CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 13

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Negrita e i Modà

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al teatro Colosseo suonano i Negrita. All’Inalpi Arena si esibisce Elodie.

Martedì. Al teatro Concordia è di scena Fabri Fibra. Al Vinile si esibisce Alex Vaudano. All’Inalpi Arena suonano i Modà.

Mercoledì. Al teatro Colosseo arriva Cristiano De Andrè. Al teatro Concordia si esibisce Il Tre. Al Vinile è di scena Tosello. All’Osteria Rabezzana suona il trio di Enzo Zirilli. Al Charlie Bird si esibisce Carlo Peluso. Al Blah Blah sono di scena i Demented Are Go.

Giovedì. Al Magazzino sul Po suonano Umarell,Nancy, Ggiovanni, Nora Lang. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Tripolare.

Venerdì. Al Magazzino sul Po è di scena Dadà. Al Folk Club suona Elijah Wald. Al teatro Colosseo si esibisce Marco Masini. Allo Spazio 211si esibiscono Absu W / Zemial + Ancient + Tivax. Al Blah Blah suonano : Assalti Frontali+ Ellie Cottino+ Il complesso+ Perry Watt+ (special guest) Fonzie. Allo Ziggy sono di scena Men Of Mayhem + Palm in Forest.

Sabato. Al Blah Blah suonano Hell in the Club + Brilliperi. Al Magazzino sul Po si esibisce Nicolò Carnesi. All’Inalpi Arena è di scena Anna Vera Baddie. Al teatro Concordia l’evento Sunshine Gospel Choir.

Domenica. Alle OGR và in scena “OGR Charity Night Amici di Piero”. Giunto alla 26 à edizione, il concerto dedicato alla memoria di Piero Maccarino e Caterina Farassino. Suoneranno : The Originals (Africa Unite & The Bluebeaters), Statuto , Persiana Jones, Fratelli di Soledad, Willie Peyote, Casino Royale, Meg, Samuel e molti altri.

Pier Luigi Fuggetta

Ai “Gardens” dell’olandese Knibbe il premio per il miglior film del 43° TFF… e l’anno prossimo sarà Marilyn!

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Va all’olandese Morgan Knibbe per il suo “The Gardens of Eartly Delights” il premio per il miglior film del 43° Torino Film Festival, con i suoi 20.000 euro, scelta della giuria guidata da Ippolita Di Majo con altri quattro membri a rappresentare Francia, Belgio, Ucraina e Italia. Inevitabilmente, ognuno rimarrà della propria idea portandosi nel cuore i titoli che più l’hanno interessato o entusiasmato o le scelte che già aveva osato fare uscendo dalla settimana di proiezioni del TFF (come a dire che rimangono per primi nella memoria la solitudine disperata e il rapporto non più ricostruibile di Eugen con il padre in “Mo papa” e le simbologie del nipponico “Black Ox”): ma ha convinto appieno tutti quanti la vicenda di Ginto e del suo migliore amico Jojo che vagano per le strade di Manila, riempiendo le giornate e le notti di metanfetamine, tra piccoli furti e la lotta che intraprendono per un sacco di immondizia, tra le luci del quartiere della prostituzione e lo squallore della baraccopoli in cui vivono mentre la sorella del primo, Asia, si prostituisce nella speranza di una vita migliore, mentre il turista che scivola a poco a poco nella infelice frenesia personale del turismo sessuale li osserva dall’alto della piscina posta sul terrazzo del suo albergo. Una realtà lontana da noi, certo, ma “ho iniziato a scrivere il film cercando di spingere il pubblico a riconoscere e accettare l’umanità di chi è stato disumanizzato per secoli”, confessava il regista Morgan Knibbe, una lunga storia di sfruttamento, di forza e di mancanza di ogni rispetto, una storia che si disperde attraverso le fabbriche e le miniere, le piantagioni e i bordelli. Prostituzione giovanile e perversioni adulte, avevamo scritto, strade contorte verso un vuoto e desolato giardino delle delizie, esistenze senza vie d’uscita, con un racconto estremamente crudo, che guarda al caso personale ma che farebbe in fretta a espandersi per l’intera città, che non nasconde nulla, anzi mette lo spettatore dinanzi a una quotidianità da raccapriccio. Knibbe si fa ammirare nel rendere in maniera esatta la discesa agli inferi, all’interno di un girone che non sappiamo neppure immaginare, alla infelicità di tutti, ai sensi di colpa, all’urlo fatto per sopravvivere, lo fa senza compiangere, senza accusare, paradossalmente senza giudicare, lucidamente. Lasciando però più di un immenso amaro in bocca.

Gli altri premi vanno a “Ida who sang so badly even the dead rose up and joined her in song” di Ester Ivakič, storia della ragazzina di un piccolo villaggio sloveno convinta di impedire la morte della nonna entrando nel coro della scuola (premio speciale della Giuria, 7000 euro) e ad “Ailleurs la nuit” della canadese Marianne Métivier, l’intrecciarsi delle giornate di quattro giovani donne nel corso di una torrida estate, premio per la miglior sceneggiatura, lontanissimo dalle preferenze di chi scrive. La giuria composta dai critici cinematografici Igor Angjelkov (Macedonia), Chiara Spagnoli Gabardi (Italia) e Paul Risker (Regno Unito) assegna il premio FIPRESCI (Premio della Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica) a “La anatomìa de los caballos” del regista Daniel Vidal Toche, produzione Perù/Spagna, con la motivazione: “Il film riflette su una verità necessaria: la rivoluzione è fatta di azione e spargimento di sangue, ma è uno stato d’animo destinato al fallimento. Questa sensibile esplorazione della cultura indigena prende vita attraverso un realismo magico, attingendo allo spirito di Eadweard Muybridge. Come opera di poesia visiva, inattaccabile dal tempo, il film dimostra che ciò che l’uomo ha tenuto in cattività è più libero dell’essere umano”.

Intanto il Comitato di Gestione del Museo Nazionale del Cinema, presieduto da Enzo Ghigo, ha deliberato il rinnovo a Giulio Base (“per l’ottimo lavoro sin qui svolto”; non soltanto il suo, quello anche di Dame Tiziana Rocca in Base, statuaria e bionda, efficientissima tessitrice di trattative, di arrivi e partenze dei vari divi che in questi giorni Torino ha ricevuto, con la gibigianna delle Stelle della Mole o no, delle visite per la città a tallonarli e proteggerli come un granatiere, un lavoro che crediamo davvero di fino e che – volenti o nolenti, simpatizzanti o rimpiangenti – ha portato il TFF fuori della propria nicchia per spalancarlo forse al mondo) quale direttore artistico del Torino Film Festival per l’edizione 2026. Lui ha immediatamente messo sul tavolo la sua prima carta vincente. A Marilyn Monroe (sarà il centenario della nascita di Norma Jeane Mortenson Baker) verrà dedicata l’immagine e la retrospettiva del TFF numero 44: “Dopo due centenari che era doveroso celebrare, Brando e Newman – ha detto il direttore -, nel 2026 la retrospettiva sarà dedicata a una donna, nel centesimo anniversario della sua nascita. Non soltanto attrice, ma un mito, un’icona luminosa dell’immaginario collettivo. L’immagine scelta per il 44° Torino Film Festival proviene dal suo ultimo servizio fotografico, realizzato pochi giorni prima della scomparsa: uno scatto che custodisce bellezza e fragilità, con quel lieve senso di nostalgia del futuro, come se sapesse di essere destinata a vivere nell’eternità più che nel presente.” Un’immagine che venne scattata dal fotografo George Barris a Santa Monica il 13 luglio 1962, all’interno di un servizio conosciuto come “The Last Photos”. Nel 1997 il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha comprato all’asta a Los Angeles tre stampe fotografiche con i ritratti realizzati sulla spiaggia che riportano la firma del fotografo e che sono oggi esposte alla Mole in un corner dedicato all’attrice e alla diva, insieme ad altre foto, oggetti personali e gioielli.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Marilyn Monroe fotografata da George Barris e icona del prossimo TFF 2026, ancora sotto la direzione di Giulio Base; Il giovane protagonista del film vincitore, “The Garden of Earthly Delights” dell’olandese Morgan Knibbe e “La anatomia de los caballos”, premio Fipresci.

