Prima assoluta lunedì 27 febbraio h.18:45 Sala 1 – Cinema Massimo | Torino
Seconda proiezione martedì 28 febbraio h.15:45 Sala 2 – Cinema Massimo | Torino

Il documentario “Il mondo è troppo per me. La storia di Vittorio Camardese” sarà presentato in anteprima assoluta durante il SEEYOUSOUND International Music Film Festival concorrendo nella categoria Long Play DOC.
Vittorio Camardese è stato uno dei più grandi chitarristi italiani ma non ha mai inciso un disco e non esistono trascrizioni della sua musica, resta solo quello che ha lasciato nelle persone che hanno avuto la fortuna di ascoltarlo suonare come è successo, solo per citarne alcuni, a Chet Baker, Lelio Luttazzi, Tony Scott, Massimo Urbani, Stephane Grappelli che lo hanno stimato e amato proprio per la sua tecnica inedita e il talento innato.
Il documentario ripercorre la vita, le origini, le inclinazioni del radiologo di Potenza che tra gli anni ’50, ’60 e ‘70 vive ed è protagonista della scena jazz romana e internazionale. Suona con i musicisti che passavano le notti tra il Music In e il Folkstudio dove le sue performance strabilianti erano diventate un numero fisso ed è proprio qui che l’avventura jazzistica di Vittorio diventa leggendaria solo fino all’alba però, quando infilava il camice e tornava ad essere anche un brillante radiologo, che però mai volle sostenere l’orale per diventare primario.
La vita di Vittorio Camardese è stata ricostruita intervistando chi lo ha conosciuto e amato: Renzo Arbore e Irio de Paula, Antonio Infantino, Nicoletta Costantino, Marcello Rosa, Graziano Accinni, Gianni Bisiach, colleghi medici di Roma e la sua famiglia d’origine, tantissime le persone tra Roma e Potenza che hanno custodito un pezzo di questa storia che la regista e tutte le persone che hanno collaborato al film hanno ricucito minuziosamente. La biografia di Vittorio Camardese attraversa il Novecento: nasce nel 1929 a Potenza e nel dopoguerra si trasferisce a Roma, viaggia tra due città, una di provincia e la capitale in fermento, ma la sua musica arriva fino al 2013, quando sarà ri-scoperta. Il documentario alterna interviste, animazione, le immagini di archivi privati inediti e i filmati di Vittorio musicista nelle uniche tre apparizioni televisive in RAI che fece sempre costretto dagli amici.
È il 2 luglio 2013 e Vittorio è scomparso da tre anni quando il chitarrista Roberto Angelini carica su youtube un video in bianco e nero in cui Vittorio Camardese, con cui Angelini è cresciuto perché aveva sposato sua madre, suona la sua chitarra durante il programma “Chitarra amore mio”. Camardese non pizzica le corde ma le percuote: Camardese si sta esibendo in tapping, ma non lo sa nessuno, nemmeno lui. In pochi minuti il video diventa virale, fa il giro del mondo arrivando sulle timeline dei più grandi musicisti, Bryan May dei Queen definisce “Magia” quello che ha visto sullo schermo, Joe Satriani ritwitta il link di youtube e augura buona visione, migliaia di appassionati non riescono a staccare gli occhi da quelle mani, così Vittorio arriva anche sulla timeline della regista Vania Cauzillo.
“L’algoritmo mi proponeva con insistenza il video di una sua esibizione del 1965. Era di Potenza. Come me. Ma non lo avevo mai sentito nominare, mentre molti di amici e colleghi artisti a Potenza avevano avuto l’occasione di conoscerlo o almeno di sentir parlare di questo “mito”. Mi sono innamorata subito di quel radiologo che diceva di aver chiesto il permesso al suo primario per essere in TV quel giorno. Quando si mette a suonare e la camera stringe sulle sue mani, diventa impossibile resistere a quel volteggio, a quel ritmo sincopato ed elegante. Incredulità, stupore, ammirazione. La storia di Vittorio rischiava di essere dimenticata ed è arrivata a me parlando di radici e di talento, di scelte e musica, di note blu e anche della mia Basilicata. Così ho contattato Roberto, la sua famiglia d’origine e mi hanno affidato questo storia. Ho dovuto girare intervistando i ricordi più che le persone, perché difficile era ricostruire una storia di qualcuno che probabilmente voleva essere dimenticato “Il mondo è troppo per me” è iniziato come un documentario su un talentuosissimo chitarrista, ma la storia di Vittorio ha aperto riflessioni sulle occasioni perdute di essere felici, sulla responsabilità di essere un artista, sulle scelte fatte anche quando decidiamo di non decidere”
“Il mondo è troppo per me” è un film di Vania Cauzillo, prodotto da Jump Cut, produzione cinematografica indipendente trentina, realizzato con Laura Grimaldi alla sceneggiatura insieme a Vania Cauzillo, Sebastiano Luca Insinga alla fotografia, Chiara Dainese al montaggio, con le illustrazioni di Elisa Lipizzi e la supervisione di Gianluca Maruotti, Danny De Angelis al suono, musiche originali di Roberto Angelini e Vittorio Camardese.
