Cosa succede in città- Pagina 2

Una serata alla scoperta della luna alla palazzina di Caccia di Stupinigi

Negli ultimi giorni dedicati alla luna il cielo diventa protagonista a Stupinigi in un evento d’eccezione, in programma venerdì 6 giugno dalle ore 21 sulla terrazza della palazzina di Caccia di Stupinigi, verso il parco storico.

La serata alla scoperta della luna prevede un percorso nelle sale alla ricerca delle storie, aneddoti e personaggi legati all’astronomia, come la principessa di Carignano, Giuseppina di Lorena Armagnac (1753-1797), moglie di Vittorio Amedeo di Carignano e nonna di Carlo Alberto. Era una donna straordinaria dai molteplici interessi, tra cui l’astronomia, di cui la Palazzina conserva un ritratto nell’appartamento di Levante. Al termine della visita guidata si terrà una “lezione di cielo” nel Salone d’Onore e, infine, dalla terrazza, l’osservazione guidata della luna dai telescopi dello staff del Planetario, accompagnata da un calice di vino e da una Friandise salata, a cura dell’associazione Tutela Baratuciat e Vitigni Storici.

L’evento è organizzato dai Servizi Educativi della Palazzina di Caccia di Stupinigi, in collaborazione con Infini.to-Planetario di Torino.

Info

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Amedeo 7, Stupinigi, Nichelino

Venerdì 6 giugno dalle ore 21

Per Diana. La luna sopra il cervo

Prenotazione obbligatoria a stupinigi@info.ordinemauriziano.it

Dal martedì al venerdì dalle 10 alle 17.30, entro il giovedì precedente la visita.

Mara Martellotta

Fondazione Torino Musei: 2 giugno GAM, MAO e Palzzo Madama aperti

Lunedì 2 giugno GAM e MAO eccezionalmente aperti.

Ingresso a 1€ per le collezioni permanenti di GAM, MAO e Palazzo Madama e

tariffa ridotta a 1€ per le mostre temporanee

 

 

Anche quest’anno la Fondazione Torino Musei celebra la Festa della Repubblica proponendo per lunedì 2 giugno la tariffa speciale a 1€ per visitare le collezioni permanenti e le esposizioni collegate alla GAM, al MAO – eccezionalmente aperti per l’occasione – e a Palazzo Madama.

Aggiungendo 1€ i visitatori potranno accedere alle mostre temporanee FAUSTO MELOTTI. Lasciatemi divertire! e le mostre del Contemporaneo: ALICE CATTANEO. Dove lo spazio chiama il segno e Giosetta Fioroni alla GAM, Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone al MAO Visitate l’Italia. Promozione e pubblicità turistica 1900-1950 a Palazzo Madama.

La tariffa a 1€ sarà applicata anche ai titolari di Abbonamento Musei, che non potranno utilizzare le tessere.

Ingresso gratuito per i possessori della Torino Card.

 

Cosa si può visitare:

 

Alla GAM: oltre alle collezioni permanenti e al Deposito vivente sono visitabili le mostre temporanee FAUSTO MELOTTI. Lasciatemi divertire! (+1€) e le mostre del Contemporaneo: ALICE CATTANEO. Dove lo spazio chiama il segno e Giosetta Fioroni nello spazio della Videoteca (+1€)

Al MAO: i visitatori possono visitare le cinque gallerie delle collezioni permanenti e la mostra temporanea Adapted Sceneries e la mostra temporanea Haori (+1€).

Palazzo Madama: oltre alle collezioni permanenti, sono visitabili le mostre temporanee Jan Van Eyck e le miniature rivelateBianco al femminile e Peltri a Torino, oltre all’esposizione temporanea Visitate l’Italia! (+1€).

LE VISITE GUIDATE

 

GAM

Lunedi 2 giugno ore 10.30 e ore 15:00 Seconda risonanza. Ritmo, struttura e segno

Lunedi 2 giugno ore 12 e ore 16:30 | Fausto Melotti. Lasciatemi divertire!

 

MAO

Lunedì 2 giugno ore 16.30 | CUSTODI SILENTI. Il potere dei guardiani nelle collezioni del MAO

lunedì 2 giugno ore 15 | Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone

 

PALAZZO MADAMA

lunedì 2 giugno ore 15 | Da castello a museo

lunedì 2 giugno ore 16.30 | Mostra Visitate Italia

 

Costi: 7 € a partecipante. Prenotazione consigliata, disponibilità fino ad esaurimento posti.

Info 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30)

 

Memorie in Comune

Il 2 giugno si svolge inoltre l’iniziativa Memorie in Comune, un’imperdibile occasione per scoprire Palazzo Civico e Palazzo Madama – accompagnati dal direttore Giovanni C.F. Villa – in un momento unico e speciale.

L’iniziativa è promossa dalla Presidenza del Consiglio Comunaledalla Direzione di Palazzo Madama, in collaborazione con Turismo Torino e Provincia.

