ilTorinese

Smog: i giovani di Europa Verde in piazza

Riceviamo e pubblichiamo

In questi giorni di emergenza smog in tutta la Pianura Padana, i giovani dei Verdi – Europa Verde Piemonte hanno distribuito volantini nel centro di Torino con l” iniziativa chiamata ” GREEN THURSDAY “, per sensibilizzare e far veicolare LE TEMATICHE CENTRALI del partito ecologista: lavoro, sanità, ambiente, istruzione, diritti sociali.

“Come ecologisti, mettiamo ancora una volta al centro le persone, la questione dell’inquinamento atmosferico e del cambiamento climatico. – ha spiegato Antonio Fiore, referente di Europa Verde Torino – Tutti i cittadini devono avere il diritto di vivere in un ambiente pulito e sano.”

“Per ottenere risultati migliorativi sul fronte ambientale – prosegue Co-portavoce Regionale dei Verdi – Europa Verde Piemonte Tiziana Mossa-,  è inutile bloccare le automobili ma bensì è fondamentale attuare azioni concrete e strutturali: investire nel TRASPORTO PUBBLICO, nella riforestazione urbana – piantando un albero per ogni residente -, destinare nuove risorse per sostituzione delle vecchie caldaie così come nell’estensione del teleriscaldamento. Senza dimenticare che è importante estendere anche la rete di piste ciclabili, creare nuove aree pedonali nel centro e nelle periferie”

Gli Alpini incontrano le scolaresche di Rivoli

Ieri presso la Caserma “Ceccaroni”, sede del Reggimento logistico “Taurinense”, ha preso il via il  progetto “Alpini a Scuola 2020 – La Protezione Civile A.N.A. Associazione Nazionale Alpini incontra la scuola”,  patrocinato dal Comune di Rivoli e organizzato dal locale Gruppo dell’Associazione Nazionale Alpini.

Il progetto è finalizzato a far conoscere alle nuove generazioni, attraverso un percorso didattico di educazione civica, le tradizioni e i valori fondanti dello spirito alpino tendendo la mano ai piccoli alunni, in qualità di cittadini del domani, quali depositari dell’insegnamento tratto dal sacrificio di quanti immolarono la propria vita per la Patria e il bene della collettività.

Accolti dal Comandante di Reggimento, Colonnello Giulio Arseni, circa 300 tra alunni e docenti hanno preso parte alla cerimonia dell’Alzabandiera, alla presenza del Vice Sindaco di Rivoli, Laura Adduce, e ad una significativa rappresentanza dell’Associazione Nazionale Alpini, guidata dal Capo Gruppo Carlo Cattaneo.

Particolarmente toccante per i giovani ospiti è stato il momento della deposizione di una corona commemorativa in onore della Medaglia d’Oro al Valor Militare Maggiore Mario Ceccaroni, cui è intitolata la caserma, nel 79° anniversario dell’avvenuta morte in combattimento, durante il secondo conflitto mondiale. Grande coinvolgimento è stato dimostrato dalle scolaresche nel corso della visita alla caserma, in particolare quando i piccoli ospiti hanno avuto la possibilità di rivolgere le loro domande direttamente a due giovani alpini dell’Esercito e ad alcuni rappresentanti dell’Associazione Nazionale Alpini.

L’attività, che ha evidenziato ancora una volta lo stretto legame che unisce il personale del Reggimento logistico “Taurinense” ai cittadini rivolesi e agli Alpini in congedo, proseguirà nei prossimi mesi con una serie d’incontri in aula, con la partecipazione di volontari ANA di Protezione Civile che racconteranno la storia e il funzionamento della Protezione Civile nelle sue diverse componenti e i maggiori rischi che riguardano il territorio in cui è collocato il plesso scolastico, ponendo l’attenzione sugli aspetti relativi ai comportamenti corretti da assumere in caso di emergenza.

Lo scorso 21 dicembre il Reggimento Logistico “Taurinense”  ha ricevuto l’attestato di Civica Benemerenza del Comune di Rivoli, “per l’abnegazione ed il valore con cui, in Patria e all’estero, ha servito e serve il Paese testimoniando i più alti valori ai quali si ispirano l’Italia tutta ed il Comune di Rivoli terra di reclutamento Alpino”, sancendo ufficialmente il profondo rapporto di stima tra la Città ed i suoi Alpini.

