ilTorinese

Fermò l’Islam a Vienna e “inventò” il cappuccino

ACCADDE OGGI: 13 AGOSTO

Nell’anno dedicato allo storico incontro tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto, avvenuto ottocento anni fa, c’è spazio anche per ricordare un’altra grande figura della famiglia francescana beatificata nel 2003 da Papa Giovanni Paolo II.

Si tratta di Marco d’Aviano, un frate cappuccino del Friuli che con fermezza, coraggio e umiltà svolse un ruolo di primo piano nella liberazione di Vienna dall’assedio dei turchi alla fine del Seicento quando la minaccia ottomana terrorizzava l’Europa. É tra i personaggi più importanti della storia religiosa e politica del Seicento. Il 13 agosto è il giorno della sua morte e della ricorrenza religiosa ma molti non conoscono ancora questo piccolo grande personaggio della storia. Chi fu Marco d’Aviano? Un saio francescano, sacerdote, missionario e predicatore, che partito da un piccolo paese alle porte di Aviano, diventa uno dei protagonisti della storia europea in chiave anti-musulmana e ottomana. Si chiamava Carlo Domenico Cristofori e trascorse parte della sua vita a predicare con insistenza una crociata contro i turchi al tempo dell’assedio di Vienna. Sovrani e principi rimasero meravigliati dall’audacia di quest’uomo che con i suoi discorsi infiammava sia le Corti sia le folle che lo ascoltavano. Mentre i viennesi soffrivano l’assedio degli ottomani l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo lo volle come suo consigliere personale. D’Aviano amava ripetere al suo sovrano che sconfiggere i turchi davanti a Vienna era possibile e necessario. Dopo aver studiato teologia e filosofia iniziò a predicare a Padova e ad aiutare poveri e malati. Qui diede la benedizione a una religiosa gravemente ammalata. La sua improvvisa guarigione, unita ad altri episodi analoghi avvenuti nello stesso periodo a Venezia e in altre città, resero celebre frate Marco a cui vennero attribuiti poteri miracolosi. La sua fama di taumaturgo si diffuse in tutta l’Europa e folle enormi lo accolsero nelle città che visitava. Anche il buon cappuccino che molti di noi bevono tutti i giorni ha qualcosa a che fare con questo umile e straordinario frate. La miscela di caffè e latte molto apprezzata dai viennesi a quell’epoca non l’ha certo inventata Marco d’Aviano ma ha più o meno il colore del saio francescano che riporta alla figura del cappuccino Marco. Le leggende che hanno legami con Vienna e con le nostre colazioni mattutine sono famose come dimostra lo stesso croissant che ha la forma della mezzaluna turca secondo una leggenda non storicamente accertata ma molto radicata. Quando D’Aviano guarì da una malattia anche il duca Carlo V di Lorena, comandante dell’esercito cristiano, l’imperatore Leopoldo lo invitò a corte a Vienna e da allora il sacerdote non se ne andò più.

Marco divenne confessore e consigliere dell’Imperatore fino alla sua morte. Papa Innocenzo XI gli affidò l’incarico di rimettere in piedi la Lega Santa delle nazioni cristiane per fronteggiare l’espansione dell’Impero Ottomano in Europa. Dopo aver occupato Belgrado i turchi invasero l’Ungheria con l’obiettivo di portare l’Islam a Vienna per poi raggiungere Roma e far abbeverare i cavalli del sultano nelle fontane di San Pietro. D’Aviano riuscì tra mille difficoltà a coalizzare le potenze cristiane senza però convincere Luigi XIV, il “re cattolicissimo” che non aderì all’alleanza preferendo il Turco ai cristiani. L’unico sovrano a farsi avanti con decisione fu il re di Polonia Giovanni Sobieski. L’assedio di Vienna cominciò a metà luglio del 1683. Convinto che non c’era tempo da perdere il frate scrisse più volte all’imperatore per convincerlo che la guerra era ormai inevitabile. La mattina del 12 settembre 1683, poco prima dell’alba, padre Marco celebrò la messa sulla collina del Kahlenberg che sovrasta Vienna tenendo una predica incendiaria. Distribuì la comunione al duca di Lorena, al re di Polonia Sobieski e impartì la benedizione all’esercito. Dopo la funzione passò davanti alle schiere militari con la croce in mano rivolgendo parole di fede e di incitamento alla battaglia imminente che si concluse con la vittoria della Lega Santa e la disastrosa ritirata dell’esercito turco. Per gli ottomani fu l’inizio della fine. Tornato a Belgrado, sconfitto e disonorato, il gran visir Kara Mustafà verrà strangolato per ordine del sultano. Ma lo slancio di padre Marco non si fermò qui e negli anni successivi si diede da fare per liberare anche l’Ungheria e riconquistare Belgrado anche se per poco tempo.