Sinossi Un giorno, dal niente, compare su Youtube un video che cambia la storia della musica. Quel giorno il mondo scoprì che il precursore del tapping, una rivoluzionaria tecnica chitarristica, non era il grande Eddie Van Halen, ma un medico di provincia: Vittorio Camardese.
Da allora, i più grandi musicisti di tutto il mondo hanno voluto saperne di più. “Chi è questo collega sconosciuto? Chi è Vittorio Camardese?”.
Questa è la storia Vittorio, la storia di un genio che ha scelto di non essere un genio.
Vittorio Camardese è un invisibile di grande presenza. Un uomo di cui si rischia di perdere la memoria, ma che invece può raccontare tanto della musica, della responsabilità del talento, della paura del successo, ma anche dell’Italia e delle radici che tengono ancorati al terreno invece di spingersi a prendere il volo e crescere lontano.
Vania Cauzillo (1984), lucana, racconta storie attraverso il cinema documentario e l’opera contemporanea sperimentando sulla co-creazione con le comunità. Il suo lavoro di ricerca con la compagnia l’Albero è riconosciuto dal Ministero della cultura dal 2020. Laureata con lode in Storia della Musica, si è formata affiancando tra il 2007 e il 2010 il regista Alessandro Piva in tutti i suoi progetti, con interesse particolare per quelli documentaristici: “Camera mia” per cui cura le interviste in Turchia, Azeirbajan, Montenegro e Tunisia, (Giffoni film festival), “Pasta Nera”, per cui cura ricerche e interviste (64°Festival del cinema di Venezia). Ha prodotto e diretto il suo primo documentario “Dalla Terra alla luna”, distribuito da Rai Cultura, 2014, ha diretto “La ricerca della forma – Il genio di Sergio Musmeci” 2015, prod. Effenove, Museo MAxxi di Roma, che ha vinto lo SCI- DOC European Science TV and New Media Festival and Awards di Lisbona, nel 2017 ha diretto il secondo episodio della serie di documentari “Matera 15/19 –Dove Ti fermi”. “Il mondo è troppo per me” la storia di Vittorio Camardese” è il suo ultimo lavoro. Per il programma ufficiale di Matera Capitale europea della cultura 2019 ha ideato e prodotto la prima community opera italiana, Silent City, unico caso studio di performance completamente accessibile. In Europa, in qualità di Vice-chair del network Europeo RESEO si occupa da anni di advocacy sui temi dell’inclusione e del gender gap nelle arti performative dei più grandi teatri d’Opera europei.
Jump Cut è una casa di produzione cinematografica indipendente nata a Trento nel 2011 con l’obiettivo di produrre film d’autore e di sperimentazione nei temi, nello stile e nella forma. Oltre all’attività cinematografica, si occupa anche di progetti di video arte, video danza e fotografia. La prima produzione è del 2013: l’opera prima di Alessandro Rossetto, Piccola Patria che vince 12 premi, viene selezionato in nomination ai Nastri d’Argento, ai Globi d’oro e ai Ciak d’oro; nel 2015 presenta Gente dei bagni di Stefania Bona e Francesca Scalisi, e Complimenti per la festa di Sebastiano Luca Insinga, un biopic musicale sulla band rock Marlene Kuntz. Nel 2016 viene presentato Noi 2, domani di Eugenio Maria Russo e Funne – Le ragazze che sognano il mare di Katia Bernardi. Nel 2017 viene presentato Non gioco più di Sebastiano Luca Insinga, 2018 la società produce un altro cortometraggio di Insinga, La Buona Novella, che vince 4 premi (Fesancor; ThessInt Short FF; Oslo Independent FF, Greboble FF). Nel 2022 Jump Cut completa Adam Ondra: pushing the limits di Petr Zaruba e Jan Simanek e nel 2023 vede la luce Il mondo è troppo per me di Vania Cauzillo. La società sta attualmente lavorando ai film Sconosciuti Puri di Valentina Cicogna e Mattia Colombo; Android Phil di Edoardo Vojvoda; Questo Corpo di Martina Melilli.
