ilTorinese

“RipartiPiemonte”, al via il piano da 800 milioni per lavoro e famiglie

Giovedì la Giunta regionale presenterà un disegno di legge per snellire la burocrazia  e velocizzare l’assegnazione delle risorse. Il presidente Cirio: “Tra le misure anche 55 milioni di euro  per il nostro personale sanitario in prima linea da settimane contro il Coronavirus”

Sarà denominato RipartiPiemonte il disegno di legge con il quale la Regione stanzierà 800 milioni di euro per sostenere gli imprenditori, i lavoratori e le famiglie piemontesi nella Fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Lo ha annunciato oggi il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, in una videoconferenza stampa a cui ha preso parte tutta la Giunta.
Guardiamo con grande attenzione ai prossimi giorni perché saranno i medici e gli scienziati a dirci se e come potremo allentare il rigore, ma lavoriamo con la fiducia e la speranza che il 4 maggio il Piemonte possa ripartire – ha sottolineato il Presidente –. Oggi è il 25 Aprile e non è un caso aver scelto questa data per annunciare il nostro piano: ci auguriamo possa iniziare presto una nuova fase che liberi i cittadini dalle misure di contenimento, accompagnandoci a una nuova normalità”.

Il Piano della Regione mette in campo risorse immediate per 800 milioni di euro di fondi regionali, statali ed europei

 Il pacchetto di misure sarà supportato da uno specifico disegno di legge che la Giunta presenterà giovedì 30 aprile per snellire le procedure burocratiche e consentire una rapida assegnazione delle risorse.
“Abbiamo lavorato per riscrivere il nostro Piano della Competitività e venire incontro alle esigenze di ripartenza in tempi brevi di tutto il nostro sistema economico e sociale – ha spiegato il presidente Cirio –. Il Piano conterrà anche norme riguardanti la semplificazione, perché intendiamo intervenire ovunque ci sono vincoli e cavilli che possono ritardare l’arrivo delle risorse nelle tasche dei piemontesi. Per questo reiteriamo al Governo la richiesta, non di poteri, ma di procedure speciali, facili e immediate. Il nostro piano – ha evidenziato il Presidente – si baserà sulla fiducia che la Regione nutre nei confronti dei piemontesi. Sappiamo che stiamo dando risorse pubbliche alle persone giuste, a un tessuto imprenditoriale che ha bisogno di liquidità e che vuole ripartire”.
“Il disegno di legge – ha aggiunto – è lo strumento idoneo per consentire a tutti di dare il proprio contribuito per migliorarlo e di questo io mi farò garante personalmente. La settimana prossima lo approveremo in Giunta e poi chiederemo al Consiglio regionale di esaminarlo e votarlo il più rapidamente possibile in modo che produca i suoi effetti già dalla metà di maggio”.
Il primo articolo del disegno di legge conterrà uno stanziamento straordinario di 55 milioni per il personale sanitario del Piemonte“Un riconoscimento che non sarà mai abbastanza – ha detto il presidente Cirio –, ma doveroso per chi da settimane combatte in trincea. Lo Stato ha stanziato 18 milioni, noi li porteremo a 55. Sappiamo che non è sufficiente per dire grazie a tutti i nostri medici, infermieri e operatori sanitari, ma è un segnale che ritenevamo importante dare. Giovedì avremo un incontro con i sindacati di categoria per stabilire le modalità per assegnare queste risorse e attendiamo dal Governo il via libera per potere procedere”.
L’assessore alle Attività produttive, Andrea Tronzano, ha evidenziato che “la Regione sta svolgendo la funzione di regista verso le buone idee presentate in questi giorni dal sistema economico e universitario, che ha contribuito alla stesura delle linee guida per la ripartenza”, ha chiarito che “il modello Piemonte non può sostituirsi a quello del Governo, ma non dimenticherà nessuna categoria economica, compresi i piccoli negozi, dal parrucchiere all’estetista, passando da bar e ristoranti”, ed ha anticipato che ci saranno anche disposizioni per rendere il Piemonte autonomo nella filiera che riguarda la produzione dei dispositivi di produzione individuale.
Nel disegno di legge RipartiPiemonte ci saranno anche altri aspetti rilevanti. “Estenderemo le misure di sostegno – ha sottolineato l’assessore al Lavoro, Elena Chiorino – anche ai lavoratori esclusi dagli ammortizzatori sociali. Per l’anticipazione delle indennità abbiamo messo a disposizione 5 milioni del fondo di garanzia, siamo pronti a coprire le spese di apertura di nuovi conti correnti e stiamo perfezionando gli accordi con le banche. La priorità è fare in modo che i soldi vengano accreditati quanto prima”.
L’assessore alla Cultura e Turismo, Vittoria Poggio, si è soffermata sul fatto che “le risorse risparmiate per gli eventi annullati saranno reinvestite a favore delle imprese del settore. Passeremo dal progetto al soggetto, perché anche se molte manifestazioni e iniziative non possono svolgersi in questo momento a causa del Coronavirus, non dimentichiamo tutte le professionalità impiegate in un evento e le fragilità di questa filiera”.
Durante la videoconferenza stampa sono stati toccati diversi altri temi.
Situazione sanitaria“Questa settimana sarà cruciale per il Piemonte – ha dichiarato il presidente Cirio – Il valore assoluto dei nuovi contagi ogni giorno è ancora importante, ma registriamo un calo di coloro che manifestano sintomi e una costante riduzione dei ricoverati in terapia intensiva. Questo significa che il percorso che stiamo compiendo è corretto”.
L’assessore alla Sanità, Luigi Icardi, ha spiegato che “il calo dei contagi è in corso. Stiamo effettuando moltissimi tamponi nelle RSA, specie le più critiche e riscontriamo positivi, tuttavia la curva epidemica è in costante discesa, come sta diminuendo anche l’andamento dei decessi per data e il rapporto tamponi-positivi, perché pur facendo un numero maggiore di test la percentuale dei positivi scende. Si tratta di linee simili a quelle registrate in Emilia Romagna”.
Programmazione sanitaria. Il presidente Cirio e l’assessore Icardi hanno ricordato che l’Unità di Crisi sta lavorando per la gestione dell’attuale fase di emergenza, mentre la task force coordinata da Ferruccio Fazio si occupa del supporto all’Assessorato alla Sanità sulla futura programmazione del sistema sanitario piemontese, partendo dall’analisi delle criticità esistenti per costruire una reale medicina territoriale e individuare, entro giugno, misure immediate per fronteggiare un eventuale ritorno del contagio.
Laboratori analisi. L’assessore all’Innovazione, Matteo Marnati, ha annunciato che “la Regione sarà in grado di analizzare, nell’arco di poche settimane, oltre 10.000 tamponi al giorno ricorrendo all’apertura di tre laboratori a La Loggia (Torino), Biella e Novara, ed accompagnare la Fase2 in piena sicurezza. Siamo partiti a fine febbraio con due laboratori e 200 test, oggi abbiamo 21 laboratori fissi, due mobili e facciamo oltre 7.000 tamponi, ma l’obiettivo è di superare i 10.000 diventando così la prima Regione per numero di test analizzati”. I macchinari provengono da Stati Uniti e Cina e saranno acquistati grazie ad alcune donazioni, tra cui quelle di Intesa Sanpaolo e Generali.
Mascherine. L’assessore alla Protezione civile, Marco Gabusi, ha precisato le tempistiche di consegna dei 5 milioni di mascherine commissionate dalla Regione: “Entro il 4 maggio ne distribuiremo 2 milioni e gli altri 3 entro l’11 maggio. La scelta di dare le mascherine attraverso i Comuni deriva da un fitto confronto con le associazioni degli enti locali e ci consentirà di farlo in modo rapido”.

