbe la maggioranza dei voti ed espresse un sindaco. La Dc, che aveva perso il controllo della situazione, mandò a dirigere il “Piccolo”  di Trieste un vecchio partigiano giellista che  alla “Stampa” era rimasto per decenni  capo cronista ed ambiva a fare il direttore, Ferruccio Borio (di  cui fui amico) che  mi raccontò del suo invio a Trieste per “reprimere i conati fascisti e qualunquisti  attraverso una informazione corretta”. Traggo la citazione dal mio diario di allora. Già nel 1977, dopo i funerali di Carlo Casalegno quando  ci fermammo a prendere un caffè insieme, Borio  mi disse – da uomo onesto qual era – che il fascismo a Trieste non centrava nulla perché con Osimo la minoranza slava si sentì “padrona   della città”. L’avventura triestina di Borio doveva finire molto presto perché venne nominato direttore del “Lavoro” di Genova. Di cosa fu per davvero, cioè un cedimento vergognoso verso la Jugoslavia mi parlarono la poetessa esule da Zara Liana De Luca e lo storico antifascista Leo Valiani,  nato a Fiume, che mi  esortò ad agitare il problema delle foibe e dell’esodo, temi allora totalmente occultati dal conformismo degli storici comunisti e anche  democristiani. Moro, con il suo contorsionismo verbale con cui tento ‘ di portare i comunisti al governo, arrivò a definire con ipocrisia pretesca Osimo “una dolorosa rinuncia”. Certamente Spadolini per la prima volta ministro non aprì  bocca e una  volta quando cercai di chiedergli cosa pensasse di Osimo, durante una cena a due al ristorante Tiffany, cambiò subito discorso per ringraziare Giulio Einaudi che gli aveva mandato una bottiglia di dolcetto dei suoi poderi al tavolo. Continuò invece  il discorso con me, dicendomi che lui di solito non beveva, ma in questo caso non poteva non onorare il vino del presidente Einaudi; aggiunse che il dolcetto l’avrebbe fatto “dormire come un ghiro” nel vagone letto che lo avrebbe riportato a Roma. Ma su Osimo non pronunciò neppure una parola. Sarebbe diventato dopo poco tempo presidente del Consiglio, nominato da Pertini, notoriamente molto amico di Tito. Cosa mi disse Valiani, a sua volta diventato senatore a vita, del silenzio di Spadolini non lo rivelo anche se c’è memoria nei miei diari. Furono parole comunque molto aspre che non mi sarei mai aspettato. Fu un momento di ira, anche questa volta a cena all’allora notissimo ed apprezzatissimo da Leo, ristorante “Ferrero” tristemente chiuso da molti anni.
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Le famiglie di un tempo
80 anni fa i miei genitori si sposarono subito dopo la fine della guerra, il 26 maggio 1945 nella cappella del castello di Camerano Casasco . Io conservo le rose bianche raccolte in quella occasione. A celebrare le nozze fu il vescovo di Asti che risiedeva nella vicina villa San Giacinto sottostante al castello che aveva ospitato nell’800 Cesare Balbo, Silvio Pellico e Alessandro Manzoni.
Tra i testimoni il  mio futuro zio il barone Guglielmo Fusilli in divisa di capitano del “Nizza Cavalleria “ in alta uniforme  e il generale e scrittore Angelo Gatti. Una cerimonia semplice, adatte ai tempi, anche se mio nonno paterno volle un pranzo per il periodo davvero fuori ordinanza di cui conservo il menù.  A casa mia il 26 maggio  finché furono in vita i miei genitori, si fece ogni anno una gran festa con scambio di regali anche importanti. A volte indosso l’orologio con il cinturino d’oro che mia madre regalò  a mio padre in un anniversario. Fu un matrimonio riuscito: mia madre fu una donna virtuosa e fedele compagna di mio padre e mio padre seppe manifestare a lei tutta la dolcezza di cui era capace, anche se vissero momenti difficili. Mio nonno che era rimasto vedovo, venne ad abitare nella casa coniugale dei miei e mia madre raggiunse l’eroismo nel sopportare le sue  intemperanze autoritarie e libertine.  La nascita di due figli,sia pure a distanza di undici anni uno dall’altro, coronarono il matrimonio; scrivo dei miei genitori per indicare degli esempi anche educativi oggi molto difficili, anzi sicuramente giudicati superati. Ad esempio, mia madre mi segui’ quotidianamente negli studi fino al ginnasio e poi scelse per me come precettore lo   storico del Risorgimento  prof . Salvatore Foa che mi porto ‘ naturaliter agli studi che poi ho scelto.
