Cosa succede in città- Pagina 9

Andar di notte per gli spazi “immaginifici” dell’opera dell’Antonelli

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Per la prima volta, il torinese “Club Silencio” porta “Una notte al Museo” nel cuore della Mole Antonelliana, sede del “Museo del Cinema”

Giovedì 6 marzo, ore 19,30

Gli organizzatori di “Club Silencio” (Fondazione culturale torinese impegnata in progetti esperienziali atti a stimolare la partecipazione attiva dei giovani under 35 alla vita socio-culturale del territorio) la definiscono “un’esperienza unica tra musica, visite guidate e mostre straordinarie”. E così sarà certamente. L’iniziativa porta infatti, per la prima volta, il Progetto “Una notte al Museo” (che, dal 2017 ad oggi, ha guidato più di 280mila giovani in oltre 50 Musei tra Piemonte, Liguria e Lombardia) all’interno di quel grandioso “cono gelato a coda di sirena”, com’è stata bizzarramente definita la nostra “Mole” prodigio Antonelliano con i suoi 167,5 metri di altezza (“forse l’opera architettonica più geniale mai realizzata”, secondo Nietzsche), dal 2000 sede del “Museo Nazionale del Cinema”, in una suggestiva scenografia opera dell’architetto torinese Gianfranco Gritella e dello scenografo svizzero François Confino. Scenografia genialmente studiata attraverso un percorso espositivo che si sviluppa a spirale verso l’alto, articolato su più livelli che illustrano la storia del cinema attraverso manifesti, oggetti, spezzoni di film e scenografie spettacolari ed evocative, “che amplificano la meraviglia e la fascinazione che sono il cuore stesso della settima arte. Che notte, ragazzi, sarà dunque, quella del prossimo giovedì 6 marzo (dalle 19,30) per quanti vorranno aderire all’evento!

Il programma. Fino alle 21,30, “due guide specializzate” accompagneranno i partecipanti alla scoperta delle curiosità legate alla storia del cinema, dalle “lanterne magiche” alla “realtà virtuale”, oltre ad esplorare liberamente il percorso espositivo permanente.

La serata offrirà, inoltre, l’accesso a due “mostre temporanee” d’eccezione: “#Serialmania.Immaginari narrativi da Twin Peaks a Squid Game” – un viaggio attraverso le serie TV che hanno segnato la cultura pop dagli anni ’90 a oggi – e “The Art of James Cameron”, una mostra dedicata al visionario regista di “Titanic”“Avatar” e “The Terminator”, con oltre 300 opere originali tratte dal suo archivio personale, tra disegni, oggetti di scena e tecnologie 3D.

Ovviamente, non mancherà la possibilità di salire sulla “Mole Antonelliana” con l’iconico “ascensore panoramico”, per godere di una vista mozzafiato su Torino e l’arco alpino (posti limitati, biglietti acquistabili in loco).

Ad accompagnare l’evento, nella suggestiva “Aula del Tempio”, il producer torinese Kapowsky proporrà un “DJ set” che mescola Big Room, Percussive e Tech House, con influenze che spaziano da Mark Knight a Michael Bibi e a Chris Lake.

 

“Portare ‘Una Notte al Museo’ all’interno del ‘Museo Nazionale del Cinema’ – sottolinea Alberto Ferrari, presidente di ‘Club Silencio’ – è un traguardo che segna l’incontro tra due realtà accomunate dalla passione per la narrazione e l’esperienza immersiva. In questa prima edizione, la fusione tra cinema, arti visive e musica elettronica offrirà ai visitatori un modo nuovo di vivere il Museo: non solo come luogo di memoria, ma come spazio pulsante di creatività, dove ogni immagine e ogni suono diventano parte di un racconto collettivo. Siamo orgogliosi di scrivere insieme questa nuova pagina e di far vivere il ‘Museo’ in una veste inedita, aperta all’innovazione e al coinvolgimento del pubblico”.

 

E non è finita.

L’evento, infatti, sarà anche l’occasione per scoprire le aree più innovative del “Museo” di via Montebello, come la “Video Game Zone”, inaugurata nel 2024, e riconosciuta come una delle prime aree permanenti al mondo all’interno di un Museo dedicata ai videogiochi, che permette ai visitatori di immergersi nel mondo videoludico e comprenderne il processo creativo. “Con un allestimento unico al mondo, che combina storia, innovazione e spettacolarità, il ‘Museo’ non solo racconta l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma si afferma dunque come un polo di eccellenza per la ricerca, la divulgazione e l’incontro tra passato, presente e futuro del cinema a livello globale”.

Per info: “ Fondazione Club Silencio”, corso Massimo D’Azeglio 60, Torino; www.clubsilencio.it

g.m.

Nelle foto: immagini di repertorio Mole Antonelliana by night e Museo Nazionale del Cinema

La Mole colorata di viola contro il papilloma virus

Lo annunciano, durante un’audizione in Quarta, il coordinamento Lilt e le Associazioni Acto.

