Cosa succede in città- Pagina 420

Come spiegare i diritti dei bambini in parole semplici

“Il Comitato regionale per i diritti umani promuove con questa iniziativa l’avvio di un percorso a tutela dell’infanzia, affinché i diritti acquisiti siano preservati e difesi mentre quelli negati siano conquistati. Dobbiamo trattare i minori non come problema ma come risorsa, se vogliamo sperare in un mondo realmente migliore e per questo motivo diventa essenziale investire sulla loro educazione”. Così Mauro Laus, presidente del Consiglio regionale e presidente del Comitato regionale per i Diritti umani, ha introdotto la presentazione di I diritti dei bambini in parole semplici. La pubblicazione, a cura dell’Unicef, è stata ristampata in 4mila copie dal Consiglio regionale per celebrare con un gesto tangibile la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre. L’opuscolo, che verrà diffuso nelle scuole, attraverso parole, colori e disegni, parla in modo efficace ai più piccoli per spiegare i loro diritti inviolabili riconosciuti dalla Convenzione internazionale approvata dall’Onu nel 1989. Il mondo viene così rappresentato attraverso gli occhi dei più piccoli, secondo il loro punto di osservazione affinché sia chiara l’azione che si intende promuovere, quella di costruire un mondo a misura di bambino. “Mi auguro che questo libretto passi nelle mani di più persone possibili, che se ne parli a scuola e in famiglia perché ritengo essenziale che si creino occasioni per diffondere la conoscenza dei diritti dei bambini e soprattutto che i bambini stessi siano consapevoli dei diritti riconosciuti loro dalla Convenzione Onu”, ha affermato Enrica Baricco, vicepresidente del Comitato regionale per i diritti umani. A ricordare i diritti dei bambini ancora troppo spesso negati è stata Rita Turino, garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, citando le violenze fisiche e psicologiche di cui l’infanzia è ancora vittima, così come gli effetti altrettanto negativi della violenza assistita. La promozione della conoscenza della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza rappresenta, peraltro, uno dei compiti del garante, una figura istituita in Piemonte con la legge regionale 31/2009, due anni in anticipo rispetto all’istituzione dell’omologo garante nazionale, avvenuta nel 2011. L’importanza di diffondere in modo capillare la Convenzione Onu nel linguaggio semplice e diretto utilizzato da questo opuscolo è stata sottolineata da Maria Costanza Trapanelli, presidente del Comitato provinciale di Torino per l’Unicef, che ha ribadito come molto ci sia ancora da fare: sono infatti 385 milioni i bambini nel mondo in povertà estrema e 264 milioni non hanno ancora accesso all’istruzione. Ci sono tuttavia anche buone notizie, dato che, grazie ai vaccini, solo nel 2016 sono stati salvati 56 milioni di bambini. Alla conferenza stampa erano presenti anche Giampiero Leo, vicepresidente del Comitato regionale per i Diritti umani e Stefania Batzella, presidente della Consulta delle Elette.

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Giornata per i Diritti dell’infanzia: la celebra il Consiglio regionale

Il Consiglio regionale celebra la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ricorre lunedì 20 novembre, con una serie di iniziative.

Il Comitato Diritti Umani sostiene e patrocina il progetto socioculturale “Profumo di vita #neldirittodel bambino”organizzato dall’associazione di volontariato Legal@arte. Il presidente del Consiglio regionale del Piemonte Mauro Lauspartecipa, lunedì 20 novembre, alle 18, nel Salone d’Onore del Castello del Valentino, all’inaugurazione della mostra fotografica dell’artista torinese Elena Givone, curata da Roberta Di Chiara, per sensibilizzare sul tema della violenza assistita da minori. L’esposizione, costituita da 12 opere fotografiche di grande formato che ritrae bambini appena nati, sarà visitabile fino al 26 novembre.

Nella mattina di lunedì 20 novembre, inoltre, nell’ambito della rassegna cinematografica “Rights on the movie 2017”, al Cinema Massaua di Torino (piazza Massaua 9) viene proiettata la pellicola “Vado a scuola”, destinata a oltre 200 studenti e studentesse delle scuole secondarie piemontesi di primo e secondo grado. La rassegna, promossa dal Comitato regionale per i Diritti umani, presieduto dal presidente del Consiglio regionale Mauro Laus, in collaborazione con Agiscuola, si focalizza quest’anno proprio sui temi legati ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il film, diretto dal Regista Pascal Plisson,  documenta le sfide quotidiane che devono vivere ogni giorno quattro bambini (Zahira in Marocco, Jackson in Kenya, Carlito in Argentina, in una città della  Patagonia, e Samuel in India) per raggiungere le loro scuole, spinti dal desiderio di conoscenza e la speranza di un futuro migliore. Martedì 21 novembre alle 21 al cinema Massimo di via Verdi 18, a Torino, avrà luogo invece la proiezione aperta alla cittadinanza.

Sabato 18 novembre, alla Cartiera di Torino, sede della Compagnia Tedacà (via Fossano 8), si è inoltre tenuto il secondo laboratorio organizzato dall’Associazione Almateatro, soggetto capofila, in partenariato con Associazione Acti Teatri Indipendenti e Associazione Tedacà,  e previsto dal progetto “Siediti vicino a me – Il Teatro incontra il mondo”, attività per minori migranti. Le attività di laboratorio teatrale hanno coinvolto la Comunità Home blu, comunità di prima accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di Torino.

