Croce Rossa Italiana presenta il servizio di ricerca dei familiari con un nuovo chiosco presso il Comitato di Torino
Presso il Comitato CRI di Torino, in via Bologna, è stato da poco allestito un corner Trace the Face.
L’Ufficio Ricerche, Restoring Family Links e Protezione del Comitato di Torino, è attivo dal 1983 nel supportare a ristabilire e mantenere i contatti tra i membri delle famiglie, separati in seguito a conflitti, situazioni di violenza, catastrofi naturali, movimenti migratori e circostanze che richiedano una risposta umanitaria. Ora si è “arricchito” di un nuovo strumento, un totem interattivo.
Si tratta del chiosco Trace the Face, che consentirà ai possibili beneficiari, affiancati da operatori della CRI specializzati nelle attività RFL, di visionare le fotografie delle persone che cercano i loro congiunti e da cui sono stati separati lungo le rotte migratorie verso l’Europa. Il sito del Progetto Trace the Face è stato predisposto dal Comitato Internazionale di Croce Rossa proprio per i ricongiungimenti affettivi, per permettere di selezionare tra diverse migliaia di immagini e di filtrare quelle che potrebbero interessare chi sta effettuando una ricerca.
Le persone che vogliano mettersi alla ricerca dei propri cari, possono recarsi presso il Comitato di Torino della Croce Rossa Italiana, in via Bologna 171, con i seguenti orari: lunedì dalle 17 alle 19 e martedì dalle 10 alle 12.

Sabato 20 novembre, si è inaugurata l’installazione ambientale permanente ideata per Casa Giglio da Francesco Simeti – artista italiano che vive a New York, noto per i grandi wall-paper realizzati mediante collage digitali con cui costruisce paesaggi immaginari popolati da raffinate metafore sociali.
Lunedì.
Forse da sempre, fin da quell’ormai lontano 1984 in cui si raggrupparono a compagnia, i Marcido (breviter per Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa) hanno pensato ad una messa in scena da Dostoevskij e adesso che l’autore/regista del gruppo, Marco Isidori, anzi l’Isidori, è stato “acchiappato” dal grande russo, adesso eccole lì, sul palcoscenico del Gobetti, repliche sino a domenica, per la stagione dello Stabile torinese, le “Memorie del sottosuolo”, datate 1864, lo sguardo rivolto totalmente alla prima parte, al lungo monologo del protagonista. Un alternarsi di esaltazione e di disperazione, le confessioni e le parole da sempre taciute, un urlo contro quel positivismo che costruiva sentieri ottimistici e ingannatori, incapace di giungere alla sempre sperata società del benessere, la consapevolezza di una sofferenza che l’uomo va ricercando, di un bel carico di autoumiliazione e di autodistruzione, l’afflizione di una incalzante accidia che lo rende ben lontano da quegli uomini d’azione che sono pronti a prefissarsi e a raggiungere certe precise mete. Un Uomo che si rispecchia in quanto di negativo c’è in lui ma che anche si definisce “evoluto”, un uomo che soffre della propria irrazionalità ma che sembra reclamarla, nella negazione di ogni certezza, semplificata dal prodotto 2 x 2 = 4 contrapposto nel 2 x 2 = 5 e dettato dall’imposizione della volontà individuale. Di fronte all’impianto negativo dell’Uomo, l’Isidori riconosce a “Dosto” – ormai c’è dimestichezza tra i due! – “un merito speciale”: “gli riuscì di calibrare il suo occhio d’artista in modo da penetrare al micron la misura dell’angoscia che ci spacca il petto allorquando comprendiamo che il punto della nostra posizione nel pelago esistenziale ci viene fornito soltanto, unicamente, diabolicamente, dal “male” che siamo in grado di portare in dote ai nostri simili”.