Cosa succede in città- Pagina 9

“Henri Cartier-Bresson e l’Italia”. La mostra sul pioniere del fotogiornalismo

The Password, UniTo oltre gli asterischi

Con questo primo articolo si apre la collaborazione tra Il Torinese e The Password. Ma cos’è The Password? Siamo il giornale degli studenti di Torino. Ci trovate su Instagram come thepasswordunito, dove ci impegniamo a pubblicizzare i nostri articoli, riguardanti i temi più vari. La nostra associazione è organizzata al suo interno in diversi team, che cooperano, occupandosi di ogni aspetto del lavoro che si svolge dietro le quinte di un giornale: dalla redazione alla correzione, dai social fino al nostro podcast Oltre lInchiostro. La collaborazione consisterà in una rubrica settimanale dal titolo The Password: Torino oltre gli asterischi”, che parlerà di giovani e cultura a Torino. In questo articolo di apertura parliamo della mostra fotografica su Cartier-Bresson.

A Torino, dal 14 febbraio al 2 giugno, si tiene presso CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia una mostra fotografica che indaga il rapporto tra il fotografo francese Henri Cartier-Bresson e lItalia.

Bresson nasce nel 1908 a Chanteloup, vicino a Parigi. Cresce nellambiente dellalta borghesia e ha accesso a studi di livello elevato. In particolare, segue le orme dello zio pittore, approfondendo con lui il surrealismo francese.

I suoi scatti erediteranno molto dallestetica surrealista, benché sia un fotoreporter. Considerato pioniere del fotogiornalismo, verrà chiamato locchio del secolo”.

Dichiara di amare le strade, le piazze, le vie. Scatta foto di persone in contesti ordinari, cogliendo dettagli della vita quotidiana nella loro spontaneità, motivo per cui si impegna a mantenere il proprio volto sconosciuto. Nonostante la fama che si guadagnerà come fotografo, necessita di poter camminare per le strade nellanonimato; infatti, affinché i suoi scatti conservino la naturalezza, che è limpronta artistica della sua fotografia, deve poter non essere riconosciuto.

Proprio per questa ragione il suo celebre autoritratto scattato in Italia non lo riprende in volto.

I suoi viaggi in Italia cominciano negli anni ’30. Il primo è in compagnia di amici e non è a scopo professionale. Durante questo viaggio scatta una foto di nudo, che a primo impatto può sembrare un momento di goliardia, ma che diventerà uno scatto simbolico, nel quale ritrae un concetto di coppia e di amore: vediamo una testa, due braccia e due gambe, la fusione di due corpi che diventano uno solo.

Negli anni ’50 gli vengono commissionati degli scatti che rappresentino la società italiana; dunque, si reca a Roma e scende nelle strade. In particolare, ritrae la giornata dell’Epifania, festa molto sentita a Roma, durante la quale tradizionalmente venivano portati doni ai vigili urbani.

Tra le altre, scatta due foto con la stessa ripresa, ma con una prospettiva diversa: un vigile urbano, in strada, su un piedistallo con ai piedi i doni ricevuti. Una riprende la classicità della statua italiana, laltra, che ritrae il vigile col bracco alzato, è un chiaro richiamo al fascismo.

Oltre a Roma, si reca anche in Abruzzo, dove le piazze che i giornali internazionali ritraggono come cartoline di luoghi da vacanza in realtà sono ben diverse. Al posto di scintillanti calici di vino, Bresson trova una realtà contadina che arranca negli anni del dopoguerra.

Similmente accade a Ischia, in cui giunge su richiesta di una rivista americana con lo scopo di pubblicizzare la zona come meta turistica; eppure quello che trova è unisola di pescatori, che fotografa nella loro genuinità.

In questo periodo, tuttavia, vediamo pian piano gli sfondi cambiare nelle sue fotografie. Si intravede la trasformazione sociale di un Paese che si rialza. Le strade delle città italiane che Bresson ritrae mutano, e con loro i cittadini e i mestieri. I contadini scalzi e affamati cominciano a essere rimpiazzati da insegne di barbieri e donne col cappello.

Bresson con la sua fotografia toccherà tutta lItalia, da nord a sud, catturando attimi di vita di strade e piazze, sempre in maniera naturale, e conservando un gusto estetico, figlio della sua formazione di pittore immerso nel surrealismo.

Molte delle sue fotografie risentono del gusto pittorico del fotografo, tant’è che alcune foto di Napoli, risalenti agli anni ’60, appaiono come dei veri e propri quadri, con chiaroscuri quasi caravaggeschi.

Anche nelle foto di Venezia, degli anni ’70, che ritraggono manifestazioni e movimenti sociali, è ricercato un senso estetico attraverso i volti dei manifestanti coperti dagli ombrelli nelle piazze.

A causa di questo profondo sentimento artistico, non sorprenderà lappassionato scoprire che a fine carriera il fotografo francese si dedicherà nuovamente al suo primo amore: il disegno.

Alice Aschieri – redattrice di The Password www.thepasswordunito.com

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La Compagnia Scimone Sframeli porta in scena il genere umano con “Fratellina” al Teatro Gobetti

Da martedì 27 maggio a domenica 1 giugno prossimi, andrà in scena al Teatro Gobetti la pièce teatrale “Fratellina” di Spiro Scimone, per la regia di Francesco Sframeli, entrambi in scema con Gianluca Cesale  Giulia Weber. Le scene sono di Lino Fiorito, i costumi di Sandra Cardini, i disegni luci di Gianni Staropoli. Lo spettacolo, vincitore del Premio Le Maschere di Teatro Italiano 2023 come miglior novità italiana, è prodotto dall’associazione culturale Scimone Frameli e dal teatro Metastasio di Prato.