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Mogna, un medico esemplare –  L’avanspettacolo torinese che finì con l’”autunno caldo” – Il nuovo libro di Piero Fassino – Beppe Fassino, il liberale vecchio Piemonte – L’oratore e patriota Carlo Delcroix

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Mogna, un medico esemplare

A Moretta, ridente e ricco comune agricolo della Provincia Granda tra Saluzzo e Cavour, hanno dedicato la via Pallieri (dove abitò) al dottor Giuseppe Mogna, medico chirurgo e ufficiale sanitario per una vita. Cose che avvengono solo più nei piccoli paesi dove il ricordo delle persone rimane inalterato e chi ha ben operato per la comunità non viene dimenticato. Ho conosciuto e frequentato il dottore che era molto amico di mio padre, a tal punto che spesso viaggiavano insieme. Negli ultimi anni veniva d’estate con la mia famiglia a Bordighera alla linda pensione “Svizzera” gestita da piemontesi trapiantati in Liguria. Ad oltre 90 anni fece partorire una giovane donna, in mancanza dell’ostetrica che era rimasta bloccata a casa. Ne scrisse anche “La Stampa”. Era un uomo dell’Ottocento, medico colto che, anche a tanti anni di distanza dagli studi nel liceo classico di Saluzzo, ricordava perfettamente il latino e il greco, apprezzava la pittura e l’arte in generale. Magrissimo, amava anche la buona tavola e ricordo i pranzi alla “Corona grossa” e alla “Luna” di Saluzzo e a Moretta all’”Italia” dal mitico Remigio Calandri che meriterebbe di essere ricordato. Era sposato con una farmacista ,una donna speciale che a cinquant’anni coronò il sogno della sua vita, vinse la farmacia a Casteldefino in montagna ed affrontò una vita di disagi. Questa signora amava produrre liquori, in particolare il cynar. Era sempre gentile. Un volta lo offrì a mio madre che, non riuscendolo a bere, cercò di liberarsi del liquido versandolo nel vaso di una pianta della casa. La dottoressa si accorse di quel gesto davvero poco gentile e subentrò il gelo che si protrasse per anni. Il dottor Mogna si limitò a dire che capiva mio padre meglio di ogni altro, senza aggiungere altro. Era venerato nel paese. Tutti si rivolgevano a lui per un consiglio, una parola, aveva fatto nascere più generazioni. Mi regalò il suo elmetto da ufficiale nella Grande Guerra che conservo gelosamente. Un gesto d’affetto per un giovane che amava la storia com’ero io. Mi disse che era partito volontario e che non si pentiva di quella scelta perché <<dovevamo completare il Risorgimento iniziato dalla generazione di suo nonno>>. Quando venne con noi in Egitto, aggregato al gruppo del Collegio San Giuseppe di Torino di cui ero allievo, fu lui che mi consigliò -dovendo scegliere – di andare ad El Alamein a rendere omaggio ai 5000 caduti sepolti nel sacrario voluto da Paolo Caccia Dominioni, e non a Luxor. Fummo in pochi a scegliere il sacrario che in quegli anni nessuno conosceva perché della “Folgore” nessuno voleva parlare. Se io mi dedicai allo studio della storia ,lo debbo anche a lui che mi mise sulla buona strada. Uomo semplice, di poche parole, ma quando parlava valeva sempre la pena ascoltarlo.

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L’avanspettacolo torinese che finì con l’”autunno caldo”

Mario Ferrero incarnò più di ogni altro l’avanspettacolo torinese, cioè la rivista che precedeva la proiezione di un film. Iniziò al “Romano” con l’impresa Ventavoli, poi si spostò al “Maffei” e infine all’”Alcione”, a Porta Palazzo. C’erano lui, una spalla (ricordo il grande Carlo Rizzo che partecipò spesso a tanti spettacoli di operetta),una soubrette (rammento con piacere la bellissima Rosy Zampi al secolo Zampini) e 12 gambe 12,cioè 6 ballerine. A volte c’era anche un/a cantante, Nella Colombo partecipava spesso. Al “Maffei” tentarono anche uno spogliarello molto pudico a metà degli Anni 60. A tenere su lo spettacolo erano Mario Ferrero, la sua mimica, le sue battute in piemontese (il muscolo del braccio era il “marciapé” e la fetta di gorgonzola una “slepa ‘d gurgu”). Faceva spesso la parte del metalmeccanico della Fiat, indossando la tuta blu,ma certo non era un operaio sindacalizzato, ma spiritoso e bonario che manifestava il suo disagio di torinese con frasi di buon senso e qualche lamentazione bonaria e scherzosa. Una sorta di Gianduia in tuta. L’autunno caldo era lontano. Molti immigrati meridionali andavano a vederlo e alla fine della spettacolo i suoi affezionati spettatori lo acclamavano : Maiu! Maiu! Si passava un’ora e mezza di allegria spensierata. Non mi vergogno di dire che, ragazzo, andavo a sentirlo al “Maffei” e persino all’”Alcione”. Una Torino semplice che univa torinesi vecchi e nuovi in nome del buonumore. Come sarebbe utile in questa Torino livida e incapace di sorridere un Mario Ferrero! L’”autunno caldo” del ‘69 decretò la fine di questa teatro popolare.