La Mole Antonelliana sarà colorata di viola il 4 marzo, per sensibilizzare i cittadini sulla prevenzione per combattere il tumore ovarico. Lo hanno annunciato in quarta Commissione Sanità, presieduta da Luigi Icardi, il Coordinamento regionale delle associazioni provinciali LILT (Lega Italiana per la lotta contro i tumori) e le Associazioni ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico e Cittadinanzattiva), sentite in audizione.

“La prevenzione è fondamentale per combattere il tumore ovarico – hanno spiegato – attraverso la vaccinazione e anche lo screening”. A questo proposito, come detto, il 4 marzo, in occasione dell’International HPV awareness day, è stato organizzato l’evento “La Mole dice il suo no all’HPV” colorandosi di viola.

L’oggetto dell’audizione erano le possibili iniziative di prevenzione e di contrasto dei tumori correlati al papilloma virus (HPV).

“Il tumore alla cervice – è stato detto dagli auditi – è il primo tumore che si può debellare attraverso una vaccinazione che in Piemonte è gratuita per gli adolescenti dai 12 anni. Questa possibilità potrebbe essere addirittura anticipata perché lo scopo è farla prima di iniziare ad avere rapporti sessuali. Sarebbe bene comunque farla gratuitamente a chiunque la richieda e non l’abbia fatta.”

Tra i numerosi consiglieri che hanno partecipato all’audizione, hanno posto quesiti agli auditi: Silvio Magliano (Lista Cirio), Alice Ravinale (Avs), Sarah Disabato (M5s), Daniele ValleLaura Pompeo e Gianna Pentenero (Pd) e Roberto Ravello e Davide Zappalà (Fdi), Vittoria Nallo (Sue),

 

Ufficio Stampa CRP

Polo del ‘900: Luoghi di memoria-comunità Yezida e spazio sacro

Sabato 1 marzo si è inaugurata al Polo del 900, a Torino, un’interessante mostra fotografica dal titolo “Luoghi di memoria-comunità Yezida e spazio sacro”. I materiali visivi esposti sono l’esito del lavori di Ghiath Rammo, archeologo aggregato alla missione archeologica italiana nel Kurdistan iracheno (disa sapienza).

Ghiath ha studiato sul campo le trazioni religiose e socioculturale degli Yezidi,  un popolo antico con una propria etnia, religione e cultura distintiva salita tragicamente alle cronache per l’immane genocidio portato a termine dal Daesh, meglio noto come Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, l’Isis. Una “pulizia etnica” dai risvolti del puro orrore (decapitazioni, crocifissioni, roghi), con donne violate, vendute e rivendute con tariffari disponibili su iphone di zelanti islamisti. Più recentemente – ci fa notare la giornalista Laura Schrader – oltre 400 yezidi residenti negli Stati Uniti hanno tentato una class action contro la multinazionale Lafarge – Holcim, rea di aver colmato di milioni di dollari le casse dell’Isis per mantenere aperto un suo cementificazione durante i giorni dello sterminio, notizia che va ben oltre le chimere complottiste, documentando le ingerenze occidentali nella politica bellica del Daesh. Gli yezidi sono anche infelicemente noti come “adoratori del diavolo”, a causa dell’adorazione portata a Melek Tā’ūs, l’angelo pavone, un’entità decaduta, mediatrice tra Dio e il Cosmo. Tale sciagurata definizione, dall’ambito orientale, ebbe una diffusione nel cosiddetto “tradizionalismo occidentale”. In breve si può dire che nel diciannovesimo secolo l’immaginario satanico assunse una forma differente sulla scia delle sfide religiose poste dal Romanticismo, dalla rivoluzione e dalle estetiche gotiche e decadentiste.

Tale satanismo formalizzato, trasformato dalla tradizione, operò non solo per opposizione, ma anche per inversione, come dimostra l’allora scandaloso poema di Baudelaire “Le litanie di Satana” del 1857. Un satanismo che Guènon identificava come “controiniziazione”. Nel contesto ottocentesco, ciò andava a intrecciarsi in modo considerevole con l’occultismo, con la magia e con le fascinazioni che giungevano dall’oriente, annunciate dal delirante Vathek, del 1785, di William Beckford, in cui affioravano elementi tipicamente iranici. In tale coinvolgimento si può ritrovare una certa relazione con il mondo naturale e con le forze sovrannaturali, attraverso i quali opposizione e inversione sono portate a compimento.

Nella presentazione della mostra sono stati notevoli gli interventi del Prof Adriano V. Rossi, Presidente dell’ISMEO Associazione di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, e del Prof Gianfilippo Terribili, Vicedirettore del MAICHI Missione Archeologica Italiana in Kurdistan iracheno.

