ilTorinese

Violenze alle Vallette. Direttore e comandante sostituiti da due donne

E’ stato rimosso dall’incarico  il direttore del carcere di Torino, Domenico Minervini, insieme con il comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza.

Il provvedimento, secondo fonti giornalistiche, è stato deciso dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) per motivi di opportunità.

La procura di Torino ha infatti chiuso le indagini sulle presunte violenze, in alcuni casi si parla torture, nei confronti di alcuni  detenuti del carcere Lorusso e Cutugno. Minervini e Alberotanza sono  tra i 25 indagati nell’inchiesta condotta dal pm Francesco Pelosi.

A sostituire direttore e comandante rispettivamente Rosaria Marino, ex direttrice del carcere di Novara e  Maria Lupi ex vicecomandante della polizia penitenziaria delle Vallette.

Bollettino Covid: nessuna vittima, 12 contagi. Stabili le terapie intensive

CORONAVIRUS PIEMONTE: IL BOLLETTINO DELLE ORE 16:30

26.039 PAZIENTI GUARITI E 655 IN VIA DI GUARIGIONE

Oggi l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato che i pazienti virologicamente guariti, cioè risultati negativi ai due test di verifica al termine della malattia, sono 26.039 (+17 rispetto a ieri), così suddivisi su base provinciale: 3197 (+4) Alessandria, 1574 (+0) Asti, 841 (+0) Biella, 2436 (+1) Cuneo, 2345 (+0) Novara, 13.425 (+10) Torino, 1093 (+0) Vercelli, 961 (+2) Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 167 (+0) provenienti da altre regioni.

Altri 655 sono “in via di guarigione”, ossia negativi al primo tampone di verifica, dopo la malattia e in attesa dell’esito del secondo.

I DECESSI RIMANGONO A 4127

Nessun decesso di persona positiva al test del Covid-19 è stato comunicato nel pomeriggio dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte.

Il totale rimane di 4127 deceduti risultati positivi al virus: 678 Alessandria, 256 Asti, 208 Biella, 398 Cuneo, 372 Novara, 1821 Torino, 222 Vercelli, 132 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 40 residenti fuori regione ma deceduti in Piemonte.

LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

Sono 31.622 (+12 rispetto a ieri, di cui 8 asintomatici. Dei 12 casi, 8 screening, 2 contatti di caso e 2 con indagine in corso. I casi importati, da altra regione italiana, sono 1 su 12) le persone finora risultate positive al Covid-19 in Piemonte, così suddivise su base provinciale: 4099 Alessandria, 1883 Asti, 1055 Biella, 2921 Cuneo, 2811 Novara, 15.976 Torino, 1351 Vercelli, 1152 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 268 residenti fuori regione, ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 106 casi sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

I ricoverati in terapia intensiva sono 5 (invariato rispetto a ieri).

I ricoverati non in terapia intensiva sono 136 (-5 rispetto a ieri).

Le persone in isolamento domiciliare sono 660.

I tamponi diagnostici finora processati sono 490.394, di cui 269.094 risultati negativi.

“Radici e tronchi d’albero”, il mistero svelato dell’ultimo Van Gogh

Di Barbara Castellaro / 27 luglio 1890, Auvers sur Oise, verso il crepuscolo. Vincent Van Gogh rivolge un’arma contro se stesso, decidendo di porre fine alla propria esistenza.

La mattina di quel giorno, secondo gli studi condotti sulla sua opera da Louis van Tilborgh e Bert Maes e rivelati in una pubblicazione del 2012 dal Van Gogh Museum di Amsterdam, aveva abbozzato la sua ultima opera, il suo ultimo grido al mondo, il suo testamento: “Radici e tronchi d’albero”.