I pazienti guariti superano quota 4 mila, in calo i ricoveri nelle terapie intensive. Nuove vittime

Il bollettino della Regione Piemonte delle ore 19 di sabato 25 aprile

4060 PAZIENTI GUARITI E 2240 IN VIA DI GUARIGIONE

Oggi pomeriggio l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato che il numero di pazienti virologicamente guariti, cioè risultati negativi ai due test di verifica al termine della malattia, è di 4060 (298 in più di ieri): 347(+14) in provincia di Alessandria, 153 (+15) in provincia di Asti, 186 (+13) in provincia di Biella, 456 (+53) in provincia di Cuneo, 349 (+44) in provincia di Novara, 2058 (+139) in provincia di Torino, 206 (+3) in provincia di Vercelli, 250 (+11) nel Verbano-Cusio-Ossola, 55 provenienti da altre regioni (+6).

Altri 2240 sono “in via di guarigione”, ossia negativi al primo tampone di verifica dopo la malattia e in attesa dell’esito del secondo.

 

I DECESSI SALGONO COMPLESSIVAMENTE A 2803

Sono 66 i decessi di persone positive al test del “Coronavirus Covid-19” comunicati nel pomeriggio dall’Unità di Crisi, di cui 18 al momento registrati nella giornata di oggi (si ricorda che il dato di aggiornamento cumulativo comunicato giornalmente dall’Unità di crisi può comprendere anche decessi avvenuti nei giorni precedenti e solo successivamente accertati come decessi Covid).

Il totale complessivo è ora di 2803 deceduti risultati positivi al virus, così suddivisi su base provinciale: 526 ad Alessandria, 147 ad Asti, 155 a Biella, 220 a Cuneo, 246 a Novara, 1.217 a Torino, 154 a Vercelli, 108 nel Verbano-Cusio-Ossola, 30 residenti fuori regione, ma deceduti in Piemonte.

 

LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

 

Sono 24.549 (+499 rispetto a ieri) le persone finora risultate positive al “Covid-19” in Piemonte: 3.183 in provincia di Alessandria, 1.385 in provincia di Asti, 917 in provincia di Biella, 2.385 in provincia di Cuneo, 2.203 in provincia di Novara, 12.031 in provincia di Torino, 1.080 in provincia di Vercelli, 990 nel Verbano-Cusio-Ossola, 225 residenti fuori regione, ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 150 casi sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

 

I ricoverati in terapia intensiva sono 237 (-16 rispetto a ieri).