Mio padre non si occupò dei miei studi , ma fu sempre presente nei momenti difficili. Quando dai Salesiani capitò che un educatore assistente, tale R.P. (pace all’anima sua) si fosse dimostrato particolarmente gentile con me, offrendomi un trattamento speciale con dolci e altri aiutini nei compiti di Quinta elementare, mio Padre capì subito di cosa si trattasse e con la sua autorevolezza pretese la cacciata dell’omosessuale, potenziale pedofilo, facendomi discorsi che sono rimasti scolpiti nella mia mente. Anche per questo non parteciperò mai ad un Pride a cui quest’anno ha aderito l’Ordine dei Medici. La vita dei miei  fu una vita esemplare, poche parole, ma tanti esempi di vita e di sacrificio per il loro prossimo, una moralità assoluta, una religiosità sentita, mai bigotta  e mai imposta, un amore profondo tra di loro e verso la famiglia. Mia madre che  proveniva da una agiata famiglia di imprenditori (mio nonno materno era stato nominato cavaliere del lavoro su proposta di Giolitti con cui era in stretti rapporti), attinse sempre al  suo patrimonio  personale per provvedere all’educazione dei figli. Fu per lei un piccolo trauma quando si vide declassata sulla carta d’identità post bellica  da “agiata” a “casalinga”, occupazione a cui non si dedicò mai, pur seguendo  con grande gusto la casa, il suo arredamento, i ninnoli  e ogni particolare con grande attenzione. Quando i miei andavano, dopo il mare a Bordighera, a Saint – Vincent per qualche giorno di vacanza mio padre non mancava mai di  dirmi che avrei dovuto in futuro  astenermi al gioco d’azzardo che poteva rovinare le famiglie.
L’hotel Billia dove scendevamo, era allora sede del Casinò, un luogo che lui  aborriva anche in Francia. Aveva visto un suo inquilino rovinarsi, malgrado il suo aiuto umano che consentì al poveretto  di mantenere un tetto. Mio padre mi diede un grande, ultimo  esempio di vita quando con la febbre alta (a causa della malattia che dopo ricoveri vari lo condusse alla morte dopo un calvario molto lungo) volle alzarsi dal letto per ultimare un lavoro che doveva consegnare. Questa era la sua tempra, rivelata in pace e in guerra, dove volle restare soldato, ma non volle essere partigiano perché le stellette, secondo lui , non lo consentivano.  Alzarsi dal letto e finire un lavoro avviato fu un grande insegnamento di stoicismo cristiano. Una volta mi citò Benedetto Croce che aveva conosciuto a Napoli e a Torino  e mi disse: “Non bisogna lasciarsi sedurre totalmente  dalla democrazia perché a volte è nemica della libertà,  dal moralismo nella politica, dall’umanitarismo demagogico, dall’internazionalismo che nega le patrie, dalla importanza che viene data alla gente comune”. Sono parole molto esplicite che fecero di Croce e di mio Padre dei conservatori. Mio padre, ancora in servizio, nel 1961, centenario del Regno e dell’Unità d’Italia, volle portarmi dal re Umberto II che di mia iniziativa incontrai più volte. Oggi una coppia  come quella dei miei genitori forse sarebbe cosa molto  rara, ma forse, secondo altre modalità, esistono coppie ancora oggi che non  seguono gli schemi di una società scristianizzata  priva di  valori anche laici , in cui l’edonismo fa  collezionare  amorazzi passeggeri e privi di ogni dimensione famigliare, una società dove esistono solo diritti e nessun