“Fratellina” racconta di un mondo che ha scordato e perso i propri valori. Protagonisti della giocosa vicenda sono Nic e Nac, che una mattina a sperano di essersi risvegliati in unnuovo tempo, in cui ogni cosa dimenticata possa essere ritrovata. Il loro desiderio diventa reale all’apparizione di Fratellino e Sorellina, due buffi personaggi che esprimono sconforto e denuncia, ilarità e paradosso. La sofferenza e lo stato d’ansia dei 4 protagonisti, interpretati da Spirò Scimone, autore, Francesco Strameli, Gianluca Cesale e Giulia Weber lasciano spazio al sorriso e all’ironia.

“Come al solito – dichiara nelle note dello spettacolo Jean Paul Manganaro – la scena appare scarna: due letti a castello, il che in ogni caso moltiplica per due la consistenza scenica, dai quali osservare e commentare il mondo. Il titolo, Fratellina, al femminile, lascia perplessi e lancia diversi interrogativi. Deve essere pura percezione qui, e la confusione del genere pare esser voluta. I 4 personaggi non indicano attitudini o condizioni di genere, ma stati d’animo e reazioni. Nic e Nac, maschile e femminile misto, e Fratellino e Sorellina, indicano semplici entità teatranti in grado di muoversi come marionette, come pupi, in un mondo rarefatto in cui non contano le trame del reale quali esse siano, ma il divenire delle cose. Come dire che il mondo è pieno di niente, di impressioni vaghe vissute come in un trasognamento. I nomi, insomma, non denominano più grandi o piccole certezze, ma delle potenzialità che prendono forma solo a parole, come si deve, del resto, a teatro. Per esempio la parola ‘cognato’ può indicare il fratello della moglie, ma anche il marito della sorella, in funzione della reale situazione specifica. In questo lavoro è presente l’accorata denuncia di un mondo sempre più vuoto e crudele, dove il senso comune ha perso ogni riferimento e lascia isolati e perduti i loro personaggi, costretti a rifare il ‘mondo’ a parole su dei lettini che mimano più i giacigli delle prigioni che i tappeti volanti su cui sognarsi in viaggio. La grande potenza dell’opera di Scimone è rappresentata dal saper testare e interrogar ancora pienezza e significati delle parole, che ci sembra essere una delle costanti della sua vena siciliana, riportando alla memoria Pirandello. Emerge anche la capacità da parte dell’autore di tenersi alla larga da ogni forma che, anche criticamente, prenda le distanze da atteggiamenti realistici, contando sulla grande forza del convincimento che è il non senso”.

Associazione Scimone Sframeli – Teatro Metastasio di Prato – in collaborazione con il Teatro Comunale di Cagli

Info: teatro Gobetti, via Rossini 8

Orari: Martedì, giovedì e sabato alle ore 19.30 – mercoledì e venerdì ore 20.45 – domenica ore 16

Biglietteria: Teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino. Tel. 011 5169555

Mara Martellotta

“Solness”, la tragedia di un uomo potente

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Al Carignano, sino a domenica 8 giugno

Presentando “Solness” – spettacolo di chiusura della stagione dello Stabile torinese, in attesa che siano svelate il 6 giugno prossimo le carte di quella 25/26 -, Andrea Tarabbia ricorda come ci siano scrittori riccio e scrittori volpe, prendendo a prestito un’affermazione di Isaiah Berlin, pensatore liberale di origini lettoni, che nel suo lungo cammino di vita ricevette tra l’altro il “Jerusalem Prize” in onore delle sue opere concepite e scritte intorno alla libertà individuale nella società, parole a loro volta ricavate da un frammento di Archiloco, “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Per insegnarci che sono volpi quanti abitano tante forme, da Balzac a Puškin a Joyce, aggiungendoci Cechov e il nostro Pirandello, ricci tutti quelli che formano nella loro scrittura un unico punto centrale, un’unicità di visione attorno a cui costruire la propria poetica, da Lucrezio a Proust a Dostoevskij. A Henrik Ibsen, un gran bel riccio di Norvegia, chiuso nel suo teatro e nei suoi drammi, che per una vita intera ha puntato al dramma, soltanto, personaggi forti e granitici i suoi, pronti a prendere forma esclusivamente sulle tavole di un palcoscenico. Tarabbia parla di “ossessione: ma allora, “benvenuta ossessione”.