I ricoverati non in terapia intensiva sono 2.843 (-79 rispetto a ieri)

Le persone in isolamento domiciliare sono 12.432

I tamponi diagnostici finora eseguiti sono 132.510 di cui 70.298 risultati negativi.

 

Il senso della Libertà

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Questo 25 aprile 2020 lo ricorderemo a lungo. La Festa nazionale della Liberazione da settantacinque anni ci ricorda da dove nasce la Repubblica Italiana e soprattutto grazie a chi il nostro paese ha riacquistato, oltre alla dignità, la libertà e la democrazia. Per troppi anni è stata relegata, oltre ad un giorno di festa da scuola e dal lavoro, a cerimonia istituzionale ristretta ai rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni della resistenza, ai partigiani ed i loro famigliari ed a quanti, una minoranza, hanno sempre avuto una forte sensibilità democratica.

Con il passare degli anni e con la naturale e fisiologica scomparsa dei protagonisti di quello straordinario periodo è sorto il problema di tramandare la loro esperienza e valori e di coinvolgere le giovani generazioni. Periodicamente abbiamo assistito a tentativi revisionistici da parte della destra neofascista o ex fascista e da qualche storico di sinistra o presunto tale. Anche quest’anno, perdendo l’occasione di dare un segno di maturità quanto mai necessario in una situazione emergenziale da destra è arrivata la proposta di dedicare il 25 aprile alle vittime del Corona Virus. Proposta tanto irricevibile quanto idiota. L’ipocrisia porta a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.

Se si fosse mantenuto lo spirito e la composizione delle forze che hanno animato le formazioni partigiane il 25 aprile sarebbe stata vissuta con una partecipazione e condivisione se non unanime, impossibile, certamente in misura decisamente maggiore. Voglio ricordare che nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e nelle formazioni partigiane c’erano rappresentanti socialisti, comunisti, cattolici democratici, liberali, repubblicani, monarchici ed azionisti. Quindi, mi riferisco specialmente ad una parte della sinistra che ha cercato di appropriarsi della “resistenza”, la Resistenza non era e non è di una parte sola, ad essa hanno partecipato, dando sostegno e copertura, operai, impiegati, contadini, civili, preti e suore e molti rappresentanti delle forze dell’ordine. Per chi fosse interessato c’è una bella pubblicazione del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri sul ruolo dei Carabinieri durante la lotta di Liberazione. Un altro elemento da confutare è quello della territorialità, si è svolta solo al nord dell’Italia. Chi lo sostiene dimentica o fa finta di dimenticare lo sbarco alleato, la “ linea gotica” e l’Italia divisa in due. Problema risolto dalla folta e numerosa, molte migliaia, presenza di meridionali nelle formazioni partigiane. Uno su tutti il comandante del CLN che liberò Torino, Pompeo Colajanni, nome di battaglia “Barbato”, siciliano, ufficiale della cavalleria. Sul ruolo e sulla partecipazione dei meridionali alla lotta di liberazione voglio ricordare il convegno organizzato dal Consiglio Regionale del Piemonte il 16 giugno 2013 al Teatro Carignano a Torino.

Per concludere su di un altro elemento, spesso riproposto, quello degli esigui numeri dei partigiani, rammento che alla lotta di Liberazione hanno contribuito sicuramente le formazioni partigiane, i molti civili, ed, non si possono dimenticare e lo sono stati per troppo tempo, i seicentomila internati militari italiani (IMI) che rifiutarono di combattere per la repubblica di Salò e preferirono i campi di concentramento pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e privazioni. Tutto questo è la storia passata e recente ma la vera particolarità, che mi ha fatto riflettere, di questo 25 aprile è l’essere tutti “prigionieri” in casa da quasi due mesi. Festeggiare la Liberazione stando chiusi in casa, segregati quasi volontariamente, un ossimoro, per combattere un nemico invisibile e quindi più subdolo, non può che fare riflettere sul senso e sul valore della libertà. E’ proprio vero che una cosa l’apprezzi molto di più quando non ce l’hai, quasi, più o ti viene a mancare. Forse è per questo senso di privazione, di mancanza, che ci sono state un numero straordinario di manifestazioni e di iniziative con una partecipazione e condivisione che ci dà la percezione tangibile di essere liberi pur essendo “prigionieri” e segregati. La libertà e la democrazia sono, insieme alla Costituzione, i più importanti dei grandi “regali” che ci hanno portato la Resistenza e la lotta di liberazione.