doveri. All’età di 7 anni mio padre mi regalò copia dei “Doveri “ di Mazzini che nel 2022 pubblicai con Pedrini. Per i miei genitori la famiglia era sacra ed era una società naturale tra uomo e donna. Vissero con fastidio i primi vagiti di impostazioni ideologiche  che ritenevano  contro natura. Così la mia vita fu modulata su quegli esempi e su quelle idee , anche se  io non fui mai alla loro altezza .Ovviamente feci anche molte scelte che si discostarono dalle scelte dei miei famigliari. Quando fui candidato alle comunali , mio padre mi votò , malgrado detestasse la parte politica per cui fui candidato. Non disse nulla, ma il giorno dopo mi disse di avermi votato, criticando solo le mie ambizioni e il mio opportunismo,  tanto lontani dal nume famigliare Marcello Soleri.
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25 Aprile e 2 Giugno
Il 25 aprile ricorda la fine di una guerra terribile e la Liberazione. Ancora oggi è una data purtroppo  divisiva. Il 2 giugno che ricorda il referendum del 1946 tra Monarchia e Repubblica  e fu per alcuni anni una data altrettanto divisiva perché i monarchici in Italia furono oltre dieci milioni e l’esistenza di un partito monarchico (il PNM , perché gli altri furono partitini) portò necessariamente a tenere conto che le ragioni della Monarchia non potevano essere ignorate.
Così fecero i primi presidenti De Nicola ed Einaudi, ambedue monarchici come Croce. Il Re Umberto II partì  per l’esilio per evitare una guerra civile. Un atto che va ricordato come una gloria del suo breve Regno. Poi con la fine del partito monarchico, la morte inevitabile degli elettori monarchici del ‘46 e la inadeguatezza rispetto ad Umberto II dei suoi eredi hanno fatto sì  che la data divisiva sia diventata data unificante tra gli Italiani. A raggiungere questo obiettivo è stato decisivo Il presidente Ciampi, anticipato da Cossiga. Il 25 aprile una parte di Italiani, soprattutto del Sud ,dove non ci fu la guerra civile, lo sente estraneo. Molti giovani non sentono affatto nessuna delle due date.
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Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com
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La fascia tricolore
Cosa pensa di Giuliano Amato che difende la sindaca di Merano che si è tolta la fascia tricolore ? A me sembra assurdo.  Anna Ferreri
Sono amico di Amato che so essere uomo di grande intelligenza . Mi stupisco che abbia definito “maschilismo“ il naturale passaggio della fascia tricolore dall’ex sindaco alla nuova sindaca. Così si fa da sempre. Forse Amato è mai stato consigliere comunale perchè subito  venne chiamato da Craxi come  parlamentare e ministro. Una piccola svista a cui il solo “Corriere” ha dedicato una notiziola di poche righe.
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Il vitalizio
L’ex governatore veneto ed ex ministro dei Beni Culturali Galan chiede di ripristinargli il vitalizio perché “privo di reddito”. La Regione Veneto  gli dice no. Lei cosa ne pensa?  Le colpe di Galan sono pesanti e accertate.  Luigi Lunardon
Mi dispiace che Galan non abbia redditi, ma i redditi, a mio modo di vedere, si producono anche e soprattutto con  il lavoro. Non voglio infierire, anche se le motivazioni delle condanne all’ex presidente Galan sono pesanti. Il vitalizio l’hanno  ridato all’ex presidente Formigoni, anche lui pluricondannato. Ricordo un episodio  curioso di quando era ministro: mi fissò un colloquio al ministero e, mentre stavo arrivando in Freccia Rossa a Roma, mi fece telefonare che il ministro aveva assunto un altro impegno e non poteva ricevermi . Non ne feci una tragedia e andai a cena  “Da Armando al Pantheon” dove verso le 22 entrò il ministro che mi “ricevette” mentre stava per mettersi a tavola con degli amici.