Libia, speranze dalla Conferenza di Berlino

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FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

L’obiettivo della Conferenza di pace sulla Libia in programma domenica a Berlino è quello di far sedere allo stesso tavolo tutti gli attori della crisi libica, grandi potenze, potenze regionali e alleati che da quasi dieci mesi si combattono nel Paese nordafricano

Sarà il primo passo importante per avviare un processo politico che dovrà pacificare e stabilizzare la Libia. Mentre sul terreno il cessate il fuoco sembra tenere si continua a negoziare tra speranze di una tregua permanente e timori di una ripresa delle ostilità su larga scala.

 

L’ostacolo principale è costituito dall’atteggiamento del generale Khalifa Haftar che non ha firmato l’accordo di Mosca e se ne è andato sbattendo la porta. Il documento siglato nella capitale russa, secondo l’uomo forte di Bengasi la cui offensiva militare è possibile grazie all’appoggio russo, avrebbe ignorato alcune delle sue richieste tra cui quella di far entrare le sue truppe a Tripoli, di formare un governo di unità nazionale e di far ritirare le forze turche insieme alle milizie alleate giunte dalla Siria.

 

L’intesa di Mosca, poi saltata per il dietrofront di Haftar, prevedeva la sospensione dell’intervento turco nel Paese, l’invio di militari russi per la supervisione del cessate il fuoco, il rientro dei soldati nelle caserme e il disarmo delle milizie. Una forza di peacekeeping non armata dell’Onu prenderebbe posizione tra le truppe avversarie. Nonostante la fragile tregua la situazione sul terreno resta piuttosto complicata. La Libia ha due governi rivali dal 2014 e la guerra tra le forze delle due fazioni ha distrutto l’economia del Paese nordafricano alimentando il flusso dei migranti, bloccando le forniture di petrolio e favorendo i gruppi jihadisti. La Turchia appoggia Sarraj a Tripoli, sede del governo riconosciuto dall’Onu, mentre la Russia è con il generale Haftar aiutato da centinaia di mercenari russi agli ordini di Putin. Ma gli altri alleati di Haftar non sono favorevoli alla tregua. Vorrebbero infatti che il leader della Cirenaica conquistasse Tripoli per spazzare via il regime di Sarraj sostenuto dalla Fratellanza musulmana appoggiata da Turchia e Qatar. Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita consideranno terroristi i Fratelli musulmani e temono che in Libia si insedi un regime islamista filo-turco.

 

Ma al di là del processo politico in corso la Libia si sta avviando verso la divisione del territorio. La parola d’ordine che risuona con forza nel Maghreb è infatti spartizione del territorio libico in zone di influenza. Una Libia metà russa e metà turca, la Cirenaica alla Russia e la Tripolitania alla Turchia. É ciò che Erdogan e Putin vogliono per il futuro del Paese nordafricano ma prima di raggiungere l’obiettivo devono costringere Khalifa Haftar, alleato dei russi, e Fayez al Sarraj, fedelissimo dei turchi a far tacere le armi e a stabilizzare il territorio. Il negoziato di Mosca è il primo passo per arrivare a una pax russo-turca da gestire sul campo attraverso i rispettivi alleati locali che però sono nemici tra loro. I russi ci sono già da tempo in Libia attraverso gruppi di mercenari schierati con il generale Haftar mentre i primi soldati turchi sono appena sbarcati a Tripoli insieme a miliziani siriani armati da Ankara che aiuteranno le tribù vicine al primo ministro al Sarraj.

 

In Libia rispunta così il disegno geopolitico già creato nel nord della Siria da russi e turchi. Per entrambe le potenze si tratta di un ritorno dal sapore storico e nostalgico. I russi erano presenti ai tempi di Gheddafi, fin dagli anni Settanta, con basi militari, armi e consiglieri e con la caduta del colonnello libico furono costretti a lasciare il Paese nel quale sono pronti a tornare oggi per riottenere quei contratti militari ed energetici perduti con il crollo del regime di Gheddafi. I russi conoscono bene la Libia. I primi rapporti commerciali e di forniture di armamenti risalgono alla metà degli anni Settanta con Gheddafi che faceva incetta di armi russe. L’Unione Sovietica è stato il principale fornitore del colonnello libico inviando nei porti di Tripoli e Bengasi navi cariche di carri armati, mezzi blindati, cannoni, aerei ed elicotteri da assalto. Un legame privilegiato continuato fino alla caduta del Muro di Berlino. Con Eltsin al Cremlino i rapporti si sono raffreddati e sono ripresi in grande stile nel 2008 quando Putin si è recato in Libia per firmare una serie di accordi, dalla realizzazione di una ferrovia tra Bengasi e Sirte a una collaborazione sempre più stretta tra il colosso russo Gazprom e la compagnia petrolifera nazionale libica, all’apertura di basi militari e all’aumento della vendita di materiale bellico.