L’itinerario avrà inizio da Palazzo Civico, storica sede del municipio cittadino, con una passeggiata che dalle sale auliche culmina in Sala Rossa, cuore della vita amministrativa torinese, e nell’Ufficio della Presidente del Consiglio Comunale, aperto al pubblico, per proseguire poi a Palazzo Madama che rappresenta non solo tutta la storia della città, ma anche il suo ruolo in chiave italiana prima ed europea poi. Da Porta Decumana a castello medievale, da capolavoro del barocco europeo a sede del Senato del Regno che decreta l’Italia unita e Roma capitale per ospitare infine la firma della Carta Sociale del Consiglio d’Europa, Palazzo Madama è Patrimonio Mondiale UNESCO e Museo Civico di Torino, ospitando oltre 70.000 opere che rappresentano il dialogo tra Oriente e Occidente e una delle più significative collezioni di arti applicate al mondo.

Le visite, accessibili anche a persone con disabilità, saranno gratuite e programmate a orari fissi: a Palazzo Civico avranno inizio alle ore 9,45, 10,45 e 11,45, seguite dalle visite a Palazzo Madama alle ore 11, 12 e 13.
Ciascuna visita ha una durata di circa 55 minuti.

Prenotazione obbligatoria al sito https://www.turismotorino.org/it/esperienze/eventi/memorie-comune-da-palazzo-civico-palazzo-madama

REGINA MUSIC FEST, la prima festa della musica dedicata ai piccoli pazienti

UGI – Unione Genitori Italiani contro il tumore dei bambini ODV, in collaborazione con ospedale Infantile Regina Margherita di Torino e Città della Salute e della Scienza di Torino e con le numerose Associazioni di volontariato che operano all’interno dei reparti dell’ospedale Regina Margherita, in partnership con Associazione culturale Hiroshima Mon Amour, presenta la terza edizione del REGINA MUSIC FEST, la prima festa della musica dedicata ai piccoli pazienti ed ai loro familiari con giochi, intrattenimento e musica, per un pomeriggio di festa che, dalle ore 16 alle ore 19 di lunedì 2 giugno,  animerà tra colori e note l’area antistante l’ingresso dell’ospedale infantile, in piazza Polonia, 94 a Torino.

Realizzata grazie al sostegno di Reale Foundation, la fondazione Corporate di Reale Group, e Iren, l’edizione di quest’anno ha come obiettivo di contribuire alla realizzazione dell’ampliamento della struttura riabilitativa, con un progetto che prevede l’integrazione di uno spazio (annesso all’area già funzionante) dedicato ai più piccoli, per offrire percorsi riabilitativi sempre più specializzati ed integrati. Inoltre, con Eduiren, il settore educational del Gruppo Iren, insieme al collettivo artistico SANT3 MOLEST3, realizzerà insieme ai ragazzi e le ragazze un arazzo collettivo fatto di materiali di scarto che prendono nuova vita.

Numerosi gli artisti e i partner che hanno accolto con entusiasmo l’invito a partecipare per la gioia dei bambini e dei ragazzi in cura, per una festa dentro e fuori le mura dell’ospedale grazie alle incursioni degli artisti in corsia.

A far cantare e ballare ci pensano I PATAGARRI il quintetto gipsy jazz gioioso e coinvolgente che ha conquistato il pubblico arrivando in finale del talent più famoso d’Italia; la cantautrice Neja, regina della musica dance, con i suoi successi tra cui Restless, Shock, The Game e diversi brani iconici di quel periodo; D!PS, il dinamico trio musicale che fonde elementi di elettronica con le atmosfere fluide e a volte contrastanti del rap e dell’indie pop; il trascinante afro sound con il percussionista Ablaye Magatte Dieng, che, con la sua Associazione Culturale Tamra, porta avanti la tradizione griots, storici intrattenitori, musicisti ed artisti della società senegalese. E poi ancora le singer sisters 4Calamano, le quattro sorelle di Varazze Lara, Maya, Dana e Jade con la passione per il canto e per la musica, diventate vere e proprie star del web, si esibiscono con le loro armonie a cappella, mentre la Bandakadabra porta il groove ipnotico della techno con la potenza di fiati e percussioni.

Pietro Morello, polistrumentista, tiktoker e innovatore, che arriva al cuore dei più piccoli con le sue canzoni e i suoi progetti di musicoterapia, trasformando semplici oggetti in strumenti musicali, spetta il compito di condurre la giornata, affiancato in alcuni momenti da altre celebrità torinesi, Miss Italia 2004, Cristina Chiabotto e Willie Peyote.

Allo stupore ed all’entusiasmo generale contribuiscono anche i trampolieri della scuola Settimo Circo, che brillano nel loro travestimento da KISS, la celebre pop rock band anni ’80 e a Mattia Villardita nei panni del supereroe Spiderman. Tutti insieme per un pomeriggio di svago e condivisione e per un’evasione dalla quotidianità raccontata da interviste a volontari, medici, infermieri, ricercatori, sostenitori e collaboratori, in breve tutti gli esponenti del variegato mondo UGI, che avranno il compito di descriverne i diversificati filoni di attività.