Palazzo San Daniele – Polo del 900, piazzetta Antonicelli – 1-22 marzo 2025

Mara Martellotta

Euripide e “Le baccanti”, sotto l’occhio grottesco e irriverente dei Marcido

Sul palcoscenico del Gobetti, sino a domenica 9 marzo

La prima parola è “teatro” l’ultima “sipario”, nel mezzo ci stanno – nella scrittura irruente e irta di barocchismi, vulcanica e corrosiva, lontanissima da un colloquiale quotidiano, veloce in quei funambolismi grammaticali e linguistici che da decenni gli riconosciamo e ai quali Marco Isidori, per ognuno l’Isi, ci ha abituati – le note di regia: le leggiamo e le gustiamo, ci aprono (a tratti a fatica, quel tanto o quel poco che a lui piaccia) un mondo, le abbiamo lì davanti a noi per attraversare quella quarta parete che altrimenti ci impedirebbe di trascorrere piacevolmente e in modo sempre intelligente quegli 80’ sempre al galoppo. Ma ecco che l’Isi – solo come lui sa fare – ci spiazza nello spostare le pedine con troppa fretta, ci dice che “le note di regia non sono nient’affatto tali” perché gli sono uscite dalla penna svogliate e “nervosette”. Ma noi andiamo avanti perché da decenni sappiamo che quei funambolismi sono pur lì a farcelo amare, a chiarificare, a risplendere quello che non è soltanto lo spettacolo inventato per festeggiare il quarantennale dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, nati a metà degli Ottanta mentre il teatro italiano li guardava “sospettoso”, compagnia e gruppo di lavoro specialissimi, ma altresì una delle prove più convincenti e carismatiche di un lunghissimo percorso teatrale. Un percorso che s’è avviato con Genet e uno “Studio per le Serve”, che ha percorso la tragedia greca vincendo Eschilo su Sofocle per 3 a 1 (appuntamenti), guardando ad Andersen come a Dickens, scomodando Goldoni e Beckett e Joyce, ricorrendo a Copi e Pavese, Yehoshua e la “nuova certificazione del mondo di Suzie Wong”, panorami per ogni palato.

Instancabilmente. Addentrandosi ad ogni passo sempre più nella materia (improvvisa, impensata) e nella forma (affinata, ricercata, arrotata) con uno studio e un impegno e una ricerca, non certo “una pacificazione lacustre” ma una “perenne tempesta”, che non tante compagnie del “dopo Carmelo” hanno saputo portare avanti e reggere. Titolo lungo nell’affrontare questo primo Euripide – l’autore pose mano alla tragedia pochi mesi prima della morte, nel 407 a.C. -, “Istruzioni per l’uso del Divino Amore: mana enigmistico Le Baccanti di Euripide che “precipitano” a contatto del reagente ‘Marcido’”. È uno dei tanti “ordigni esplosivi” posti al centro dell’azione, che le parole e la gestualità da sempre cercate con il lanternino pirandelliano spinto a far luce sulla intera “realtà” teatrale fanno deflagrare, non avendo paura di mischiare grottescamente un Dioniso “tirabuscion” da canzonetta partenopea d’inizio secolo (l’altro), con tanto di fondale tra Vesuvio e acini d’uva pronti a scoppiare, con tanto di stivaletti rossi e un tacco alto così che farebbe l’invidia di donna Santanchè, mentre si tenta di strimpellare sui tasti di uno sfuggente pianoforte, e la tragedia dello smembrato Penteo. La fake news da parte del re secondo cui il dio non sarebbe figlio di Zeus ma una semplice scappatella di Semele con un comune mortale, la divina discesa in Tebe per rimettere a posto le cose mentre le donne della città sono salite sul Citerone, in preda a follia, a celebrare riti in onore del dio, la perseveranza negativa di Penteo e una vendetta che racchiude in sé la tragedia di un terremoto, le donne in veste di Baccanti pronte a devastare villaggi e armenti e a infierire sul corpo dello sfortunato sovrano: questo Euripide. Isidori ne fa una “riscrittura”, un “più aguzzo trattamento letterario”, “cartavetrando” i versi dell’autore greco, con un’operazione in cui far chimicamente “precipitare” la tragedia “in una dimensione che parli la lingua” a cui i Marcido sono avvezzi e padroni.

Un dio impietoso e un tiranno che non rivedrà mai le proprie convinzioni, irrazionale e caparbio, si fronteggiano mentre la follia circola attraverso le strade della città e coloro che la abitano, umanità e religiosità, terreno buono per i Marcido, ancora Bene e Male, eccellente per un loro ampio giro d’orizzonte. Al primo sguardo in palcoscenico, è la reggia di Penteo a colpire, frastagliata e segmentata, ultimo esempio del lavoro di Daniela Dal Cin, già premio Ubu nella lunga storia e varie altre candidature, una nuova macchina teatrale, una reggia che ha più il sembiante d’un palazzo per affari in Wall Street che un reperto archeologico immerso nella leggenda, uno stralcio d’architettura che si fa montagna da raggiungere attraverso quella “scalinatella” che gli sta alla base: e a lei si devono pure le macabre bandiere a mostrare i brani del corpo martoriato o quelle che, uscendo dalle tute bianche degli attori, guardano alla natura che circonda gli eccidi delle Baccanti ormai fuori di senno, come le fantastiche Maschere/Bocca, ennesimo sberleffo. Nella alta bellezza visiva dello spettacolo, s’impone ancora una volta – rischierò di ripetermi, ma le parole sono qui un personale omaggio alla genialità di Isidori e dei suoi compagni (anche questa volta “Marcido at work”, come stava scritto sulle magliette nel “Davide Copperfield” di un paio d’anni fa), alla loro passione, al desiderio di sviscerare l’anima di una professione – la tessitura vocale (“una condizione recitante distante mille miglia dalla loquela cinguettante che climatizza imperversando misera la miseria del presente scenico”, parola dell’Isi) che attraversa il nuovo componimento, il “Coro Marcido”, dove il concerto di voci s’inarca e si spezza, s’arrotonda, si lancia e s’affievolisce e si curva per riprendere spazio in alto. Il gusto e il luogo imperante della parola, un pentagramma su cui destreggiarsi, una colonna sonora all’unisono, in un rito che non può non frastornare lo spettatore presente; e con questi l’esattezza del gesto e del movimento, dove tutto diventa un balletto ad orologeria, di geometrica precisione.