 

Tra i piani dello zar russo c’è anche quello di ottenere uno sbocco sul mare in Cirenaica con l’appoggio di Haftar dopo aver mantenuto il porto di Tartus in Siria durante la guerra civile. La Russia è pienamente rientrata nel grande gioco libico da primo attore e insegue interessi economici e strategici da spartirsi con Erdogan. Dal canto suo, il sultano turco sfoglia pagine di storia ottomana: “siamo tornati nei luoghi dove i nostri antenati hanno scritto la storia” ricordando che “Ataturk è rimasto ferito in Libia e che prima della guerra italo-turca del 1911 questi territori ci appartenevano. La difesa dei nostri interessi comincia ben oltre le nostre frontiere. La Turchia continuerà a difendere i suoi interessi in Iraq, in Siria e nel Mediterraneo”. A differenza che in Siria, Ankara non ha bisogno di occupare la Libia ma garantirsi un governo amico e alleato a Tripoli per tutelare i propri interessi direttamente dal Bosforo come avveniva al tempo dell’Impero dei sultani quando nella Tripolitania ottomana regnavano dinastie locali con al vertice un bey (governatore di provincia) che, nominato da Costantinopoli, governava la sua provincia con ampia autonomia politica. Il piano di Erdogan è quello di far tornare la Turchia in Libia per rifondare un Califfato economico e politico e mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sui contratti per ricostruire il Paese. L’eventuale accordo finale consentirebbe da un lato di soddisfare gli interessi economici e geopolitici di turchi e russi in Libia e dall’altro di dividersi un Paese ricchissimo di idrocarburi. Con questa posta in palio l’asse tra Mosca e Ankara non dovrebbe correre seri pericoli. L’incidente di cinque anni fa quando un jet russo fu abbattuto da un missile turco in Siria sembra un ricordo molto lontano. I rapporti tra le due potenze vanno a gonfie vele anche in altri settori. Mosca ha venduto alla Turchia i sistemi antimissili S-400 e sta costruendo la prima centrale nucleare turca ad Akkuyu.

 

L’inaugurazione, pochi giorni fa a Istanbul, del Turkstream, il gasdotto che trasporta il metano russo in Europa attraversando il territorio turco rafforza ancora di più i già saldi legami tra Russia e Turchia e non frena le rivendicazioni di Ankara verso i giacimenti di gas nel mare attorno a Cipro dopo la contestata intesa marittima ed energetica stipulata a novembre con Sarraj. Reggerebbe un’eventuale pax russo-turca? I giannizzeri di Erdogan cavalcheranno insieme ai cosacchi dello zar nei deserti libici? Se guardiamo al passato, tra russi e turchi non regnò mai la pace e le guerre tra le armate ottomane e quelle zariste sono state innumerevoli. Va ricordato che la strana alleanza, storicamente quasi paradossale, tra la Turchia e la Russia in Siria e magari domani anche in Libia ha del miracoloso. Mai nella storia le due nazioni sono state così vicine e legate da un Patto. Antichi e potenti imperi, ottomano e zarista, rialzano la testa e tornano a giocarsi la partita da soli. Mosca e Istanbul risvegliano sogni imperiali, i negoziati che contano si fanno nelle due città e soprattutto a Istanbul, capitale di fatto come un tempo Costantinopoli, dove Erdogan riceve i potenti della terra. Il cessate il fuoco è fondamentale: se Sarraj dovesse essere sconfitto, per Erdogan sarebbe la fine delle sue ambizioni in terra libica. E se l’asse russo-turco si spezza i giannizzeri del sultano torneranno presto a scontrarsi con i soldati dello Zar.

dal settimanale “La Voce e il Tempo” 

Una donna erede dei Savoia? Idea di parità che merita rispetto

Di Pier Franco Quaglieni

Il principe Vittorio Emanuele, Duca di Savoia e Principe di Napoli, capo della Casa,  ha decretato la fine della medievale legge Salica  che regolava la successione al trono dei soli figli maschi