L’arte che nasce dalle crepe dell’asfalto

Al torinese “PAV – Parco Arte Vivente”, Centro Sperimentale d’Arte Contemporanea, la prima mostra istituzionale dell’americano Alan Sonfist

Fino al 19 ottobre

Classe 1946, newyorkese cresciuto nel South Bronx, Alan Sonfist è universalmente noto come il “pioniere”, l’“apripista” della “Land (o Earth) Art”. Certamente fra i più rigorosamente “fedeli” a quell’arte (che coinvolse con le più varie sfaccettature artisti del calibro di Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Jean Claude e Christo, fino al nostro Alberto Burri)  “fatta con – e nella – natura”, nata negli Stati Uniti nel decennio ’67 – ’78, in antitesi con il “figurativismo” della “pop art” e le fredde “geometrie” della “minimal art”. A regalare, da subito, a Sofist la notorietà, il suo “Time Lanscape”, una sorta di scultura ambientale datata 1965, un appezzamento rettangolare (tuttora in via di compimento e trasformazione) situato nella parte sud di Manhattan, all’angolo fra West Houston Street e LaGuardia Place nel “Greenwich Village” di New York City, dove l’artista insieme a una numerosa comunità di esperti, urbanisti, biologi, architetti e politici locali, per 13 anni ha studiato e creato una “foresta”, la prima “foresta urbana” del genere, abitata da piante precoloniali. Non un parco né una riserva naturale, ma “un monumento pubblico vivente e in mutamento, che gli uccelli, il vento e la presenza umana circostante modificano lentamente ancora oggi ogni giorno”. Opera studiata e progettata insieme ad altri fantasiosi (ma insieme concreti) interventi successivi sull’ambiente, di cui è data specifica contezza nella mostra “Seeds of Time” (“Semi del Tempo”), la prima in Italia, dedicata dal “PAV” di via Giordano Bruno a Torino, fino a domenica 19 ottobre, al grande artista statunitense. Curata da Marco Scotini, la rassegna – inserita nell’ambito di “Exposed, Torino Foto Festival”, con il sostegno di “Compagnia di San Paolo” e “Fondazione CRT” –  intende, soprattutto, approfondire i primi anni di attività di Sonfist (“archeologo visivo”, per sua stessa autodefinizione) per mettere in luce le peculiarità di quei suoi “monumenti pubblici” attraverso i quali guardare “non più solo agli eventi della storia umana – spiega Scotini – ma a quelli che celebrano l’intero ecosistema naturale, rivitalizzando così la storia dell’ambiente e delle diverse specie di un luogo”.

E proprio partendo dall’interesse “per l’interazione della natura negli ecosistemi urbani”, la mostra di Sonfist al “PAV” si apre con l’installazione a lui commissionata di “Growth Between the Cracks” (2025), opera curiosa, assolutamente singolare e non priva di genialità, che nasce partendo dall’invito fatto dall’artista alla comunità locale di  raccogliere nel perimetro della città di Torino campioni di terra nelle crepe dell’asfalto, negli interstizi dei marciapiedi e negli spazi liminali solitamente ignorati. Gran lavoro e materiale in abbondanza per i cittadini torinesi! Che, di certo, non hanno vieppiù che l’imbarazzo della scelta nel discernimento delle “buche” stradali più generose per adempiere al compito loro assegnato. E poi? E poi, si sottolinea, “le piante e i semi contenuti nel suolo raccolto e successivamente portati al ‘PAV’ vanno e andranno a costituire una mappatura frammentata della città, un carotaggio che racconta la storia di una via o di un quartiere attraverso la presenza di vegetali autoctoni o che testimoniano migrazioni a volte risalenti a ere o geografie lontane”.

In mostra troviamo anche gli scatti fotografici che illustrano il momento più “performativo” di Sonfist legato ai suoi esordi artistici, quelli più intensamente vincolati al rapporto, anche strettamente fisico, con la grande sua “musa ispiratrice”, quella “natura” che è “albero da abbracciare” per confrontarne le dimensioni rispetto al suo corpo (“Myself Becoming One with the Tree”, 1969) o “soggetto per studiare il comportamento animale, diventando egli stesso animale, tigre in ‘Tiger Chance Kill’ (1972 – ’74) o gorilla in ‘Territorial Gorilla Invasion’ (1972 – ’73)”.

A completare la rassegna anche la memoria di uno dei più ambiziosi e grandiosi progetti firmati da Sonfist, quel “Circle of Time” (1986), attraverso il quale l’artista documenta la storia del “paesaggio toscano” attraverso “sette anelli concentrici” (e qui la memoria va all’enorme “Spiral Jetty” creata nel ‘70 con cristalli di sale, sabbia e rocce basaltiche, per inventarsi una spirale che incorniciasse una piccola isola artificiale sulle rive del “Grande Lago Salato” dello Utah, da Robert Smithson!) che rappresentano ognuno una nuova fase dell’uso del territorio, portando alla luce la complessa relazione tra l’essere umano e la terra.