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Il nuovo libro di Piero Fassino

PD davvero è il nuovo libro di Piero Fassino ,pubblicato dalla “Nave di Teseo”. Il libro parla del suo partito e dei problemi che l’ attanagliano e che l’ultimo segretario DS, socio fondatore del PD ,cerca di contribuire a dipanare. Il libro ha tuttavia ambizioni molto più grandi e merita di essere letto per i temi di ampio respiro che affronta e che rivelano come Fassino ,prima di essere un politico, sia un intellettuale a pieno titolo. Analizzando il Novecento ,lo definisce secolo in cui la sinistra è stata egemone <<comprese le tragedie>>.Questa egemonia Fassino la considera finita e il passaggio di secolo obbliga a misurarsi con sfide nuove senza ricorrere pigramente alla <<cassetta degli attrezzi ideologici del Novecento>>. Le scorie radioattive delle ideologie non hanno lasciato segno nel pensiero di Piero. Le culture storiche del secolo scorso, secondo lui, sono spiazzate perché c’è stata la fine del rapporto politica-cittadini instaurato in passato. C’è, secondo l’autore, un disagio, una solitudine, un sentimento di esclusione, un impoverimento generalizzato che creano ansia. <<L’urlo lacera l’aria-scrive Fassino- poi torna il silenzio>> e c’è chi intende cavalcare il malessere . Parlando di immigrazione, egli evidenzia com’essa generi d’istinto paura per gente straniera diversa da noi. Siamo anni luce dalla demagogia dei migranti visti come risorse. Bisogna pensare – afferma l’autore – ad un’accoglienza sostenibile e diffusa che non generi il rigetto. Ma Fassino evidenzia anche che occorre <<la disponibilità a lasciarsi integrare>>,ponendo un problema che appare di difficile soluzione non solo per l’elemento religioso islamico. E’ un libro,ripeto, che val la pena di leggere. Se la sinistra desse retta a Fassino, sarebbe davvero diversa.

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Beppe Fassino, il liberale vecchio Piemonte

Veniva confuso con Piero Fassino, anche se Giuseppe Fassino era senatore quando Fassino ricopriva incarichi minori nel Pci torinese. Beppe Fassino era un liberale piemontese, un seguace di Einaudi e di Soleri, nato a Busca e noto anche come professore che gestiva gli storici istituti scolastici Fassino, concepiti ,come si diceva un tempo un po’ maliziosamente ,più per gli “asinelli” svogliati che per gli allievi normali. Consigliere comunale nella sua Busca per decenni, segretario del Partito liberale cuneese, consigliere regionale eletto nel 1970 e nel 1975, fu uno dei padri costituenti della Regione Piemonte. Senatore liberale dal 1979 al 1992, fu Sottosegretario alla Pubblica Istruzione e alla Difesa. Fu anche componente nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Mentre altri liberali sciolsero il PLI nel 1993 in maniera ingloriosa per ottenere un seggio parlamentare dalla destra e/o dalla sinistra, Fassino si ritirò a vita privata, diventando dirigente del Centro “Pannunzio” e presidente del Conservatorio di Torino. Si distinse da quell’arcipelago finto- liberale cuneese  che non brillò mai per stile ,ma  solo per cupidigia di potere. Io con  certi  personaggi  cuneesi  mi accorsi che era impossibile andare d’accordo. Erano degli scettici blu, a voler essere eleganti. Fassino tento’ un chiarimento, offrendo a tutti uno splendido pranzo a Centallo al quale mi presentai accompagnato da un avvocato. Si mangiò e si bevve, ma non si parlo ‘ dei problemi legati alla rottura dei rapporti. Fassino alla fine invito ‘ a stringerci tutti la mano e a brindare , passando sopra al passato. Erano dissensi insuperabili  perché il dissenso si era trasformato in disprezzo ,almeno da parte mia. Infatti  , il giorno successivo la morte di Fassino ,gli  scettici blu cuneesi  si esibirono in un volgare e inqualificabile attacco personale nei miei confronti. L’Eccellenza Fassino-come era chiamato nel Cuneese – era un vero liberale che veniva da lontano e non un parvenu improvvisato. Era del livello morale di Vittorio Badini Confalonieri  che fu escluso dal Parlamento dalle cordate clientelari che si erano impossessate del partito liberale a metà degli Anni 70. Mancato cinque anni fa all’età di 88 anni, il 23 novembre alle ore 17 verrà ricordato a Torino a Palazzo Cisterna in via Maria Vittoria 12.

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L’oratore e patriota Carlo Delcroix

A Roma oggi ricordo Carlo Delcroix a cent’anni dal suo sacrificio durante la Grande Guerra e a 40 anni dalla morte. Il mio amico Domenico Giglio ,presidente del prestigioso Circolo “Rex” ,una delle più vecchie associazioni politico-culturali di Roma, nata nel ’44,mi ha invitato a ricordare il grande oratore che fece appassionare le piazze d’Italia. Cieco e senza mani ,in seguito al suo spirito di sacrificio che nella prima guerra mondiale lo portò a bonificare da solo un campo minato nel 1917,Delcroix con le ferite non ancora guarite iniziò come Fulcieri Paulucci de Calboli, altro grande invalido, i suoi discorsi appassionati ai soldati delle trincee per esortarli alla resistenza sul Piave. Amico di mio nonno al fronte, ebbi il piacere di ascoltare più volte i suoi discorsi. Nessun oratore della storia italiana del Novecento ebbe la sua efficacia appassionata e suggestiva. Il mio compagno di scuola Giovanni Minoli , quando lo sentì casualmente in piazza San Carlo, mi disse che era un uomo eccezionale, indimenticabile. Ed era proprio così.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

CHIAMPA E LAUS: GIOCHI D’AZZARDO
Cosa ne pensa dello scontro istituzionale tra il presidente Chiamparino e il presidente del Consiglio regionale Laus sulle macchinette da gioco ? Mi sembra inaudito.
                                                                             Cristina Vecchio