Passepartout all’appartamento di Ponente della Palazzina di Caccia di Stupinigi

Nei fine settimana del 6-7 dicembre e del 27-28  dicembre , alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, nel Torinese, sarà eccezionalmente possibile visitare l’appartamento di Ponente prima della conclusione dei lavori di restauro prevista per la prossima primavera.

Per quattro giornate ritorna dunque accessibile al pubblico il percorso Passepartout  nell’appartamento di Carlo Felice , speculare a quello di Levante, per una visita guidata straordinaria alla riscoperta degli spazi segreti normalmente chiusi al pubblico. Attualmente in corso di restauro, l’appartamento di Ponente  comprende gli ambienti un tempo appartenuti al re Carlo Felice e alla duchessa Cristina di Borbone.

Gli spazi furono ampliati nel Settecento,  sotto la direzione di Benedetto Alfieri, per accogliere le stanze di Vittorio Emenuele, duca d’Aosta e figlio di re Vittorio Amedeo III.
L’appartamento si apre con una spazio impreziosito da due statue in marmo dei fratelli Collino, raffiguranti Meleagro e Atalanta. Seguono due anticamere decorate nella seconda metà del Settecento.  Nella prima parte sono esposte grandi marine di Francesco Antoniani e nella seconda si trovano scene di vita agreste realizzate da Angela Palanca, grandi tele che venivano utilizzate come cartoni preparatori per gli arazzi. Le sovraporte , datate 1755, raffigurano vedute marine e sono attribuibili alla maniera dell’Antoniani.

Le visite guidate passpartout sono indicate nei seguenti giorni: sabato 6, domenica7, sabato 27 e domenica 28 dicembre  alle ore 10.30, 12, 14.30.
Possono partecipare solo adulti e ragazzi al di sopra dei 12 anni e i gruppi non possono essere superiori alle 15 persone. È necessario indossare un abbigliamento comodo e calzature chiuse. Lo spazio non è accessibile a persone con disabilità.

Mara Martellotta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: A Lucca con il “Pannunzio” –  Il Procuratore Generale Maddalena e l’avvocato Bernardini de Pace – Terenzio Magliano – Lettere