Giampiero Leo: “I miei cinquant’anni di 25 aprile”

“Si è appena concluso un bellissimo flashmob – svoltosi dalle 15.00 alle 16.00 – realizzato sui balconi che danno sui giardini condominiali di molte abitazioni, facenti riferimento a una grande “corte”, secondo la concezione architettonica di un tempo. La nostra “manifestazione”- molto partecipata – ha avuto come animatori e fornitori delle canzoni, una bella famigliola composta da due giovani sposi, genitori di due ragazzine – Matilde e Maddalena – simpaticissime e molto versate tanto nel ballo e nel canto, quanto nelle arti ginniche. Abbiamo iniziato con varie versioni di “Bella Ciao” e proseguito con una azzeccata scelta di canzoni resistenziali e patriottiche, per concludere – tutti noi in posa marziale – con “L’inno di Mameli” e il Silenzio”

Quest’anno avrebbe dovuto essere la mia cinquantesima partecipazione alla fiaccolata del 25 aprile. In realtà io iniziato a presenziare alle celebrazioni della liberazione nel 1969 (quando avevo 16 anni, ero il più votato tra i leaders studenteschi del mio liceo e della mia Città e rappresentavo il Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana), quindi sarebbero 51 gli anni, ma una volta sono stato assente causa malattia. Ebbene, credo che questo piccolo curriculum possa sia attestare la mia fede antifascista, quanto darmi un minimo diritto di raccontare come – a mia esperienza – è cambiato il Paese.

Gli anni intorno al ’68 erano già abbastanza roventi, ma in quel di Calabria – esattamente a Catanzaro, mentre a Reggio infuriava il “boia chi molla”- nessuno avrebbe mai messo in dubbio la piena legittimità di un cattolico democratico di agire nell’agone politico sociale. Infatti, come accennavo, nel mio liceo nelle elezioni più significative e importanti (per esempio l’invio di una delegazione di tutti gli studenti calabresi a Roma, a incontrare l’allora ministro all’istruzione Riccardo Misasi) che si svolgevano col voto plurimo, ovvero due o tre preferenze, la prima era quasi sempre per me all’unanimità, mentre le altre venivano equamente divise fra rappresentanti della sinistra e della destra. Di conseguenza, nella stragrande maggioranza dei momenti politici “ufficiali”, venivo designato io a rappresentare il Movimento. Immaginabile il mio shock, quando, trasferitomi a Torino per l’università nel 1971, scoprii che da conclamato leader “cattolico-sociale-antifascista”, ero di colpo diventato un “clerico fascista”. In quegli anni, infatti, l’università – in particolare le facoltà umanistiche – erano diventate terreno di “caccia” al “non marxista rivoluzionario”, senza alcuna eccezione per i cattolici democratici e non violenti quale ero io. Che poi tra i “rivoluzionari” abbondassero i figli di papà, sponsorizzati e coccolati da professori con giacca in kashmire e porsche (….rigorosamente parcheggiate lontano dall’università) e che io fossi uno sfigatissimo studente lavoratore immigrato dalle “Calabrie”, non cambiava minimamente l’idea che il rappresentante del “potere” e del capitalismo fossi io e non loro. Per fortuna, o forse meglio per Provvidenza, mentre in università ero pubblicamente schivato da molti (che poi, magari si scusavano in privato), incontrai i “pericolosissimi” giovani di Comunione e Liberazione che, benchè fossi terrone e democristiano, mi accolsero con semplice ma genuino affetto. Da questa amicizia nacque la mia candidatura a capolista del raggruppamento cattolico alle prime elezioni universitarie – post ’68 – nel febbraio del 1975 e a quelle comunali della Città di Torino nel giugno dello stesso anno. (eletto in entrambi i casi con un risultato giudicato incredibile da organi di stampa e commentatori politici). E delle celebrazioni del 25 aprile, cosa ne era stato? Ebbene, dal mio arrivo a Torino, nel ‘71/’72 avevo continuato a partecipare come singolo, mentre dal ’75 in poi iniziai ad andarvi come rappresentante ufficiale delle istituzioni o del partito. Intanto eravamo ormai nel pieno degli anni di piombo, ed è forse superfluo sottolineare quale fosse il contesto: un clima di odio e d’intolleranza nei nostri confronti, che si traduceva in quotidiani insulti e minacce, fino a non poche aggressioni fisiche (gli episodi a Torino e in Italia furono così numerosi che non è neanche il caso di ricordarne alcuno in particolare). Voglio citarne solo uno, non particolarmente grave, ma abbastanza emblematico della follia ideologica dominante. Nel corso di una delle annuali celebrazioni del 25 aprile, mentre mi accingevo a salire sul palco degli oratori, fui bloccato da una quarantina di esagitati – in questo caso non giovani ma almeno 40/45enni – che mi urlarono: “tu su quel palco non puoi salire perché ti conosciamo, sei democristiano e sappiamo bene che sono 30 anni che rubi!”. Indignato, ma senza scompormi, risposi loro: “è un evidente menzogna. E’ impossibile che io rubi da 30 anni, anche perché ne ho appena compiuti 22”! Quella volta andò bene, altre un po’ meno. Ora, non potendo ovviamente fare la cronaca dettagliata “di 50 anni di 25 aprile”, proseguo un po’ a volo d’uccello, evidenziando tre cose. La prima è che in qualsiasi ruolo mi trovassi, consigliere di maggioranza o di opposizione, assessore comunale o regionale, non mancai di salire sul palco degli oratori e, in qualunque condizione, prendere la parola.