Pinocchio! al Torino Fringe Festival

Domenica 1 giugno, ore 17

CineTeatro Baretti, via Baretti 4, Torino

 

 

Per Igor Sibaldi le avventure di un burattino sono un romanzo teologico

 

 

Per l’ultimo appuntamento della XIII edizione del Torino Fringe Festival 2025, Igor Sibaldi con Pinocchio! racconta un Collodi sorprendente perché le sue Avventure di un burattino sono un romanzo teologico. La storia di un essere misterioso che vuole diventare un bambino, nella casa di un falegname chiamato Giuseppe, per gli amici Geppetto. Un’incarnazione, un sequel dei Vangeli, con morte e resurrezione, ma anche con la Qabbalah, l’iniziazione egizia e la mistica ebraica.

 

Igor Sibaldi è scrittore, studioso di teologia e storia delle religioni. Narra argomenti di teologia, mitologia, psicologia, filosofia, storia della letteratura, Qabbalah. Conduce seminari e conferenze in tutto il mondo. Tra i suoi libri più celebri: la trilogia de I Maestri InvisibiliLibro degli Angeli e Il codice segreto del Vangelo. Ha scritto e messo in scena alcuni testi teatrali: Francesco e i burattiniDionisoElogio dell’impossibile. Negli anni Novanta, ha tradotto Guerra e pace e molte altre opere di Tolstòj.

Info:

Domenica 1 giugno, ore 17-19

CineTeatro Baretti, via Giuseppe Baretti 4, Torino

Pinocchio!

Igor Sibaldi

Costo: 20 euro

Posti limitati

Prenotazione online su www.tofringe.it

Oltre la musica: Willie Peyote e il senso del vivere

Parlare con Willie Peyote non è mai un esercizio di routine. È un’esperienza che va oltre l’intervista, oltre la promozione: è uno scambio autentico, diretto, profondamente umano. Reduce dal successo sanremese con il brano “Grazie ma no grazie”, l’artista torinese conferma di essere rimasto fedele a se stesso. Nessuna posa da divo, nessuna distanza dal pubblico: solo la coerenza di chi continua a comunicare senza filtri, con lucidità e passione. Lo ha dimostrato ancora una volta durante un incontro d’eccezione al Salone del Libro di Torino, in dialogo con il filosofo e divulgatore Rick DuFer, in occasione della presentazione del suo ultimo libro Nessuno parla a nessuno (Cairo Editore). Ma definirlo semplicemente un “talk” sarebbe riduttivo. È stato un confronto vibrante, profondo, quasi iniziatico, che ha toccato corde delicate come il senso del fallimento, la perdita, l’importanza dei legami e la responsabilità di lasciare una traccia nel mondo. Un’ora di parole che hanno sfidato il rumore di fondo del nostro tempo. Un dialogo che ha avuto il sapore del rito: intenso, necessario, irripetibile. Con Willie Peyote, ogni conversazione è un invito a pensare — e soprattutto a sentire.

Willie, tra le tematiche che avete toccato nell’incontro c’è stata quello della perdita. Uno dei tuoi brani più intimi è stato “Sempre lo stesso film“, un brano dedicato a Libero Di Rienzo, regista e attore e tuo amico scomparso nel 2021. Un pezzo molto personale, ma che ha colpito tantissime persone. Te lo aspettavi?

Sono contento, e sinceramente non pensavo che così tante persone potessero rivedersi in un testo tanto intimo. Quella canzone è nata come una lettera a Libero. Avevo bisogno di dirgli delle cose che non ero riuscito a dirgli, soprattutto in quell’ultima telefonata a cui non ho risposto. Scrivere quella canzone mi ha costretto ad andare in profondità, a fare i conti con un dolore vero. È come se avessi fatto un riassunto dell’anno trascorso, rivolgendomi direttamente a lui. Certe persone restano importanti anche se non sono più con noi. E lo capisci solo dopo.

È un evento che ha segnato anche il tuo percorso artistico?

Ci penso, ed è giusto che sia così. Ma non direi che ha influenzato il mio percorso artistico nel senso tradizionale del termine, perché – come dicevo anche durante l’incontro con DuFer – io non vedo una separazione tra l’artista e la persona. Quella perdita mi ha colpito come essere umano, prima ancora che come musicista. Il vero dispiacere è non poter fare insieme tutte quelle cose che ci eravamo promessi. Però da eventi così tragici può nascere qualcosa di buono, se riescono a renderti una persona migliore. Allora sì, acquistano un valore.