Nell’ambito dell’inaugurazione della mostra, giovedì 15 maggio scorso, le AEF/PAV (“Attività Educazione Formazione”) hanno realizzato anche un proficuo incontro – con la collaborazione di Carmen Concilio, “Dipartimento Lingue e Letterature Straniere” e “Culture Moderne” di “UniTO” – fra Alan Sonfist e le persone che hanno partecipato alla call to action lanciata dall’artista, contribuendo alla realizzazione dell’installazione “Growth Between the Cracks” (2025).

Gianni Milani

Per info:  “PAV – Parco Arte Vivente”, via Giordano Bruno 31, Torino; tel. 011/3182235 o www.parcoartevivente.it

Nelle foto: Alan Sonfist “Time Landscape”, fotografia, 1965; “Myself Becoming One with My Tree”, serie fotografica autoritratti, 1969; Workshop _ “84 Semi del tempo: crescita tra le crepe”, 2025

“CreativAfrica”. Musica, cucina, workshop e libri

A Torino ritorna, con la sua XI edizione, il “Festival delle Culture Africane”

Dal 5 al 19 giugno

“Una finestra aperta sulle culture africane, uno sguardo libero sulle arti di scena, la letteratura, il cinema, l’arte e il design di questo grande continente”: questo vuole essere, ed è, secondo gli organizzatori di “Renken ETS” (Associazione che, dal 2006, opera fra Senegal e Italia, promuovendo educazione, cittadinanza globale e cooperazione fra i due Paesi) il Festival “CreativAfrica”, giunto alla sua XI edizione e pronto a ritornare sotto la Mole da giovedì 5 a giovedì 19 giugno.

Fatta eccezione per alcuni giorni di “inattività”, ne restano nove completi di grande festa, articolata in tre sedi, e ricca di talk con vari ospiti, di appuntamenti letterari e laboratori – da quello di “apertivi africani” o di “cucina latina/afrodiscendente” a quello di “etnogastronomia sulle tradizioni Akan”, gruppo etnico dell’Africa occidentale, composto da diverse popolazioni diffuse in Costa d’Avorio e in Ghana – per proseguire con sei “dj set” e otto “live” (fra i partecipanti, ricordiamo,  il camerunense, compositore, polistrumentista Taté Nsongan – seconda voce dei torinesi “Mau Mau” – con il suo nuovo doppio album di “world music”), insieme a caratteristiche “esibizioni coreutiche” interpretate dai bravissimi danzatori di “Danseincolore”, Compagnia con sedi in Francia ed in Congo, nelle cui libere movenze si celebra tutta la ricchezza del patrimonio espressivo africano e “la vitalità degli applausi, dei fiumi e delle foreste del Congo”. Tantissimi gli argomenti trattati: si parlerà di “Color, identidad y tradición” con i maestri colombiani de “La Linterna” (storica tipografia della Colombia che dagli Anni ’30 stampa manifesti stradali su centinaia di muri, lasciando un’eredità che si rifiuta di essere cancellata), di “Universo Parallelo” con l’autrice Nogaye Ndiaye (autrice di opere che esplorano la dimensione personale e collettiva della decolonizzazione), di  “Spazi di cultura” insieme a “Interplay Festival” e “Cisao” e di “Identità e soggettività”, a partire da “Ma siamo ancora qui a parlarne?”, primo lavoro scritto e interamente disegnato dall’autrice e fumettista milanese Cleo Bissong.

Tre, si diceva, le sedi che ospiteranno i nove giorni del “Festival”: buona parte degli eventi si terranno al Ristorante Sociale “Jigeenyi”, in via Borgo Dora 3/0. Due serate musicali si terranno, invece, al “Magazzino sul Po” sulla sponda sinistra dei “Murazzi” e l’altra nel Cortile della “Lavanderia a Vapore” a Collegno, corso Pastrengo 51, in collaborazione con il “Festival Interplay”.

Fil rouge che legherà i molti eventi, il tema delle “Afrodiscendenze”. Tema che vuole “richiamare l’attenzione – affermano gli organizzatori – sul riconoscimento dei discendenti degli africani che arrivarono durante il periodo coloniale nel continente americano come parte del commercio degli schiavi e che soffrirono, storicamente, della discriminazione e della negazione dei diritti umani. Ma anche tema che vuole raccontare la storia dei discendenti degli africani nati al di fuori di questo continente e le migrazioni internazionali, attuali e passate”.

Il tutto, attraverso riflessioni con artisti e attiviste di generazioni diverse su “cosa significhi essere afrodiscendenti oggi”, in una contemporaneità sempre più complessa, interconnessa e multiculturale. Perché  “essere afrodiscendenti non è solo una questione geografica, ma una questione di identità”.

Workshop, concerti e talk saranno occasione per aprire nuovi orizzonti e “combattere i maggiori stereotipi e i razzismi” che la popolazione “afrodiscendente”, ancora oggi, e in più contesti socio-culturali, incontra. Di giorno in giorno.

Per info su programma dettagliato: “Renken ETS”, via Priocca 28, Torino; tel. 338/1416296 o www.renken.it

G.m.