A Lucca con il “Pannunzio”
A Lucca si è tenuto nel fine settimana un Convegno del Centro “Pannunzio” organizzato da Carla Sodini per conto della locale sezione della città d’origine  di Mario Pannunzio. Ho avuto modo di apprezzare l’amministrazione comunale di Lucca finalmente in mano ad Amministratori all’altezza della storia lucchese. I giornali “La Nazione“ e il “Tirreno“ hanno dato ampio spazio alle due giornate di studio. Il tema del convegno ha riguardato il giornalismo e la satira nella storia della Repubblica. Dopo la dittatura fascista che aveva mal tollerato persino la satira apolitica, vietando totalmente quella politica, la Repubblica e la Costituzione avevano aperto la vita italiana ad un giornalismo autenticamente libero garantito dall’articolo 21 della Costituzione, mai citato a senso unico, come accade oggi.
Mario Pannunzio
Di conseguenza la satira ebbe modo di manifestarsi liberamente. Nel convegno si è parlato di Longanesi, Pannunzio, Guareschi, Maccari e tanti altri. Non è stata una scelta ideologica trascurare la satira dell’area  politica comunista, perché la seriosita’ bacchettona dei comunisti e di Togliatti ha impedito a sinistra una benché minima  capacità di non prendersi solo e sempre sul serio. La sinistra rinnegò Galantara,  Scalarini e  l’anticlericalismo in nome dell’articolo 7 della Costituzione che recepì il Concordato fascista del 1929. Guareschi scolpì nei suoi disegni l’obbedienza cieca  e persino demenziale dei comunisti con una ironia irresistibile di cui erano privi i trinariciuti e in parte i cattolici del bigottismo clericale. Anche il mondo clericale infatti  non seppe uscire dal grigiore delle sacrestie  e delle censure nel mondo dello spettacolo, della Tv e dei giornali. Solo i laici liberali e la destra ebbero la capacità di caricaturizzare sè stessi.
Oggi noi leggiamo la storia del secolo scorso attraverso le caricature più che attraverso i tomi di una pseudo – storia marxista dei vari Candeloro e Tranfaglia. Ho voluto che il Convegno fosse dedicato al ricordo di Giorgio Forattini, maestro di satira e di giornalismo senza pari. Se, quando lo invitai, le condizioni di salute glielo avessero concesso, avrebbe sicuramente partecipato al Convegno di Lucca. Poi il destino, purtroppo, ha deciso per lui.A noi resta il dovere del suo  ricordo.
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Il Procuratore Generale Maddalena e l’avvocato Bernardini de Pace
Sono da sempre un ammiratore del Procuratore Generale Marcello Maddalena che  conosco fin da quando frequentai il grande grecista Antonio Maddalena che invitai a ricordare Vincenzo Ciaffi dopo il rifiuto un po’  meschino di Italo Lana che non seppe andare oltre la morte con il distacco e la generosità del maestro. Con Marcello Maddalena ho avuto tante occasioni di incontro: dal ricordo dell’avvocato Claudio Dal Piaz , a un dibattito, suo ospite nell’Aula Magna del Tribunale, sul terrorismo in Germania e in Italia.
Poi ci ha legato il libro di Valdo Fusi “ Fiori rossi al Martinetto “ di cui il Procuratore generale ha scritto una lucida prefazione. In luglio abbiamo ricordato insieme Valdo Fusi nella Sala Rossa del Consiglio Comunale di Torino. Lunedì sera ho cenato con l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace. Una conversazione amabile, come fossimo stati vecchi amici. Il vecchio amico avv. Rossotto le  aveva parlato forse troppo bene di me. Ad un certo punto, parlammo inevitabilmente di magistrati. Quando io citai Maddalena, la Bernardini si lasciò andare ad un elogio illimitato: un mito. Anche per questo comune sentire il nostro rapporto nato una sera è destinato a proseguire. La comune stima per Maddalena è la credenziale di un idem sentire con indipendenza ed equilibrio in un mondo infettato dal settarismo e dall’odio.
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Terenzio Magliano
Mi è tornato alla mente il senatore Terenzio Magliano, socialdemocratico che nel 1975 fu l’unico in consiglio comunale a votare contro la proposta di Novelli e dei comunisti di bloccare i lavori della Metropolitana  che stavano iniziando  sotto la guida di un grande tecnico come il prof. Vittorino Zignoli che fu anche assessore liberale , ma fu soprattutto un tecnico di fama internazionale.
Fu il solo Magliano a saper vedere lontano, tutelando un progetto che rimase bloccato per dieci anni  di giunte rosse e anche oggi è rimasto bloccato perché una sola linea è del tutto insufficiente.
Poi Magliano fu un politico molto clientelare e spregiudicato che ebbe in gioventù precedenti fascisti che la sinistra non gli perdono’ perché socialista anticomunista. Quel suo voto di cinquant’anni fa va ricordato e rivalutato. Non era solo un cacciatore di voti e di cariche. Era impossibile intrattenere con lui rapporti di amicizia – posso confermarlo per esperienza personale –  perché era troppo cinico e spregiudicato. Ma il merito acquisito nel difendere la Metro gli va riconosciuto. Neanche la Dc capì il gravissimo errore di Novelli che lo definiva sprezzantemente l’onorevole ”mariuolo“.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Gli ordini cavallereschi nella Repubblica italiana
Un mio vicino di casa che non è neppure ragioniere (perché non ha finito gli studi) ha festeggiato con annunci e feste la nomina a cavaliere di un ordine cavalleresco sabaudo, senza neppure precisarlo. Gli ho fatto amichevolmente presente che forse tale titolo cavalleresco era illegale, ma lui mi ha trattato in malo modo, dicendomi di occuparmi dei c …. miei e mi ha revocato in modo brusco e assai poco… cavalleresco  l’invito ad un brindisi condominiale. Lei che è uno studioso di storia e di diritto cosa ne pensa? Non mi firmo per disteso  per non guastare definitivamente il rapporto con il neo cavaliere vicino di casa che è diventato irriconoscibile. Oggi è un ridicolo personaggio da operetta.  U. T.
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Cerco di essere sintetico, riportando fonti documentate senza dare giudizi personali che sarebbero favorevoli ad una rilettura della storia meno manichea: oggi le onorificenze non riconosciute dallo Stato italiano sono illecite e fregiarsene costituisce un reato sia che si precisi l’ordine , sia che- cosa ancora più grave – non si indichi l’ordine di appartenenza , creando confusioni con l’OMRI. In particolare è ancora più  grave se pubblici dipendenti e componenti delle Forze Armate si fregino di titoli non consentiti. Anche chi ricopre cariche pubbliche deve stare attento a certe nomine che magari accetta senza pensarci .Riferendoci all’Ordine Mauriziano in particolare, esso è stato trasformato in ente ospedaliero  dall’art . 14 della norma transitoria e finale della nostra Costituzione (che prevede anche  il non riconoscimento dei titoli nobiliari). È una norma mai abrogata. Detta norma, secondo insigni giuristi consultati dal senatore Dario Cravero, ex presidente dell’Ordine Mauriziano,  impedisce implicitamente  altri utilizzi del nome in Italia, anche se l’ente ospedaliero è stato sciolto  per il deficit accumulato e sopravvive  solo una fondazione Mauriziana con compiti amministrativi sulla parte residua  delle proprietà dell’ Ordine originario. E‘  soprattuto  la legge 3 marzo 1951 n. 178 che regola l’uso delle onorificenze e che vieta l’uso di quelle non riconosciute . Parlare di ordini dinastici è un escamotage che la legge non prevede e non consente.
I cittadini italiani, ai sensi dell ‘articolo 7 della citata  legge, “non possono usare ed esibire onorificenze loro conferite da ordini non nazionali (gli ordini sabaudi hanno sede a Ginevra, malgrado l’abrogazione dell’esilio) senza aver avuto preventiva autorizzazione con Decreto del Presidente della Repubblica.  Nel caso specifico sarebbe quasi un ossimoro un ordine sabaudo autorizzato dal Quirinale e quindi il richiesto riconoscimento risulta impossibile. Chi viola la legge è sottoposto ad ammende fino 2.500.000 lire. Anche l’Ordine della Santissima Annunziata e’ soppresso  a termini di legge e quindi non è un ordine dinastico per la legge italiana. C’è una circolare del ministero degli esteri del 2005 che ribadisce i divieti. C’è da aggiungere che anche il Duca Aimone di Savoia – Aosta si ritiene Gran maestro degli stessi Ordini e capo della Casa. Non sono stato in grado di verificare se anche lui conferisca  onorificenze in Italia. Forse il rigore della legge del 1951 che portò nei decreti di nomina di Umberto II da Cascais a riportare a stampa che “in Italia vigono precise norme che vietano  di fregiarsi di onorificenze non riconosciute dallo Stato“, potrebbe essere mitigato. Ma forse, secondo altri, è giusto così perché il “todos caballeros“ è un aspetto di scarsa serietà tutta italiana. Solo l’onestà assoluta del re Umberto portava a precisare nei diplomi da lui  firmati quella frase che di fatto rendeva nulla la nomina almeno  in Italia. Adesso quella frase è scomparsa non si sa bene perché. Oggi ci sono migliaia di cavalieri, commendatori, dame   ed altro che partecipano a cene e galà di beneficenza, ma anche a cerimonie inequivocabilmente politiche. Ci sono sacerdoti che si dichiarano cappellani, per non parlare della guardie d’onore al Pantheon che intervengono in tutta Italia (e non solo al Pantheon) e che, secondo una circolare, hanno persino  dei loro “comandanti”, forse parola dal sen fuggita. Un‘associazione per il culto delle tombe del Pantheon di Roma o una associazione paramilitare, come alcuni vorrebbero o sognerebbero? Il ministero della Difesa dovrebbe effettuare più stringenti controlli per le Guardie che secondo alcuni sono un ibrido vagante ai limiti della legge. Mi limito a riportare giudizi, sempre pronto ad accogliere valutazioni diverse come è nel mio stile. Molti degli insigniti di ordini non riconosciuti non distinguono neppure le differenze . A loro basta avere la rosetta e versare un obolo annuale che giustifica l’appartenenza.  Ovviamente meriterebbero un’analisi a sé gli Ordini dinastici borbonici in cui hanno un ruolo due donne: Maria Carolina & Maria Chiara de Bourbon. Si tratta di cinque ordini tre dei quali vengono conferiti anche oggi. In base a che criteri giuridici? La cosa non è affatto chiara. La legge andrebbe rispettata da tutti, vanesi,  furbi e profittatori, ingenui e cortigiani,  onesti  e gentiluomini,  senza eccezioni per nessuno. Questo è lo spirito della Repubblica che non riconosce privilegi a nessun cittadino. Ho conosciuto in passato un impiegato  torinesissimo della Fiat  innamorato dei Savoia che aveva scritto sul biglietto Barone, se non ricordo male, di Castellammare di Stabia o comune limitrofo Conobbi anche un monarchico sabaudista  fiorentino a capo di una “legione azzurra”, che venne nominato conte da un Gran Duca di Toscana. In realtà ce n’è davvero per tutti i gusti . La norma 14^ della Costituzione è finale, ma non è affatto transitoria. Va ricordato che vige sempre anche oggi.
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Umberto al Principe di Piemonte di Viareggio
Ricordo la Sua proposta di porre nell’ hotel Principe di Piemonte di Viareggio un ritratto del principe Umberto di Savoia a cui era dedicato,ma vedo che nulla è accaduto .Mi sembrerebbe doveroso. Lei e’ rimasto uno dei pochi difensori della storia.  Carlo Ceruli
Feci la proposta che cadde nel vuoto assoluto. Non c’era in me nessun intento nostalgico ,anche se Umberto II lo frequentai più volte ,ebbi con lui uno scambio epistolare anche attraverso il ministro Lucifero.Quando mi sposai, Umberto  mi invio’ un suo dono di nozze .C’era , essendo stato cliente più volte dell’ hotel , la  sola  e ben viva consapevolezza di uno iato  tra le origini dell’ albergo e il suo presente del tutto sradicato dal suo passato che anche oggi ne giustifica il presente .Avevo proposto non solo una fotografia ,ma anche un breve testo che ricordi in modo “asettico” l’ultimo Re perché davvero con Umberto II è finita ,in modo moralmente altissimo ,la storia della Monarchia in Italia .Il suo esilio, per evitare una nuova guerra civile ,è storicamente riconosciuto da tutti o quasi gli storici
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Il caso Garlasco
Il caso Garlasco continua a dominare l’attenzione morbosa del pubblico dei delitti che c’e’ sempre stato. Pensiamo al caso Montesi che solo Pannunzio rifiutò di cavalcare contro il Dc Piccioni  che ebbe la carriera politica distrutta, malgrado l’assoluzione del figlio Piero. Mi sembra che sul caso Garlasco stiano esagerando.   Gabriella Filippini  Rossi
Concordo, anche se credo che la ricerca della verità almeno processuale sia una priorità anche molto  difficile da raggiungere dopo sentenze contrastanti e molti pasticci accomulatisi nelle  diverse indagini. Ma credo vada posto anche un altro problema: il costo che si sta dilatando a dismisura. Pongo il problema che alle persone di buon senso viene spontaneo. Quanto ci costa e ci è costato il caso Garlasco? Scrissi la scorsa estate che ero contro a chi voleva non riaprire il caso con argomenti poco credibili. Ma ogni caso non può neppure andare all’ infinito. La  povera Chiara Poggi ha tra l’altro anche il diritto al silenzio e non deve essere usata per diatribe che nulla hanno a che fare con la giustizia.