A Vienna padre Marco fu il personaggio più festeggiato e l’anno dopo ricevette un’altra chiamata dal Papa. Innocenzo XI voleva che i sovrani europei si coalizzassero per cacciare definitivamente gli ottomani dall’Europa. Marco si rimise al lavoro per coordinare l’alleanza cristiana contro l’islam turco partecipando all’organizzazione dell’attacco insieme ai comandanti militari. Buda fu riconquistata nel 1689 e, dopo una lunga pausa, la controffensiva riprese con Eugenio di Savoia che sconfisse i turchi a Zenta sul fiume Tibisco in Serbia nel 1697. Due anni più tardi, nel 1699, la pace fu firmata a Carlowitz. Assistito dall’imperatore Leopoldo, il 13 agosto dello stesso anno, padre Marco d’Aviano moriva. Le sue spoglie riposano nella chiesa dei Cappuccini a Vienna accanto alle tombe degli imperatori d’Asburgo.

Filippo Re

Addio a Giovanna Borbonese, torinese e signora della moda

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E’ morta a 56 anni, dopo una breve malattia, Giovanna Borbonese, figlia di Umberto Borbonese, lo stilista torinese che negli anni Cinquanta ideò il marchio di borse in occhio di pernice. Era laureata in architettura e dal padre aveva assimilato  capacità creativa e stile. In via Amendola a Torino ha gestito per anni il conosciutissimo store del marchio di moda. Recentemente aveva disegnato una linea di oggetti per la casa.

Il Bene e il Male durante il periodo della Controriforma

La produzione artistica – pittura, grafica, scultura –  di Concetto Fusillo costituisce un vero archivio, come egli stesso ama dire, poiché scaturisce da una laboriosa e fruttuosa ricerca in archivi pubblici e privati divenuti intimo rifugio di uno studioso nutrito di cultura umanistica.

Spinto da viscerale desiderio mai esausto di conoscenza e assumendosi il compito di togliere dall’oblio fatti dimenticati, se ne appropria trasformandoli in occasione d’arte e concretizzandoli in pittura.

Ogni parola scritta nei documenti consultati diventa suggerimento di immagini, ogni piccolo segno o emozione scaturiti dalla lettura si trasforma in linea e colore dando vita ad uno stile particolare che unisce tradizione iconica a suggestioni d’avanguardia, ad azzardate accensioni fauve, a impalpabili rarefazioni informali e ad accenni di astrattismo.

Le opere, nate dalla curiosità di portare alla luce vari comportamenti tra il Bene e il Male durante il XVI e XVII secolo nel territorio acquese, hanno come protagonisti i preti e sono il risultato di una appassionata ricerca negli archivi della diocesi di Acqui, affrontando la dialettica esistenziale da sempre trattata da teologi, filosofi e letterati senza mai arrivare ad una regola definitiva universale.

Basta sintetizzare alcune interpretazioni per esemplificare come ogni affermazione sia inevitabilmente soggettiva: se gli stoici affermarono che le due entità sono entrambe essenziali perché se non ci fosse l’una non ci sarebbe l’altra, Platone si servì della suggestiva metafora del sole rivelatore delle cose per asserire che il Bene è l’Essere, il Male il non Essere, per sant’ Agostino è il libero arbitrio a determinare la scelta mentre per Leopardi tutto è male.

Fusillo non pretende di dare una soluzione, ciò che gli preme è dare corpo, attraverso la pittura, a persone e storie minori pressoché sconosciute riportando alla luce testimonianze, atti processuali, sentenze, credenze e aneddoti tratti dai documenti d’archivio.