Attorno alla reggia, il Dioniso eccellente di Paolo Oricco, che si gioca una presenza e un personaggio e una manciata di assolo in maniera davvero perfetta, Maria Luisa Abate che è Tiresia dalle aperte profezie, Isidori e Alessio Arbustini che condividono il messaggero narratore e, in bella presenza che emerge con un suo personale gran peso, Ottavia Della Porta che è un protervo e tragico Penteo, entrata con prepotenza nel cono della lente approntata da Isidori. Per terminare con Valentina Battistone e Alessandro Bosticco. Tutti quanti a pigiare il pedale di un grottesco intelligentemente inteso in cui l’Isi continua a buon diritto a essere considerato un Maestro della scena italiana.

Ricordiamo che mercoledì 5 marzo, alle 17,30, Marco Isidori, Daniela Dal Cin e gli attori della compagnia dialogano con Armando Petrini (DAMS/Università di Torino) e Oliviero Ponte di Pino (Associazione Culturale Ateatro) sui “Quarant’anni di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa (1985 – 2025)”. Nel corso dell’incontro verranno presentati i due volumi relativi alla ricerca teatrale dei Marcido: “Marcido 2006 – 2025”, Torino, Assessorato alla Cultura, 2025 e “Vortice del Macbeth, AmletOne! Lear, schiavo d’amore”, Pisa, Titivillus, 2025. Ingresso libero, prenotazione online obbligatoria. www.teatrostabiletorino.it/retroscena. Info Centro Studi tel. 011 5169405 – centrostudi@teatrostabiletorino.it

Elio Rabbione

Nelle foto di Giorgio Sottile, alcuni momenti dello spettacolo.

La Cartolina postale… che storia, ragazzi!

In mostra, alla “Palazzina di caccia” di Stupinigi “I Savoia in cartolina, dal 1900 al 1915”

Dal 4 marzo al 6 aprile

In rassegna troviamo anche, assoluta rarità (dal valore affettivo inestimabile, per i più agguerriti collezionisti), la “prima Cartolina postale”italiana datata 1874 e indirizzata “All’Ill.mo Signor Sindaco del Comune di Fivizzano (Prov. Di Massa Carrara)”; cartoncino rigido di 11,4 x 8 cm. col profilo del primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II stampigliato in alto a sinistra e la dizione “Cartolina postale”, il valore dell’affrancatura in lettere e lo “Stemma Sabaudo” centrati in alto. Oggi in un’era del digitale, che di più non si può, a qualcuno verrà pure da sorridere, se non da ridere, di fronte a quello sconosciuto “reperto archeologico”. Se ai nostri figli o – per chi come me ha qualche anno di più sulla gobba – ai nostri nipoti, si dovessero mai citare, pur sillabandole, quelle due paroline “car-to-li-na / po-sta-le”, penso che l’effetto sarebbe lo stesso che farli assistere al surreale atterraggio di un “UFO” in pieno centro città. Bocca aperta e occhi sgranati! Car-to-li-na / po-sta-le?. E subito a cercare on line. Per carità, lasciamo stare!

Comunque sia, per quanti ben conoscono e hanno vissuto quelle due semplici semplici paroline, ma anche (e perché no?) per tutti gli ignari, per gli appassionati e i tanti collezionisti, si sappia che la “Palazzina di Caccia” di Stupinigi, nel “Corridoio di Levante”, mette in bella mostra, da martedì 4 marzo a domenica 6 aprile, ben 270 “Cartoline illustrate” in cui si racconta la storia, italiana ed europea, ripercorrendo le vicende umane, politiche, militari e dinastiche comprese nel periodo 1900 – 1915.