Nelle foto: “Danseincolore”, Cleo Bissong, Nogaye Ndiaye, Taté Nsongan

Brachetti ritorna al Teatro Alfieri con “SOLO – the legend of Quick Change”

La leggenda del trasformismo, dal 29 maggio al 2 giugno

Dal 29 maggio al 2 giugno atteso ritorno di Arturo Brachetti, il più noto trasformista torinese, con lo spettacolo “SOLO – the legenda of Quick Change”, grande one man show che ha fatto registrare numeri da record, sold out e standing ovation in tutto il mondo. Protagonista il trasformismo, che qui la fa da padrone con oltre 60 nuovi personaggi, molti ideati appositamente per questa esibizione, che appaiono davanti agli spettatori a un ritmo incalzante e coinvolgente. In “SOLO” Brachetti propone anche un viaggio incentrato sulla sua storia artistica, le altre affascinanti discipline in cui eccelle: grandi classici come le ombre cinesi, il mimo e la chapeaugraphie, oltre alla sorprendente novità della poetica sand painting e il magnifico raggio laser. Il mix tra scenografia tradizionale e il videomapping permette di enfatizzare i particolari e coinvolgere gli spettatori. Brachetti apre le porte della sua casa, una casa senza tempo e luogo, come quella che esiste dentro ognuno di noi, dove le stanze raccontano un aspetto diverso del nostro essere, e gli oggetti della vita quotidiana prendono vita conducendoci in mondi straordinari, dove l’unico limite è la fantasia. La casa interiore di Arturo Brachetti è uno spazio senza confini temporali e geografici, dove reale e surreale si fondono in un varietà funambolico in cui varietà e finzione si mescolano con la magia e la realtà, creando un universo di possibilità illimitate. Dai personaggi di telefilm celebri a Magritte, dalle grandi icone della musica pop, passando per le favole della lotta con i raggi laser in stile Matrix, l’artista batte il ritmo sul palco. Si tratterà di 90 minuti di vero spettacolo pensato per tutti, a partire dalle famiglie.

Biglietti: 35 – 38 euro

Orari: giovedì e venerdì ore 20.45 – sabato ore 19.30 – domenica e lunedì ore 15.30

Info: www.ticketone.it

Mara Martellotta

“Henri Cartier-Bresson e l’Italia”. La mostra sul pioniere del fotogiornalismo

The Password, UniTo oltre gli asterischi

Con questo primo articolo si apre la collaborazione tra Il Torinese e The Password. Ma cos’è The Password? Siamo il giornale degli studenti di Torino. Ci trovate su Instagram come thepasswordunito, dove ci impegniamo a pubblicizzare i nostri articoli, riguardanti i temi più vari. La nostra associazione è organizzata al suo interno in diversi team, che cooperano, occupandosi di ogni aspetto del lavoro che si svolge dietro le quinte di un giornale: dalla redazione alla correzione, dai social fino al nostro podcast Oltre lInchiostro. La collaborazione consisterà in una rubrica settimanale dal titolo The Password: Torino oltre gli asterischi”, che parlerà di giovani e cultura a Torino. In questo articolo di apertura parliamo della mostra fotografica su Cartier-Bresson.

A Torino, dal 14 febbraio al 2 giugno, si tiene presso CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia una mostra fotografica che indaga il rapporto tra il fotografo francese Henri Cartier-Bresson e lItalia.

Bresson nasce nel 1908 a Chanteloup, vicino a Parigi. Cresce nellambiente dellalta borghesia e ha accesso a studi di livello elevato. In particolare, segue le orme dello zio pittore, approfondendo con lui il surrealismo francese.

I suoi scatti erediteranno molto dallestetica surrealista, benché sia un fotoreporter. Considerato pioniere del fotogiornalismo, verrà chiamato locchio del secolo”.

Dichiara di amare le strade, le piazze, le vie. Scatta foto di persone in contesti ordinari, cogliendo dettagli della vita quotidiana nella loro spontaneità, motivo per cui si impegna a mantenere il proprio volto sconosciuto. Nonostante la fama che si guadagnerà come fotografo, necessita di poter camminare per le strade nellanonimato; infatti, affinché i suoi scatti conservino la naturalezza, che è limpronta artistica della sua fotografia, deve poter non essere riconosciuto.

Proprio per questa ragione il suo celebre autoritratto scattato in Italia non lo riprende in volto.

I suoi viaggi in Italia cominciano negli anni ’30. Il primo è in compagnia di amici e non è a scopo professionale. Durante questo viaggio scatta una foto di nudo, che a primo impatto può sembrare un momento di goliardia, ma che diventerà uno scatto simbolico, nel quale ritrae un concetto di coppia e di amore: vediamo una testa, due braccia e due gambe, la fusione di due corpi che diventano uno solo.

Negli anni ’50 gli vengono commissionati degli scatti che rappresentino la società italiana; dunque, si reca a Roma e scende nelle strade. In particolare, ritrae la giornata dell’Epifania, festa molto sentita a Roma, durante la quale tradizionalmente venivano portati doni ai vigili urbani.