Ne nasce un vivace e variegato mondo che ha per protagonisti preti pii e caritatevoli come il vescovo Pedroca incurante del contagio, morto nel curare gli appestati, o il misericordioso don Bottero che perdona chi l’ha ferito ma anche sacerdoti indegni come don Remuschio seminatore di zizzanie tra i parrocchiani e altri che agiscono per fini personali.

Più che comportamenti di male assoluto compaiono, in verità,  situazioni intermedie e personaggi grotteschi: l’arciprete pauroso che si rifugia in camicia da notte sui tetti della canonica spaventato dai ladri, il prete rubagalline, l’iracondo chierico Panaro che imbraccia disinvoltamente lo schioppo, il frate zoccolante, pseudo esorcista, che inganna il popolo con filtri magici, il sacerdote che durante il carnevale balla vestito da donna, a dimostrazione che neppure il clero è esente da debolezze umane.

Si diventa spettatori di un variopinto teatrino sul cui palco sono posti in primo piano i preti intorno a cui ruota la società di quel tempo tra signorotti, contadini, ciarlatani, creduloni, feste carnevalesche, superstizioni, stregonerie e processioni senza peraltro scadere in semplici bambocciate.

Non si tratta di una facile pittura di genere, aneddotica e ripetitiva di scene popolari riprese dal vivo bensì di una pittura colta, rivelatrice di una realtà più che vista assimilata, rielaborata e indagata negli aspetti complessi, nascosti al di sotto dell’apparenza e comunicata attraverso deformazioni che si avvicinano all’espressionismo e al primitivismo.

Non essendo ininfluente il luogo in cui viene presentata la mostra, qualora vi siano legami tra questa e il tema proposto, il Museo di Moncalvo è pertinente al periodo trattato tra il XVI e XVII secolo essendo ubicato nell’ex convento delle Orsoline fatto costruire da Guglielmo Caccia, massimo esponente piemontese della pittura controriformistica.

Qui la figlia Orsola, pittrice e badessa portò avanti la scuola paterna, fedele ai dettami del Concilio di Trento che affidava agli artisti il compito di diffondere le sacre scritture in modo efficace, decoroso, comprensibile per recuperare chi si era allontanato dalla chiesa nel periodo della riforma protestante.

Nella pinacoteca infatti si possono ammirare alcuni importanti quadri, in particolare i famosi vasi di fiori a cui la “Monaca pittrice” ha dato dignità di natura morta autonoma, non semplicemente con funzione decorativa di figure religiose bensì veri e propri veicoli simbolici di propagazione di fede cattolica.

Allo stesso modo il Castello di Casale Monferrato è stato confacente alla mostra su Federico II e la scuola poetica siciliana, da me curata nel 2014, nel rievocare i rapporti politici e privati tra il Regno di Sicilia e il Monferrato grazie al matrimonio tra il “Puer Apuliae, stupor mundi” e Bianca Lancia da cui nacque Manfredi.

In questo caso Fusillo, stabilitosi da anni in Piemonte ma nativo di Lentini, patria di Jacopo, ha elaborato una” Poesia dipinta” calandosi nel fervido clima culturale federiciano per dare corpo, attraverso le immagini, ai raffinati versi dei poeti che hanno dato luogo alla prima poesia scritta in dialetto siciliano ripulito e disgrossato da venature di latino e provenzale.

Adattandosi alla squisitezza dei versi l’artista ha usato colori delicati e sognanti, linee morbide e avvolgenti allusive al desiderio d’amore cortese dell’amante che anela l’attenzione della donna descritta come “bionda più c’auro fino, di claro viso” secondo una tipologia ben definita, spesso ritrosa e inaccessibile.

Al contrario, trattando la dialettica del Bene e del Male, le tinte si fanno dissonanti in azzardati contrasti, le linee taglienti nel rivelare situazioni e stati d’animo complessi indagati nel profondo al di sotto dell’apparenza fenomenica.