Ecco, dunque, le immagini di Margherita di Savoia (prima Regina consorte d’Italia) e in seguito quelle del figlio Vittorio Emanuele III, stampate sulle cartoline postali del “Regno d’Italia”, raccontare i primi incontri con il presidente della Repubblica Francese Loubet,Edoardo VII d’Inghilterra, lo Zar di Russia Nicola II, e ancora la guerra italo-turca, l’iconografia sabauda del tempo con le raffigurazioni del Re d’Italia nei suoi molteplici impegni istituzionali, fino ad arrivare alla “satira” che colpirà Umberto I, tra il 1914 ed i primi del 1915, quando il monarca sabaudo rifiutò di entrare in guerra accanto alle potenze della “Triplice Alleanza”, alleate mai amate dallo stesso ed in seguito responsabili del primo grande conflitto mondiale della storia.

Certo è che quel pezzo di “cartoncino illustrato”, conosciuto più semplicemente come “intero postale”, cambiò drasticamente il mondo dell’informazione (ogni epoca ha, in ciò, i suoi strumenti!) e dei rapporti interpersonali.

L’idea rivoluzionaria per i tempi, di permettere a tutti di poter inviare missive brevi, evitando di acquistare il classico foglio di carta, la busta ed il francobollo, sostituiti da un piccolo cartoncino già tassato, venne in primis proposta dal “Consigliere delle Poste” prussiano Heinrich von Stephan nel 1865 al suo stesso governo, il quale ignorò il progetto giudicato “immorale” da una nutrita truppa di parlamentari conservatori.

A “copiare” l’idea fu, invece, il professore diEconomia all’“Accademia Militare Teresiana”, l’austriaco Emanuel Hermann, che trovò al contrario favorevole riscontro nelle “Poste Viennesi”. Era il 25 settembre 1869.

Il “Regno d’Italia” introdusse l’“intero postale-cartolina” nel 1873, così qualche mese più tardi, nel gennaio 1874, anche gli italiani poterono sperimentare l’utilità del nuovo provvedimento, di cui si stavano ormai dotando tutti gli Stati del mondo. Ma, da noi,  la “vera rivoluzione artistica postale” avvenne nel momento in cui la parte del cartoncino dedicato fino ad allora alla scrittura, venne sostituita con le immagini, in bianco e nero, a seconda del tema scelto dall’editore romano “Danesi”. Il vero, grande successo arrivò però quando apparvero le prime cartoline postali con immagini a colori che concentrarono, in Italia, molto tipografie sull’avvenimento più importante di quel tiepido ottobre del 1896, ovvero le nozze tra il Principe di Napoli ed  erede al trono Vittorio Emanuele III e la principessa Elena del Montenegro (“la gigantessa slava”), che sarebbero saliti all’altare il 24 dello stesso mese.

È l’inizio di un nuovo corso editoriale ed artistico che cambierà il modo di dialogare per iscritto tra gli italiani, con formati dell’“intero postale” che cambiarono diverse volte nel corso degli anni (quanti di noi se ne sono serviti!) e che, dopo una pausa dal 2014, fu ripreso da “Poste italiane” nel dicembre 2017.

Gianni Milani

“I Savoia in cartolina, dal 1900 al 1915”

Palazzina di Caccia di Stupinigi, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi-Nichelino (Torino); tel. 011/6200601 o www.ordinemauriziano.it

Fino al 6 aprile

Orari: da mart. a ven. 10/17,30: sab. dom. e festivi 10/18,30

 

Nelle foto: Cartoline Postali in mostra

Un omaggio a Carlo Collodi con il progetto Pinocchio al teatro Carignano. Per grandi e piccini

Dal 15 febbraio scorso, quando ha debuttato in prima nazionale, fino all’11 maggio prossimo sarà protagonista della stagione del Teatro Stabile una nuova produzione di Pinocchio, personaggio creato dalla penna di Carlo Collodi. In occasione del bicentenario della nascita dell’autore (2026) il teatro Stabile di Torino rende omaggio, con questa nuova produzione, all’autore del celebre romanzo per ragazzi. Il progetto Pinocchio avrà durata biennale, articolato in due tappe e si concluderà nel 2026.

Questo allestimento si avvale della regia di Marta Cortellazzo Wiel , che ha deciso di rappresentare la storia di Pinocchio, una storia senza tempo, come una ricerca universale di identità e apparenza, una metamorfosi capace di coinvolgere grandi e piccini, in cui leggerezza e profondità trovano un perfetto bilanciamento.

La regista si avvale di un cast di talento che comprende Paolo Carenzo, Hana Daneri, Christian di Filippo, Celeste Gugliandolo, Marcello Spinetta e Aron Tewelde. La scenografia è firmata da Fabio Carpene e i costumi sono di Giovanna Fiorentini, capaci di creare un’atmosfera suggestiva che si sposa perfettamente con le musiche di Celeste Gugliandolo e i suoni di Filippo Conti.

La regista Cortellazzo Weil ha spiegato che ha integrato i richiami alle maschere della commedia dell’arte ai linguaggi popolari, venendo così ad alternare momenti magici ad altri altrettanto poetici.

Nel mese di marzo le recite di Pinocchio al teatro Carignano, fuori abbonamento, si replicheranno martedì 4, sabato 8 e sabato 22 marzo, sempre alle ore 16.