Con questo provvedimento si è stabilito un criterio di parità uomo-donna che solo i parrucconi incipriati non accettano e stentano a capire. La sedicente consulta dei sedicenti senatori del regno con sede a Saluzzo, provincia di Cuneo, ha stabilito, non si sa in base a quale titolo,  che Vittorio Emanuele non poteva abolire  la legge Salica.
La monarchia inglese è un esempio virtuoso di alternanza tra re e regine che ha fatto la storia  della Gran Bretagna  e costituisce la forza della monarchia britannica. Semmai l’abolizione di questa legge obsoleta forse avrebbe potuto decretarla Umberto II di Savoia che fu re aperto alle novità più avanzate e varò il voto alle donne, anche perché scelse come suo ministro il socialista Falcone Lucifero, uomo che ebbe un ruolo determinante nella nuova monarchia voluta da Umberto II è fondata sull’autogoverno di popolo e sulla giustizia sociale.
Che abbiano da eccepire dei  repubblicani convertitisi improvvisamente  alla Monarchia in tarda età, appare una cosa eccentrica ed incomprensibile. Questi signori di Saluzzo e dintorni vogliono stabilire nella loro arroganza del tutto autoreferenziale niente meno che   la linea di successione  nella millenaria dinastia sabauda. Vittorio Emanuele ha stabilito del tutto   legittimamente   la successione del capo della Casa. Il suo matrimonio con una borghese  fu una scelta controcorrente che prefigurò una visione moderna della monarchia che andava oltre certi schemi.
L’Italia e’ una repubblica dal 1946 e non è in agenda un cambio istituzionale, ma va  riconosciuto al Principe sabaudo  il diritto di una scelta che gli fa molto onore. Il Duca d’Aosta che porta  casualmente solo nel nome Amedeo la gloria del Principe dell’Amba Alagi che morì eroicamente in prigionia a Nairobi, ha voluto sgomitare rispetto al legittimo erede, supportato dalla sedicente consulta che si è autoproclamata tale. Forse è il caso che lui e suo figlio facciano un passo indietro. Una donna erede dei Savoia è un’ idea molto convincente che merita rispetto e non tollera personalismi dinastici  che contrastano con  la grande storia sabauda del passato. Umberto II che chi scrive ha conosciuto di persona, sarebbe indignato del comportamento di Amedeo e dei sedicenti  consultori. Come sarebbero indignati dignitari di corte come Vittorio Prunas Tola e Umberto Provana di Collegno che fecero della fedeltà al re una ragione di vita.Un altro mondo che esige rispetto ed è un esempio
ancora oggi.
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(nelle foto grandi il prof. Quaglieni con Emanuele filiberto di Savoia e Umberto II)

Scene di violenza coniugale. Atto finale

Una produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale /Teatro di Dioniso /PAV con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe – Beyond Borders

Il 20 gennaio va in scena, in prima nazionale (repliche fino al 31.01.2020) presso la Galleria d’Arte Franco Noero, in Piazza Carignano 2, a Torino, per la stagione del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE del drammaturgo franco-inglese Gérard Watkins, nella traduzione di Monica Capuani, con la regia di Elena Serra. In scena Roberto Corradino (Pascal Frontin), Clio Cipolletta (Annie Bardel), Aron Tewelde (Liam Merinol), Annamaria Troisi (Rachida Hammad) e Elena Serra (Agnes Pertuis).

Per la prima volta presentata in Italia, l’opera di Watkins è costituita da un testo duro, gelido, incalzante che affronta il tema della violenza sulle donne mettendo sotto la lente di ingrandimento i processi mentali e comportamentali di vittima e carnefice.
La regista Elena Serra realizza per il testo di Watkins una regia immersiva nello spazio fisico di un vero appartamento, a cui è ammesso un ridotto numero di spettatori, e ciò che accade sotto gli occhi di chi guarda è la costruzione metaforica di una gabbia all’interno della quale ci si ritrova inconsapevolmente prigionieri.

Protagonisti quattro personaggi appartenenti a mondi e ceti, culture e religioni differenti:
Liam fugge da un’adolescenza tormentata nella provincia per stabilirsi a Parigi e incontra Rachida, che cerca di sfuggire al clima soffocante della sua famiglia. Annie sta cercando lavoro a Parigi, sperando di poter così riavere con sé le figlie che vivono coi nonni in campagna e incontra Pascal, fotografo molto tormentato e affascinante. Le due coppie, che si incrociano una sola volta nel corso della visita ad un appartamento al cui affitto sono entrambe interessate, finiranno poi col trovare ciascuna un appartamento arredato in cui cominceranno la convivenza a due.
A partire da questo momento la violenza si insinuerà nei rapporti fino deflagrare in gesti di assoluta brutalità.