In entrambi i casi Concetto Fusillo raggiunge un risultato estetico e una compiutezza d’espressione riuscendo a unire indissolubilmente contenuto e forma, gesto lavorativo e energia formante

 

Giuliana Romano Bussola

 

Museo civico di Moncalvo 6 luglio – 29 settembre A cura di A.L.E.R.A.M.O ONLUS   sabato e domenica    10 -19    tel  327 7841338

 

 

 

Tentano di rubare nella roulotte

Due cittadini maghrebini, un tunisino di 54 anni ed un marocchino di 36, sono  stati sorpresi qualche notte fa da una Volante mentre cercavano di introdursi all’interno di una roulotte parcheggiata sul lungo Dora Firenze. Sul mezzo non c’era nessuno in quel momento e con ogni probabilità il loro intento era quello di cercare oggetti o cose preziose da rubare. La segnalazione al 112 NUE effettuata da un residente in zona permetteva agli agenti della Squadra Volante di intervenire tempestivamente e sorprendere la coppia sul fatto. La perquisizione effettuata nei loro confronti ha consentito di rinvenire e sequestrare un cacciavite della lunghezza di 21 cm e due coltelli multiuso. Entrambi hanno numerosi precedenti di polizia per reati contro il patrimonio, la persona ed in materia di stupefacenti. Sono stati arrestati per tentato furto aggravato in concorso.

La polizia arresta marito violento

Nei giorni scorsi, la Squadra Volante è intervenuta in soccorso di una donna residente nel quartiere Santa Rita; la donna aveva chiesto aiuto al Numero Unico di Emergenza perché violentemente aggredita in casa dal marito. Gli agenti, intervenuti tempestivamente, fattisi aprire il portone da un condomino, individuavano l’alloggio dal quale erano stati chiamati i soccorsi e rendevano inoffensivo il marito violento che, nonostante si accorgesse dell’intervento della polizia, si stava ancora accanendo contro la donna, vistosamente ferita al capo. Portata in sicurezza la vittima e fattala medicare dal 118, gli agenti ricostruivano la vicenda:  a causa di un litigio sorto per futili motivi nel pomeriggio, l’uomo, un cittadino italiano di circa 50 anni, solito a tenere un comportamento aggressivo e maniacale nei confronti della moglie, aveva perso la pazienza iniziando a malmenarla, dapprima a mani nude, successivamente con una statuetta in coccio, che le aveva spaccato in testa. La donna, negli scorsi mesi, si era convinta a denunciare alcune violenze che  in realtà andavano avanti da anni e che lei, motivata da un forte spirito religioso, aveva sempre taciuto alle forze dell’ordine per il bene della coppia. L’uomo, davanti a i poliziotti, negava inizialmente ogni addebito e diceva che non era assolutamente necessario chiamare l’ambulanza per curare la compagna. Per lui sono scattate le manette per maltrattamenti in famiglia e la denuncia per minacce ed oltraggio a pubblico ufficiale  

 

 

Trapianti di rene, tagliato il traguardo di 5000 interventi

Raggiunto lo storico risultato in Piemonte  

È stato raggiunto un altro importante traguardo dalla rete di donazione e trapianto del Piemonte. Sono infatti 5000 i trapianti di rene eseguiti in questa regione: gli ultimi due sono stati effettuati domenica 11 agosto, uno presso l’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e l’altro presso l’ospedale Maggiore della Carità di Novara. Gli organi provenivano da un donatore piemontese deceduto per emorragia cerebrale. A Torino il chirurgo vascolare dottor Aldo Verri e l’urologo Giovanni Pasquale con le loro équipe hanno eseguito il trapianto su un paziente in dialisi da più di 10 anni; mentre a Novara i chirurghi vascolari Carla Porta e Filippo Giacchi, assieme all’urologa Monica Zacchero lo hanno eseguito ad un ricevente che lo attendeva dal 2014.