Solness” è il vecchio, da sempre collaudato “Il costruttore Solness” (1892), a cui Ármin Szabò-Székely adattandolo e Kriszta Székely – che ha già scandagliato i drammi di Nora e di Hedda – formandolo registicamente hanno sottratto il termine d’attività, ampliando nelle intenzioni e nella mente all’Uomo – ottocentesco e nostro contemporaneo – ogni morbosità, sporcata forma d’affermazione, tratto misogeno, la pretesa di qualsiasi falsa apparenza e l’annientamento di quei segreti e le tragedie che abbiano attraversato l’esistenza di Halvard Solness (la morte dei due gemelli e il distacco dalla moglie Aline, una tragedia che Ibsen poeta aveva già anticipato: “Stavano seduti, quei due, in una casa tanto accogliente / nei giorni d’autunno e d’inverno. / Poi la casa bruciò. Tutto giace in macerie. / Quei due possono solo rovistare tra le ceneri.”): salvo poi, giustamente, ad apertura di sipario, metterci davanti agli occhi l’archistar, una sorta di Citizen Kane dell’architettura, quel modellino illuminato che è un po’ il logo della premiata ditta, ma la nostra visione s’è già allargata su un più ampio orizzonte. Nella “tragedia” di quest’uomo – falsamente e scorrettamente superuomo, che s’è costruito momento dopo momento, azione dopo azione, un ego abnorme, che ha allineato ogni essere umano attorno a sé, nella sfera privata come in quella pubblica e lavorativa, che ha messo alle corde quanti nella sfera giovanile abbiano tentato e tentino di sopravanzarlo, mettendo del proprio o rivisitando progetti suoi, con la risposta del più totale dominio, che ha costruito un mondo di bellezza ma altresì di distruzione, lucidamente ricercata, che ha azzerato la sessualità e gli affetti – la vita muta drasticamente con l’arrivo, improvviso ma pure (avremo modo di scoprire) congegnato, della giovanissima Hilde, forse una simbolica coscienza, certo un essere umano che pretende una confessione e il confronto con un passato di colpe, dove lei stessa è stata offesa. Con il tempo che ha Székely di metterci di fronte all’abuso sessuale, al filo rosso del Me too, in un sopruso che non è certo saltato fuori dal nulla in tempi vicini a noi e che s’allarga al tema del potere. Tema che si focalizza, all’interno dello spettacolo (che rimarrà al Carignano sino a domenica 8 giugno), nell’intuizione di mutare il vecchio originale Knut Brovik, nella cui ombra Solness s’è formato, in un personaggio, femminile, quello di Frida, che qui ha le note sincere e disperate di Laura Curino.

Correttamente ambientato (sono di Botond Devich le scene, un tavolo che è luogo di lavoro ma anche di confessioni, un sovrabbondante parco luci – di Pasquale Mari – ampie come un tetto di chiarificazione e di tribunale, e laterale, che è pronto a restringersi nei momenti più intimi) in un’epoca che è la nostra, senza forzature di comodo, “Solness” è uno spettacolo forte, compatto, di piena e stimolante meditazione, audace in certi suoi approfondimenti, pienamente concentrato nella propria attualizzazione, innalzato a una specifica “monumentalità”, ogni passaggio retto da Székely con fermezza e calibratura d’intenti, salvo – m’é parso, vedendo lo spettacolo all’indomani della prima e ponendo alcune incertezze nella scusante del rodaggio – inciampare qua e là nella parte finale, non distribuendola appieno, nel passaggio tra un più pronunciato realismo a una metafisicità, che coinvolge anche certi faticosi meccanismi e che – inavvertitamente – “sporca” il messaggio che il testo ibseniano ci lascia.

Lisa Lendaro come Kaja e Marcello Spinetta come Ragnar sono le prime costanti vittime del costruttore, d’eccellenza le apparizioni di Mariangela Granelli come Aline, chiusa nella torre del suo risentimento e nello sguardo verso un passato che non può essere che di dolore, ragazza ribelle e vendicativa la Hilde di Alice Fazzi, la più sfacciatamente moderna ed emblematica della intera operazione. Tra tutti i suoi compagni si muove in pose tiranniche, con una assai efficace bravura, il Solness di Valerio Binasco, in abiti scuri o in piena libertà tra mutande e accappatoio, concentratissimo e solido, battagliero a rivendicare il suo status vitae e i rapporti bacati con gli altri, la verità che è all’interno del proprio premierato, specchio della forza che distrugge ma anche di quella debolezza, con rarissime luci di umanità, che una ragazza comparsa (quasi) dal nulla gli ha fatto scoprire, mettendolo in un angolo, per sempre.

Elio Rabbione

Le foto di “Solness”, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale con la regia di Kriszta Székely, sono di Luigi De Palma.

Torino, nuova vita per i chioschi abbandonati

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Il Consiglio Comunale ha approvato una delibera, illustrata dall’assessora Gabriella Nardelli con la quale si stabiliscono i principi giuridici per il rilancio dei chioschi in città, a partire da quelli abbandonati, e il riordino della materia in termini di assegnazione anche alla luce delle nuove normative.

Il primo passaggio, è stato spiegato, è quello di dichiarare l’accessione al patrimonio comunale, secondo quanto previsto dal Codice Civile, dei chioschi oggi inutilizzati, abbandonati o comunque non rivendicati – e per i quali le azioni volte a ingiungere la rimozione non abbiano sortito risultati.

Qualora questi chioschi presentino – sul piano tecnico manutentivo – possibilità di impiego, si provvederà alla loro assegnazione tramite bando di evidenza pubblica. Se invece risulteranno in stato di obsolescenza tecnica, verrà definito un piano di abbattimento sostenibile alla luce delle risorse comunali.

Infine, si provvederà a un complessivo riordino del settore, in via regolamentare, al fine di adeguare la materia ai principi indicati dall’Unione europea, in termini di durata dei rapporti contrattuali e procedure di assegnazione.