Questa teoria era supportata dalla testimonianza inconfutabile di Andries Bonger, fratello di Joanna Bonger Van Gogh, moglie di Theo e cognata di Vincent, che aveva indicato in questa tela l’ultima opera dell’artista, dipinta proprio la mattina del 27 luglio. In un altro scritto Van Tilburgh, in collaborazione con il suo collega Teio Meedendorp, nel 2013, concludeva che il soggetto dipinto nell’ultimo quadro, “Radici e tronchi d’albero”, rifletteva lo stato mentale disturbato e tendente al suicidio e che, quindi, fosse plausibile che, avendo trascorso la mattina a lavorare a questo dipinto, confrontandosi con la propria profonda malinconia, Van Gogh fosse tornato all’Auberge Ravoux e ne fosse uscito con la pistola con la quale avrebbe posto fine alla propria vita.
Fine Marzo – Inizio Aprile 2020, la pandemia del Covid-19 ha costretto l’Europa al lock down. Le uscite sono limitate. In poche settimane la normalità è diventata un ricordo e la vita si svolge tra le mura di casa.

Wouter van der Veen, studioso dell’opera di Vincent Van Gogh e direttore dell’Institut Van Gogh, si dedica a esaminare i file che riproducono alcune cartoline che raffigurano Auvers sur Oise tra il 1900 e il 1910. La scena fotografata in una di queste include una strada coperta di radici e tronchi d’albero. Van der Veen racconta di aver pensato di utilizzarla per cercare di spiegare “Radici e tronchi d’albero”, l’ultimo quadro di Van Gogh, “un lavoro sconcertante e difficile da capire dipinto da lui il giorno del suicidio”.
Casualmente, come è spesso accaduto per tutte le grandi scoperte, lo sguardo dello studioso, mentre è impegnato in una conversazione telefonica, cade su un punto della riproduzione digitale della cartolina aperta sullo schermo e, incredulo, riconosce proprio quelle radici e quei tronchi raffigurati da Vincent.In quella cartolina è immortalato il soggetto dipinto da Van Gogh, ma vent’anni dopo.


Nel libro “Attacked at the very root. An investigation into Van Gogh’s last days” Van der Veen rivela tutti i particolari della scoperta che l’hanno portato alla convinzione di avere individuato l’esatto punto dipinto nell’ultima opera dal pittore olandese, a 150 metri dall’Auberge Ravoux. “Mi recai in quel luogo appena possibile – scrive Van der Veen – Mi attendeva un piccolo miracolo: un enorme ceppo mummificato coperto di edera, occupava il posto d’onore nel luogo che avevo identificato. Si trattava della parte centrale del dipinto…”.

Si trattava del punto esatto dove Van Gogh aveva dipinto per l’ultima volta in quel villaggio che l’aveva ospitato negli ultimi mesi di vita. Vincent Van Gogh arriva, infatti, a Auvers sur Oise il 20 maggio 1890. Il suo unico desiderio, dopo le crisi che lo avevano colpito nel periodo trascorso ad Arles, in particolare il movimentato rapporto con Gauguin, poi culminate nell’episodio del taglio dell’orecchio del dicembre 1888 e nella decisione di ricoverarsi volontariamente nella Maison de Santé di Saint Remy de Provence, dove rimase un intero anno, era stato quello di ritornare al Nord, nei luoghi che era sicuro l’avrebbero guarito, così come anni prima aveva pensato del Sud della Francia e del sole e dei colori della Provenza.

Due episodi, in particolare, negli ultimi mesi trascorsi a Saint Remy, avevano influito sulla salute e sul precario equilibrio dell’artista: il saggio di Aurier e la nascita del nipote.
Nel gennaio 1890 Gabriel Albert Aurier, un giovane, ma visionario critico d’arte pubblica sul “Mercure de France” un lungo articolo “Les Isolèes: Vincent van Gogh” nel quale riconosce le doti straordinarie del pittore olandese. Vincent è confuso e confessa alla madre e alla sorella di sentirsi preoccupato dal pensiero del successo. Il secondo episodio si verifica nel 31 gennaio 1890. Theo e Joanna diventano genitori di un bambino al quale vengono imposti i nomi di Vincent Willem, gli stessi dello zio, gli stessi dell’altro zio, il primogenito dei coniugi Van Gogh, quel fratellino nato e morto il 30 marzo 1852, un anno esatto prima della nascita del pittore che ne aveva ereditato i nomi. I nervi sovraeccitati di Vincent vengono messi a dura prova da queste emozioni e a febbraio viene colpito da una crisi molto violenta, la più lunga del suo soggiorno nella casa di cura di Saint Remy: dalla prima settimana di febbraio all’ultima settimana di aprile è incapace di dipingere, scrivere e persino di leggere.