“Nuremberg”, Russell Crowe ha il viso e la supremazia di Göring

Ultime note dal Torino Film Festival

Testo poetico suddiviso in dieci stazioni, risalente al XII secolo, composto di versi e di immagini, libero di essere guardato e ascoltato, rappresentazione simbolica dello sviluppo spirituale all’interno della tradizione buddista Zen, “I dieci quadri del mandriano di buoi” del maestro Chan Kuòan Shīyuán è all’origine del nipponico “Black Ox” diretto dal quarantenne Tsuta Tetsuichiro e attraversato dalle ultime composizioni di Ryüichi Sakamoto: una delle opere più persuasive dell’intero Torino Film Festival, arrivato negli ultimi giorni di proiezioni, maestoso nella propria semplicità e in quel suo procedere lentamente per tappe, fissato per la quasi totalità in un eccellente bianco e nero, salvo aprirsi nelle scene finali nei colori che denunciano il completo immergersi dell’uomo nella bellezza della natura. Qui il percorso Zen è ambientato nel Giappone del secolo XIX, dove un cacciatore, perdute le proprie terre delle montagne, è costretto a scendere in pianura e a farsi mandriano, in una terra che sta vivendo una trasformazione sociale che porterebbe all’occidentalizzazione e alla perdita, da parte di molti, del legame con gli dei della natura e la propria spiritualità. Tra lavoro e religiosità, l’uomo cattura un grande bue nero, che nella piena solitudine diventa il suo unico compagno, una ricerca e una cattura e un’unione fatta di atti positivi e no, che vogliono rappresentare il cammino dell’uomo verso l’illuminazione o il vero Sé. Un film fatto di particolari preziosi, di raffinate soluzioni, delle illuminazioni di una filosofia che dovrebbe far riflettere. Ben diverse riflessioni deve impiegarle lo spettatore alla visione di “The Garden of Earthly Delights”, sguardo non solo amaro ma a tratti terrificante e disumano che ci arriva dalle Filippine (coproduzione olandese) a opera del regista Morgan Knibbe.

“Il film invita il pubblico a confrontarsi con una storia che troppo spesso abbiamo scelto di ignorare”, dice. E, nella personale convinzione, confessa, di un mondo in cui i corpi dei più deboli sono sfruttati, dove le fabbriche e le miniere, le piantagioni e i bordelli hanno schiacciato ogni rispetto, dove ci si accanisce verso i più vulnerabili, guardando all’Oriente e all’Occidente in un panorama combattivo di situazioni opposte, “ho iniziato a scrivere il film, cercando di spingere il pubblico a riconoscere e accettare l’umanità di chi è stato disumanizzato per secoli.” Mostrando il degrado con un obiettivo che non conosce limiti e non nasconde nulla, al centro l’olandese Michael, a Manila con l’intenzione di festeggiare il Natale con la ragazza conosciuta online ma, nel ritrovarsi tradito, pronto a scivolare in uno sfacciato turismo sessuale, tra lo squallore delle baraccopoli, tra le strade dove i ragazzini lottano per un sacco di immondizia, tra le luci del quartiere a luci rosse della città, tra gli eleganti alberghi per turisti con sul tetto la vasta piscina che guarda giù sopra quell’universo di poveri e incarogniti, nel caos assordante della strada. Si aggireranno attorno a lui l’undicenne Ginto che sogna di diventare un gangster e sfugge alla realtà di furti e di espedienti riempiendosi con il suo migliore amico Jojo di metanfetamine, mentre sua sorella Asia si prostituisce nella speranza di una vita in qualche modo migliore. Prostituzione giovanile e perversioni adulte, strade contorte verso un giardino delle delizie, con un racconto estremamente crudo, che non nasconde nulla, Knibbe si fa ammirare nel rendere in maniera esatta la discesa alla infelicità di tutti, i sensi di colpa, all’urlo fatto per sopravvivere, lo fa senza compiangere, senza accusare, lucidamente. Lasciando però in bocca più di un immenso amaro in bocca.