In ogni caso, ha spiegato l’Assessora nel corso della Commissione che ha preceduto il dibattito in Consiglio, l’aggiudicatario avrà diritto di superficie per un periodo che dipenderà dall’investimento che dovrà effettuare e che corrisponderà all’ammortamento dell’investimento stesso, per un periodo massimo di 20 anni, a differenza del passato quando il diritto di superficie per la costruzione di un chiosco non prevedeva un termine temporale.

Nella stessa Commissione, Nardelli ha riferito che, al momento, i chioschi inutilizzati in città sono 81. Sei, invece, quelli già individuati come idonei ad essere riutilizzati.

Oltre alla delibera, è stata approvata una mozione di accompagnamento (primo firmatario Claudio Cerrato), con la quale si impegnano Sindaco e Giunta, tra le varie prescrizioni, a promuovere un coinvolgimento delle Circoscrizioni, attraverso l’Assemblea dei Presidenti e il Decentramento con l’obiettivo di stabilire le funzioni più adeguate sulla base della localizzazione, ad individuare, anche in base alla localizzazione, criteri di selezione aggiuntivi chiari e puntuali, che includano premialità per la promozione di attività sociali, culturali o di pubblica utilità, premialità per la qualità architettonica e di design dell’intervento proposto (per i chioschi che dovranno essere rifatti), attribuire punteggi più elevati
per chi abbia una struttura tale da poter gestire contestualmente più chioschi, stabilire limiti precisi, da valutare di volta in volta, riguardo al tipo di attività consentita in base alla categoria commerciale posseduta, stabilendo limiti precisi, da valutare di volta in volta, riguardo al tipo di attività consentita in base alla categoria commerciale posseduta, non consentendo l’uso di distributori automatici in via esclusiva.

F.D’A. – Ufficio stampa Consiglio Comunale

Il sipario si apre su INTERPLAY Festival

INTERPLAY/25

Torino
28 maggio > 14 giugno + 15 luglio 2025
A cura di Ass. Cult. Mosaico Danza
Direzione Artistica di Natalia Casorati

MERCOLEDì 28 MAGGIO dalle ore 21
CASA DEL TEATRO 
Corso Galileo Ferraris 266, Torino

TEMA – IDENTITA’ / COMPLESSITA’ DELL’INDIVIDUO

VIRO > ‘55
ABBONDANZA BERTONI (IT)
PRIMA REGIONALE

IL FAUT QUE JE > ‘10
CLEMENCE JUGLET (FR)
PRIMA NAZIONALE

Il sipario si apre sulla venticinquesima edizione di INTERPLAY Festival, la storica vetrina internazionale dedicata alla danza contemporanea d’autore, che dal 28 maggio al 14 giugno animerà Torino con un ricco programma di spettacoli, eventi site-specific e performance nei teatri e negli spazi urbani con un appuntamento speciale previsto il 15 luglio presso il nuovo Living Lab di Mosaico Danza.

Ad inaugurare il Festival, mercoledì 28 maggio due spettacoli che attraversano con la loro riflessione uno dei temi di questa edizione del festival, quello dell’identità e della complessità dell’individuo contemporaneo. In un mondo attraversato da continue trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche, la danza si fa strumento per indagare chi siamo, come ci percepiamo e come desideriamo essere riconosciuti. Attraverso il linguaggio del corpo – fragile, potente, mutevole – artisti e coreografi mettono in scena tensioni e contraddizioni, esplorano territori intimi e collettivi, sfidano stereotipi e ruoli precostituiti. Il tema si declina in una pluralità di approcci: dalle narrazioni autobiografiche alla disgregazione delle identità binarie, dal confronto con il tempo e le aspettative sociali alla ricerca di autenticità in un presente iperconnesso e spesso disumanizzante.

Dalle 21 alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, saranno due spettacoli straordinari come “VIRO” di Abbondanza/Bertoni in prima regionale. Dopo il successo di Femina, finalista al Premio UBU 2023, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni presentano il lavoro cdedicato alla figura maschile contemporanea. Due danzatori si confrontano come specchi simmetrici, incarnando contraddizioni e fragilità di un’identità maschile liquida, sfuggente, talvolta malinconica. Un’esplorazione coreografica intensa, amplificata dalle sonorità techno di Olaf Bender aka Byetone.
A questo link la scheda completa

Abbondanza Bertoni “viro”, foto Tobia Bertoni (mercoledì 28 maggio, Casa del Teatro Ragazzi e Giovani)

🔹 “IL FAUT QUE JE” di Clémence Juglet (FR) – Prima Nazionale
Una corsa contro il tempo, tra ossessioni, desideri e ricerca di perfezione. La coreografa francese, pluripremiata in contesti internazionali, porta in scena un assolo potente e viscerale, capace di toccare corde profonde. Tra ticchettii, silenzi e musiche avvolgenti, la performance diventa specchio di una condizione umana universale: il conflitto tra tempo e identità.
A questo link la scheda completa


Clemence Juglet “Il faut que je”

INFO E BIGLIETTI
Per il programma completo e le modalità di accesso agli spettacoli, visita il sito ufficiale www.mosaicodanza.it o segui gli aggiornamenti sui canali social del Festival.