Il successo e l’arrivo di un bambino con la creazione di un nucleo familiare proprio da parte del fratello se da un lato rappresentano per lui episodi felici, dall’altro portano, tuttavia, con sé un profondo carico di turbamento e paure ataviche: quella del peso insostenibile della fama il primo e quello della perdita di un’intimità con Theo il secondo. Era arrivato un altro Vincent a prendere il suo posto, come lui aveva fatto con il suo fratellino nato morto 37 anni prima e l’artista inizia a percepire dentro di sé, con dolore, il passaggio da fratello amato a peso gravoso.
Al termine della crisi Van Gogh riesce a partire per Parigi, dove, tuttavia si ferma soltanto tre giorni per conoscere la cognata e il nipote, prima di raggiungere, su raccomandazione e consiglio di Camille Pissarro, Auvers sur Oise, all’epoca villaggio particolarmente amato e dipinto da molti artisti, affidandosi alle cure del dottor Paul Gachet, un medico appassionato ammiratore dell’arte dell’epoca e grande collezionista, che spinge il pittore a lavorare il più possibile per contrastare il ritorno della malattia.

A Auvers sur Oise Vincent soggiorna all’Auberge Ravoux (Cafè de la Maire) e trascorre molto tempo all’aperto, dipingendo incessantemente. In questi mesi nascono capolavori di una bellezza straziante come “La Chiesa di Auvers” che Wouter van der Veen così descrive: “è una dimostrazione artistica di forza. Le misure, l’ambizione, le difficoltà tecniche e l’immediato successo di esecuzione rendono indiscutibilmente questo dipinto uno dei suoi più grandi, allo stesso livello dei “Girasoli” o di “Notte Stellata sul Rodano. La scena è retroilluminata e si svolge sotto un cielo blu carico che sembra inciso sulla tela come un bassorilievo multicolore, in un perfetto contrasto di tinte e tonalità audaci e raffinate. La figura ordinaria di un passante e alcune case che rappresentano il villaggio intensificano la scena…” e come “Ritratto del dottor Gachet” dipinto nella posa della “Melancholia” di Albrecht Dürer, un’opera giocata su un sapiente utilizzo delle diverse gradazioni di blu.

Una tela di questo periodo che ha assunto un grande significato non soltanto per la tragicità che trasmette e per la potenza espressiva della quale è portatrice, ma anche perché, per molto tempo, è stata, a torto, considerata l’ultimo dipinto di Van Gogh è “Campo di grano con corvi”. La scelta di dipingere tre strade sotto un cielo cupo, pesante, materico, contraddistinto da un cromatismo scuro e opprimente e attraversato da corvi in volo che sembrano forieri di oscuri presagi, ha fatto ritenere il quadro un testamento conclusivo, tuttavia, Van Gogh allude alla sua creazione in una lettera del 10 luglio, quindi 17 giorni prima del suicidio e, nonostante, ancora oggi, non sia stato possibile datarla con certezza, è importante notare che raffigura un campo di spighe e che, quindi, è stata dipinta prima che il grano venisse tagliato. L’esistenza di altre tele che immortalano i campi di Auvers con il grano già tagliato e raccolto conferma la certezza che, nonostante il quadro evochi lo spettro della morte, non solo non è stato l’ultimo dipinto da Vincent, ma ad esso ne sono seguiti altri.

L’esercizio continuo e quasi disperato dell’arte pittorica, tuttavia, non basta ad allontanare le crisi e i periodi sereni si fanno sempre più rari fino a scomparire del tutto il 6 luglio 1890 quando Vincent ritorna a Auvers profondamente turbato e convinto di essere solo un fardello per i suoi cari. Durante la sua visita a Parigi, Theo gli è apparso, infatti, nervoso e distante, prostrato dai primi segni della sifilide, dalla preoccupazione per la salute del figlio che soffre di frequenti e inspiegabili attacchi di pianto e per gli affari.
Questa convinzione viene rafforzata dall’improvvisa partenza di Theo e Joanna per Olanda e dalla frammentarietà della corrispondenza che hanno sicuramente influito nel rafforzare nell’artista questo pensiero.La solitudine e il senso di abbandono, in quel luglio dai colori e dalla luce abbacinanti, dovevano essersi fatti sempre più gravosi per il pittore olandese che sicuramente ritrova dentro di sé e rafforza la necessità di farsi da parte, necessità che esplode e si concretizza il 27 luglio, il giorno della raffigurazione di “Radici e Tronchi d’albero”, opera che ha mantenuto, per molto tempo, intatto il proprio mistero. Oggi è ormai chiaro che questa è senza alcun dubbio l’ultima tela di Van Gogh, un’opera incompiuta, l’ultima visione di un’artista che, per tutta la vita, aveva sempre saputo andare oltre, tutto anticipando, tutto superando.