Nell’attesa dei premi che saranno decisi e distribuiti dalla giuria capitanata da Ippolita Di Majo, le ultime immagini del festival appartengono alla macabra apparizione di Herman Göring – che ha le sembianze ormai irrimediabilmente possenti di Russell Crowe, eccellente – in “Nuremberg”, scritto (è stato tra l’altro l’acclamato sceneggiatore di “Zodiac” di Fincher) e diretto da James Vanderbilt – qui alla sua opera seconda in qualità di regista, dopo “Truth – Il prezzo della verità”, 2015 -, a raccontare con parole ben lontane da quelle di “Vincitori e vinti” di Kramer la tragedia dell’Olocausto (con immagini di repertorio) e il giudizio che le nazioni vincitrici della terra ne dettero durante i giorni e il processo di Norimberga, Ribbentrop e Hess e Seyss-Inquart e gli altri a subire morti e ergastoli. Vanderbilt focalizza il proprio racconto sull’incarico che lo psichiatra americano Douglas Kelly (lo interpreta Rami Malek, meritato Oscar come Freddie Mercury) – un altro che non cede è il giudice della Corte Suprema degli States Robert Jackson (un validissimo Michael Shannon) – riceve allo scopo di valutare lo stato mentale dei prigionieri nazisti e di stabilire se essi siano idonei a sostenere il dibattimento per crimini di guerra. Affermativo: ma lui che è scivolato su un errore compiuto con il gentil sesso che ha le vesti di una curiosa giornalista che fa il suo mestiere ed è pronta a sottrargli notizie riservate, verrà estromesso. Salvo venire reintegrato nel dibattimento grazie a certi suoi studi che porteranno nuove luci sugli atti e sulla personalità del principale imputato. Costruendo in dialoghi che non hanno certo la sensibilità di un duello in punta di fioretto ma che scavano a fondo nella fredda ferocia del Reichmarschall, numero due del regime hitleriano, un duello sottile e psicologico, che scava in profondità, che mattone dopo mattone costruisce il progredire di un rapporto e le due personalità, che contribuisce a portare a una condanna che scavalcherà la morte per impiccagione, preferendo come la Storia ci ha testimoniato Göring darsi la morte con il cianuro – verremo a sapere nelle didascalie di coda che anche Kelly, colpito dai fantasmi di quella esperienza e datosi in seguito al bere, si tolse la vita allo stesso modo, nel 1958, dopo averne ricavato un volume che non ebbe alcun successo. Incisivo nel/per il racconto l’urlo che Göring getta in faccia a Kelly nel disperato tentativo di mantenere ben salda la sua supremazia, la sua eternità: “Io sono il libro, tu non sei altro che una nota a piede pagina!” Il film è in uscita natalizia, il prossimo 18 dicembre, vederlo è quasi un obbligo per ripassarsi una pagina di Storia, che dev’essere non dimenticata.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Russell Crowe come Göring in “Nuremberg”, e due momenti di “Black Ox” e di “The Garden”.

Rimi Cerloj firma la prima masterclass della stagione della Gypsy Academy

Rimi Cerloj, ballerino, acrobata, producer e coreografo di origini albanesi, residente da molti anni in Italia, è il protagonista della prima masterclass della stagione della Gypsy Academy di Torino, aperta  a tutti e in programma il 5 dicembre a partire dalle ore 9, fino alle 14, quando inizieranno le tre lezioni di tre livelli diversi aperte anche agli esterni.
Rimi rappresenta il fiore all’occhiello della produzione artistica contemporanea  con un’esperienza che spazia dal classico al moderno, all’hip hop, fino a giungere alla grande opera. Ha lavorato in numerose produzioni teatrali, operistiche e televisive a livello internazionale come interprete , ma anche come coreografo, art director e producer.
È noto per le sue performance in musical popolari come “Notre Dame de Paris” di Riccardo Cocciante, “Romeo e Giulietta ama e cambia il mondo”, e “Jesus Christ Superstar”, “Ben Hur Live” e ha collaborato con compagnie come l’Ensemble di Micha Van Hoecke.
Ha anche lavorato in programmi televisivi tra cui “Italia’s got talent”, “Domenica in” e “Zelig”
Tra le opere liriche è  stato in scena in produzioni di Aida, Macbeth, Traviata, Faust e Alceste e vanta anche collaborazioni con la compagnia “Danza prospettiva” di Vittorio Biagi.
Attraverso Rimi Cerloj i partecipanti avranno la possibilità di confrontarsi con le capacità di un interprete che ha attraversato in maniera trasversale ogni aspetto della danza e dello spettacolo in genere, imparare tecniche nuove e soprattutto, superare i propri limiti, immergendosi in uno spirito internazionale e di successo.

Mara Martellotta

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

40 secondi – Drammatico. Regia di Lorenzo Alfieri, con Francesco Gheghi e Francesco Di Leva. A Colleferro, in provincia di Roma, in una notte di inizio settembre, i gemelli Federico e Lorenzo uccidono il giovanissimo Willy, proveniente da Capoverde, un lavoro in un ristorante, per essere intervenuto a difendere un amico coinvolto in una lite. dall’aggressione alla morte del ragazzo trascorsero 40 secondi. Le ore che hanno preceduto quell’assassinio, le esistenze felici e sbandate, due gruppi di ragazzi, l’allegria le risate e il sopruso feroce, la prepotenza, l’amore verso una madre, due gemelli che vivono in simbiosi, nel male. Durata121 minuti. (Reposi sala 4)

Breve storia d’amore – Commedia. Regia di Ludovica Rampoldi, con Pilar Fogliati, Adriano Giannini, Andrea Carpenzano e Valeria Golino. Lea incontra Leo in un bar e ne diventa l’amante. La loro relazione clandestina, consumata in una stanza d’albergo, prende una piega sinistra quando lei inizia a infilarsi nella vita di lui, sino a consultare la moglie di lui. E c’è ancora l’altro coniuge su cui puntare l’attenzione. “Una piacevole digressioni sulle manovre sentimentali, in mano ai battiti di cuori femminili ma con responsabilità maschili. Ben scritta e recitata, la commedia è divertente ma non innocua, tira fuori dal cilindro un finale a doppia lettura, coinvolgendoci nella rincorsa del traditore. Rampoldi s’inventa una storia poco italiana nelle cadenze quasi esistenziali che coinvolgono le famose ragioni del cuore che il cervello ignora” (Maurizio Porro, Corriere della sera). Durata 100 minuti. (Massaua, Nazionale sala 3, Reposi sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Bugonia – Commedia / Fantascienza. Regia di Yorgos Lanthimos, con Emma Stone, Jesse Plemons e Alicia Silverstone. Due giovani ossessionati dalle teorie del complotto che decidono di rapire l’influente CEO di una grande azienda, convinti che sia un’aliena decisa a distruggere la terra. Convinti della sua natura extraterrestre, passano alla cattura e a un serrato interrogatorio. La situazione si complica quando la ragazza del giovane rapinatore, l’imprenditrice e un investigatore privato coinvolto nella vicenda si ritrovano intrappolati in una battaglia mentale ad alta tensione. La Stone nuovamente musa ispiratrice del regista di origini greche. Presentato a Cannes. Durata 120 minuti. (Fratelli Marx sala Harpo V.O., Greenwich Village sala 1 anche V.O., Reposi sala 4)

Buon viaggio, Marie – Commedia drammatica. Regia di Enya Baroux, con Hélène Vincent. Malata terminale stanca di curarsi, l’ottantenne Marie ha scelto di recarsi in Svizzera per sottoporsi alla procedura del suicidio assistito. Incapace di dire la verità al figlio Bruno, volenteroso ma inconcludente e senza una lira, e alla nipote adolescente Anna, si confida invece con il rude ma gentile assistente sanitario Rudy, il quale si ritrova suo malgrado alla guida del camper che porterà tutta la famiglia verso la Svizzera, dopo che Marie ha raccontato la bugia di eredità da riscuotere. Riuscirà la donna, amorevole ma inflessibile nella sua decisione, a dire la verità alle persone che ama e Rudy a dare una direzione alla sua vita? Durata 97 minuti. (Classico)