Tra le altre, scatta due foto con la stessa ripresa, ma con una prospettiva diversa: un vigile urbano, in strada, su un piedistallo con ai piedi i doni ricevuti. Una riprende la classicità della statua italiana, laltra, che ritrae il vigile col bracco alzato, è un chiaro richiamo al fascismo.

Oltre a Roma, si reca anche in Abruzzo, dove le piazze che i giornali internazionali ritraggono come cartoline di luoghi da vacanza in realtà sono ben diverse. Al posto di scintillanti calici di vino, Bresson trova una realtà contadina che arranca negli anni del dopoguerra.

Similmente accade a Ischia, in cui giunge su richiesta di una rivista americana con lo scopo di pubblicizzare la zona come meta turistica; eppure quello che trova è unisola di pescatori, che fotografa nella loro genuinità.

In questo periodo, tuttavia, vediamo pian piano gli sfondi cambiare nelle sue fotografie. Si intravede la trasformazione sociale di un Paese che si rialza. Le strade delle città italiane che Bresson ritrae mutano, e con loro i cittadini e i mestieri. I contadini scalzi e affamati cominciano a essere rimpiazzati da insegne di barbieri e donne col cappello.

Bresson con la sua fotografia toccherà tutta lItalia, da nord a sud, catturando attimi di vita di strade e piazze, sempre in maniera naturale, e conservando un gusto estetico, figlio della sua formazione di pittore immerso nel surrealismo.

Molte delle sue fotografie risentono del gusto pittorico del fotografo, tant’è che alcune foto di Napoli, risalenti agli anni ’60, appaiono come dei veri e propri quadri, con chiaroscuri quasi caravaggeschi.

Anche nelle foto di Venezia, degli anni ’70, che ritraggono manifestazioni e movimenti sociali, è ricercato un senso estetico attraverso i volti dei manifestanti coperti dagli ombrelli nelle piazze.

A causa di questo profondo sentimento artistico, non sorprenderà lappassionato scoprire che a fine carriera il fotografo francese si dedicherà nuovamente al suo primo amore: il disegno.

Alice Aschieri – redattrice di The Password www.thepasswordunito.com

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E-mail: thepasswordunito@outlook.it

La Compagnia Scimone Sframeli porta in scena il genere umano con “Fratellina” al Teatro Gobetti

Da martedì 27 maggio a domenica 1 giugno prossimi, andrà in scena al Teatro Gobetti la pièce teatrale “Fratellina” di Spiro Scimone, per la regia di Francesco Sframeli, entrambi in scema con Gianluca Cesale  Giulia Weber. Le scene sono di Lino Fiorito, i costumi di Sandra Cardini, i disegni luci di Gianni Staropoli. Lo spettacolo, vincitore del Premio Le Maschere di Teatro Italiano 2023 come miglior novità italiana, è prodotto dall’associazione culturale Scimone Frameli e dal teatro Metastasio di Prato.

“Fratellina” racconta di un mondo che ha scordato e perso i propri valori. Protagonisti della giocosa vicenda sono Nic e Nac, che una mattina a sperano di essersi risvegliati in unnuovo tempo, in cui ogni cosa dimenticata possa essere ritrovata. Il loro desiderio diventa reale all’apparizione di Fratellino e Sorellina, due buffi personaggi che esprimono sconforto e denuncia, ilarità e paradosso. La sofferenza e lo stato d’ansia dei 4 protagonisti, interpretati da Spirò Scimone, autore, Francesco Strameli, Gianluca Cesale e Giulia Weber lasciano spazio al sorriso e all’ironia.

“Come al solito – dichiara nelle note dello spettacolo Jean Paul Manganaro – la scena appare scarna: due letti a castello, il che in ogni caso moltiplica per due la consistenza scenica, dai quali osservare e commentare il mondo. Il titolo, Fratellina, al femminile, lascia perplessi e lancia diversi interrogativi. Deve essere pura percezione qui, e la confusione del genere pare esser voluta. I 4 personaggi non indicano attitudini o condizioni di genere, ma stati d’animo e reazioni. Nic e Nac, maschile e femminile misto, e Fratellino e Sorellina, indicano semplici entità teatranti in grado di muoversi come marionette, come pupi, in un mondo rarefatto in cui non contano le trame del reale quali esse siano, ma il divenire delle cose. Come dire che il mondo è pieno di niente, di impressioni vaghe vissute come in un trasognamento. I nomi, insomma, non denominano più grandi o piccole certezze, ma delle potenzialità che prendono forma solo a parole, come si deve, del resto, a teatro. Per esempio la parola ‘cognato’ può indicare il fratello della moglie, ma anche il marito della sorella, in funzione della reale situazione specifica. In questo lavoro è presente l’accorata denuncia di un mondo sempre più vuoto e crudele, dove il senso comune ha perso ogni riferimento e lascia isolati e perduti i loro personaggi, costretti a rifare il ‘mondo’ a parole su dei lettini che mimano più i giacigli delle prigioni che i tappeti volanti su cui sognarsi in viaggio. La grande potenza dell’opera di Scimone è rappresentata dal saper testare e interrogar ancora pienezza e significati delle parole, che ci sembra essere una delle costanti della sua vena siciliana, riportando alla memoria Pirandello. Emerge anche la capacità da parte dell’autore di tenersi alla larga da ogni forma che, anche criticamente, prenda le distanze da atteggiamenti realistici, contando sulla grande forza del convincimento che è il non senso”.