Per molto tempo, tuttavia, è parso quasi impossibile identificare il luogo raffigurato da Van Gogh fino alla recentissima scoperta di Wouter van der Veen.
La cartolina da lui analizzata che raffigura il luogo dipinto nell’ultimo quadro di Van Gogh è “Auvers sur Oise – Rue Daubigny” e mostra una strada che curva verso il basso con un ciclista di spalle fermo a causa di una gomma a terra. Alla sua destra c’è una serie impressionante di radici esposte all’aria aperta. Naturalmente, molte cose sono cambiate dall’epoca, ma gli studi condotti sul terreno e sugli alberi, i confronti e le analisi con l’opera sembrano sufficienti per poter identificare, con esattezza, l’ultimo luogo che Van Gogh ha dipinto, mentre nella sua mente si rafforzava sempre di più il desiderio di mettere fine ai suoi giorni. Questa tratto di rue Daubigny si trova a 150 metri dall’Auberge Ravoux. Probabilmente, come era solito fare tutti i giorni secondo la testimonianza di madame Ravoux, anche quel 27 luglio Vincent si alzò, uscì a dipingere e rientrò a pranzare presso l’albergo. Quel giorno era stata una giornata molto calda ed è presumibile che Vincent avesse preferito uscire all’aperto anche nel pomeriggio piuttosto che lavorare nello studio a lui fornito dai Ravoux.

Sia la testimonianza di Adeline Ravoux che quella di Paul Gachet concordano sul fatto che Van Gogh era rientrato dopo che entrambi avevano già cenato, quindi verso sera, proveniente da “dietro il castello” dove si era sparato. La stessa notizia è data al critico Aurier da Emile Bernard in una sua lettera: “Domenica sera uscì in campagna vicino a Auvers, appoggiò il cavalletto contro un pagliaio, andò dietro il castello e sparò un colpo di pistola contro se stesso”. Vincent, quindi, era uscito a dipingere anche nel pomeriggio, e “Radici e tronchi d’albero” al momento del suicidio doveva trovarsi sul cavalletto. Il dipinto era stato iniziato al mattino come affermato da Andries Bonger, ma le ultime pennellate sono state applicate nel tardo pomeriggio.
Scrive ancora Van der Ween: “Van Gogh non stava inventando l’astrazione nella pittura con questo lavoro sconcertante. Stava semplicemente facendo ciò che aveva sempre fatto: catturare la realtà di ciò che vedeva nel modo in cui desiderava vederlo”.

Antonin Artaud nel suo “Van Gogh. Il suicidato dalla società” scrive: “Van Gogh non abbellisce la vita. Ne fa un’altra”.  Non abbellisce la realtà, ne fa un’altra, dipinge la realtà che i suoi occhi colgono, vedono, osservano. Sempre Artaud: “[…] dirò che Van Gogh è pittore perché ha ricomposto la natura, che egli ha come ritraspirato e sudato, fatto schizzare a fasci sulle sue tele, a sprazzi scrocchianti di colore, la secolare frantumazione di elementi, la spaventosa pressione elementare di apostrofi, di strie, di virgole e di sbarre di cui sono composti gli aspetti naturali…”.
Anche le semplici radici di un albero erano state “ricomposte e ritraspirate” in un testamento scritto con il colore e con il sangue. L’artista era consapevole che ormai c’erano nuove radici, giovani e forti e sentiva di doversi fare da parte. Il pensiero del suicidio si era rafforzato dentro di lui, era diventata una necessità prendere la morte per andare in una stella.