Cinque secondi – Drammatico. Regia di Paolo Virzì, con Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi e Galatea Bellugi. Chi è quel tipo dall’aria trascurata che vive da solo nelle stalle di Villa Guelfi? Passa le giornate a non far nulla ed evitando il contatto con tutti. E quando si accorge che nella vita si è stabilita abusivamente una comunità di ragazzi che si dedicano a curare quella campagna e i vigneti abbandonati, si innervosisce e vorrebbe cacciarli. Sono studenti, neolaureati, agronomi e tra loro c’è Matilde, che è nata in quel posto e da bambina lavorava la vigna con il nonno Conte Guelfo Guelfi. Anche loro sono incuriositi da quel signore misantropo dal passato misterioso: perché sta lì da solo e non vuole avere contatti con nessuno? Mentre avanzano le stagioni, il conflitto con quella comunità di ragazze e ragazzi si trasforma in convivenza, fino a diventare un’alleanza. E adriano si troverà ad accudire nel suo modo brusco la contessina Matilde, che è incinta di uno di quei ragazzi… Durata 105 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Eliseo, Nazionale sala 4)

I colori del tempo – Commedia drammatica. Regia di Cédric Klapisch, con Suzanne Lindon. Nella Francia di oggi, un gruppo di sconosciuti viene riunito in quanto discendente di Adèle, donna di fine Ottocento che dalla Normandia era partita alla volta di Parigi in cerca della madre che l’aveva abbandonata. Dovendo ispezionare la casa in rovina di Adèle per decidere che cosa fare della proprietà, gli emissari del pubblico mettono insieme pezzo dopo pezzo il lontano passato della loro famiglia. Parallelamente, durante la Belle Epoque, Adèle si avventura nella grande città assieme ai nuovi amici Lucien e Anatole, scoprendo una capitale nel vortice del cambiamento, tra zone ancora rurali e salotti della borghesia moderna, e tra le arti figurative e l’avvento della fotografia. Durata 124 minuti. (Nazionale sala 2)

Le città di pianura – Commedia. Regia di Francesco Sossai, con Filippo Scotti, Sergio Romano, Andrea Pennacchi e Robero Citran. Due spiantati cinquantenni sono ossessionati di bere l’ultimo bicchiere. Una sera incontrano un ragazzo, Giulio, timido studente di architettura e il modo di vedere il mondo e l’amore all’improvviso si trasforma pian piano mentre i tre girano tra i locali del Veneto. Durata 90 minuti. (Eliseo)

Die my Love – Drammatico. Regia di Lynne Ramsay, con Jennifer Lawrence, Robert Pattinson, Sissy Spacek e Nick Nolte. Grace, da poco tempo madre e scrittrice, sta lentamente scivolando nella follia. Si trasferisce da New York e si chiude in una vecchia casa in Montana, diventa sempre più nervosa e imprevedibile, mentre il suo compagno Jackson assiste impotente. Ha scritto Maurizio Porro nel Corriere: “il film ci parla della sofferenza della mente, portata ai limiti estremi, della terra di mezzo tra realtà e incubo, è affascinante e disturbante, poetico e molesto, nella eleganza delle inquadrature, nel fascino della natura la cui solitudine non è d’aiuto.” Durata 118 minuti. (Ideal, Nazionale sala 2, da domenica 30, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Dracula – L’amore perduto – Fantasy, horror. Regia di Luc Besson, con Caleb Landry Jones, Christoph Waltz e Matilda De Angelis. Transilvania, XV secolo. Il principe Vladimir, dopo la perdita improvvisa della sua amata, rinnega Dio, ereditando così una maledizione eterna: diventare un vampiro. Condannato a vagare per secoli, sfida il destino e la morte stessa, guidato da un’unica speranza: ritrovare l’amore perduto. Durata 129 minuti. (Massaua, Ideal, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Dreams – Drammatico. Regia di Michel Franco, con Jessica Chastain e Isaac Hernàndez. Fernando, giovane e talentuoso ballerino messicano, sogna il riconoscimento internazionale e una nuova vita negli Stati Uniti. Convinto che Jennifer, una raffinata filantropa dell’alta società americana e sua amante, lo sosterrà nel sostenere le sue ambizioni, decide di lasciarsi tutto alle spalle e mette in pericolo la sua vita pur di inseguire il suo sogno. Ma il suo arrivo finisce di sconvolgere il mondo attentamente costruito da Jennifer. Disposta a tutto pur di proteggere il futuro di entrambi e tutto ciò che ha costruito attorno a sé, Jennifer dovrà affrontare le conseguenze delle proprie scelte. Durata 100 minuti. (Eliseo)

Giovani madri – Drammatico. Regia di Luc e Jean-Pierre Dardenne. In una casa famiglia per giovani madri, Jessica, Perla, Julie, Naima e Ariane, tutte cresciute in circostanze difficili, lottano per ottenere una vita migliore per loro stesse e per i loro figli. Durata 105 minuti. (Nazionale sala 3)

Il maestro – Drammatico. Regia di Andrea Di Stefano, con Pierfrancesco Favino, Roberto Zibetti, Edwige Fenech e Tiziano Menichelli. Felice Milella ha 13 anni, un talento per il tennis e un padre pronto a sacrificare ogni cosa per fare di lui un campione – che il ragazzo voglia o no. Raul Gatti è un ex tennista un tempo arrivato agli ottavi di finale al Foro Italico, ma al momento in cura presso un centro di salute mentale. Raul pubblica un annuncio offrendosi come insegnante privato e il padre del ragazzo, ingegnere gestionale della SIP privo di grandi disponibilità economiche ma non di sogni di gloria, vede in lui l’uomo ideale per aiutare suo figlio a passare dai tornei regionali a quelli del circuito nazionale, facendogli da maestro accompagnatore. Felice si rende però presto conche che Raul potrebbe non aver nulla da insegnargli su un campo da tennis, ma forse qualcosa su come liberarsi dell’ingerenza paterna. Durata 125 minuti. (Massaua, Fratelli Marx sala Groucho, Greenwich Village sala 2, Ideal, Lux sala 3, The Space Beinasco)

Lo schiaffo – Commedia drammatica. Regia di Frédéric Hambalek. Julia e Tobias scoprono che la loro figlia Marielle ha inprovvisamente sviluppato capacità telepatiche e riesce a vedere e sentire tutto cio che fanno. Ciò porta a situazioni che vanno dall’imbarazzante all’assurdo, man mano che vengono rivelate scomode verità. Durata 90 minuti. (Romano sala 1, da domenica 30)

Springsteen – Liberami dal nulla – Drammatico/Biografico. Regia di Scott Cooper, con Jeremy Allen White e Stephen Graham. Il film segue il cantante nella realizzazione dell’album “Nebraska” del 1982, anno in cui era un giovane musicista sul punto di diventare una superstar mondiale, alle prese con il difficile equilibrio tra la pressione del successo e i fantasmi del suo passato. Inciso con un registratore a quattro piste nella sua camera da letto in New Jersey, l’album segnò un momento di svolta nella sua vita ed è considerato una delle sue opere più durature: un album acustico puro e tormentato, popolato da anime perse in cerca di una ragione in cui credere. Durata 112 minuti. (Greenwich Village sala 2 anche V.O.)