Questo importante risultato è il frutto di un’intensa attività che ha preso avvio nella nostra regione nel 1981: il 7 novembre di quell’anno è infatti avvenuto il primo trapianto renale all’Ospedale Molinette di Torino. Dal 4 novembre 1998 i trapianti di rene sono effettuati anche presso l’ospedale di Novara. Il primo trapianto di rene su un paziente in età pediatrica è stato realizzato presso le Molinette di Torino il 21 maggio 1983. Anni dopo, nel 2000, il programma di trapianto di rene pediatrico è passato all’ospedale Infantile Regina Margherita, con il supporto chirurgico dell’équipe dell’ospedale Molinette: ad oggi su pazienti in età pediatrica sono stati effettuati 92 trapianti di rene, alcuni dei quali combinati con altri organi.

Tra i 5000 trapianti effettuati dai tre Centri di Trapianto di Rene attivi sul territorio regionale vi sono stati numerosi interventi complessi, come quando si trapiantano entrambi i reni ad uno stesso ricevente (190 i pazienti coinvolti), o quelli eseguiti su pazienti pediatrici molto piccoli, e ancora sono molti i trapianti di rene effettuati in combinazione con altro organo (pancreas, fegato o cuore, per un totale di 133 casi). Sono stati effettuati, inoltre, più di 300 trapianti da donatore vivente; tra questi, sono ormai pratica consolidata anche quelli in cui donatore e ricevente non sono compatibili per gruppo sanguigno AB0. Da alcuni anni i trapianti di rene vengono effettuati anche in pazienti che non hanno ancora iniziato la dialisi, sono chiamati “preemptive”: questi trapianti rappresentano una grande opportunità poiché hanno in genere una durata maggiore. Oggi i reni beneficiano anche della possibilità di essere perfusi prima del trapianto in apparecchiature apposite, che ne migliorano la funzione laddove necessario. Una ulteriore possibilità terapeutica per i pazienti è venuta dai donatori la cui morte è stata accertata con criteri cardiologici: i primi due trapianti di reni provenienti da tale tipologia di donatore sono stati effettuati in Piemonte il 15 giugno 2018.

I trapianti di rene coinvolgono numerose discipline: responsabili dei programmi di trapianto sono infatti i nefrologi (Prof. Luigi Biancone alle Molinette, Dott. Bruno Gianoglio al Regina Margherita ed il prof. Vincenzo Cantaluppi a Novara), ma la fase chirurgica è svolta dai Chirurghi vascolari – diretti a Torino dal Dott. Maurizio Merlo e a Novara dalla Dott.ssa Carla Porta – e dagli Urologi – diretti a Torino dal Prof. Paolo Gontero e coordinati dal Dott. Omidreza Sedig ed a Novara dal Prof. Alessandro Volpe, assieme agli anestesisti – diretti alle Molinette dal Dott. Roberto Balagna, al Regina Margerita dal Dott. Giorgio Ivani e a Novara dal Prof. Francesco Della Corte.  Ma dietro i trapianti c’è il lavoro di un intero ospedale e dei suoi servizi e professionisti. Coordinano queste attività il Centro Regionale Trapianti (diretto dal Prof. Antonio Amoroso) ed il Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi (diretto dalla Dott.ssa Anna Guermani).

Eppure, un’attività di trapianto numericamente così importante non è sufficiente a rispondere alle esigenze di coloro che aspettano un organo: oggi le persone iscritte in lista di attesa per trapianto di rene in Piemonte sono 813, di cui la metà in lista attiva, con un tempo di attesa mediano di circa un anno e mezzo. Il 29 % di questi pazienti risiedono in regioni diverse dal Piemonte.

Grazie ai grandi progressi chirurgici, immunologici e terapeutici realizzati nel tempo, i trapianti di rene prospettano ai pazienti ottimi risultati: nei trapianti fatti dal 2010 a oggi, l’84% dei reni continua a funzionare e 92% dei pazienti è ancora in vita a 5 anni dall’intervento. Questi risultati sono ancora migliori nel trapianto da vivente. E qualora il trapianto smetta di funzionare, è possibile eseguire un ulteriore trapianto: sono 657 i ritrapianti, che rappresentano più del 13% di tutti i trapianti eseguiti in Piemonte. Nel 2019 è stato eseguito anche un quinto trapianto su uno stesso ricevente. Questi dati sono da considerarsi ancor più validi, se si tiene conto dell’età sempre più anziana di donatori e riceventi.