“Van Gogh voleva soprattutto raggiungere finalmente quell’infinito per il quale, egli dice ci si imbarca come su un treno verso una stella, e ci si imbarca il giorno in cui si è deciso fermamente di farla finita con la vita” scrive ancora Antonin Artaud. Van der Veen, grazie a una cartolina e a quel bisogno di indagare, osservare, scoprire, di scavare nell’opera di Van Gogh e nella sua vita, ci ha svelato un mistero.  Da oggi il pellegrinaggio doloroso a Auvers sur Oise comprenderà oltre alla Chiesa, alla cameretta dove Vincent si è spento vegliato dall’amato fratello, al cimitero dove i due fratelli riposano sotto un manto di edera, anche il luogo dove Vincent ha regalato all’umanità il suo ultimo quadro. “Non tutti capiranno che il trionfo di una vita, a volte, risiede nella scelta della morte. Van Gogh era, in quel senso, forse di prematura modernità” scrive Van der Veen.E, talvolta, la morte è l’unica strada perché l’arte, diventata immensa e ingombrante, possa continuare a vivere per sempre. Solo l’arte, infatti, può sopravvivere a tutti noi.

 

Si ringraziano per la disponibilità e per le fotografie:

Dr. Wouter van der Veen e Dr Dominique-Charles Janssens – Institut Van Gogh

Dr.ssa Clara Moreno – Moreno Conseil

“Valentina questa notte sarai mia”

Music Tales, la rubrica musicale / Stiamo parlando dei 5Hundred, Rock ‘n Roll Pop Funk, e per la precisione di:

Gianluca Donnarumma – chitarra
Riccardo Ceccarelli – voce e chitarra
Erik Brienza – batteria
Federico Currà – basso

Primo singolo estratto dall’album “Dolci Ispirazioni” in uscita.

Dolci ispirazioni è il primo album di inediti della band. Valentina è la traccia che inaugura l’album.

I 5Hundred sono 4 ragazzi di una semplicità imbarazzante e, quello che rende il loro gruppo “speciale e prezioso”, a parer mio, è proprio l’avvertire ogni volta che li osservo sul palco, quella cosa che dice: “siamo qui, per servire la musica, niente altro”.

In un momento storico/musicale dove l’apparenza pare valere quasi più della sostanza, loro arrivano con brani diretti, facili da comprendere, e li riproducono in modo egregio, pulito, almeno quanto le loro facce.

Valentina lascia un po’ l’amaro in bocca.

Parla dell’amore non corrisposto; di una Valentina che lascia il suo uomo ad aspettare un ritorno che non arriverà mai.

Ma Riccardo Ceccarelli, voce del gruppo, rende questa attesa “scanzonata” perchè interpreta il brano con una leggerezza vocale e visiva che la fanno sembrare, questa attesa inutile, quasi “sopportabile”… mi ricorda un Cremonini nazionale che nel brano “I love You” lascia andare la donna della quale è innamorato, con la serenità di chi sa che, soffre adesso, ma poi tutto passerà, (perchè tutto passa, si sa) e mentre la lascia all’altare ad un altro uomo, si allontana su un motoscafo quasi a voler dire:”ok, non mi hai voluto, ma io vado libero come il vento e pure col sorriso; giusto per farti capire che, forse, chi ha avuto la peggio sei proprio tu (n.d.r.)”

Ecco dove mi riportano le sonorità di Valentina, e questo mi piace al punto da invitarvi ad ascoltarla, perchè non sempre i pezzi migliori sono quelli alla radio, anzi, spesso, stanno nel sottobosco, e nemmeno lo meriterebbero!

Fai di me un prato. Con tanta luce.

E poi aggiungici un cielo, come vuoi tu.

E’ lì che io ti aspetterò.”

Mi piace Valentina, eccovela: fatela girare, lo merita.

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=VGNY8jMcY4Y

 

Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Festa di paese di Rivalba

Sabato 01 Agosto 2020

ore 21.00 …Omaggio a Battisti in acustico con Chiara e Mr. Sil!

Scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Virus, casi “importati”: situazione sotto controllo ma non abbassare la guardia

Torniamo a fare il punto della situazione epidemiologica legata all’emergenza coronavirus con Chiara Pasqualini, referente del Seremi, acronimo che sta a significare Servizio di riferimento regionale di Epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione ed il controllo delle malattie infettive, che ogni giorno, da febbraio, si trova a dover affrontare i numeri della pandemia in Piemonte.