Roberto Mussapi: poeta, drammaturgo, editorialista e critico teatrale

Ritratti Torinesi 

Roberto Mussapi è nato a Cuneo nel 1952 e vive a Milano, dove si è trasferito dopo la laurea.  Poeta, drammaturgo, editorialista e critico teatrale del quotidiano Avvenire, è autore di saggi, poesie, opere narrative e traduzioni di molti autori classici e contemporanei.

“Dopo la laurea conseguita all’Università di Torino mi sono trasferito a Milano per lavorare come ufficio stampa della casa editrice Jaca Book, ora del gruppo Rusconi – dichiara il poeta Roberto Mussapi- La poesia ha sempre fatto parte di me fin dalla giovane età. Ebbi come maestro Gabriele Minardi, a cui ho anche dedicato un testo teatrale e che fu la figura che più ha inciso nei miei gusti letterari, oltre ad avermi dato una disciplina di studio. Successivamente a Bologna, quando lavoravo dall’editore Cappelli, ricordo i miei viaggi verso Firenze per andare a trovare Mario Luzi, che diventò nel tempo un mio caro amico e maestro. Le amicizie più importanti nel mondo della letteratura spaziano da Bigongiari fino a Bertolucci che mi sostenne per una pubblicazione presso Garzanti.

Ebbi inoltre un’intensa frequentazione e amicizia con Yves Bonnefoy, figura fondamentale del Novecento e grande riferimento poetico che favori la mia pubblicazione presso l’editore francese Gallimard”.

“Come traduttore – continua Roberto Mussapi – lavoro su autori e testi che ritengo a me più affini, tra i quali Herman Melville, Samuel Beckett, Samuel Taylor Coleridge, Robert Louis Stevenson, Ralph Waldo Emerson, François Villon e i  ‘grandi ragazzi che amavano il vento’  Shelley, Keats e Byron, nell’edizione uscita per Feltrinelli.

Da poeta e scrittore un grande tema della mia opera è quello del viaggio, con riferimento, in particolare, a quello marino, di cui i critici ricordano un’opera, uscita per Guanda, intitolata “Antartide”.

Un originale poema epico, inusuale all’interno della letteratura contemporanea italiana, e che in molti saggi è stato paragonato alle più importanti opere di Carlyle, Coleridge, Melville e Fenoglio.

“Importantissima per me la passione per il teatro – conclude Mussapi- nata fin dall’adolescenza quando frequentavo il teatro Toselli di Cuneo. Successivamente conobbi Wole Soyinka, premio Nobel nell’84, che mi diede la possibilità di conoscere e scrivere di teatro in una prospettiva diversa, quasi fosse un fatto poetico o sacrale. L’amicizia con Soyinka si rafforzò nel tempo.

Nella mia opera è presente un’attenzione verso i luoghi della mia anima, Cuneo, Torino, Genova, Venezia, Roma, Celle e la Cina, tra felicità e malinconia, spazi simbolici e grigi approdi”.

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

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Non solo nero. Un incontro su fotografia e moda nell’Italia del Ventennio

Martedì 27 maggio 2025 | ore 18.30 | Gymnasium di CAMERA

Via delle Rosine 18, Torino

Torino, 23 maggio 2025 – È in arrivo a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia un incontro speciale per presentare il volume, fresco di stampa, La moda nell’Italia fascista edito da Dario Cimorelli Editore (2025). Scritto dall’accademica Eugenia Paulicelli, il libro si concentra sul rapporto tra moda e fascismo nell’Italia degli anni Venti e Trenta del Novecento ed è corredato da una ricca selezione di fotografie dell’epoca che mette in luce come il regime abbia influenzato non solo il settore tessile, ma anche i concetti di genere, identità nazionale e modernizzazione.

Attraverso un’analisi dettagliata, Paulicelli esplora le strategie con le quali il fascismo ha sfruttato la moda come strumento di propaganda, imponendo codici estetici e processi di uniformazione. L’autrice indaga il ruolo avuto dell’industria tessile nel consolidare l’immagine dell’Italia all’estero, aprendo una riflessione più ampia sulle connessioni tra politica, tradizione e innovazione.

Il libro raccoglie anche un’intervista alla stilista e imprenditrice Micol Fontana, un saggio della scrittrice Gianna Manzini sulla teoria della moda, racconti della poetessa Alba de Céspedes e della scrittrice Anna Banti, oltre a un testo di Eleanor Lambert, fashionista ante-litteram, dedicato alla sfilata della moda italiana all’Esposizione Universale di New York del 1939 per un approfondimento ampio ed esaustivo sul rapporto tra moda, fotografia e cinema nell’Italia del Ventennio. Scorrendo le pagine, spiccano infatti le immagini tratte dagli archivi di Giulio Parisio, dei fratelli Troncone e di Michele Cioci, a cui l’autrice ha dedicato un’intensa attività di ricerca e che riflettono su temi quali la costruzione dell’identità di genere, la standardizzazione dell’individualità attraverso le divise, l’ideologia della razza nell’Italia coloniale e l’influenza del cinema, tra cui i cinegiornali LUCE, e della stampa nell’immaginario dell’epoca.

Martedì 27 maggio ore 18.30 in Sala Gymnasium a CAMERA l’autrice sarà in dialogo con Giulia Carluccio – prorettrice dell’Università di Torino, studiosa e docente di Cinema, Fotografia, Televisione e Media audiovisivi – e Barbara Bergaglio – responsabile degli Archivi di CAMERA – in un racconto a più voci che offrirà al pubblico anche un punto di vista approfondito e inedito sul contesto storico e culturale della città di Torino, considerata in quegli anni come Capitale sia della moda sia del cinema italiani.