La seconda è che il clima come il mare a capo Horn, poteva essere più o meno tempestoso ma mai tranquillo. Se ai tempi della D.C. ci accusavano di essere ladri e proteggere i “fascisti”(uno slogan era: “MSI fuorilegge. A morte la D.C. che lo protegge”), in epoca “berlusconiana”, fui invece più volte invitato “a lasciare l’Italia perché vi rimanessero solo i puri e i giusti”).
La terza è che, a fianco dei fatti succitati, devo riconoscere con piacere che la stragrande maggioranza dei dirigenti e dei quadri del P.C.I., del Sindacato, dell’A.N.P.I., dei movimenti giovanili di sinistra, hanno sempre considerato gradita, benvenuta e significativa la mia presenza, tant’è che Sergio Chiamparino, prima Sindaco di Torino, poi Presidente della Regione Piemonte, soleva scherzosamente dire alla partenza del corteo: “ se c’è Leo possiamo partire, altrimenti no perché saremmo incompleti!”. Così come pure sarebbe ingeneroso non ricordare quanti nella sinistra “storica”, e anche oltre, manifestarono – anche molto concretamente… – solidarietà e rispetto per le idee mie e dei miei “compagni di ventura”. Ripensando agli anni ‘72/’77 in università, come non ricordare i due grandi professori Cottino, Gastone e Amedeo, che in più occasioni “calde”, spesero la loro autorevole parola per difendere il diritto alla nostra presenza. Invece, non solo con la parola, ma anche con le azioni, a tutelare la nostra incolumità fisica – a partire dalla mia! – furono leaders della sinistra parlamentare ed extra parlamentare, quali Piero Fassino, Giorgio Ardito, Patrizio Tosetto e Stefano Della Casa (allora uno dei capi di Lotta Continua). Poi, a fianco dell’allora presidente del Consiglio regionale, Dino Sanlorenzo, partecipai anche a decine e decine di assemblee contro il terrorismo. Confortanti incoraggiamenti, ovviamente, arrivavano dalla “famiglia” a cui appartenevo. Da tante/i giovani meravigliosi e spericolati di Comunione e Liberazione, del Movimento giovani della D.C., del Ser.mig, da padri spirituali ineguagliabili come don Bernardino Reinero, don Primo Soldi e Mons. Franco Peradotto, fino a intellettuali raffinatissimi e non conformisti, (verso il pensiero dominante del tempo) come, per esempio, l’indimenticabile prof. Giorgio Lombardi e il battagliero prof. Pier Franco Quaglieni, espressione della migliore cultura laica, e non laicista d’Italia.

 

Carlin Petrini

Arrivando ad oggi ho recentemente letto una bellissima intervista a La Repubblica di Carlin Petrini. In essa esalta la festa della Liberazione e la Costituzione, come figlie legittime delle grandi culture popolari e storiche del Paese: quella socialista e comunista, quella liberale, quella cattolico democratica/democristiana, quella moderata-conservatrice.  Petrini si affianca così all’appello all’unità del Paese, magistralmente e opportunamente lanciato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un invito a superare l’epoca delle barriere ideologiche, delle prevenzioni, delle faziosità, che purtroppo ancora persistono in discrete fasce di “pasdaran”, demagoghi, populisti, intellettuali radical-schic (in questo senso rappresenta una brutta caduta di stile, l’incredibile fatwa lanciata da Saviano contro i “sedicenti cristiani”, perché fa temere che l’epoca delle scomuniche reciproche e degli inquisitori, non appartenga ancora a un passato da dimenticare). Ovviamente l’auspicio non è che spariscano le differenze. Queste ci sono e, in democrazia, è anche bene e opportuno che ci siano. L’auspicio, – per giungere a una società veramente democratica e civile – è che il “diverso da noi” non venga stigmatizzato ne ghettizzato, il concorrente politico non divenga il “nemico”, le minoranze – anche culturali e religiose – non siano percepite come un ostacolo al progresso della maggioranza, le differenti identità siano percepite non come un fastidio, ma come un arricchimento reciproco. Una società matura e tollerante, ha l’intelligenza, se non addirittura di fare sintesi, quanto meno di creare le condizioni perché culture, tradizioni, sensibilità divere, convivano armonicamente, avendo come unico riferimento ineludibile la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e, in Italia, la nostra bella Costituzione.  Grazie al cielo, anche questo “particolare” 25 aprile potrò viverlo nello spirito summenzionato. Infatti si è appena concluso un bellissimo flashmob – svoltosi dalle 15.00 alle 16.00 – realizzato sui balconi che danno sui giardini condominiali di molte abitazioni, facenti riferimento a una grande “corte”, secondo la concezione architettonica di un tempo. La nostra “manifestazione”- molto partecipata – ha avuto come animatori e fornitori delle canzoni, una bella famigliola composta da due giovani sposi, genitori di due ragazzine – Matilde e Maddalena – simpaticissime e molto versate tanto nel ballo e nel canto, quanto nelle arti ginniche. Abbiamo iniziato con varie versioni di “Bella Ciao” e proseguito con una azzeccata scelta di canzoni resistenziali e patriottiche, per concludere – tutti noi in posa marziale – con “L’inno di Mameli” e il “Silenzio”. A fare da coreografia, tante bandiere Italiane insieme a quelle Europee e a quelle per la Pace. Per trovarci in pieno lock down, non mi è sembrato niente male, ma soprattutto ho avuto la piacevole sensazione che, almeno in questa “corte”, trionfasse l’ecumenismo che a me piace tanto, ci fosse un forte spirito di unità e le differenze fra noi – sicuramente esistenti – non disturbassero nessuno. Viva l’Italia!