E’ davvero inaudito perché Chiampa , come lo definivano un tempo, è ammalato di protagonismo e pretendendo che il Consiglio regionale si uniformi ai suoi ordini, sia pure per una causa meritevole come la lotta al gioco d’azzardo, stravolge il senso del rapporto istituzionale tra Giunta e Consiglio Regionale. Il Piemonte non è una repubblica presidenziale e le ragioni dell’assemblea legislativa regionale vanno oltre quelle del presidente della giunta. E’ lo stesso delirio di onnipotenza di quand’era sindaco ed ha accumulato un deficit pauroso alla Città senza che nessuno del suo partito abbia il coraggio di rinfacciarglielo. Fassino si è trovato a fronteggiare il baratro finanziario che aveva ereditato, senza riuscire a colmarlo.
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LUCI E OMBRE
Ho visto che piazza San Carlo, pur riproponendo luci d’artista che rendono più buia la piazza, quest’anno ha delle luci in più .Ricordo che lo scorso anno Lei sollevò il problema delle luci d’artista inadeguate .                  Sveva  Vincenti

Anch’io sono rimasto sorpreso favorevolmente dalle luci in più . A Natale ci vogliono tante luci per rendere allegro il clima natalizio, ma le luci in più occorrono anche tutto l’anno per la sicurezza. Quelle luci d’artista saranno anche suggestive, ma sono assolutamente inadatte ,persino inquietanti. Ovviamente non bastano le luci a rendere sereno e piacevole il Natale, sarebbe necessaria una luce ,anche piccola , se ci accendesse dentro di noi.

L’ospedale Mauriziano di Torino contro la violenza sulle donne

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, l’ospedale Mauriziano di Tiorino nel 2017 promuove l’eliminazione della violenza sulle donne con una serie di iniziative organizzate e coordinate dalla Rete Locale Accoglienza Vittime di violenza e dal Comitato Unico di Garanzia aziendale. Dopo aver organizzato la settimana scorsa il primo corso sulla violenza domestica e sessuale dedicato ai professionisti sanitari, lunedì 20 novembre verrà approvata la nuova Procedura per la presa in carico delle vittime di violenza interpersonale presso l’Azienda Mauriziano di Torino. Da giovedì 23 a giovedì 30 novembre verrà esposto al pubblico, per la campagna di informazione a sostegno delle donne vittime di violenza, l’allestimento “Posto occupato” sia nell’atrio storico lungo corridoio Turati prospiciente l’Aula Carle sia nella sala di attesa del Pronto soccorso.

Più di una mostra: Infanzia rubata. Un secolo di lavoro minorile

“Una mostra che ha il pregio di smontare le solite narrazioni retoriche sul tema dello sfruttamento minorile e di affrontarlo senza filtri, con una visuale che non nasconde la difficile quotidianità di moltissime bambine e bambini, ma altrettanto non cede alla tentazione di dipingerlo in maniera pietistica o eroica”, così ha affermato Mauro Laus, presidente del Consiglio regionale, all’inaugurazione dell’esposizione fotografica Infanzia rubata. Un secolo di lavoro minorile, da Lewis W. Hine ai giorni nostri organizzata al Polo del ‘900 di Torino dall’Ismel (Istituto per la memoria e la cultura del lavoro dell’impresa e dei diritti sociali) in collaborazione con la Fondazione Alberto Colonnetti onlus e con il sostegno del Consiglio regionale con il Comitato regionale per i Diritti umani.

La mostra parte da foto storiche di Lewis Hine, sociologo che denunciò con la macchina fotografica il lavoro minorile negli Stati Uniti nei primi del Novecento per arrivare fino alle immagini contemporanee, scattate da vari autori fra cui Andreja RestekLaura Salvinelli e Stefano Dal Pozzolo. A corredo, una serie di scatti che mostrano missioni umanitarie in tutto il mondo (Pakistan, Burkina Faso, Guatemala, Nepal) condotte, fra gli altri, da Focsiv e Iscos.

“Quasi ogni giorno, dolorosi fatti di cronaca ci ricordano che intorno a noi continua a esistere una oscura realtà parallela, un mondo turpe che sfrutta i bambini, anche con modalità abominevoli”, ha proseguito Laus. “E l’Italia non fa purtroppo eccezione se pensiamo che i minori pre-adolescenti, tra i 12 e i 15 anni, coinvolti nel nostro paese in attività lavorative sono circa 340mila. Dobbiamo risvegliarci dal torpore dell’indifferenza: oggi è più che mai urgente approvare misure contro il disagio, la povertà infantile e le disuguaglianze. Se esistesse un solo dovere per una democrazia evoluta, questo consisterebbe nel saper offrire a ciascun figlio uguali opportunità di crescere, giocare, studiare, migliorarsi, uguali tutele e protezioni”.

Con un linguaggio semplice e diretto le foto di Hine, realizzate per il National Child Labor Committee, parlano del lavoro dei bambini nelle miniere, nei campi, nelle fabbriche tessili e alimentari, sulla strada e a domicilio. Le immagini, efficace strumento di sensibilizzazione, sono il risultato di un’accurata selezione del materiale messo a disposizione dalla Library of Congress di Washington.

L’iniziativa si inserisce nell’ambito del progetto Infanzia negata, promosso dal Polo del ‘900 in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia (20 novembre), con l’obiettivo di mettere in luce i diversi volti di un fenomeno purtroppo diffuso su scala mondiale ovvero lo sfruttamento minorile e la mancanza di tutela dei diritti dei minori.