Il testo nasce dal desiderio di Gérard Watkins di lavorare sul tema della violenza contro le donne; una pratica ereditata dal diritto del più forte che si ripresenta con frequenza drammatica quando la donna afferma il suo ruolo in una società dove la dominazione maschile continua, tuttavia, ad essere la regola. La scrittura si immerge nel cuore del soggetto con tutti i mezzi del teatro per definirlo e comprenderlo senza censure, descrivendo con sconcertante lucidità l’evoluzione del pensiero e del comportamento dei personaggi.

La scrittura propone uno spaccato di quotidianità dove i personaggi, totalmente verosimili, e la ricerca minuziosa del contesto in cui questi si muovono, fornisce l’opportunità di confrontarsi con un testo che affonda le sue radici nella vita che si stratifica nelle nostre città dove convergono, accanto al tema principale, istanze sociali, economiche e razziali sempre più violente.

Grazie all’impegno del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE debutta nel gennaio 2020, all’interno dei locali della Galleria Franco Noero nella sua forma compiuta.

La regia si è concentrata soprattutto sugli aspetti inespressi del testo, ovvero quelli che coinvolgono il ruolo e le reazioni del pubblico, perché se è forse scontato il comportamento delle vittime e dei carnefici lo è assai meno quello dei testimoni. La domanda fondamentale diventa quindi “che cosa faccio io di fronte a tutto questo?” In un contesto culturale che fa della violenza domestica show televisivo e che tende a consolidare l’iconografia della donna-vittima sacrificale, Elena Serra si interroga su come scardinare un meccanismo di spettacolo che rischia di alimentare la spirale del sopruso e riconosce nello spettatore la potenziale risorsa di salvezza.

 

Maria La Barbera

Simula acquisto di pochi euro per rubare articoli più costosi

La giovane è stata arrestata dagli agenti della Squadra Volante

E’ entrata nell’Ipercoop d via Livorno, lo scorso sabato pomeriggio, e si è diretta a passo sicuro nel reparto riservato agli articoli tecnologici. Qui, ha prelevato da un espositore due cuffie per cellulare ed una pellicola protettiva per il telefonino. Da un altro espositore, poi, ha preso uno zaino, occultando all’interno la merce. Credendo di non essere stata notata da nessuno nelle su mosse, la giovane si è recata in un camerino, trascorrendovi circa 5 minuti. Quando ne è uscita, ha abbandonato lo zaino su un espositore ed ha prelevato dal reparto alimentari una bottiglietta di Coca Cola, presentandosi alle casse. Una volta pagata la bibita, la giovane, una cittadina italiana ventiduenne, è stata fermata da personale addetto alla vigilanza del negozio, che la conduceva presso degli uffici interni dell’esercizio commerciale. All’arrivo degli agenti della Squadra Volante, la ragazza ha confessato il furto restituendo i prodotti trafugati (valore complessivo 50€). Per la giovane, che ha precedenti specifici per furto aggravato in concorso, e che è stata trovato in possesso di una forbice e di un paio di pinze, con le quali aveva tolto le placche antitaccheggio alle confezioni dei prodotti, sono scattate nuovamente le manette.

Rete oncologica in Bosnia grazie a Città della Salute

Nasceranno una Rete Oncologica ed un programma di Screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella in Bosnia Herzegovina, grazie alla Città della Salute di Torino ed alla Rete Oncologica del Piemonte, progetto finanziato dall’Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri

 

Nasceranno una Rete Oncologica ed un programma di Screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella in Bosnia Herzegovina. Un grande progetto di cooperazione internazionale che vede protagonisti i professionisti della Città della Salute di Torino e della Rete Oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta, finanziato dall’Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.

Nel quadro dell’Accordo di gemellaggio tra la Regione Piemonte ed il Kantone di Zenica-Doboj, il Protocollo d’Intesa tra la Città della Salute, le Facoltà di Medicina dei due Paesi, il Ministero della Salute Federale della Bosnia Herzegovina ed il Ministero Cantonale di Zenica, coordinati dall’ONG RE.TE., è partito il progetto, finanziato per circa 800 mila euro. Nei prossimi tre anni la Città della Salute di Torino è chiamata a fornire tutta la propria esperienza nella gestione e realizzazione dei servizi afferenti alla Rete Oncologica ed ai programmi di Screening.

Si è riunito ieri, presso la sede della Rete Oncologica di Piemonte e Valle D’Aosta, il gruppo di riferimento per la gestione e realizzazione del progetto, che coinvolge la Città della Salute di Torino nella realizzazione di una Rete Oncologica e di un programma di Screening dei tumori del collo dell’utero e della mammella in Bosnia Herzegovina.