Giampiero Leo portavoce del Coordinamento interconfessionale del Piemonte, vice presidente del Comitato per i diritti umani della Regione Piemonte

Maltrattamenti in famiglia, 4 arresti in due giorni

Sequestrate tre pistole, 3 kg di polvere da sparo, pugnali e 12.000 munizioni

Torino, 25 aprile 4 gli arresti per maltrattamenti in famiglia effettuati dai Carabinieri del Comando Provinciale di Torino negli ultimi 2 giorni. A Chivasso i militari dell’Arma, dopo una segnalazione al 112, hanno arrestato un romeno di 32 anni che aveva aggredito e picchiato la madre al culmine di un litigio. Umiliazioni e prepotenze duravano ormai da qualche tempo e la vittima ha così deciso di denunciare tutto. A Moncalieri stessa sorte è toccata a un marocchino di 26 anni, sorpreso dai Carabinieri dopo le ennesime violenze fisiche e psicologiche nei confronti della compagna, una connazionale di 21 anni. Nel quartiere Aurora di Torino una gazzella del Nucleo Radiomobile è dovuta intervenire su richiesta di una ragazza nigeriana di 37 anni, aggredita e strattonata fino a cadere a terra per colpa del convivente violento, un 48enne spagnolo, arrestato per maltrattamenti. A Giaveno, infine, una donna ha chiamato i militari della locale Stazione per denunciare il convivente troppo violento, tanto da essere costretta a fuggire di casa e trovare rifugio dai genitori. L’uomo è stato trovato ancora nell’appartamento della coppia in possesso di un ingente quantitativo di armi. All’interno della stanza da letto è stato trovato e sequestrato un vero arsenale: 12000 munizioni di vario calibro, 6 barattoli da 500 grammi l’uno di polvere da sparo, tre pistole clandestine, nonché numerosi pugnali nascosti nella soffitta. La donna è stata poi medicata sul posto per un ematoma con ferita lacero contusa al collo.
Per tutte le vittime è stato applicato il codice rosso.

Contagi elevati perché risultati di tamponi precedenti, ma l’andamento migliora

I dati migliorano per il Piemonte, rispetto a quelli preoccupanti che emergono ogni sera alle 19 dal bollettino dell’Unità di crisi di corso Marche.

L’elevato numero di morti e nuovi contagiati che da diversi giorni colloca la nostra regione nella parte alta della drammatica classifica nazionale non è collegato infatti alla  diffusione del virus, bensì ai risultati dei tamponi, anche di quelli effettuati tempo fa, trasmessi dai laboratori.

Il governatore Alberto Cirio, in conferenza stampa online questa mattina, pur osservando che i decessi sono sempre piuttosto numerosi, circa 20 al giorno osserva positivamente il  “calo dei casi valutati per inizio sintomi così come  dei ricoveri nelle terapie intensive, in costante riduzione”. Ciò significa secondo il presidente che ” la diffusione del coronavirus in Piemonte è in calo”. I test in Piemonte sono circa 7300 al giorno, mentre negli  ultimi giorni si riscontra che  il 60 per cento circa dei nuovi casi di positività rilevati dai tamponi riguardano le Rsa.

I ricoverati in terapia intensiva sono passati negli ultimi 15 giorni da 450 a 250. “Guardiamo con speranza al 4 maggio, data che dovrà essere confermata perché le regole e i tempi sono dovuti all’emergenza sanitaria. Ecco perché questa settimana sarà cruciale per il Piemonte”, ha aggiunto Cirio.

Autonomie e Ambiente: “Regioni e territori ripartano in autonomia”

Antonomie e Ambiente, la formazione alla quale appartengono alcuni movimenti regionalisti ed autonomisti (Patto per l’Autonomia- Friuli Venezia Giulia, Patrie Furlane, Patto per l’Autonomia – Veneto, Pro Lombardia Indipendenza, Alpe Valle d’Aosta, Movimento Siciliani Liberi, Comitato Libertà Toscana) e di cui fa parte anche il Comitato Autonomia Piemont, in qualità di osservatore, ha elaborato un documento che è stato diffuso nei giorni scorsi, nel quale si chiede che regioni e territori possano partire in autonomia e che si riporta integralmente:

 

“Ovunque si siano consolidate e diffuse buone pratiche di cura domiciliare del coronavirus (evitando quindi che i contagiati si aggravino irreparabilmente e finiscano ad affollare gli ospedali) e dove si è ragionevolmente certi che la circolazione del virus sia rallentata, è  arrivato il tempo di far ripartire la vita quotidiana.