EC – www.cr.piemonte.it

Usò la penna contro il mitra. Casalegno 40 anni dopo

Sulla rivista “Torino Storia” di novembre è uscito un importante articolo di Pier Franco Quaglieni su Carlo Casalegno a 40 anni dal suo assassinio.” Un articolo controcorrente- rileva in una nota il Centro Pannunzio – anche rispetto a certe paludate e persino fastidiose celebrazioni da parte di chi non ha neppure conosciuto o frequentato Casalegno e di chi vanta amicizie inesistenti nei confronti della vittima delle Br “

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Nell’Aula Magna dell’Università degli studi di Torino il Magnifico Rettore Rinaldo Bertolino conferì nel 2004 la laurea honoris causa in Giurisprudenza alla memoria di Carlo Casalegno. Patrocinatore dell’iniziativa fu Giovanni Conso, Presidente dell’Accademia dei Lincei, che in un precedente convegno in ricordo di Casalegno aveva lanciato la proposta di un riconoscimento accademico al giornalista ucciso dalle Brigate Rosse. Fu un fatto importante che anche l’Università non si casalegno-2dimenticasse dell’antico allievo della Facoltà di Lettere Casalegno, che fu professore di liceo e giornalista, autore di migliaia di articoli e di pochi libri. Se le BR non gli avessero stroncato la vita a 61 anni, Casalegno – me lo confidò più volte con speranza per il futuro e rammarico per il passato e il presente – si sarebbe dedicato ad opere storiche che aveva in mente e che allora erano incompatibili con i ritmi di lavoro di un giornalista.

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Casalegno, quando venne brutalmente ferito a morte sotto casa dai brigatisti, suscitò unanime pietà, ma non altrettanta solidarietà. Pochi operai parteciparono ad uno sciopero indetto dopo l’agguato terrorista ed alcuni si lasciarono andare ad incredibili dichiarazioni di indifferenza nei confronti dell’attentato. Erano ancora i tempi in cui c’era chi parlava di «sedicenti Brigate Rosse» ed altre simili banalizzazioni di un fenomeno terroristico che avrebbe colpito nel 1979 anche il sindacalista comunista Guido Rossa. Nel 1977 venne coniato lo slogan «Né con lo Stato né con le BR» che conteneva in sé un significato del tutto inaccettabile nei confronti delle istituzioni repubblicane.

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Ci fu chi, nel mondo intellettuale, definì Casalegno sprezzantemente un «moderato» e per alcuni esponenti della sinistra di allora fu un sacrificio di non poco conto scendere in piazza per dimostrare contro l’orribile delitto nei confronti di un uomo che, pur provenendo dalle file del Partito d’Azione, non ebbe nel corso degli anni mai indulgenze verso la contestazione, il permissivismo dello Stato, le  ambiguità nei confronti dei “sedicenti brigatisti” e dei “compagni che sbagliano”. La sua rubrica Il nostro Stato sul quotidiano “La Stampa” era emblematica di un certo modo di concepire lo Statobrigate-rosse democratico come fondamento delle regole civili che sovrintendono la vita sociale. Egli sentiva il richiamo del Risorgimento liberale e della tradizione subalpina dello Stato, rifiutando con fastidio i contestatori che nel loro velleitarismo ideologico e nel loro richiamo e ricorso alla violenza, non solo verbale, si opponevano a quella civiltà fondata sulla tolleranza, profondamente amata da Casalegno. Spadolini lo definì giustamente un cittadino esemplare dell’«Italia della ragione» . Casalegno ebbe il torto, o meglio, il grande merito e soprattutto il coraggio e la lucidità, di vedere la deriva terroristica anche come frutto dell’estremismo contestatore. E questo sbocco eversivo egli denunciò con fermezza, pagando con la vita. E in quegli anni di piombo rispondere con l’arma della penna a chi usava il mitra per affermare le sue farneticazioni ideologiche fu la scelta di un democratico moderato che rifiutava per cultura, ma prima ancora per scelta morale, la violenza estremista.

 

Pier Franco Quaglieni

Civich, concorso nel 2018. E arriva il nuovo comandante

Nel 2018 il Comune di Torino bandirà un concorso per vigili urbani. La notizia giunge direttamente dalla sindaca, Chiara Appendino, che ha preso parte al Teatro Carignano alla festa per i 226 anni del Corpo della Polizia municipale. “L’organico è una priorità in un momento in cui la sicurezza è tra i temi caldi, che creano più preoccupazione”, ha commentato  la prima cittadina. Durante la cerimonia è stato presentato il nuovo comandante dei civich, Emiliano Bezzon di 53 anni, già comandante della polizia locale a Varese. 