L’attività di trapianto rene, così come descritta, colloca il Piemonte in posizioni di eccellenza a livello nazionale ed internazionale per standard di qualità e quantità: il centro delle Molinette è al vertice della classifica dei centri italiani per volumi di attività annuali.

Dietro a questi numeri, successi umani e della Medicina, c’è innanzitutto la generosità dei donatori e delle loro famiglie, a cui va il primo ringraziamento della collettività. Occorre infine ricordare e ringraziare i molti professionisti che, a vario titolo, sostengono tutto il processo di donazione e trapianto, accanto alle famiglie ed ai pazienti.

Polliotto (UNC): danno da vacanza rovinata, come ottenere il rimborso

Parla la Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori del Piemonte. Le procedure da adottare per far valere anche in tal caso i diritti dei consumatori

Estate, tempo di ferie, sole e mare, ma anche di vacanze rovinate. “Ogni anno, giunti a fine stagione, si ripete il rituale: numerose le segnalazioni di decine di consumatori che si rivolgono alle associazioni di categoria, chiedendo per mail e posta tradizionale consigli e lumi su come ottenere un risarcimento per non aver goduto della vacanza tanto attesa a causa di anomalie e disservizi turistici. Ci giungono segnalazioni di disservizi da varie regioni, per quelle marittime specialmente Toscana, Emilia Romagna e Liguria, province di Imperia e Savona in particolare”, dichiara l’Avvocato Patrizia Polliotto, Fondatore e Presidente del Comitato Regionale del Piemonte dell’Unione Nazionale Consumatori, dal 1955 a oggi la prima, più antica e autorevole associazione consumeristica italiana.
“Ed ecco riemergere i consueti problemi: bagagli smarriti, voli cancellati, inadempienza dell’agenzia di viaggio, strutture alberghiere e ricettive fatiscenti. In tali casi, ricordiamo sempre ai consumatori di verificare che il soggiorno si svolga esattamente come previsto, e documentare gli eventuali disagi subiti tramite fotografie, dichiarazioni scritte di altri turisti trovatisi nelle medesime condizioni, fatture di spesa, nonché di rivolgersi subito ai rappresentanti dell’organizzazione di soggiorno presenti sul posto onde segnalare tutte le difformità rispetto al contratto di viaggio”, spiega nel dettaglio l’Avvocato Patrizia Polliotto, che aggiunge: ”E’ bene altresì, soprattutto, ricordare ai consumatori che, una volta avvenuto il rientro a casa, si hanno a disposizione 10 giorni lavorativi per inviare un reclamo con richiesta di rimborso a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno indirizzata all’agenzia di viaggi o tour operator che dir si voglia, e per conoscenza al Comitato Regionale del Piemonte dell’Unione Nazionale Consumatori con sede in Torino, via Roma 366, oppure richiedendo informazioni in orario d’ufficio allo 011 5611800”.

E, precisa infine l’Avvocato Polliotto: “Per chi viaggia e utilizza autovetture a noleggio, verificare sempre la qualità delle aziende cui ci si affida, facendo segnare i danni già presenti al ritiro della vettura e fotografandola alla riconsegna facendosi dichiarare per iscritto l’assenza di nuovi danni, controllando altresì che in fattura o ricevuta vi siano correttamente addebitati gli importi relativi ai soli servizi realmente fruiti”.

Fermati due giovani con la droga sotto il sedile dell’auto

Agenti della Squadra Volanti in servizio di controllo del territorio notavano martedì pomeriggio scorso, in corso Maroncelli, due persone a bordo di un veicolo in movimento che, alla vista della pattuglia, accelerava la marcia, col probabile fine di eludere l’eventuale controllo di polizia. Gli agenti riuscivano a fermare il mezzo poco più avanti e notavano che i due cittadini italiani, entrambi trentenni, erano molto nervosi; sotto ad uno dei sedili veniva, infatti, rinvenuto un involucro in cellophane contenente 100 grammi di marijuana. A casa di uno dei due giovani è stato successivamente rinvenuto del materiale utile al confezionamento delle dosi di stupefacente, come bilancini di precisione e rotoli di cellophane. Per i due amici sono scattate le manette per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Atterraggio di emergenza a Caselle

Ieri sera atterraggio d’emergenza per un aereo Alitalia, costretto per un problema tecnico a rientrare all’aeroporto di Caselle poco dopo il decollo

L’allarme è scattato sul  Torino-Roma AZ1430R delle 19.10, con a bordo 113 passeggeri. La  richiesta di atterraggio d’emergenza è una procedura standard, ed è stata attuata per ragioni di prudenza. Il rientro allo scalo di Caselle, alle 19.30, si è svolto in totale sicurezza e senza problemi  per i passeggeri.