Biografia

Eugenia Paulicelli è professoressa ordinaria di Italianistica e Letterature comparate, studi di genere, cinema e cultura dei media, al Queens College e al Graduate Center della City University di New York dove ha fondato la specializzazione in Fashion Studies e co-dirige il Fashion Institute.

Human/Machine. Un’esperienza immersiva tra arte e tecnologia

Lunedì 26 maggio, ore 21

Teatro Vittoria, via Gramsci 4, Torino

Human/Machine

Un’esperienza immersiva tra arte e tecnologia, musica elettronica e danza contemporanea, per un dialogo creativo tra uomo e macchina

 

Con Human/Machine prende vita lunedì 26 maggio al Teatro Vittoria di Torino per la Stagione 2025 della Stefano Tempia, una live performance nella quale musica elettronica, live coding, musica acustica e danza trovano un punto d’incontro, chiudendo un grande cerchio di lettura intorno al concetto generale di arte. Sul palco il Collettivo Riflessi con i danzatori Elisa Dal Zovo, Giulia Di Martino, Doris Qehaja, Gabriel Interlando in dialogo con le invenzioni di Davide Anzaldi, musicista underground, polistrumentista ed esperto di informatica.

Human/Machine nasce da una riflessione che, nel 2019, sembrava remota, ma che oggi è diventata una realtà condivisa. In un mondo in cui l’intelligenza artificiale e la tecnologia permeano ogni aspetto della vita, l’arte si fa ponte tra l’umano e il digitale. Corpo, suono e codice si intrecciano in un dialogo profondo. Da un lato, la materia viva degli strumenti acustici, dall’altro l’universo fluido e mutevole dei suoni elettronici generati in tempo reale dal codice. La macchina non è più solo uno strumento, ma una presenza creativa, capace di generare emozioni e dinamiche, mentre il corpo traduce impulsi in movimento. I suoni, inizialmente astratti e algoritmici, incontrano la fisicità dei suoni organici, dando vita a un flusso continuo di interpretazione reciproca. La danza diventa un linguaggio che plasma il suono, mentre il suono trasforma il corpo. Human/Machine è una riflessione che non appartiene più al futuro: è il presente, un presente in cui il conflitto lascia spazio alla collaborazione, dove uomo e macchina diventano co-creatori di un’arte che esplora e celebra il loro incontro. Un respiro comune, un linguaggio condiviso.

COLLETTIVO RIFLESSI

Collettivo Riflessi nasce all’interno di Esplorazioni Contemporanee APS con l’obiettivo di approfondire e concretizzare, in forma estetica, una ricerca sulla commistione tra linguaggi artistici: danza, musica e fotografia.

Il progetto è guidato dalla coreografa Laura Ziccardi, affiancata da un team multidisciplinare composto dalla docente e danzatrice Marta Molinari, dalla fotografa Sonia Santagostino e dal polistrumentista Davide Anzaldi. Un gruppo di professionisti che ha scelto di condividere un percorso di esplorazione artistica, nato da esperienze trasversali e sviluppato negli spazi dell’associazione, ambiente ideale per dare corpo e forma a nuove espressioni performative. Il Collettivo si configura come un laboratorio permanente di ricerca, dove l’interazione tra corpi, suoni e immagini genera esperienze sceniche originali e coinvolgenti. Il gruppo si alimenta del contributo di danzatori e artisti diversi, uniti da una visione condivisa e da un approccio aperto alla sperimentazione. Questo continuo dialogo tra persone, estetiche e pratiche differenti mantiene vivo e in costante evoluzione il processo creativo del Collettivo.

DAVIDE ANZALDI

Musicista e compositore con 30 anni di esperienza dal vivo e in studio, combina il polistrumentismo con l’elettronica, audio recording e live coding. Le collaborazioni con innumerevoli professionisti lo portano a studiare percussioni tradizionali e intonate, batteria, basso, chitarra e tastiere. Da sempre appassionato di elettronica, ha esperienza nella gestione di progetti IT, sviluppo software, loopstation e live coding. Specializzato in esibizioni, composizione, arrangiamento per gruppi di danza contemporanea, teatro, realtà virtuali e sound design sviluppa un custom kit di strumenti ibrido, librerie software per audio e un linguaggio personale, risultato di una combinazione di varie influenze di musica acustica ed elettronica.

LAURA ZICCARDI

Piemontese, approfondisce la danza contemporanea tra Milano, Londra e New York. Laureata in Comunicazione (IULM) e in Scienze dello Spettacolo (UniMi), si specializza come insegnante all’Accademia Teatro alla Scala, consegue il Diploma di Coreografa Regione Lombardia. Conduce laboratori di improvvisazione per danzatori e musicisti al Conservatorio G. Verdi di Milano. Co-fondatrice di Esplorazioni Contemporanee APS, di AMAWAY project e della SFD – Scuola di Fotografia di Danza, è anche docente all’Istituto Italiano di Fotografia. Dirige il Collettivo Riflessi.