Chiediamo che ogni regione, ogni territorio, ogni comunità, ogni impresa, ogni scuola, che siano riuscite a organizzarsi con pratiche di distanziamento e con dispositivi di protezione individuale, possano riaprire con i tempi e le modalità che ritengono più opportune, secondo protocolli pubblici, largamente condivisi e continuamente correggibili e perfettibili sulla base della vigilanza quotidiana delle diverse situazioni. Senza fare polemiche su come si è risposto a una situazione che ha colto tutti impreparati, è arrivato il momento di restituire alle regioni, alle comunità, alle famiglie, alle imprese, le proprie responsabilità. Si è francamente esagerato con proibizioni generalizzate (come quelle contro le passeggiate solitarie). La difesa delle libertà individuali, in questa nuova fase, deve tornare ad essere al centro della preoccupazione di tutti. Da questo punto di vista, siamo molto preoccupati dall’enfasi che si dà a strumenti di controllo centralizzati, come la “app unica nazionale”. Si deve anche porre fine all’interventismo prefettizio e le autorità locali, che rappresentano direttamente le loro popolazioni, devono vedersi restituita la giusta autonomia d’azione”.

La politica e le soluzioni per la ripresa

Saremmo alla vigilia di un golpe. Il novello Peron sarebbe il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Francamente non ce lo vedo. Se poi si sostiene che le novelle camicie nere pronte a marciare su Roma sono quelli del PD, la cosa più che inverosimile mi pare una grande buffonata.

Mandanti? Ovviamente la  Germania che dopo aver comprato la Grecia vuole comprarsi l’Italia in modo molto semplice : farla ulteriormente indebitare e comprarsi il Colosseo, la Mole Antonelliana ed il Duomo di Milano e tutta Venezia a prezzi di saldo.

Forse non è la Germania che
ha scatenato il Corona 19, ma sicuramente ha già fatto i conti. E chi più ne ha più ne metta.
Concretamente non è mai colpa di noi italiani che forse, dico forse, non abbiamo mai colpe ed
abbiamo governato il nostro paese negli ultimi 40 anni in modo irreprensibile.

Nel mentre la Giunta del Piemonte ha deciso: denuncerà per diffamazione Reporter. Contenti
loro contenti tutti.

Basta che non si produca in boomerang per i querelanti. Ho cari amici in giunta che nulla
possono della nomina di Icardi ad assessore alla Sanità. Lo stesso Cirio poco ne può. Gli ordini
arrivano direttamente da Matteo Salvini in tempi nei quali era impossibile dirgli di no. Un Matteo
Salvini sotto tono, sembra quasi che voglia passare il testimone del comando a Giorgia Meloni
con La Russa, da buon gufo, che gongola: magari faccio il numero due. Ma intanto la durezza
dei numeri è impietosa, il Piemonte è al secondo posto dopo la Lombardia e la provincia di
Torino ha superato la provincia di Bergamo. E come si sa Matteo Salvini ha mandato a casa
Maroni ancora troppo amico di Umberto Bossi mettendo un suo fedelissimo come Fontana.

E se quelli del Piemonte possono dire siamo appena arrivati, in Lombardia non c’è santo che
tenga, istituite le regioni quelli di Sinistra non hanno mai toccato boccino. Fortuna che c è Zaia.
Fortuna sicuramente per i veneti, ma anche per noi piemontesi decisamente  oggi in difficoltà.

Ci dimostra che, almeno in questo caso il problema non è politico ma di competenza e di
conseguente scelta dei collaboratori. Se n’è accorto anche Cirio, forse in ritardo, ma come si
dice, meglio tardi che mai. Altro fattore: ci sono due livelli di informazione. L’ufficiale e quella
sotterranea. Su questo siamo in continuità con il passato. La prima: quasi tutto sottoscritto. La
seconda: pensando solo a potenziare le terapie intensive si è tralasciata una politica di tamponi
a tappeto. Ed è qui che casca l’ asino. Il Piemonte ha fatto come la Lombardia ed ha sbagliato, il
Veneto, l’Emilia Romagna e la Toscana hanno fatto l’ opposto ed hanno fatto bene. Un cambio di
passo sembra averlo fatto Cirio. Dopo la scelta dell’ex Ministro Fazio ha addirittura arruolato il
prof Paolo Vineis, epidemiologo di fama internazionale. E Icardi mastica amaro.