Tra i temi che hai affrontato con Rick DuFer c’è stato anche quello del fallimento, e in un’intervista su Rolling Stone ti hanno definito “il re dei fallimenti” per la tua capacità di trasformare ciò che è scomodo in qualcosa di raccontabile. Che rapporto hai con il fallimento?

Non ho paura di parlarne, ma certo che ne ho paura come chiunque altro. Sarebbe ipocrita dire il contrario. Però non ha senso far finta che non esista: se un fallimento non diventa una spinta a migliorarsi, allora sì che diventa un vero fallimento.

Nel tuo caso non sembra mai essere stato così.

Perché cerco sempre di riflettere su quello che accade, anche quando fa male. Credo molto nel valore dell’ammissione della debolezza. La vera forza, secondo me, non è fingere di essere invincibili, ma sapere ammettere la propria fragilità. Nasconderla è la vera forma di debolezza. Affrontarla, invece, è forza.

Valeria Rombolà

Un restauro che fa importante “memoria” della nostra storia

Presentato, in Palazzo Pralormo, il restauro del “Ritratto” del conte Saluzzo di Monesiglio, generale e grande chimico. Autore, Pietro Ayres?

Nato a Saluzzo nel 1734 e scomparso a Torino nel 1810, Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio fu uno dei più illustri esponenti militari, Generale di Artiglieria, del Regno di Sardegna, ma soprattutto un grande “chimico” (fra i primi studiosi italiani di chimica dei “gas”), co-fondatore, insieme a Joseph-Louis Lagrange e a Gianfrancesco Cigna, di quella “Società Privata Torinese” che, dopo aver acquisito il nome di “Società Reale” fu trasformata, grazie all’approvazione di re Vittorio Amedeo III, in “Accademia Reale delle Scienze” (25 luglio 1783), oggi al civico 6 – priva ovviamente del titolo di “Reale” – dell’omonima via, a Torino. Il suo nome, ancora oggi, è legato in modo particolare a un tipo di “bottiglia” di sua invenzione, la “bottiglia di Monesiglio”, usata nelle esperienze di “pneumatica” per lo studio dell’anidride carbonica, mentre la Città di Torino gli ha dedicato, fin dall’ ‘800, la “via Saluzzo” (nome e date si sono, in parte, perse nel tempo durante il periodo fascista) nel quartiere di San Salvario.

Dunque, il suo, è uno (e purtroppo in buona compagnia) dei grandi nomi della storia piemontese ingiustamente trascurato e raramente ricordato in tutto il suo prestigio e in tutta la sua valenza storico-sociale.

A farne doverosa e lodevole ammenda, è oggi l’“A.N.Art.I. – Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia”, nella sua sezione torinese, cui si deve il progetto (approvato e sostenuto dallo “Stato Maggiore” dell’Esercito e dal “Ministero della Difesa”) che ha permesso di selezionare, tra la Collezione di dipinti dedicati ai personaggi militari di rilievo per la storia locale e conservati al “Museo Storico Nazionale di Artiglieria” di Torino, proprio l’ottocentesco “Ritratto” del Conte Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio, cui l’“Associazione” ha inteso dedicare un’importante “opera di restauro”.arte, storia

L’evento, rilevante sotto l’aspetto non solo storico ma anche artistico, è stato presentato nei giorni scorsi, presso il “Circolo Unificato dell’Esercito – Palazzo Pralormo” di corso Vinzaglio a Torino, alla presenza del Generale Luigi Cinaglia (Consigliere della Sezione Provinciale “A.N.Art.I.”) e di Lorenza Santa e Lucia Rossi, rispettivamente curatrice delle Collezioni dei “Musei Reali” di Torino e restauratrice con specifiche competenze nel settore dei “beni storico-artistici”.

“L’iniziativa rappresenta – ha precisato il Generale Cinaglia – un’occasione imperdibile per approfondire la storia e il recupero di un’opera che testimonia il prestigio e la memoria della tradizione militare piemontese e che sicuramente rappresenta un ‘tassello’ fondamentale del patrimonio artistico e identitario torinese”. Resta, però, il dubbio della sua attribuzione. Chi, l’autore del “Ritratto”? In merito, si sono espresse Lucia Rossi e Lorenza Santa: “Nell’ambito della sua valorizzazione la riscoperta del dipinto ottocentesco – hanno sottolineato le due studiose – ha riscosso un immediato interesse per le somiglianze con un analogo ritratto, esposto presso la ‘Galleria del Daniel’ dell’‘Appartamento di Rappresentanza’ del ‘Palazzo Reale’ di Torino, eseguito dal saviglianese ritrattista di corte Pietro Ayres nel 1840 ed anch’esso recuperato a seguito di un intervento conservativo con fondi ‘Art bonus’”.