L’incontro di ieri, al quale hanno partecipato, Giulio Fornero, in rappresentanza della Direzione aziendale; Oscar Bertetto, direttore della Rete Oncologica di Piemonte e Valle D’Aosta; Libero Ciuffreda e Silvana Storto, in rappresentanza delle specialità oncologiche necessarie al progetto; Umberto Ricardi e Mauro Papotti, in rappresentanza della Scuola di Medicina; e Livia Giordano, quale referente del CRPT; Daniela Guasco e Luca Giliberti, quali coordinatori del progetto a nome di RE.TE. ONG, è servito per aggiornare tutti i partecipanti sulla situazione locale in Bosnia dalla quale partire per impostare un piano operativo di tutte le azioni e procedure necessarie.

Lo stesso gruppo si recherà in Bosnia Herzegovina a metà febbraio per una prima missione operativa di lavoro con gli omologhi colleghi in Bosnia.

Le prime mosse passeranno dalla costituzione di un comitato scientifico misto italo-bosniaco per la verifica degli effettivi avanzamenti del progetto e della capacità locale di promuovere questi servizi.

Questo progetto, ufficialmente iniziato con l’incontro di ieri, è finanziato dalla Agenzia Italiana Cooperazione e Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.

Così come nella tradizione di questo partenariato si potranno curare le patologie tumorali in Bosnia Herzegovina.

A  partire dal dicembre 1995, subito dopo la devastante guerra nei Balcani, Rete Ong, in collaborazione con la Regione Piemonte, èimpegnata in azioni di cooperazione con il Cantone di Zenica Doboj. Una parte di esse si sono sviluppate in ambito sanitario con progetti di supporto all’assistenza medica rivolta alla popolazione, in particolare con l’implementazione locale di un programma pilota di screening presso l’ospedale Cantonale di Zenica.

L’insieme di queste azioni, oltre ad aver incrementato il livello di assistenza sanitaria,  ha dato origine a protocolli di intesa tra diversi Enti italiani e bosniaci, per la realizzazione congiunta di azioni di cooperazione in ambito sociale, della formazione universitaria e sanitaria.

Il  progetto propone un’insieme di azioni secondo i  seguenti assi di intervento:

1) La sensibilizzazione ed educazione della popolazione con la diffusione delle 12 raccomandazioni del Codice Europeo contro il Cancro, per ridurre il rischio di sviluppare un cancro. https://cancer-code-europe.iarc.fr

2) La realizzazione locale di un’attività di screening per il tumore della mammella e di implementazione dello screening dei tumori della cervice uterina, secondo un modello già utilizzato nel Progetto Prevenzione Serena della Regione Piemonte.

3) L’attivazione di un progetto di Rete Oncologica, secondo il modello della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, eventualmente da estendere progressivamente agli altri Cantoni della Bosnia Herzegovina.

Questi tre ambiti di azione sono tra loro strettamente collegati e permetterebbero di sviluppare un Servizio Sanitario, in grado di diagnosticare e prendere in carico i pazienti affetti dalle più diffuse patologie tumorali, secondo standard medici riconosciuti a livello europeo ed internazionale.

 

I dati epidemiologici, relativi a incidenza, mortalità e disabilità in Bosnia sono stati raccolti attraverso i database dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) e dei database del Globocan Cancer Observatory dell’Agenzia per la Ricerca contro il Cancro (IARC).

 

Dal punto di vista epidemiologico, dalle stime dell’IHME, in Bosnia l’88% dei decessi nella popolazione femminile è dovuto a malattie croniche non trasmissibili (MCNT). Dei circa 18.000 decessi femminili che ogni anno sono imputabili ad una MCNT, circa 3700 sono causati da tumori. Considerando insieme gli anni di vita persi e gli anni di vita trascorsi con disabilità (Disability Adjusted Life Years –DALYs), le MCNT causano ogni anno tra le donne in Bosnia Erzegovina circa 450 mila DALYs (di questi circa 85 mila DALYs causati dai tumori). Molto rilevante è l’aumento delle MCNT, ed in particolare delle neoplasie, tra le donne bosniache negli ultimi anni 20 anni 1. Sulla base di tali dati e considerando che la tendenza all’invecchiamento della popolazione avrà anche un impatto in termini di aumento del carico assistenziale da patologie croniche non trasmissibili, è cruciale cercare di ridurne l’occorrenza o ritardarne l’insorgenza 2. Negli ultimi anni la ricerca ha mostrato una correlazione tra l’impatto delle MCNT e dei tumori e lo sviluppo umano. Condizioni socioeconomiche sfavorevoli e bassi livelli di sviluppo umano significano spesso bassi investimenti nelle infrastrutture di salute, servizi sanitari ed educativi, dunque minore disponibilità di risorse per il miglioramento della salute pubblica e delle iniziative di prevenzione e controllo dei tumori (Fonte).