 

(foto: Claudio Benedetto www.fotoegrafico.it)

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

L’antimafia – Ostia, i giornalisti, i violenti – Mario Altamura liberale d’altri tempi – Francesco Tabusso  piccolo e grande artista 


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L’antimafia

Ho sempre avuto stima ed ammirazione per don Luigi Ciotti che una volta ,quando ricevemmo insieme il Premio “San Giovanni” fu largo di elogi nei miei confronti. Ma un conto è don Ciotti ,un conto è il donciottismo  torinese e non. Il donciottismo fa inevitabilmente pensare ai professionisti dell’Antimafia ,come li definiva Sciascia, fa pensare a Grasso e alla ineffabile Rosy Bindi, per non parlare dell’ex magistrato Ingroia . Sono persone che  personalmente non sopporto. Mi è venuto alla mente questo ricordo leggendo il testo  del nuovo Codice Antimafia. Il partito radicale in un suo documento ha espresso un giudizio critico che merita di essere conosciuto di più e nel quale mi identifico. “Il nuovo Codice antimafia estende sequestri e confische in assenza di giudicato ai sospettati di tutti i reati contro la pubblica amministrazione, compreso il peculato. Con questa norma ci troviamo con un diritto penale e processuale che fa dell’emergenza la regola, del sospetto la prova, delle garanzie carta straccia, del giudicato un’inutile ritualità”. Il non basarsi sulle prove, ma sugli indizi e sulle congetture, il non prevedere un vero contraddittorio tra accusa e difesa anticipa la punizione  rispetto alla condanna e rende inutile il processo. E’ una minaccia grave allo Stato di diritto e alla libertà dei cittadini.


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Ostia, i giornalisti, i violenti
La violenza bestiale di Spada che colpisce un giornalista a testate va condannata con assoluta fermezza,ma non è giusto che alla violenza contro un giornalista sia dia immenso spazio mediatico ,mentre le violenze subite da semplici cittadini vengono di fatto ignorate e soprattutto non perseguite. C’è chi dice che far violenza ad un giornalista è più grave perché rappresenta il diritto all’informazione che hanno i cittadini. Forse è anche vero ,ma resta il fatto che la categoria ,meglio la corporazione, giornalistica appare privilegiata . Non sempre il comportamento dei giornalisti è accettabile.Non mi riferisco al caso di Ostia,ma potrei citare esempi di protagonismo riprovevoli.Una giornalista torinese si fece passare per poliziotta per carpire con la famiglia di una vittima,per carpire notizie che potevano violare la privacy. Quel caso venne dopo troppo breve periodo dimenticato. Spada verrà perseguito e condannato con rapidità e in modo esemplare contrariamente a quanto avviene in tanti altri casi anche molto più gravi.

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Mario Altamura liberale d’altri tempi