“I restauri di entrambe le opere – hanno concluso – consentiranno ora di studiare approfonditamente i ritratti dedicati al grande scienziato piemontese, di indagare sulla committenza del re Carlo Alberto di Savoia Carignano e proseguire le collaborazioni scientifiche tra i Musei coinvolti”.

Dunque, il progetto, fatto partire, nei mesi scorsi, ha ancora un importante tragitto da compiere, al fine di dare un nome all’autore dell’opera presentata al termine del restauro. E che, se davvero fosse attribuibile a Pietro Ayres (Savigliano, 1794 – Torino, 1878) andrebbe a rinfoltire la già numerosa serie di “ritratti” d’impronta neoclassica dedicati da Ayres (cui si deve anche un album dei “costumi” e delle “armi” del Regio esercito di Carlo Alberto) a numerosi membri della famiglia reale.

Il tutto con buona (e giusta) pace per il “Ritratto”, per lo stesso Ayres e per il  grande conte, generale e indimenticato chimico, saluzzese!

Per info: “A.N.Art.I. Torino”, corso Luigi Kossuth 50, Torino; tel. 011/8170560 o

https://anartitorino.blogspot.com/?m=1

Gianni Milani

Nelle foto: La presentazione del “Ritratto” restaurato; il “Ritratto” del conte Saluzzo di Monesiglio

Una giornata dedicata alla memoria di Giorgio Amendola

 

 

Giovedì 5 giugno prossimo sarà una giornata speciale dedicata alla memoria di Giorgio Amendola, tra le personalità più influenti della storia italiana del XX secolo e alla storia della Liberazione di Torino. Nel 45esimo anniversario della sua scomparsa, la Fondazione Giorgio Amendola, da sempre protagonista nei percorsi di riqualificazione urbana e nell’organizzazione di manifestazioni artistiche e culturali nel quartiere Barriera di Milano, apre le porte della sua sede di via Tollegno 52 per un evento che unisce memoria, scuola, cultura e cittadinanza attiva, realizzato con il patrocinio del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio Regionale del Piemonte e della Città di Torino.

Insieme agli studenti della scuola Aristide Gabelli e dell’istituto Bodoni-Paravia saranno celebrati i valori della Costituzione e il coraggio di chi ha lottato per la libertà di tutti. I ragazzi presenteranno i loro progetti e riceveranno una copia della Costituzione. Dopo la cerimonia colazione per tutti nella sede della Fondazione.

Per capire, approfondire, e raccontare la storia di Giorgio Amendola e di altri grandi protagonisti della Resistenza interverranno Domenico Ravetti, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte e Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione; Rosanna Purchia, assessora alla Cultura della Città di Torino; Claudio Della Valle, già docente ordinario di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Torino, Giovanni Cerchia, direttore scientifico della Fondazione Amendola; Giuseppe Iglieri, presidente Iresmo (Comitato Scientifico Fondazione Amendola) e Prospero Cerabona, presidente Fondazione Amendola.

Giorgio Amendola (Roma 1907-1980) partigiano, scrittore e politico italiano figlio dell’antifascista liberale Giovanni Amendola e dell’intellettuale lituana Eva Kuhn, dopo l’uccisione del padre da parte dei fascisti, si iscrive al Partito Comunista. Trascorre tutta la sua giovinezza tra clandestinità e esilio e confino. Durante la Resistenza ricopre incarichi rilevanti prima nel CLN romano e poi, dopo la Liberazione della Capitale, in quello torinese. Ricopre un ruolo fondamentale nella liberazione di Torino. Dopo la liberazione continua l’attività politica nel PCI come deputato e dirigente del partito.

Mara Martellotta