MARTA MOLINARI

Danzatrice, formatrice e facilitatrice somatica Body Mind Centering®, diplomata alla Paolo Grassi di Milano. Ha lavorato con artisti italiani e internazionali e partecipato a tournée in Europa e Asia. È co-fondatrice e direttrice artistica di Esplorazioni Contemporanee, ideatrice del format Sento, Mi Muovo, Dico dedicato a bambini e adolescenti. Assistente alla coreografia nel Collettivo Riflessi diretto da Laura Ziccardi. La sua ricerca Come un respiro unisce corpo, percezione e relazione in un approccio integrato tra arte e pedagogia.

DANZATORI:

ELISA DAL ZOVO

Diplomata al Centro Formazione AIDA nel 2017. Inizia la carriera lavorativa con diverse collaborazioni, tra cui Ferrari Gala Road Tour (2023) in tutta Europa, Amaway project (dal 2020) in Italia. Lavora in diversi teatri italiani, tra i quali Teatro Coccia di Novara (2021/2022/2024) Teatro di Bergamo (2022) e il Teatro alla Scala di Milano (2025) e prende parte a diversi progetti indipendenti in Italia.

GIULIA DI MARTINO

Diplomata al Corso di Perfezionamento del Centro Formazione AIDA di Milano. Approfondisce i suoi studi al corso di Alta Formazione del CCN Aterballetto. Danzatrice per Mediaset, Aterballetto, Milano Fashion Week, Milano Beauty Week, Centre Du Ballet, Illusion Group.

DORIS QEHAJA

Danzatrice contemporanea, di origine albanese, classe 1999. Lavora tra Verona e Milano. Danza per vari progetti ed eventi tra i quali: Amaway, progetto legato alla danza e alla fotografia; Collettivo Riflessi, con le produzioni Riflessi, Spazio. Tempo e Human Machine (coreografie di Laura Ziccardi); Mandala Dance Company, con Riti di passaggio e In arte Maddalena (coreografie di Paola Sorressa) esibendosi in teatri nazionali ed internazionali.

GABRIEL INTERLANDO

Danzatore formatosi a Milano, diplomato all’Accademia Susanna Beltrami, approfondisce lo studio del movimento al Centro Formazione Aida e al corso di Alta Formazione del CCN Aterballetto attraverso l’esplorazione di diversi generi, con particolare attenzione alla ricerca e all’improvvisazione. Collabora con coreografi come Paola Lattanzi, Niyayesh Nahavandi, Camilla Pasetto, Alberta Palmisano, Salvatore Sciancalepore e Laura Ziccardi.

L’ACCADEMIA CORALE STEFANO TEMPIA

Fondata nel 1875, l’Accademia Corale Stefano Tempia è la prima associazione musicale del Piemonte e l’Accademia corale più antica d’Italia.

Riferimento storico per l’educazione alla musica e la divulgazione del repertorio a cappella e sinfonico corale, l’Accademia si distingue fin dalle origini per le frequenti  collaborazioni con prestigiosi direttori come Giovanni Bolzoni, Giuseppe Martucci, Lorenzo Perosi,  Arturo Toscanini, e la realizzazione di grandi eventi culturali tra cui la prima esecuzione in Italia del Judas Maccabeus di Haendel (1 marzo 1885) e la prima esecuzione a Torino della Nona Sinfonia di Beethoven (18 marzo 1888).

L’Associazione promuove una Stagione annuale di concerti ospitata presso prestigiose sedi torinesi e in decentramento, in cui abitualmente invita solisti e complessi di alto profilo oltre che offrire un notevole contributo in prima persona. Accanto all’organizzazione e alla programmazione di una stagione musicale che si svolge soprattutto a Torino, ma anche altrove sul territorio piemontese, l’Associazione partecipa a festival e a iniziative musicali in tutta la regione. Riconosciuta a livello nazionale e membro di Sistema Musica, la Stefano Tempia si distingue per la sua missione di educare alla conoscenza del canto corale e alla passione per la musica colta in tutte le sue forme. Per vocazione questa antica istituzione si spinge a esplorare repertori meno frequentati, proponendo opere e brani poco noti o raramente eseguiti, spaziando dai grandi autori della tradizione a composizioni contemporanee e arrangiamenti che dialogano con linguaggi musicali trasversali e innovativi. L’Accademia è guidata da un Direttivo composto da coristi e presieduto da Isabella Oderda, corista nelle file dei soprani e prima donna a ricoprire questo ruolo nella storia della Tempia. Direttore Artistico e Maestro del Coro Luigi Cociglio.

Nel 2025 l’Accademia celebra il suo 150° anniversario con una Stagione che combina in modo armonioso antico e moderno, creando un dialogo musicale che promuove continuità e sperimentazione. Questo approccio si riflette anche nella modalità di collaborazione con artisti e gruppi, incoraggiando forme di coproduzione per ampliare le prospettive e il pubblico della Tempia. I giovani interpreti rappresentano il cuore pulsante della stagione: una significativa percentuale di concerti li vedrà protagonisti, sostenuti con pazienza e determinazione.