Documentario con animazione 63’-2023
Regia: Vania Cauzillo
Produzione: Sebastiano Luca Insinga e Chiara
Nicoletti per Jump Cut
Sceneggiatura: Laura Grimaldi e Vania Cauzillo
Fotografia: Sebastiano Luca Insinga
Montaggio: Chiara Dainese
Illustrazione: Elisa Lipizzi con la supervisione di
Gianluca Maruotti
Animazione: Valerio Oss (Pixel Cartoon)
Suono: Denny De Angelis, Philippe Gozlan
Musica originale: Roberto Angelini e Vittorio
Camardese
Realizzato in collaborazione con Trentino Film Commission, con il contributo di MiC Direzione Cinema e Audiovisivo, con il sostegno del Fondo Etico di BCC Basilicata, col supporto di Lucana Film Commission

Case che dovevano ospitare l’imponente marea di immigrati dal Sud (ma non solo; molti a Vallette anche i profughi istriani e giuliano-dalmati), attratti in questa estrema periferia nord-ovest della città, dalla speranza di un lavoro che, sotto la Mole, era soprattutto garantito in quegli anni da mamma Fiàt…Quartiere operaio, quartiere dormitorio, via via Le Vallette hanno poi negli anni conquistato terreno (con buona pace dell’ingegner Gino Levi – Montalcini che nel 1957 ne firmò il piano urbanistico, curando anche la progettazione dei vari edifici) fino a spingersi oggi alla parte nord del verde Parco Carrara, noto più comunemente come Parco della Pellerina e fino a fregiarsi, in un’area di stretto confine, di un’autentica magia urbanistico-sportiva come il complesso dello Juventus Stadium e della Cittadella bianconera, così come di un’imponente centrale per il teleriscaldamento entrata in funzione nell’inverno 2012 e che sembrerebbe fare di Torino la città oggi più teleriscaldata d’Europa. A vent’anni dalla sua progettazione, le Vallette in cui mi trovai a lavorare e che mi trovai a vivere dagli Anni Settanta alla fine degli Ottanta, incutevano, per i “forestieri”, un certo senso di reverenziale rispetto. E anche appena appena – a voler giocare di ottimismo – un po’ di panico. Del resto erano quelli, anche per Torino, gli anni bui del terrorismo, delle Brigate Rosse e di Prima Linea: 19 morti e 130 feriti si contarono in città fra il 1977 e il 1982. Erano quelli anche gli anni di un’accesa contestazione studentesca, figlia o figliastra del ’68. Quella che molti di noi giovani (allora) insegnanti avevano fatto propria o comunque vissuta – direttamente o indirettamente- sulla propria pelle e che ora si trovavano a confrontare con le nuove proteste di ragazzi che non avevano molti anni meno di loro, che okkupavano scuole e organizzavano cortei e manifestazioni anche di forte impatto sulla vita della città, ma poco recepite, se non per farne spesso uso strumentale, dalle istituzioni e da quelle forze politiche cui si chiedeva maggiore attenzione e maggiori risorse per la scuola italiana nel suo complesso. Eventi però che, per valenza politica, sembravano interessare solo marginalmente le Vallette, dove il “buco nero” era fatto principalmente di ribellione e rabbia sociale. Ebbene, in quelle Vallette, a cavallo degli Anni ’70-’80, dove anche la Scuola, così come le Comunità Parrocchiali non meno che la presenza di Enti socio-assistenziali, assumevano un ruolo determinante nell’accompagnamento dei ragazzi e delle loro famiglie, io arrivavo tutte le mattine con un’“affannata” Fiat 127 bordeaux, che avevo battezzato, non so perché ma mi sembrava un nome simpatico, Carolina . Partivo (ero quasi sempre in ritardo) da via Spano, Mirafiori Sud (all’altro capo della città); attraverso corso Sebastopoli, arrivavo a tutta birra in via De Sanctis – via Pietro Cossa per poi imboccare via Sansovino e corso Toscana e ritrovarmi in quel dedalo di strade impreziosito – come detto – dalla soavità di graziosi nomi floreali: via dei Gladioli, via dei Glicini, viale dei Mughetti, via via fino a via delle Magnolie. Qui al civico 9, mi trovavo ogni mattina di fronte a quella media statale, titolata allora al grande “Carlo Levi” (oggi a David Maria Turoldo), che, nel corso degli anni, sarebbe un po’ diventata la mia “seconda casa”. Avevo fatto pochi chilometri e mi sembrava, ogni giorno, d’essere atterrato, con la Carolina fumante, su un altro pianeta. Ero al mio primo incarico diurno. Dall’atrio, volavo ogni giorno due rampe di scale, strappavo al volo dal cassetto personale della sala insegnanti il registro e m’infilavo, con l’irruenza di un vigoroso centometrista ma insieme con la silenziosa leggerezza di una libellula – per non offrire al pubblico ludibrio il mio vituperabile e sempre più proverbiale ritardo – nell’aula di mia competenza. Chiudevo alle spalle la porta, mi dirigevo alla cattedra e mi buttavo, pancia a terra, nella mischia. Calmavo con non poca fatica gli animi e iniziavo ‘a mattinata…