L’isola del libro

La rubrica delle novità librarie

A cura di Laura Goria

Jeffrey Archer “Un segreto ben custodito. La saga dei Clifton n3”   -Harper Collins – euro 12,90

E’ la terza puntata della saga creata dal 79enne barone inglese Archer di Weston-super-Mare, personaggio poliedrico. Dapprima impegnato in politica (tra le file dei conservatori di Margaret Tatcher, è stato membro del Parlamento europeo e per 25 anni deputato alla Camera dei Lord); poi, a 70 anni suonati, si è dimostrato abilissimo nell’intraprendere una seconda carriera come scrittore. Drammaturgo, saggista, autore di racconti e soprattutto romanziere prolifico. La Saga dei Clifton (in tutto 7 romanzi) sciorina le alterne vicende di due famiglie –Clifton e Barrington- nell’arco di un secolo. L’idea madre era raccontare le vite, dall’infanzia fino ai 70 anni, dei tre personaggi principali: Harry (in cui Archer si identifica in parte) Giles ed Emma (ispirata alla moglie dell’autore). Il terzo capitolo (dopo “Solo il tempo lo dirà” e “I peccati del padre”) inizia a Londra nel 1945, con il voto alla Camera dei Lord per decidere chi debba ereditare la colossale fortuna dei Barrington. Sono in lizza Giles Barrington (figlio legittimo di Sir Hugo Barrington e sua moglie Elisabeth) e il suo presunto fratellastro, nonché miglior amico, Harry Clifton (probabile frutto del flirt tra Sir Hugo e Maisie, moglie di Arthur Clifton). L’ago della bilancia penderà a favore del figlio legittimo Giles. Ma ad Harry poco importa della mancata eredità; conta invece che finalmente possa sposare la sua Emma (sorella di Giles) e dedicarsi con successo alla carriera di scrittore. Genitori del difficile, ma dotato, Sebastian, pensano di dargli una sorellina e adottano (non senza fatica), Jessica; la bambina che era stata trovata accanto al cadavere di Sir Hugo Barrington e sua figlia illegittima. Giles invece è tutto preso dalla politica e dal suo seggio traballante alla Camera dei Comuni. Peccato che ad arpionare il giovane politico rampante sia un’arpia con le fattezze bellissime della blasonata Virginia: insopportabile, cattiva, snob e vendicativa. Si rigira Giles come vuole, semina zizzania in famiglia, arraffa tutto quello che può e finisce per riservare colpi bassi che non vi anticipo. Quando poi Giles viene escluso dal testamento materno…apriti cielo. Ma il romanzo riserva anche altre sorprese…per esempio il giovane Sebastian che cresce e si avvia alla carriera scolastica, combinando qualche guaio, assortito a risultati brillanti. Mentre Giles avrà il suo bel da fare con le rielezioni e ostacoli vari seminati sul suo cammino…..

 