Associazione Scimone Sframeli – Teatro Metastasio di Prato – in collaborazione con il Teatro Comunale di Cagli

Info: teatro Gobetti, via Rossini 8

Orari: Martedì, giovedì e sabato alle ore 19.30 – mercoledì e venerdì ore 20.45 – domenica ore 16

Biglietteria: Teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino. Tel. 011 5169555

Mara Martellotta

“Solness”, la tragedia di un uomo potente

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Al Carignano, sino a domenica 8 giugno

Presentando “Solness” – spettacolo di chiusura della stagione dello Stabile torinese, in attesa che siano svelate il 6 giugno prossimo le carte di quella 25/26 -, Andrea Tarabbia ricorda come ci siano scrittori riccio e scrittori volpe, prendendo a prestito un’affermazione di Isaiah Berlin, pensatore liberale di origini lettoni, che nel suo lungo cammino di vita ricevette tra l’altro il “Jerusalem Prize” in onore delle sue opere concepite e scritte intorno alla libertà individuale nella società, parole a loro volta ricavate da un frammento di Archiloco, “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Per insegnarci che sono volpi quanti abitano tante forme, da Balzac a Puškin a Joyce, aggiungendoci Cechov e il nostro Pirandello, ricci tutti quelli che formano nella loro scrittura un unico punto centrale, un’unicità di visione attorno a cui costruire la propria poetica, da Lucrezio a Proust a Dostoevskij. A Henrik Ibsen, un gran bel riccio di Norvegia, chiuso nel suo teatro e nei suoi drammi, che per una vita intera ha puntato al dramma, soltanto, personaggi forti e granitici i suoi, pronti a prendere forma esclusivamente sulle tavole di un palcoscenico. Tarabbia parla di “ossessione: ma allora, “benvenuta ossessione”.

Solness” è il vecchio, da sempre collaudato “Il costruttore Solness” (1892), a cui Ármin Szabò-Székely adattandolo e Kriszta Székely – che ha già scandagliato i drammi di Nora e di Hedda – formandolo registicamente hanno sottratto il termine d’attività, ampliando nelle intenzioni e nella mente all’Uomo – ottocentesco e nostro contemporaneo – ogni morbosità, sporcata forma d’affermazione, tratto misogeno, la pretesa di qualsiasi falsa apparenza e l’annientamento di quei segreti e le tragedie che abbiano attraversato l’esistenza di Halvard Solness (la morte dei due gemelli e il distacco dalla moglie Aline, una tragedia che Ibsen poeta aveva già anticipato: “Stavano seduti, quei due, in una casa tanto accogliente / nei giorni d’autunno e d’inverno. / Poi la casa bruciò. Tutto giace in macerie. / Quei due possono solo rovistare tra le ceneri.”): salvo poi, giustamente, ad apertura di sipario, metterci davanti agli occhi l’archistar, una sorta di Citizen Kane dell’architettura, quel modellino illuminato che è un po’ il logo della premiata ditta, ma la nostra visione s’è già allargata su un più ampio orizzonte. Nella “tragedia” di quest’uomo – falsamente e scorrettamente superuomo, che s’è costruito momento dopo momento, azione dopo azione, un ego abnorme, che ha allineato ogni essere umano attorno a sé, nella sfera privata come in quella pubblica e lavorativa, che ha messo alle corde quanti nella sfera giovanile abbiano tentato e tentino di sopravanzarlo, mettendo del proprio o rivisitando progetti suoi, con la risposta del più totale dominio, che ha costruito un mondo di bellezza ma altresì di distruzione, lucidamente ricercata, che ha azzerato la sessualità e gli affetti – la vita muta drasticamente con l’arrivo, improvviso ma pure (avremo modo di scoprire) congegnato, della giovanissima Hilde, forse una simbolica coscienza, certo un essere umano che pretende una confessione e il confronto con un passato di colpe, dove lei stessa è stata offesa. Con il tempo che ha Székely di metterci di fronte all’abuso sessuale, al filo rosso del Me too, in un sopruso che non è certo saltato fuori dal nulla in tempi vicini a noi e che s’allarga al tema del potere. Tema che si focalizza, all’interno dello spettacolo (che rimarrà al Carignano sino a domenica 8 giugno), nell’intuizione di mutare il vecchio originale Knut Brovik, nella cui ombra Solness s’è formato, in un personaggio, femminile, quello di Frida, che qui ha le note sincere e disperate di Laura Curino.