Mario Altamura fu un medico che per 25 anni fu consigliere comunale di Torino di cui fu anche assessore e per lo spazio di un mattino anche pro Sindaco. Non si può dire che fosse un politico perché per lui la professione medica fu sempre al primo posto e il servizio agli altri attraverso la politica fu un un prolungamento del fatto di essere e di sentirsi medico. Fu anche eletto due volte consigliere provinciale di Torino, anche se ,quando nel 1985 il suo partito ebbe l’opportunità di ottenere la presidenza della Provincia che naturaliter gli sarebbe spettata, non venne ricandidato. Aveva un vastissimo elettorato personale, ma sarebbe sbagliato parlare di clientelismo nei suoi confronti perché i suoi sostenitori erano donne e uomini appassionati e legati da sentimenti profondi verso la sua persona, come avviene al Sud. Era Pugliese, nato vicino a Taranto ,venuto a Torino come ufficiale del R. esercito con le truppe del Corpo italiano di Liberazione . Diresse l’ospedale profughi di Venaria. Apparteneva all’Artiglieria da Montagna e l’unico distintivo che gli vidi indossare -insieme all’immancabile papillon- era quello dell’associazione alpini. Appartenente ad una importante famiglia meridionale, aveva studiato medicina all’Universita ‘ di Napoli ed aveva iniziato la professione medica a Torino .Fu anche vice presidente della Banca del Sangue e ricopri molti altri incarichi con un disinteresse già raro ai suoi tempi. Eletto la prima volta in Consiglio comunale nel 1956 nel PNM ,venne rieletto nello stesso partito monarchico unificato nel 1960.Poi nel 1963 scelse di entrare nel PLI ,convinto di poter così meglio servire quegli ideali liberali e risorgimentali che sentiva anche come un patrimonio famigliare. Una scelta che fece anche l’altro consigliere monarchico ,il col. Enzo Fedeli, vero leader carismatico dei monarchici piemontesi a cui fu impedito di essere eletto deputato per la discesa in campo dell’imprenditore Piero Ferrari il quale riuscì con i suoi finanziamenti a monopolizzare il partito monarchico in Piemonte . Mentre nel partito monarchico era osannato e il suo abbandono significò il crollo di quel partito a livello torinese, nel partito liberale non ebbe le attenzioni che meritava. Nel 1968 fu il primo escluso alla Camera dei Deputati, malgrado l’assoluto non appoggio, per non dire l’ostacolo, del partito nei suoi confronti.  Il Pli era un partito molto snob e l’elettorato di Altamura raccolto attorno all’associazione” Nord Sud”, non veniva visto bene in via delle Orfane, sede del partito. Inoltre la sinistra liberale non lo amava per il fatto di essere monarchico. Anche gli ex compagni di partito del PDIUM si accanirono contro di lui con azioni indegne di vera intolleranza e di sabotaggio che durarono anni, in quanto lo consideravano un” traditore da mettere alla gogna “. Ebbe solo la collaborazione fedele della funzionaria del PLI Giuseppina Corniati che il partito gli mise a disposizione per l’associazione Nord Sud la quale ebbe una piccola sede nel cuore di San Salvario, in via Sant’Anselmo .Giacomo Bosso,eletto senatore a Torino centro, stava molto dietro ad Altamura, avendo compreso la sua forza elettorale. In ultimo, anche Zanone e Altissimo che dimostrarono di non amarlo, cambiarono idea su di lui per il consenso che poteva rappresentare, anche se non ebbe mai un riconoscimento adeguato al suo impegno. Significativo che per un suo gesto di coraggio che salvò da morte sicura la vittima di un incendio, non ebbe dal ministro della Sanità Altissimo la Medaglia d’oro per la Sanità come gli sarebbe spettata.  La moglie di Altamura era di origini triestine e questo lo rese particolarmente sensibile ai temi delle foibe e dell’esodo giuliano- dalmata in anni in cui neppure i liberali ne parlavano. Molti suoi elettori erano esuli costretti a lasciare tutto per venire in Italia, come molti lavoratori meridionali immigrati fecero per raggiungere il lavoro a Torino. Amava molto la musica e le prime del “Regio” erano un appuntamento per lui irrinunciabile. Amava anche suonare il pianoforte.  Era un politico rigoroso e limpido, le sue abituali passeggiate sotto i portici di via Roma tutte le sere e nei giorni festivi consentivano a chiunque di avvicinarlo e di parlargli. La sua apertura umana era nota ed apprezzata, così come la sua non faziosità politica. Fu capogruppo del PLI dopo Luciano Jona, come oppositore di Novelli Sindaco da cui Altamura dissentiva, ma senza manicheismi settari. Con Novelli, anzi, mantenne un buon rapporto personale durato nel corso degli anni e personalmente non ho mai capito quali affinità potessero legare due persone così distanti e diverse. Negli ultimi anni aveva ripreso la tradizione religiosa della sua famiglia ed ogni domenica non mancava mai alla Messa di mezzogiorno alla “Consolata” ,altro aspetto atipico del suo liberalismo che per molti liberali torinesi si identificava in un acceso laicismo o addirittura, come nel caso di Zanone e di altri, nell’ adesione alla Massoneria. Ammalato, andava da solo a sottoporsi alla chemioterapia, nascondendolo alla famiglia, fin quando fu possibile. Un gesto eroico. Era nato nel 1915 e morì poco più che settantenne, nel 1988.Tornai dalle vacanze per partecipare ai suoi funerali. E’ sepolto a Piscina dove aveva una casa di campagna che amava molto, come amava quella del mare ad Albenga che aveva scelto, dopo tanti anni di vacanze sulla costa adriatica. Io sono stato molto suo amico. Abbiamo condiviso ideali, ma anche quando le nostre strade si separarono, rimanemmo amici,profondamente amici. Era un gentiluomo di antico stampo e mi è spiaciuto di non essere stato io a ricordarlo nel 2005 insieme a Nicoletta Casiraghi, in Consiglio Comunale. Forse avrei potuto dire di più di Nicoletta,ma sicuramente con meno distacco perché alla notizia della morte ho pianto. Fu anche il mio medico curante per molti anni disponibile ad ogni ora del giorno è anche della notte.Ho condiviso con lui tante battaglie ed a volte amava sentirmi per uno scambio di idee che i politici oggi nella loro autosufficienza  non vogliono .Visse una vita semplice,austera,parsimoniosa. Comparve in un libro nel 1968 che era un uomo della Fiat nelle istituzioni perché aveva un ottimo rapporto personale con l’avvocato Agnelli. Era un monarchico fedele al Re Umberto in esilio che gli conferì le massime onorificenze sabaude tra cui il cavalierato mauriziano. In effetti Mario fu un gentiluomo d’altri tempi in cui lo stile nel rapportarsi con gli altri, non solo con gli amici ,era improntato a valori umani che si sono persi. Non oso pensare come  si troverebbe a disagio a vivere oggi ,lui ispirato a valori antichi da uomo del Sud che aveva trovato nella regal Torino una nuova patria, senza rinnegare  mai il suo sentirsi un meridionale che amava il Risorgimento . Come Croce, come Omodeo, De Ruggiero.

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Francesco Tabusso  piccolo e grande artista 

Francesco  Tabusso era nato a Sesto San Giovanni nel 1930.Appena adolescente passi gli anni della guerra sfollato a Rubiana che diventerà insieme a Varigotti e Bardonecchia , uno dei luoghi più amati di vacanza dell’artista. Maturità classica,frequentò lo studio di Felice Casorati.Nel 1954 a 24 anni partecipa  alla Biennale di Venezia.Da quel momento Tabusso diventa un pittore di successo che avrà sempre di più una notorietà internazionale con mostre a New York, Mosca,Bruxelles, Alessandria d’Egitto. Sicuramente tra i pittori torinesi della sua generazione è stato il primo in assoluto. Anche perché non si è lasciato invischiare in quell’impegno politico che finì di toccare tutti gli artisti torinesi di un certo periodo. Francesco amava la montagna,la Langa, il mare,le donne e i piaceri della vita. Una volta a una cena di amici disse con linguaggio colorito che desiderava spesso “la fuga nella figa .” Sono famosi i suoi nudi e il forte desiderio di sensualità che pervase la sua vita e la sua arte. Claudia Ghiraldello ha scritto :”Tabusso si chiamava Francesco e di Francesco d’Assisi incarnava l’ardore per la semplicità. La flora, la fauna, il creato. Nelle sue opere si contempla la vita quotidiana, tra verismo e rivisitazione estatica. Il mistero del semplice ricercato con entusiasmo. L’eredità di Casorati nel dominio del colore, vissuto come contatto fisico della materia. Il tutto svaporato assai spesso in un sogno, in una sorta di riproposta fiabesca per un’interpretazione terapeutica del reale”.  Sicuramente è vero,ma non avendolo conosciuto di persona,trascura il vitalismo di questo piccolo uomo che seppe superare gagliardamente la sua inferiorità fisica con l’arte e con una vita appassionata. Sono stato suo amico e le ore passate con lui erano straordinarie,si passava dal serio al faceto  in un continuo gioco di ragionamenti,di cultura,di battute. Era bello per i boschi di Rubiana andare in passeggiata a cavallo con lui. Lui montava un cavallo sardo,ma era sempre il primo nella galoppate. E poi le cene con lui e le bevute che ci rendevano allegri. Tabusso era davvero ,come lo fu Mario Soldati che gli chiese di illustrargli due libri,una di quelle persone uniche che quando vengono a mancare lasciano un vuoto incolmabile anche se egli rivive ogni giorno nella sua arte.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Attenzione a non ghettizzare i gay