Qual è dunque lo stato dell’arte a Torino e in Piemonte anche alla luce di un nuovo dato introdotto nei bollettini quotidiani, ovvero i casi ‘importati’?

“Soprattutto nell’ultima settimana sia a livello regionale, sia a livello nazionale, si è registrata una crescita dei casi importati, sia dall’estero che da altre regioni, che potrebbero potenzialmente contribuire alla diffusione dell’infezione in regione focolai ma che al momento a livello territoriale  sono stati arginati efficacemente”.

Da quali Paesi esteri ?

“Possono essere Paesi come Francia, Spagna, Stati Uniti, Paesi dell’Est Europa, dove ci sono delle situazioni di rischio. Questo dato è stato introdotto su richiesta dell’Iss-Istituto Superiore di Sanità, sia a livello nazionale, sia peril Piemonte, perché è una variabile della quale si vuole misurarne il peso”.

Che incidenza ha sul Piemonte ?

‘E’ abbastanza contenuta, sono situazioni che incidono nella misura di poco meno del 20%, la maggior parte dall’estero, dai più variati Paesi: Romania, Albania, Repubblica Dominicana, Bangladesh.”

Come si arriva a questi casi ?

“Possono venire identificati sul territorio e dall’inchiesta epidemiologica si va a ricostruire. Ci sono poi casi che si rifanno a positività riscontrate su tratti di voli aerei che vengono identificati dal Ministero tramite i circuiti di segnalazione internazionali e che risultano positivi a seguito del test. E tra questi ci possono essere anche dei residenti in Piemonte. “

Quindi è un fenomeno che fa paura, come qualcuno dice ?

“No, Il fenomeno nella nostra regione è sotto controllo, ma deve essere monitorato per prevenirlo il più possibile adottando le misure di controllo idonee.”

I dati comunque per il Piemonte hanno un andamento molto diverso dal passato …

I decessi che vediamo oggi si riferiscono a persone molto anziane quasi sempre che hanno contratto il Covid nella fase più acuta dell’epidemia, marzo – aprile, per intenderci. Gli asintomatici sono i casi prevalenti ma quello per cui invece va tenuta la guardia alta sono i sintomatici non importati e non derivanti da contatti di caso, sicuramente contagiosi per i quali non si riesce a ricostruire la catena di trasmissione.

Ecco perché è dunque necessario che i cittadini, nonostante la situazione piemontese faccia indulgere ad ottimismo, sia pure con tutte le cautele necessarie, devono continuare a tenere la guardia alta e mettere in atto quei comportamenti responsabili – distanziamento sociale, frequente sanificazione della mani, evitare assembramenti, indossare le mascherine quando prescritto e necessario – che sono serviti ad allentare la morsa del virus e ad ripartire.

 

Massimo Iaretti

Paura in tangenziale: si apre di colpo cofano dell’auto, finita contro un tir

Il cofano dell’auto si è aperto improvvisamente togliendo la visuale dal  parabrezza

La Fiat Panda che percorreva  sulla tangenziale Nord di Torino ha incominciato a zigzagare  e il conducente è finito contro  un tir che viaggiava verso Milano. Alla fine la vettura ha sbattuto contro il guardrail. L’incidente è avvenuto all’altezza dello svincolo di Borgaro verso le 12,30. Ferito l’uomo alla guida della Panda, bloccata la tangenziale.

Scuola, Ruffino (Fi): “Cambio di passo o sarà cataclisma”

“Sulla riapertura delle scuole regna il caos. Famiglie e studenti sono stati abbandonati a loro stessi, gli enti locali non hanno ancora avuto indicazioni precise per la ripartenza.