 

Mara Martellotta

C/Art l’arte di giocare con l’automobile in mostra al Museo Nazionale dell’Auto

Il Museo Nazionale dell’Automobile presenta in Project Room, dallo scorso venerdì 31 gennaio a domenica 18 maggio, la mostra dal titolo “C/ART. L’arte di giocare con l’automobile”, dove C sta per car e ART per arte.

L’esposizione, realizzata da Robert Kuśmirowski e curata da Guido Costa e Davide Lanzarone, consiste in un’installazione ambientale nella quale l’artista polacco, esponendo automobili giocattolo e vetturette provenienti da diversi musei e collezioni Italiane, crea un dialogo inedito tra arte e memoria storica automobilistica. L’opera è il risultato di un intenso lavoro di coprogettazione e collaborazione tra Kuśmirowski, i collezionisti e lo staff museale, e rappresenta una carta bianca concessa all’artista che è intervenuto nello spazio, recando una ricostruzione Immaginaria dello spirito del collezionista di automobili.

Il visitatore è accolto in uno spazio volutamente eccentrico e disordinato, con un eccesso di modelli incompleti, strumenti consunti e macchinari quasi dimenticati. Vecchie reti metalliche sostituiscono le tradizionali scaffalature, evocando l’atmosfera di una officina caotica di un bizzarro collezionista. Il percorso si sviluppa gradualmente verso l’idea di esposizione perfetta. Gli oggetti trovano ordine, senso, e celebrano il passaggio dall’infanzia a una forma di collezionismo maturo e consapevole. In questa trasformazione, si è immersi in una riflessione sulla memoria e sul significato dell’automobile come oggetto di culto. Da un accumulo appassionato e compulsivo tipico dell’età infantile a una sistematizzazione ordinata dei pezzi collezionati: la mostra esplora l’evoluzione del collezionista e del valore affettivo degli esemplari di cui va alla ricerca con dedizione.

“Ogni automobile giocattolo, sia essa a pedali, motorizzata – elettrica o con un piccolo motore a scoppio – realizzata in scala ridotta, è un piccolo capolavoro di ingegneria, con meccanismi che spesso consentono ai modelli di muoversi, di suonare o di attivarsi attraverso l’energia meccanica. Il valore di questi oggetti non è solo economico, ma anche storico, perché attraverso di essi è possibile riscoprire i gusti, le tendenze e le innovazioni tecnologiche di una determinata epoca “ afferma il curatore Davide Lorenzone.

Le vetture esposte coprono un periodo che va dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Novanta del Novecento. Tra i tantissimi modelli in mostra – circa duecento- la “ Lucciola di Piero Patria”, una vettura giocattolo con motore elettrico, prodotta a Torino tra il 1948 e il 1949, in soli duecento esemplari, la minuziosa riproduzione in scala – precisa in ogni singolo dettaglio- costruttivo e funzionale- di un trattore a vapore risalente agli anni Dieci del Novecento; la locomobile a vapore Marshall & Co, modello funzionante in scala 1:4, realizzato artigianalmente da Pietro Abbà nel secondo dopoguerra. Accanto a queste, una collezione più contemporanea di modelli di automobili sportive iconiche, modelli promozionali e ricostruzioni artigianali. Solo per citarne alcune, la Ferrari F1 della Toschi, che era vendita con una bottiglia di liquore al suo interno, la Lancia D 24 della Mercury di cui un esemplare è presente nella collezione del Museo, il modellino in legno del camion che pubblicizzava il CYNAR e i quattro modelli della Marklin ( Berlina, Coupé, auto corsa e autobotte), spettacolari e ancora oggi molto ambiti dai collezionisti.

 

Mara Martellotta

Al MAO l’antico Giappone dei “venditori di fiori” raccontato da Linda Fregni Nagler

“Hanauri”

Fino al 4 maggio 2025

In una suggestiva atmosfera d’altri mondi e remote culture, si inserisce il nuovo progetto espositivo “Hanauri. Il Giappone dei venditori di fiori” realizzato – all’interno del programma di riallestimento della “Galleria Giapponese” delle  collezioni permanenti – dal “MAO” di Torino e dedicato alla creatività, in ambito fotografico, dell’artista svedese (residente a Milano) Linda Fregni Nagler, già ospite del “Museo” di via San Domenico, nello scorso novembre con la performance “Things that Death Cannot Destroy”. L’evento espositivo, aperto al pubblico fino a domenica 4 maggio 2025, prende spunto e curioso stimolo dal meticoloso approccio di selezione, rielaborazione e riattivazione, da parte della Fregni Nagler (oggi docente di “Fotografia” all’“Accademia Carrara” di Bergamo e presso l’Università “IULM” di Milano) di fotografie giapponesi della cosiddetta “Scuola di Yokohama Shashin”, datata al “periodo Meiji” (1868 – 1912) e consistente in “fotografie all’albumina” colorate a mano da artisti locali, influenzati da fotografi occidentali approdati in quegli anni in Giappone come Felice Beato (fotografo italiano naturalizzato britannico, fra i primi a lavorare in Asia orientale), il barone austriaco Raimund von Stillfried e il vicentino Adolfo Farsari che espatriò in Giappone nel 1873. Le fotografie originali, raccolte nell’arco di vent’anni dall’artista e proposte in mostra al “MAO” per la prima volta, sono affiancate alle opere personali di Linda Fregni Nagler, che ha “rifotografato” le albumine originali, stampandole in “camera oscura” e colorandole a mano con una tecnica simile a quella dell’epoca, dotando le “nuove” immagini di “nuovi” significati e proponendo al pubblico un “nuovo” preciso modo di guardare all’esotismo e all’alterità.