Caro professore, ma quelli che dicono “io adoro i gay” quale ancestrale complesso da ansia di apparire progressisti hanno? Io non adoro i gay. Come non adoro chi ha i capelli biondi o gli occhi neri. Dire che si adorano gli omosessuali significa avallare la ghettizzazione di cui sono stati vittime e in parte lo sono tuttora. Esistono persone che mi piacciono, e persone che non mi piacciono. Alcune di loro hanno i capelli scuri, altre gli occhi chiari. Alcune sono gay. Ma non mi verrebbe mai in mente di dire “io adoro i gay”. È così squallidamente discriminatorio. Come chi lo dice.

                                                                                                                                              Anna Priuli
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Lei è entrata in un campo minato, questo è un tema difficile da affrontare. I gay sono stati oggetto di discriminazione e di scherno per decenni, la Chiesa li ha condannati, richiamandosi alle pagine della Bibbia. Oggi appare in larga parte tutto cambiato. Con le Unioni civili si è giunti a pochi passi dal vero e proprio matrimonio tra  persone delle stesso sesso. Il principio liberale stabilisce che la vita intima delle persone sia inviolabile. Cosa diversa è il tema dei figli. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano. Lei nella sua lettera evidenzia una moda che anch’io giudico discutibile. ma quante altre mode sono discutibili! Oggi si ragiona per luoghi comuni.
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A proposito di Chiara e Giordana
 
Ho letto i suoi ripetuti attacchi alla Sindaca Appendino. Mi sembrano troppo aspri per una persona che tende all’equilibrio come lei.
Pier Vincenzo Fenili
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Io a priori non ho né simpatie né antipatie preconcette. Quando ho conosciuto la signora Appendino in maggio, ne ho avuto una buona impressione. Molto diversa fu l’impressione quando conobbi il suo capo di gabinetto Giordana. Ho scritto denunciando la sua inesperienza e anche il suo senso di superiorità. Mi sembra che Fassino fosse un sindaco molto migliore. Certi ruoli non si improvvisano e un conto è fare il consigliere comunale di opposizione e un conto il sindaco di una grande città.  Specie se dietro il sindaco manca una squadra di gente competente. Affidarsi a Giordana fu, a mio parere, un errore fatale.
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La resistenza sul Piave e Diaz

In questi giorni ,cent’anni fa, dopo la  disfatta di Caporetto l’Italia reagì con la resistenza sul Piave, ma quest’ultima non viene ricordata. Dopo cento anni un certo antimilitarismo pacifista  ancora prevale ?
                                                                                                                               Gino Lugli
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In effetti è così. Anche gli articoli di giornale e i convegni hanno analizzato soprattutto Caporetto che rischiò di decretare  la “finis Italiae” con un arretramento possibile fino a Milano. Furono giorni drammatici. Ma l’Italia resistette. Ci fu il convegno di Peschiera in cui risaltò la figura del piccolo Re soldato ,che decise con gli alleati la resistenza sul Piave. Soprattutto ci fu la nomina del Generale Armando Diaz a comandante supremo al posto di Cadorna. Il napoletano Diaz che parlava in napoletano ai soldati meridionali segnò una svolta nella storia dell’esercito italiano, ancora con vertici prevalentemente piemontesi. La sua umanità significò un rapporto diverso con i soldati. L’eccessivo rigore di Cadorna venne abbandonato. E sotto il comando di Diaz dopo un anno l’Italia vinse la guerra contro l’Austria Ungheria che dopo Caporetto sembrava irrimediabilmente perduta.

Il Fila potrebbe essere riaperto al pubblico a breve

La considerazione più amaramente realistica la fa il sito filotorinista Torinogranata.it: “Ma com’è possibile che un impianto nuovo di zecca, qual è il Filadelfia, sia stato costruito senza rispettare tutte le norme vigenti in materia di sicurezza? Verrebbe da rispondere siamo in Italia, non c’è da stupirsi poiché ci sono innumerevoli esempi di impianti e strutture inaugurate dopo anni di lavori e tanti denari spesi che nel giro di poco tempo vengono chiusi o persino non sono mai inaugurati per problemi di sicurezza e gestione”. C’è da sperare che a Torino le cose vadano meglio. Sì, perchè lo storico Filadelfia, inaugurato soltanto lo scorso maggio, è stato bocciato dalla Commissione di vigilanza del Comune, che avrebbe  rilevato  criticità di sicurezza all’interno dell’impianto, che  così  sarà vietato al pubblico. Non però ai giocatori che potranno allenarsi regolarmente al suo interno. Non si tratterebbe di problemi importanti: mancherebbero cartelli nel parcheggio sotterraneo, e sarebbe da sistemare una bocchetta dell’impianto di aerazione andrebbe sistemata.