Il sindaco di Rivoli (Torino), Andrea Tragaioli – ad esempio – è stato costretto a scrivere nuovamente una lettera al premier Conte e al ministro Azzolina per chiedere immediati chiarimenti sulle regole per l’avvio del nuovo anno scolastico.
Serve un percorso concordato, con il tempo scuola definito, con il tempo pieno garantito dal Ministero, con il servizio mensa e con un supporto ai costi di trasporto per la ‘Scuola Diffusa’ sul territorio.
Mancano meno di 50 giorni al 14 settembre e non abbiamo alcuna certezza, solo confusione, polemiche, un ministro presenzialista che non dà risposte chiare, un governo che persevera con la logica del rinvio.
Serve un cambio di passo immediato, oppure rischiamo di avvicinarci a grandi passi verso un vero e proprio cataclisma”.
Lo afferma in una nota Daniela Ruffino, deputata di Forza Italia.

Recuperati antichi vasi rubati dal museo

Sono cinque le opere d’arte in cristallo del XV e XVI secolo, sparite dopo essere state rubate vent’anni fa al Museo del vetro di Dusseldorf

Sono state recuperate in Italia dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale. L’operazione ha portato all’arresto di un cittadino tedesco di 67 anni,  residente nel Cuneese,  noto come “l’avvocato” perché si presentava come esperto di diritto, e di una connazionale di 63 anni. Entrambi accusati di ricettazione e tentata estorsione avevano contattato il museo chiedendo 200 mila euro per restituire le opere.

Eccola, la meglio gioventù di Barriera

Eccola, la meglio gioventù. Perlomeno un pezzo della meglio gioventù della Barriera di Milano anni 70 ed 80.

Circolo Risorgimento in piena Barriera rivitalizzato e reinventato, avamposto in terra di confine. Via Poggio e davanti, come legge del contrappasso la sede della Lega Nord. In fondo qualcosa in comune c’è, come Gipo Farassino, uomo di Barriera prima comunista e poi leghista.

Al circolo del Risorgimento c’era la 32^ sezione del PCI e storicamente sede dell Anpi e presidio di un antifascismo di vecchio stampo.

Bravi i ragazzi che gestiscono. Buona la cucina, qualcosa di più sulla qualità del vino sfuso si può fare. Eccoci qui, impossibile essere insensibile al richiamo di Laura Tori che nel circolo ha visto i natali, nel senso letterale del termine visto che 60 anni fa ne erano animatori madre e padre. Ma non solo Barriera. Flavia Bianchi e Claudio Malacrino architetti. Da più di 45 anni fidanzati e poi sposati con splendida famiglia e splendidi figli. E la passione per la politica e l’architettura.


L’assicuratore filosofo Elvio Balboni che ha fatto e testimoniato un pezzo di storia della Zona ovest, la Stalingrado di Torino. Appassionato di montagna e di Studi (appunto) filosofici e sociologici.

Davide Padroni funzionario e Presidente del Cna, grande capo degli studenti in zona centro del 1^ liceo artistico. Abitava in corso Palermo e lui la Barriera la “annusava ” tutti giorni. Le sorelle Pani talmente simili da assomigliarsi come gemelle. Mai una parola fuori luogo e mai un urlo, tra le animatrici della locale sezione. In ordine sparso. Riccardo Tecchiati, responsabile sicurezza in consiglio regionale del Piemonte, comunista doc.  Chissà se i leghisti sapessero che la loro sicurezza è in mano ad un “mangiatore di bambini”. Roberto Ferraris insegnante da Pinerolo, alias Sciampo per la fluttuante capigliatura di ieri e di oggi. Politicamente direi tra PD e Rifondazione.

Direi a metà. Claudio Mercandino giornalista a Repubblica partendo dall’Unità. Non incline al compromesso ha sbattuto la porta andando via da Repubblica diventando battitore libero. Mi è sempre stato simpatico.

Roberto Martin per 40 anni grande capo della coop Astra, felicemente in pensione. Ricordava quando quelli di Prima Linea lo minacciarono puntandogli una pistola. E li denunciò vivendo per un po’ sotto scorta del partito. Allora si facevano le cose sul serio. Non poteva mancare chi ha dedicato una vita al sindacato.

Serena Moriondo, dolcissima era e dolcissima è rimasta. Figlia d’arte nel sindacato  padre e madre ferventi ed attivisti) ha “vagato” da Torino, Rom , Asti tornado nella natia Torino.

Quando parla del figlio 20enne studente di Filosofia a Vercelli letteralmente si illumina. “Ammetto che questo sindacato mi ha un un po’ deluso e la pensione è vissuta con liberazione. Ma non mollo e continuo nell’impegnarmi”. In fondo Umberto Radin ora grande capo della categoria dei lavoratori del commercio.