Il soggetto indagato, per l’occasione, al “MAO” è quello degli “Hanauri” o “Venditori di fiori”, una categoria molto apprezzata di ambulanti (“bōtefuri”) nel Giappone dei “periodi Edo (o Tokugawa)”, 1603-1868, e “Meiji”.

In mostra troviamo esposte 26 “albumine” di metà Ottocento, appartenenti alla collezione Fregni Nagler, unitamente a sei grandi “stampe ai sali d’argento”, colorate a mano dall’artista e a 4 “positivi su vetro” visibili attraverso due “visori”.

Accanto a queste opere sono collocate tre xilografie che declinano l’iconografia dei “venditori di fiori”: la rappresentazione dei mesi primaverili – l’illustrazione del mese di aprile di Utagawa Kunisada, proveniente dal “Museo Orientale” di Venezia – “All’ingresso del tempio di Kanda” di Koikawa Harumachi dal “Museo Orientale E. Chissone” di Genova e “Toyokuni III” sempre di Utagawa Kunisada, dalla serie “Sei venditori nelle sere d’estate”, da una collezione privata.

Al centro sempre il “tema floreale”, particolarmente caro ad un Paese che ha saputo inventare con l’arte dell’“Ikebana” (VI secolo d. C.) un “atto di mindfulness” capace di trasformare la disposizione dei fiori “in un’autentica esperienza di introspezione e ricerca” artistica e spirituale. E tema che in rassegna al nostro “MAO” trova anche un’ulteriore declinazione nei preziosi tessuti “kesa” (ocra o arancione, tipici della veste dei monaci buddhisti), risalenti al “periodo Edo”, e nei “kimono” che arricchiscono l’esposizione, uno proveniente da “Palazzo Madama” e due esemplari dal “MAO” di Venezia, oltre a tre “lacche” (oggetti d’arredamento) pregiate e tre “kakemono” (dipinti o calligrafie a rotolo) firmati Yanagisawa KienKawamura Bunpō e Tomioka Tessai (dei periodi “Edo” e “Meiji”) in prestito da una collezione privata.

“Il ‘riallestimento della galleria giapponese’ – sottolineano i responsabili – è inserito nel programma espositivo del ‘MAO’ che, attraverso prestiti provenienti da collezioni di arte asiatica – pubbliche e private, nazionali e internazionali – intende stimolare nuove riflessioni e narrazioni intorno al patrimonio del Museo; ‘Hanauri’ è anche parte del progetto ‘#MAOtempopresente’, che utilizza l’arte contemporanea come mezzo di interpretazione e valorizzazione delle collezioni attraverso l’inserimento di opere contemporanee e produzioni site-specific realizzate all’interno del programma di residenze attivo dal 2022”.

In parallelo al progetto espositivo nelle gallerie, le “tre armature giapponesi” della collezione, datate tra la fine del XVII e la prima metà del XIX secolo, sono state riallestite nella cornice di “Salone Mazzonis”, dove saranno oggetto di un “restauro conservativo” aperto al pubblico a partire dal prossimo gennaio.

Gianni Milani

“Hanauri”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 4 maggio

Orari: da mart. a dom. 10/18; lunedì chiuso

 

Nelle foto: Linda Fregni Nagler “Flower Gardner” e Flower  Seller”, hand colored gelatin silver print, 2018; Particolare allestimento (Ph. Edoardo Piva); Koikawa Harumachi “All’ingresso del tempio di Kanda”, xilografia policroma, XIX secolo

Una navetta autonoma  per testare strategie di controllo del traffico

 

La navetta automatizzata del progetto europeo IN2CCAM sta circolando per le strade di Torino dove sta affrontando il traffico cittadino in condizioni reali. Un test cruciale per valutare le sue prestazioni e la capacità di adattarsi a diverse situazioni urbane. La sperimentazione proseguirà ancora fino a marzo.

Il 27 febbraio, a Torino si è tenuto l’Awareness Event del progetto che ha riunito i partner coinvolti oltre a numerosi stakeholder locali e internazionali.

Un progetto europeo per la mobilità del domani

Finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del programma Horizon Europe, IN2CCAM coinvolge 21 partner provenienti da 10 Paesi diversi e mira a rivoluzionare la mobilità urbana attraverso soluzioni di trasporto più sicure, sostenibili e intelligenti. Il progetto, coordinato dal Politecnico di Bari, si svolge in quattro città pilota: Torino, Tampere (Finlandia), Trikala (Grecia) e Vigo (Spagna), con ulteriori test digitali a Bari e nel Quadrilatero in Portogallo.