Rossana Campo “Così allegre senza nessun motivo” –Bompiani- euro 17.00

Interni parigini, un gruppo di amiche molto diverse tra loro, ma con una passione comune per la lettura. Patti, lesbica 50enne e voce narrante, Manu, Lily, Alice, Yumiko e Sandra hanno fondato il gruppo di lettura “Les Chiennes Savantes”. Un club tutto al femminile in cui si disquisisce allegramente di romanzi, saggi e articoli rigorosamente scritti da donne, e se ne parla evitando “le discussioni accademiche maschili, pallose..”. Piuttosto, questo è un coro di 50enni disposte a farsi conquistare da una storia, collegando sempre le letture alle loro vite ed esperienze. Il romanzo diventa occasione per scoprire il vissuto di ognuna di loro, con debolezze e conquiste, stati d’animo, e amicizie anche all’esterno del gruppo. Dialoghi serrati, discussioni anche accese intorno a piatti particolari che a turno cucinano, innaffiati da vino e a volte lacrime, come quando parlano degli ex. Ma il più delle volte sorridono allegre mettendo a nudo pagine e vita vera, la loro. Al gruppo si uniscono, strada facendo, nuove amiche o si ripescano vecchi legami interrotti dalla lontananza e dalle incomprensioni. E’ il caso di Linda, detta Lola, l’artista che lavora su calchi di parti del corpo femminile. Appartiene al passato adolescenziale italiano di Patti, quando la loro sembrava un’intesa inossidabile: insieme marinavano la scuola, facevano progetti per il futuro e sognavano in grande. Poi qualcosa è successo e Linda è sparita dai radar; ed è la 2° persona ad aver abbandonato Patti. La prima era stata sua madre quando lei aveva solo 11 anni. E nel racconto si innestano pagine fitte di dolore e solitudine. Si parla anche di omosessualità, con l’apparire di un personaggio durissimo come la mamma di Ben (nuova amica di Patti) che non esita ad esprimere tutto il suo disprezzo per le tendenze sessuali della figlia. Che altro dire? Come perfettamente sintetizzato nel risvolto di copertina, aspettatevi e godetevi questa “polifonia al femminile, un mosaico di splendide donne che non hanno mai smesso di essere ragazze e continuano ad affrontare la vita con la tenacia, la caparbietà e il fuoco che da sempre le anima”

 

Fernando Aramburu “Dopo le fiamme “ -Guanda-   euro 17.00

Lo scrittore spagnolo 60enne Aramburu, vincitore del Premio Strega europeo 2018 con “Patria” – romanzo politico, sentimentale ed epico- ora narra le storie delle vittime e dei carnefici dell’Eta, nella raccolta di racconti “Dopo le fiamme”, pubblicato in Spagna anni fa. Sono 10 storie dedicate all’inferno, alla paura, alla sofferenza di persone e famiglie comuni che videro esplodere le loro esistenze con le bombe, gli agguati e gli attentati che hanno seminato morte e dolore indicibile, smembrato famiglie, creato orfani e vedove. Ne deriva un quadro del terrorismo basco e degli orrori perpetrati dall’Eta. Una guerra subdola e strisciante che ha colpito vittime innocenti, creando una fetta di umanità dolente che Aramburu ritrae con infinita empatia. Sono racconti che cadono come schegge, colpiscono e fanno pensare. L’autore è semplicemente magistrale nel descrivere la quotidianità delle famiglie prima degli attentati che spezzeranno per sempre le loro vite, seminando brandelli di corpi e tonnellate di orrore. Leggiamo il primo racconto “I pesci dell’amarezza” e sprofondiamo nell’impotente dolore di un padre. Sua figlia 29enne è stata vittima, per puro caso, di una bomba piazzata davanti a una banca; posto sbagliato al momento sbagliato… e la giovane ha perso una gamba. Dopo mesi di interventi chirurgici la riporta a casa dall’ospedale e assiste alla sua nuova vita- non vita, che trascorre passivamente osservando per ore i pesci dentro un acquario. Poi c’è la storia della vedova di un vigile urbano, che con i suoi tre figli è oggetto di continue minacce da parte dei vicini e dei compagni scuola, che li isolano come fossero degli appestati. Alla fine l’ostracismo vince, lei caricherà i mobili della sua vita e abbandonerà il paese in “..un misto di sconforto e compassione nel vedere che esistono persone convinte che per creare la patria dei loro sogni, si deve necessariamente causare dolore al prossimo. Persone avvelenate dall’odio”. E tra gli altri, toccante è il racconto “Il figlio di tutti i morti” in cui un ragazzino che ha perso il padre chiede alla mamma perché lo bacia sempre due volte…e lei raggela il lettore rispondendo “Uno è mio e l’altro di chi non ti ha mai potuto baciare”.