Correttamente ambientato (sono di Botond Devich le scene, un tavolo che è luogo di lavoro ma anche di confessioni, un sovrabbondante parco luci – di Pasquale Mari – ampie come un tetto di chiarificazione e di tribunale, e laterale, che è pronto a restringersi nei momenti più intimi) in un’epoca che è la nostra, senza forzature di comodo, “Solness” è uno spettacolo forte, compatto, di piena e stimolante meditazione, audace in certi suoi approfondimenti, pienamente concentrato nella propria attualizzazione, innalzato a una specifica “monumentalità”, ogni passaggio retto da Székely con fermezza e calibratura d’intenti, salvo – m’é parso, vedendo lo spettacolo all’indomani della prima e ponendo alcune incertezze nella scusante del rodaggio – inciampare qua e là nella parte finale, non distribuendola appieno, nel passaggio tra un più pronunciato realismo a una metafisicità, che coinvolge anche certi faticosi meccanismi e che – inavvertitamente – “sporca” il messaggio che il testo ibseniano ci lascia.

Lisa Lendaro come Kaja e Marcello Spinetta come Ragnar sono le prime costanti vittime del costruttore, d’eccellenza le apparizioni di Mariangela Granelli come Aline, chiusa nella torre del suo risentimento e nello sguardo verso un passato che non può essere che di dolore, ragazza ribelle e vendicativa la Hilde di Alice Fazzi, la più sfacciatamente moderna ed emblematica della intera operazione. Tra tutti i suoi compagni si muove in pose tiranniche, con una assai efficace bravura, il Solness di Valerio Binasco, in abiti scuri o in piena libertà tra mutande e accappatoio, concentratissimo e solido, battagliero a rivendicare il suo status vitae e i rapporti bacati con gli altri, la verità che è all’interno del proprio premierato, specchio della forza che distrugge ma anche di quella debolezza, con rarissime luci di umanità, che una ragazza comparsa (quasi) dal nulla gli ha fatto scoprire, mettendolo in un angolo, per sempre.

Elio Rabbione

Le foto di “Solness”, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale con la regia di Kriszta Székely, sono di Luigi De Palma.

Torino, nuova vita per i chioschi abbandonati

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Il Consiglio Comunale ha approvato una delibera, illustrata dall’assessora Gabriella Nardelli con la quale si stabiliscono i principi giuridici per il rilancio dei chioschi in città, a partire da quelli abbandonati, e il riordino della materia in termini di assegnazione anche alla luce delle nuove normative.

Il primo passaggio, è stato spiegato, è quello di dichiarare l’accessione al patrimonio comunale, secondo quanto previsto dal Codice Civile, dei chioschi oggi inutilizzati, abbandonati o comunque non rivendicati – e per i quali le azioni volte a ingiungere la rimozione non abbiano sortito risultati.

Qualora questi chioschi presentino – sul piano tecnico manutentivo – possibilità di impiego, si provvederà alla loro assegnazione tramite bando di evidenza pubblica. Se invece risulteranno in stato di obsolescenza tecnica, verrà definito un piano di abbattimento sostenibile alla luce delle risorse comunali.

Infine, si provvederà a un complessivo riordino del settore, in via regolamentare, al fine di adeguare la materia ai principi indicati dall’Unione europea, in termini di durata dei rapporti contrattuali e procedure di assegnazione.

In ogni caso, ha spiegato l’Assessora nel corso della Commissione che ha preceduto il dibattito in Consiglio, l’aggiudicatario avrà diritto di superficie per un periodo che dipenderà dall’investimento che dovrà effettuare e che corrisponderà all’ammortamento dell’investimento stesso, per un periodo massimo di 20 anni, a differenza del passato quando il diritto di superficie per la costruzione di un chiosco non prevedeva un termine temporale.

Nella stessa Commissione, Nardelli ha riferito che, al momento, i chioschi inutilizzati in città sono 81. Sei, invece, quelli già individuati come idonei ad essere riutilizzati.

Oltre alla delibera, è stata approvata una mozione di accompagnamento (primo firmatario Claudio Cerrato), con la quale si impegnano Sindaco e Giunta, tra le varie prescrizioni, a promuovere un coinvolgimento delle Circoscrizioni, attraverso l’Assemblea dei Presidenti e il Decentramento con l’obiettivo di stabilire le funzioni più adeguate sulla base della localizzazione, ad individuare, anche in base alla localizzazione, criteri di selezione aggiuntivi chiari e puntuali, che includano premialità per la promozione di attività sociali, culturali o di pubblica utilità, premialità per la qualità architettonica e di design dell’intervento proposto (per i chioschi che dovranno essere rifatti), attribuire punteggi più elevati
per chi abbia una struttura tale da poter gestire contestualmente più chioschi, stabilire limiti precisi, da valutare di volta in volta, riguardo al tipo di attività consentita in base alla categoria commerciale posseduta, stabilendo limiti precisi, da valutare di volta in volta, riguardo al tipo di attività consentita in base alla categoria commerciale posseduta, non consentendo l’uso di distributori automatici in via esclusiva.

F.D’A. – Ufficio stampa Consiglio Comunale