INFO

Lunedì 26 maggio, ore 21

Teatro Vittoria, via Gramsci 4, Torino

HUMAN/MACHINE

Concept, sound design, live coding: Davide Anzaldi

Coreografia: Laura Ziccardi

Assistente alla coreografia: Marta Molinari

Elisa Dal Zovo, danzatrice

Giulia Di Martino, danzatrice

Doris Qehaja, danzatrice

Gabriel Interlando, danzatore

Biglietti: intero 15 euro, ridotto 10 euro (soci Tempia, under 30, enti convenzionati)

Biglietti al link:

https://www.ticket.it/musica/evento/humanmachine—a-mutual-interpretation.aspx

Per informazioni: www.stefanotempia.it

Nasce il centro estivo della Gypsy Musical Academy di Torino

Dai banchi di scuola al palcoscenico nel giro di una sola estate. Il percorso è  davvero molto più  lungo per diventare ballerini professionisti, ma quello che propone la Gypsy Academy di Torino è davvero un buon inizio per i talenti in erba e non solo. Si tratta del Centro Estivo Musical dedicato ai bambini dai 6 agli 11 anni che, finita la scuola, potranno gettarsi a capofitto nell’universo musical all’interno della più grande accademia multidisciplinare di Torino, che rappresenta un’eccellenza italiana.

Un’occasione per bambini e genitori della Circoscrizione, desiderosi di impegnare al meglio i lunghi mesi estivi dei propri figli ( giugno, luglio e settembre), una volta terminata la scuola. I partecipanti avranno l’opportunità di allestire uno spettacolo ogni due settimane, trattando materie  relative al musical, quali allestimento, canto, danza, recitazione, presenza scenica e scenografia.  Lo spettacolo verrà  poi rappresentato nel teatro della Gypsy, in via Pagliani 25. Sono previste molte attività aggiuntive, quali il gioco al parco attrezzato, una gita golosa da Silvano per assaggiare uno dei gelati più buoni di Torino.

Posti limitati. Informazioni allo 011.0968343

Info@gypsymusical.com

Mara Martellotta

Domenica 25 maggio tour guidati gratuiti in via Po

In occasione dell’inaugurazione di via Po due tour speciali, al mattino e pomeriggio, offerti dalle guide professioniste GIA Ascom

 

Via Po si riconsegna alla città. Dopo mesi di lavori, si presenta in una nuova veste, più ordinata e curata, espressione di quattro secoli di storia all’insegna della bellezza e dell’eccellenza. Per celebrare questo momento e per far conoscere a cittadini e visitatori uno dei luoghi simbolo di Torino, le guide turistiche GIA Ascom offrono due tour guidati gratuiti in via Po che mettono al centro ciò che rende questa via davvero vivace: il legame tra cultura e commercio, tra racconto e quotidianità, tra passato e presente.

I tour guidati si terranno domenica 25 maggio con partenza in piazza Castello di fronte al Teatro Regio, al mattino alle ore 10.00 e al pomeriggio alle ore 14.30, riservati a gruppi di massimo 20 partecipanti ciascuno.

La partecipazione è gratuita, con prenotazione obbligatoria tramite Eventbrite:

 

Le visite guidate offrono un percorso che vuole celebrare le diverse epoche di via Po, dalla posa della prima pietra nel 1673 fino al restyling di oggi, lungo i portici sotto cui hanno camminato tutte le personalità che hanno fatto grande Torino in ogni campo, da Cavour, a Gramsci, Primo Levi, Fruttero e Lucentini, Natalia Ginzburg solo per citarne alcuni.

Qui passato e presente si incontrano, dagli storici fornitori della Real Casa a ridosso di piazza Castello, come la settecentesca gioielleria Musy, ai moderni negozi di articoli quotidiani come Gamer, passando per iconici esercizi pubblici come la pasticceria Ghigo e i caffè storici come Fiorio, fino esempi di arredi originari come nella profumeria Niche. Infiniti volti della storia di Torino tenuti insieme dall’architettura di rigore realizzata da Juvarra.

«Il connubio tra cultura e commercio – evidenzia Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Confcommercio Torino e provincia – rappresenta un elemento fondativo dell’identità di via Po, che nei secoli ha saputo mantenere viva la sua vocazione commerciale, sempre caratterizzata dalla qualità e che ancora oggi vede moltissime attività indipendenti e autenticamente torinesi. Proprio per mantenere la bellezza di questa via, che con questo ultimo restyling ritrova il rigore e l’ordine originari, occorre porre attenzione alla qualità delle attività che vengono aperte e al mantenimento del decoro. E su questo confidiamo nell’attenzione da parte del Comune e della Sopraintendenza».

«Questi tour guidati – sottolinea Barbara Sapino, presidente delle guide turistiche GIA Piemonte, aderenti ad Ascom – vogliono essere un’occasione per riscoprire Torino con uno sguardo cittadino consapevole. Offrire strumenti di lettura del contesto urbano significa rafforzare il legame tra le persone e i luoghi, valorizzando il patrimonio culturale in dialogo con la quotidianità commerciale. Questa iniziativa vuole anche sottolineare il ruolo delle guide GIA come professioniste della mediazione culturale, capaci di coniugare conoscenza storica e narrazione pubblica in modo accessibile e coinvolgente».

Nei tour non mancheranno le curiosità, come la storia dell’attuale Museo Accorsi Ometto, dove un tempo c’era la nostra Ellis Island per il controllo dei i documenti di chi entrava in città. O il ricordo di Ascanio Sobrero che nel 1847 nei laboratori di via Po scoprì la nitroglicerina, che Nobel sviluppò nella dinamite. E poi la politica, con Camillo Benso Conte di Cavour che andava al Caffè Florio, il caffè dei Conservatori, e lì amava gustare il Bicerin con le chicche di latte, cioccolato e caffè. E mille altre storie, tutte da scoprire.