In Bosnia Erzegovina, malgrado non esista un registro ufficiale è evidente dai dati pubblicati dall’IHME, che tra le donne, in particolare nella fascia 50-69, i tumori sono la principale causa di morte (41,7% della mortalità totale) e di disabilità (22,7% dei DALYs totali).

Il tumore al seno è la prima causa di morte tumorale tra le donne in Bosnia con il 7,4% della mortalità totale, seguito dal 6,3% dei tumori ai polmoni e bronchi e al terzo posto i tumori del colon-retto con il 4,9%. 1

 

  1. Institute for Health Metrics and Evaluation. Global Burden of Disease (GBD). Washington 2014. www.healthdata.org/gbd
  2. Fries JF et al. Compression of Morbidity 1980-2011: a focused review of paradigms and progress. J Aging Res 2011;2011:261702.

Nuovi progetti e fondi per il Museo diffuso della Resistenza

Il progetto di valorizzazione e di rilancio delle attività del Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione della Guerra, dei Diritti e della Libertà è stato approvato dai soci del Museo

In particolare la Regione Piemonte, che conferma il contributo dell’anno precedente, e la Città di Torino, che ha incrementato dal 2019 il proprio contributo, si sono impegnati a cercare maggiori risorse attraverso il coinvolgimento degli stakeholder del territorio, per il suo sviluppo su scala regionale.

Oltre all’approvazione del bilancio del Museo, il presidente Roberto Mastroianni ha illustrato ai soci lo stato di avanzamento del processo di integrazione con il Polo del ‘900.

Il progetto prevede due fasi. La prima (2020-2021) sarà una riflessione sia sul valore di Museo della Memoria, in relazione alla storia novecentesca, sia sul posizionamento nazionale e internazionale del Museo stesso. Su queste specifiche tematiche si svolgeranno attività di formazione, di inclusione della cittadinanza, anche attraverso un percorso di integrazione con il Polo del ‘900.

Una seconda fase (2022-2024), attraverso la realizzazione di un nuovo allestimento permanente, vedrà invece la messa a punto dei Luoghi della memoria e la giusta collocazione del Museo nello scenario nazionale e internazionale.

Nella primavera di quest’anno è inoltre prevista la realizzazione di un evento a Torino, che coinvolgendo i maggiori musei, memoriali e centri di ricerca europei e italiani faccia il punto sullo stato, il valore e la missione dei Musei della Resistenza e della Memoria, per confrontarne linee di azione e di sviluppo.

Regione e Città di Torino sono concordi nel sottolineare l’importanza della proposta culturale del Museo Diffuso della Resistenza, legata anche agli istituti che compongono il Polo del ‘900.

Green New Deal, sette opere prioritarie in Piemonte

Il dossier di Legambiente raccoglie 170 realtà

“Nei giorni in cui la UE conferma un piano di investimenti da 1000 miliardi di euro, ecco il contributo di Legambiente al governo e al dibattito pubblico per aumentare la qualità della vita, recuperare ritardi nelle infrastrutture, produrre un salto di qualità nella modernità. Anche il Piemonte ha la sua parte di opere inevase o in attesa di conclusione”

Sono 170 le opere pubbliche individuate da Legambiente per fare aprire i cantieri e rilanciare investimenti e occupazione. Alla faccia delle polemiche sull’ambientalismo “del no”, l’associazione ha realizzato un elenco certosino, suddiviso per Regione e per tipologia di intervento – messa in sicurezza, bonifica, trasporti, infrastrutture – di opere grandi, medie o piccole che consentirebbero agli italiani di vivere meglio. I criteri adoperati per la loro selezione sono, infatti, quelli dell’utilità per i cittadini e i territori, del miglioramento della sicurezza sismica, idrogeologica e sanitaria, dell’innovazione nel sistema della mobilità, di un minore consumo delle risorse naturali e di materia, della transizione energetica.