The Smashing Machine – Drammatico. Regia di Benny Safdie, con Dwayne Johnson e Emily Blunt. Film dedicato a uno sport cruento, un omaggio alla figura di un lottatore che ha guadagnato i più grandi successi negli States e nei tanti paesi del mondo per le sue competizioni, tra gli anni Novanta e i Duemila. Combattimenti difficili alleviati da una dipendenza dagli oppiacei, il rapporto con una compagna e la necessità del campione alla solitudine che gli consente di affrontare al meglio la propria carriera, l’aiuto nei momenti di maggiore difficolt da parte di un amico e rivale. Durata 123 minuti. (Centrale V.O., Fratelli Marx sala Chico V.O., The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco)

Un crimine imperfetto – Thriller. Regia e con Franck Dubosc, con Laure Calamy e Benoît Poelvoorde. Ambientato in un remoto villaggio del Giura, dove Michel e Cathy tirano avanti vendendo alberi di Natale. Con il figlio dodicenne Doudou, ragazzino con difficoltà, vivono in una vecchia fattoria tra montagne innevate, conti in rosso e sogni ormai sbiaditi. La coppia è allo stremo: troppe rate da pagare, troppe delusioni e un inverno che non sembra finire mai. Una sera, sulla strada del ritorno, Michel inchioda di colpo per evitare quello che sembra un orso sulla carreggiata. La manovra azzardata lo fa schiantare contro un’auto sul ciglio della strada, i cui passeggeri a bordo muoiono sul colpo. Preso dal panico, Michel chiama Cathy. Dopo un breve, gelido silenzio, decidono insieme di nascondere tutto. Mentre tentano di far sparire i corpi, nel bagagliaio dell’auto incidentata scoprono una borsa con oltre due milioni di euro in contanti. Quello che inizialmente sembra un miracolo natalizio si trasforma in un incubo a occhi aperti, innescando una serie di eventi caotici e assurdi. Ha scritto Maurizio Porro nelle colonne del Corriere della Sera: “Il problema è l’accumulazione dei fatti, tanti da sembrare un sogno, indagini e rimorsi, euro ed etica, un’alta tensione che si stempera in osservazioni di colore umoristico ma in un panorama notturno tenebroso, come se fosse tutto una paurosa favola per grandi.” Durata 109 minuti. (Greenwich Village sala 3)

Una battaglia dopo l’altra – Thriller, azione. Regia di Paul Thomas Anderson, con Leonardo Di Caprio, Sean Penn, Benicio Del Toro e Chase Infiniti. Un gruppo di ex rivoluzionari si riunisce quando un loro perfido nemico riemerge dal loro passato, dopo sedici anni di silenzio. Tra loro, Bob Ferguson, che ha sognato per anni un mondo migliore ai confini tra Messico e States. Appeso al chiodo l’artiglieria e il nome di battaglia, Ghetto Pat, fa il padre a tempo pieno di Willa, adolescente esperta di arti marziali. Tra una canna e un rimorso prova a proteggerla dal suo passato che puntualmente bussa alla porta e chiede il conto. Dall’ombra riemerge il colonnello Lockjaw, che più di ogni altra cosa vuole integrare un movimento suprematista devoto a San Nicola. Il gruppo avrà il duro compito di salvare la ragazza, che verrà rapita, prima che accada l’inevitabile. Durata 161 minuti. (Greenwich Village sala 3)

La vita va così – Commedia drammatica. Regia di Riccardo Milani, con Ignazio Mulas, Virginia Raffaele, Diego Abatantuono e Aldo Baglio. Il protagonista, un pastore sardo, abbandonato da moglie e figlia che si sono trasferite nel paese vicino, vive alla fine del millennio solitario in una casa che s’affaccia su una stupenda spiaggia dove le pecore possono pascolare. Non vuole assolutamente abbandonare quella propria casa: neppure quando un prestigioso gruppo immobiliare lo vorrebbe riempire di quattrini, nel progetto di costruire proprio in quel tratto di spiaggia un resort a cinque stelle. Ecosostenibile. Il responsabile del gruppo, al fine di convincerlo, manda sul posto Mariano, il capocantiere in cui ha piena fiducia: da quel momento Francesca, la figlia del pastore, si ritroverà tra la solidarietà nei confronti del padre e l’ostilità dei suoi concittadini. Durata 118 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Reposi sala 4, Uci Lingotto)

Un calendario per il centenario dello smemorato di Collegno 

Mercoledì 3 dicembre verrà presentato alle 11.30, presso la Città Metropolitana di Torino, nella sede di Corso Inghilterra 7, un calendario dedicato allo smemorato di Collegno, realizzato dal fotografo Michele D’Ottavio. Nel 2026, ricorrerà il centenario dell’inizio della vicenda riguardante lo smemorato di Collegno, portato nell’ospedale psichiatrico il 10 marzo 1926. Una vicenda diventata caso nazionale e internazionale, che ha travalica il semplice caso giudiziario e psichiatrico, appassionando l’opinione pubblica, e di cui gli echi non si sono ancora spenti. Nel corso degli anni, molte sono state le ricostruzioni della vicenda, a cura di storici e ricercatori che hanno contribuito a dare a questa storia un taglio universale, a partire dalla considerazione che essere senza memoria, senza storia familiare e civile e senza identità tra passato, presente e futuro, porta al completo sradicamento, fino al punto di chiedersi “dove sono?”, “chi sono?”, “da a dove vengo e dove vado?”. Proprio questo ha ispirato una considerevole produzione letteraria e cinematografica che va da Luigi Pirandello, con l’opera teatrale “Sono come tu mi vuoi”, al celeberrimo film con Totò e Macario, senza dimenticare Leonardo Sciascia e il film del 1984 “Uno scandalo per bene”. Cominciano le iniziative per celebrare questo centenario, per far scoprire e riscoprire la vicenda, mettendo in evidenza la collocazione storica, al periodo nella quale si è inserita e ai progressi scientifici di questo secolo. Il calendario sullo smemorato di Collegno, realizzato da D’Ottavio, contiene 12 immagini ibride, ricavate dalla documentazione fotografica custodita presso il Centro Documentazione sulla Psichiatria dell’ASL Torino 3, ospitato nel locale del Padiglione 8 dell’ex ospedale psichiatrico di Collegno, dove è conservata tutta la memoria documentale della vicenda, compresa la cartella clinica dello smemorato. Alla presentazione interverranno Jacopo Suppo, Vicesindaco della Città Metropolitana di Torino, Matteo Cavallone, Sindaco di Collegno, Clara Bertolo, assessore alla Cultura di Collegno, Carlo Conte, direttore amministrativo dell’ASL Torino 3, Simonetta Matzuzi, Vicepresidente della Cooperativa Immagine, Simone Fabiano, amministratore Sanitalia-Clinica della memoria e Michele D’Ottavio, autore e fotografo.