Attivissimo durante il coronavirus per difendere la salute dei lavoratori dei supermercati. Ora alle prese con il normale il lavoro da casa. Intelligente ed arguto. Mi sfotte: “mi scavalcavi sempre a sinistra ed oggi vuoi l’esercito a presidio della Barriera. Io ci sono tornato e ci vivo benissimo”. Ed io replico : contenti voi che abitate in una “piccola Svizzera”, contenti tutti. Stimandoci siamo sempre stati due galli nello stesso pollaio.

Credo, e spero, che chi non ho citato non se ne abbia a male. Non credo proprio, anche in considerazione del bel clima che si respirava. Di nostalgia sicuramente.

Ma non di quelle laceranti ed angoscianti, preludio alla tragedia.

Siamo stati la meglio gioventù non solo per quello che eravamo ma anche, se non sopratutto, per quello che siano diventati. Respiravo un senso di complessivo appagamento. Sicuramente non ci si ritrova in questo presente. Sicuramente non lo si accetta.

Contemporaneamente non si vuole, o non si può mollare. Non si può e non si vuole portare il cervello all’ammasso.

Superati i 60 si continua nel leggere, studiare, sapere, confrontarsi come in passato, con la maggiore maturità del caso. Sempre al netto degli errori fatti.

Ci mancherebbe altro, viceversa saremmo stati perfetti, e la perfezione non è di questa terra.

Non eravamo perfetti e non lo siamo manco ora, come non lo saremo mai. Ci univa la politica e l’ idea di cambiare. Noi siamo cambiati, probabilmente in meglio. Siamo cambiati perché era nelle cose, siamo cambiati per necessità e possibilità.

Siamo cambiati in meglio per i nostri cari e, possibilmente, un po’ per noi stessi. Qualcuno disse dopo la Bolognina che  non sapevamo che cosa volevamo essere, ma sapevamo che cosa non potevamo più essere: quello che eravamo stati. Sono passati trent’anni. Sembra che siano passati secoli. Ma noi siamo ancora qui. Non è poco.

Ritrovarsi è d’obbligo. Non tanto e non solo per quello che eravamo, ma anche per quello che siamo diventati.

 

Patrizio Tosetto

Nasce il sistema integrato delle biblioteche

Su proposta dell’assessora Francesca Paola Leon, il Consiglio comunale ha approvato una deliberazione riguardante la convenzione fra la Città di Torino e i comuni di Beinasco, Chieri, Chivasso, Collegno, Moncalieri e la Fondazione Esperienze di Cultura metropolitana di Settimo Torinese

Obiettivo il coordinamento e l’integrazione dei sistemi bibliotecari SBU (Sistema bibliotecario urbano della Città di Torino) e SBAM (Sistema bibliotecario dell’Area metropolitana torinese) che vengono provvisoriamente denominati Sistema bibliotecario integrato dell’Area metropolitana torinese (SBIAM-TO).

Obiettivo principale della convenzione, che avrà durata triennale con scadenza 31 dicembre 2022, è quello di realizzare un sistema bibliotecario integrato: un’unica grande biblioteca a disposizione dei cittadini, grazie al rafforzamento dei servizi al pubblico e la collaborazione tra le biblioteche. Collaborazione che il modello SBIAM-TO dovrà realizzare in regime di reciprocità fra le diverse realtà, attraverso due fasi operative: una prima di analisi e studio e una seconda di coordinamento e integrazione delle attività e per la gestione di servizi condivisi.

La partecipazione degli enti convenzionati si realizzerà mediante il “Comitato di Indirizzo” composto dai legali rappresentanti degli enti aderenti o dai loro delegati e da un Comitato tecnico con funzione consultiva e senza diritto di voto. Al Comitato di indirizzo spetterà il compito di definire le linee d’indirizzo del sistema bibliotecario, di condividere obiettivi di sviluppo e forme di cooperazione con altri enti e istituzioni di ambito regionale, nazionale o internazionale, definire quali attività siano da considerarsi di rilevanza comune per tutte le biblioteche del sistema SBIAM-TO.