Le 170 opere selezionate da Legambiente sono molto diverse tra di loro per consistenza e per impegno finanziario, ma tutte sono bloccate o procedono a rilento e raccontano un’Italia fatta di inadempienze, rimpalli e contenziosi, cattiva progettazione, piani finanziari incerti, progetti troppo ambiziosi di project financing, lievitazioni dei costi, perdita di finanziamenti da parte della pubblica amministrazione locale, commissari straordinari nominati e revocati. Per le opere di cui è stato possibile avere il dato economico, gli investimenti già stanziati che aspettano di essere ben spesi sono pari a 15.871 milioni di euro mentre gli investimenti che aspettano di essere finanziati sono pari a 14.190 milioni di euro.

“Anche sul nostro territorio abbiamo opere non completate o, peggio, non ancora iniziate che potrebbero rappresentare una svolta nella qualità della vita dei cittadini – afferma Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – In giorni in cui l’attualità ci porta a parlare di processo Eternit il pensiero corre facilmente alle mancate bonifiche nei Comuni del Casalese: se nel SIN (Sito di Interesse Nazionale) del Comune di Casale Monferrato molto è stato fatto, molti interventi di bonifica delle coperture in cemento-amianto e del cosiddetto polverino (prodotto di scarto del ciclo produttivo delle tubature in cemento-amianto, utilizzato come isolante per sottotetti, per la ricopertura di cortili e, più in generale, come materiale di riempimento) previsti sono ancora da avviare nei restanti 47 Comuni inseriti nel perimetro SIN. E in piena emergenza smog, con appelli costanti a ‘soluzioni strutturali’, non possiamo che pensare alla metropolitana di Torino, la cui linea 1 a 14 anni dalla sua inaugurazione è ancora da completare e la linea 2 ancora da iniziare”

L’elenco delle opere piemontesi prioritarie continua con interventi sui trasporti regionali e interregionali, partendo dall’elettrificazione della linea Aosta-Ivrea per arrivare alla riapertura in tempi certi delle 14 linee ferroviarie soppresse che deve diventare la priorità della Regione Piemonte. In totale si tratta di oltre 480 km di linee in un bacino che conta quasi un decimo della popolazione regionale. Parimenti, il Servizio Ferroviario Metropolitano di Torino potrebbe essere ulteriormente funzionale se venissero completate le stazioni ferroviarie sotterranee di Dora e Zapata. La prima in zona Nord e l’altra in Crocetta sono state consegnate al “grezzo” da diversi anni ma, nonostante i relativi progetti esecutivi siano pronti, devono essere ancora rese operative.

Infine c’è il capitolo della la messa in sicurezza dei Rifiuti radioattivi sparsi in siti a rischio. Oltre tre milioni di miliardi di Becquerel di rifiuti radioattivi sono oggi presenti in Italia, e per i tre quarti sono collocati in Piemonte, in sei diversi siti: Centrale di Trino Vercellese (VC), Impianto EUREX Saluggia (VC), Deposito Avogadro Saluggia (VC), Deposito LivaNova Saluggia (VC), Campoverde Tortona (AL), Ex Fabbricazioni Nucleari Bosco Marengo (AL).
Questi siti, a causa della loro collocazione, sono assolutamente inidonei ad ospitare depositi di rifiuti radioattivi, e in particolare i siti di Saluggia, in provincia di Vercelli, costituiscono la situazione più assurda, dato che si trovano ad ospitare i rifiuti a più alta radioattività, nonostante siano a rischio di alluvione per la vicinanza con la Dora Baltea e siano collocati poco a monte del punto di prelievo dei pozzi dell’Acquedotto del Monferrato, il più esteso del Piemonte.

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Embraco, Lega: “chiarezza su destino lavoratori Riva di Chieri”

“Chiarezza sul destino degli oltre 400 lavoratori Embraco di Riva di Chieri.

Il governo batta un colpo. Chiediamo di sapere se e quali iniziative concrete e tempestive intende mettere in campo per tutelare il posto di lavoro di queste persone e, non ultimo, per sbloccare il mancato pagamento della loro tredicesima e del loro ultimo stipendio. Visto anche lo sciopero dello scorso 13 gennaio, la situazione è drammatica e sotto gli occhi di tutti. Ci auguriamo lo sia anche per il governo giallorosso e, in particolare, del Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, alla quale proprio in queste ore abbiamo presentato un’interrogazione in proposito”.

Così il deputato piemontese della Lega Gualtiero Caffaratto, componente della commissione Lavoro della Camera e primo firmatario dell’interrogazione sottoscritta da tutti i deputati piemontesi della Lega.