Torino, laboratorio di innovazione

La sperimentazione torinese punta a: estendere l’ecosistema urbano della mobilità cooperativa, connessa e automatizzata (CCAM), una delle frontiere più avanzate dei trasporti intelligenti; testare nuove strategie dinamiche di gestione del traffico, per ridurre la congestione e migliorare la fluidità della circolazione; valutare l’impatto delle tecnologie di mobilità autonoma su strade e infrastrutture urbane.

Il Living Lab di Torino è coordinato da TTS Italia (Associazione Nazionale per i Sistemi Intelligenti di Trasporto), con il supporto dei due partner locali 5T srl (la società partecipata del Comune di Torino specializzata in smart mobility) e Fondazione LINKS (Fondazione senza scopo di lucro che opera nell’ambito della ricerca applicata, dell’innovazione e del trasferimento tecnologico). Collaborano al progetto anche la Città di Torino, che ha avuto un ruolo molto importante nella gestione delle autorizzazioni e del supporto logistico, GTT S.p.A., che fornisce gli operatori di sicurezza necessari alla supervisione della navetta automatizzata e si occupa della sua manutenzione e, infine, Ohmio, il fornitore del veicolo automatizzato.

Un percorso nel cuore di Torino

La navetta automatizzata percorre un circuito ad anello di circa 5 km che si snoda tra Via Genova, Via Ventimiglia, Corso Spezia e Corso Maroncelli, con deviazioni dinamiche in base al traffico. Lungo il percorso sono presenti 17 incroci semaforizzati, di cui 14 già abilitati alla trasmissione in tempo reale delle fasi semaforiche e 2 capaci di offrire priorità semaforica alla navetta. Inoltre, il tracciato include 11 fermate del trasporto pubblico locale, 4 stazioni della metropolitana e 6 parcheggi connessi al sistema di gestione del traffico cittadino.

Un viaggio verso il futuro appena iniziato

Con IN2CCAM Torino si conferma città d’avanguardia nella sperimentazione di soluzioni per una mobilità più intelligente, connessa e sostenibile. La navetta Ohmio Lift non è solo un mezzo di trasporto, ma un laboratorio in movimento per progettare la città del futuro.

L’Awareness Event del progetto a Torino

Torino ha ospitato l’Awareness Event del progetto IN2CCAM, un’importante occasione di confronto tra istituzioni, esperti di mobilità e partner di ricerca. L’evento è stato aperto dai saluti istituzionali di Fabrizio Arneodo di 5T, seguiti dagli interventi del Direttore Generale di Fondazione LINKS, Stefano Buscaglia, e dell’Assessora alla Mobilità del Comune di Torino, Chiara Foglietta, che hanno sottolineato l’importanza della collaborazione tra enti pubblici e privati per il successo della sperimentazione.

La giornata è proseguita con sessioni tecniche dedicate al Living Lab di Torino e, in particolare, alle infrastrutture di trasporto e alle simulazioni avanzate per l’ottimizzazione del traffico urbano. Nel pomeriggio, presso il Parcheggio Bacigalupo di GTT, si è svolta la dimostrazione della navetta autonoma Ohmio Lift. L’iniziativa conferma il ruolo strategico del progetto IN2CCAM nel promuovere soluzioni innovative per una mobilità sempre più sicura, sostenibile e connessa.

TORINO CLICK

Rock Jazz e dintorni a Torino: Emma Nolde e Renato Borghetti Quartet

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì.  Al Blah Blah suona la Matsumoto Zoku Band.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana si esibisce Federica Gerotto Quintet. Al Vinile è di scena Paolo Antonelli.

Giovedì. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Alberto Bianco. Al Capolinea 8 suonano Skulla & Gianluca Bargis. Al Vinile è di scena Defector. A Piazza Dei Mestieri suona la band Le Storie Sbagliate, per un omaggio a Fabrizio De Andrè. Al Blah Blah si esibisce il Babajack Duo.

Venerdì. Al Magazzino di Gilgamesh suona Lebron Johnson & Andy Pitt Band. Al Circolo Sud sono di scena i Varylem. Al Peocio di Trofarello suona David Ellefson. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Emma Nolde. Alla Divina Commedia è di scena Dario Lombardo & The Blues Gang. Al Folk Club suona  il Renato Borghetti Quartet. Al Magazzino sul PO si esibisce Lorenzo Kruger. Al Blah Blah sono di scena i The Sick Rose. Allo Ziggy suonano i Distorsione Armonica Totale +Fangosberla.

Sabato. Alla Divina Commedia si esibiscono gli Italian Graffiti. Allo Spazio 211 è di scena Francesco Di Bella. Al Blah Blah si esibiscono i Fiori + Calantha. Allo Ziggy suonano i Fucktotum +Bone Rattler.

Domenica. Alla Divina Commedia è di scena il trio Girinsoliti. Allo Ziggy suonano gli Infected+ Hedonic Lust.

Pier Luigi Fuggetta