Ai partecipanti verrà data in omaggio una copia del calendario 2026.

3 dicembre-sede della Città Metropolitana di Torino- sala Panoramica del 15esimo piano – corso Inghilterra 7, Torino

Mara Martellotta

Chieri, si cena in convento per aiutare il Moncalvo

Camici bianchi nella chiesa di San Domenico, trasformata in una “sala operatoria”, con analisi istologiche e microclimatiche, tra ponteggi, fari e teli in nylon contro la diffusione di spore. I frati osservano e pregano sperando in una lieta notizia. Sotto le volte trecentesche di una delle più belle chiese del territorio è in pieno svolgimento una corsa contro il tempo per salvare due grandi tele di Guglielmo Caccia (1568-1625), detto il Moncalvo, aggredite da funghi killer che le stanno devastando. Biologi, restauratori e comunità scientifica sono al lavoro da settimane ma non hanno ancora formulato una diagnosi definitiva.
Un laboratorio di restauro è stato allestito dietro l’altare maggiore dove si trovano i dipinti per cercare di contenere muffe e funghi e prevenire nuovi attacchi. Le opere in questione sono due grandi tele seicentesche del Moncalvo, la Resurrezione di Lazzaro e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci. Già un anno fa furono segnalate le prime tracce di muffa e da allora il fenomeno è peggiorato. I funghi hanno già compromesso una parte delle superfici pittoriche. Peraltro la muffa killer, in misura meno letale, sarebbe comparsa anche su altri quadri del Moncalvo, al Museo della Diocesi di Torino e nell’astigiano. Per questo sono aumentate le analisi in laboratorio. Qualcosa si sa già sui killer dei quadri. Sono due i colpevoli. Le prime analisi puntano il dito contro un fungo che danneggia la cellulosa e una muffa che deve ancora essere etichettata dai biologi.
Le cause del deterioramento, ancora oggetto di studio, sarebbero da attribuire al microclima, alla ventilazione o ai materiali organici usati nel restauro precedente. Sta di fatto che l’opera di risanamento per riportare le tele alla condizione originale ha un costo molto alto, oltre 60.000 euro. Bisogna agire in fretta per combattere il degrado e a tal fine è partita una raccolta di fondi, con eventi vari, visite guidate e cene in convento, per finanziare il restauro di questi capolavori del Seicento. Per salvare questi due tesori d’arte è stato aperto il Fondo San Domenico presso la Fondazione della Comunità chierese (via Palazzo di Città 10 o in Piazza Mazzini 3 a Chieri) e chiunque può contribuire con una donazione. Pensando al Moncalvo, a 400 anni dalla sua morte, artista molto devoto, che con le sue opere contribuì a diffondere la fede e il messaggio cristiano in tutta la penisola. Giunti a Chieri alla metà del Duecento i frati domenicani iniziarono a costruire la loro chiesa con il convento che nei secoli fu ampliata e rimaneggiata e nel Seicento assunse più o meno l’aspetto attuale. Con il Duomo, la chiesa di San Domenico rappresenta il più significativo esempio d’arte gotica a Chieri. E nel primo Seicento il “Raffaello del Monferrato”, come è stato definito Guglielmo Caccia, lasciò ai religiosi una testimonianza straordinaria della sua arte, quelle due tele che oggi combattono contro un nemico terribile.
Filippo Re
nelle foto, la Resurrezione di Lazzaro, il ponteggio in chiesa e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Al Forte di Bard omaggio a Fernando Botero

Al Forte di Bard si apre sabato 29 novembre una importante retrospettiva su Fernando Botero, uno degli artisti più amati e riconoscibili del Novecento, con un progetto espositivo che porta in Valle d’Aosta oltre 100 opere tra dipinti, disegni, acquerelli, sculture e materiali inediti provenienti dalla collezione dell’artista.
La rassegna si intitola “Fernando Botero – tecnica monumentale”, ed è stata realizzata in collaborazione con 24 Ore Cultura e Fernando Botero Foundation. Curata da Cecilia Braschi, sarà aperta al pubblico fino al 6 aprile prossimo nelle sale delle Cannoniere del Forte aostano. All’indomani della grande retrospettiva che si è tenuta alcuni mesi fa a Palazzo Bonaparte, a Roma, questa esposizione offre un ampio excursus sulla produzione dell’artista colombiano, a poco più di due anni dalla sua scomparsa (morì il 15 settembre del 2023). La mostra mette in evidenza la straordinaria versatilità tecnica e l’unicità stilistica di Botero, ripercorrendone l’intera carriera a partire dagli anni Quaranta del Novecento fino alle ultime opere realizzate a Monaco tra il 2019 e il 2023. Si tratta di un’occasione preziosa non solo per rivedere i grandi classici del suo immaginario, ma anche per scoprire lavori mai esposti prima: schizzi preparatori, opere giovanili ancora poco note, materiali che permettono di entrare nel laboratorio creativo di un artista che ha reso la monumentalità un tratto fondamentale del proprio stile. Noto per le sue figure dalle forme piene, morbide e generose, Botero si è sempre dichiarato erede degli artisti del Rinascimento, in particolare di Piero della Francesca, ed era convinto che fosse necessario essere instancabili sperimentatori. Per questa ragione, nel corso della sua lunga carriera, sono molte le tecniche che ha utilizzato: dal pastello all’olio, dall’acquerello all’affresco, al disegno carboncino, all’inchiostro obistro, fino alla fusione del bronzo e alla lavorazione del marmo. L’esposizione mette in luce questa poliedricità, tratto inconfondibile della sua poetica. Secondo Botero, il disegno rappresentava la struttura, la pittura la pienezza e la scultura l’espansione e lo spazio. Esiste un fil rouge che lega tutta la sua opera, ed è rappresentato dalla forma e dal volume. Nella scultura si riscontra una fisicità potente, nel disegno una precisione assoluta di linea, nella pittura la presenza di grandi accordi cromatici. Tra le opere in mostra figurano “Autoritratto con Arcangelo” del 2015, in cui Botero si rappresenta nell’arte del dipingere, diverse versioni di “Leda e il cigno”, “Venere” e “Il ratto di Europa”, opere con le quali dialoga con la tradizione iconografica occidentale.

Il percorso espositivo si articola in aree tematiche contraddistinte dalla varietà dei temi trattati: la natura morta, il nudo, le feste popolari, e dallo studio approfondito che ha fatto della storia dell’arte. La sua opera, era convinto, derivante dall’arte etrusca, precolombiana e popolare, e dagli artisti del Trecento e Quattrocento italiano quali Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello e, tra i suoi contemporanei, anche Pablo Picasso. Non manca infine la dimensione maggiormente improntata all’impegno civile, con lavori come “Terremoto”, del 2000: una scena che evidenzia la capacità di Botero nell’affrontare temi drammatici senza rinunciare alla potenza iconica del suo stile. L’arte, per Botero, è sempre stato un atto d’amore nei confronti della bellezza, della memoria, della vita e dell’uomo.

Forte di Bard – via Vittorio Emanuele II, Bard

Marzo Martellotta