Cambio di passo e soprattutto cambio di metodo, finalmente Cirio, assumendosi le sue
responsabilità sceglie lui. Il 4 di maggio è dietro l’angolo e come si dice, quando ci si è bruciati
con l’acqua calda si ha paura anche dell’acqua fredda. Sia ben chiaro, sono assolutamente d’ accordo sulla riapertura senza e senza ma .

Ma sono d’accordo su una apertura controllata,
monitorata e gestita. La Regione, magari attraverso l’ assessore al Lavoro  dovrà coordinare le forze preposte al controllo e verifica delle condizioni
di sicurezza.

Gli strumenti ci sono come ad esempio l’Arpa. Compito tutt’altro che semplice.
Un conto controllare le attività produttive dai 200 dipendenti in su. Un conto controllare attività sotto i
15 dipendenti, che sono la stragrande maggioranza. Intanto la magistratura non molla ed indaga
sulla gestione delle case di riposo per anziani. Anche qui molto dovrà cambiare.
In particolare il problema dei costi. Generalmente sono Coop sociali e di servizi che gestiscono
il servizio dalle pulizie all’assistenza sanitaria. Comprimere i costi vuol dire anche, se non
soprattutto, sottopagare i lavoratori in alcuni casi non qualificati per i servizi che debbono fare.

Impossibile aumentare le rette mensili per gli ospiti. Unica soluzione  è prevedere un
contributo pubblico. Sperabile che in questi 37 miliardi che dovrebbero arrivare dall’Europa siano
contemplati anche  contributi necessariamente a fondo perduto. Dunque controlli da una
parte e contributi dall’altra.

In qualche modo reinventarsi, sperando nella nostra intelligenza per far sì che anche il
coronavirus sia un’ occasione e non solo una disgrazia.

Patrizio Tosetto

Il 25 aprile di fronte alla storia

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Sono passati 75 anni anni dalla fine della II Guerra mondiale e dalla Liberazione dal giogo nazifascista. E’ una ricorrenza della storia  che va ricordata e anche festeggiata  perché segna la fine della più terribile guerra in cui fu coinvolta l’Italia per cinque anni e fu   l’inizio di una rinascita nazionale che porterà alla Costituzione, mettendo le basi della ricostruzione. 

La Resistenza iniziata dopo l’8 settembre 1943, ma già anticipata idealmente  dagli antifascisti esiliati, incarcerati e confinati dal regime,  rappresentò un elemento importante della Guerra di Liberazione, anche se, senza il determinante apporto degli Alleati angloamericani ,il riscatto sarebbe stato  molto problematico. Fu guerra  di popolo, di volontari armati che ricorda il Risorgimento, ma anche  una guerra regolare del Regio Esercito ricostituito al Sud  che diede un contributo non solo simbolico, come per troppo tempo sostenuto.
Tra i volontari ci furono donne e uomini di tutti gli orientamenti  politici o anche di nessun schieramento come molti militari che dopo l’8 settembre non fuggirono, ma andarono in montagna a resistere al nemico tedesco.  Ci fu una Resistenza tricolore di tanti che furono, più che partigiani, dei veri patrioti. Ma quei mesi dal ‘43 al’45 rappresentarono anche, come riconobbe  lo storico antifascista Claudio Pavone ,un momento di atroce guerra civile tra Italiani che coinvolse anche dei civili inermi. Ci furono atrocità  terribili, esagerazioni, come riconobbe il presidente Giorgio a Napolitano, che non fanno onore alla Resistenza e che proseguirono anche dopo il 25 aprile. Esse non oscurano i meriti dei combattenti che si immolarono per difendere il suolo nazionale e ripristinare la libertà, ma una ricostruzione storica non può prescindere anche dagli aspetti negativi che sono insiti di per sè in una guerra civile che, di norma, da’ spazio anche a vendette personali  e crudeltà’ che non vanno sottaciute. I fascisti e i tedeschi  si macchiarono di stragi e rappresaglie  orrende che determinarono delle reazioni più che comprensibili. Certo i fascisti combatterono dalla parte sbagliata, mentre i partigiani seppero schierarsi dalla parte giusta e questo rappresenta uno spartiacque importante ma che non può giustificare tutto di per se’. Anche gli Alleati liberatori nel corso della loro campagna d’Italia si macchiarono di azioni gravi verso donne e popolazioni civili che non mettono in discussione la loro fondamentale partecipazione a liberare l’ Italia. La storia segue criteri valutativi che vanno oltre quelli etico – politici, pure importanti.
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 Poi ci fu una parte di resistenti ,abbastanza consistente ,che vide nella Resistenza l’occasione di una guerra rivoluzionaria di classe per portare anche in Italia un regime comunista. Questa parte tentò di far deviare il corso della storia ,ma non riuscì nell’intento,anzi diede qualche lezione di patriottismo ,contribuendo in modo costruttivo e decisivo  alla redazione della Carta Costituzionale.  C’è chi ha scritto  che tra le finalità della Resistenza ci sia stata anche la fondazione della Repubblica ,ma questa affermazione non è del tutto vera perché una parte significativa dei volontari della Libertà erano soldati legati al giuramento al Re come tutti i militari italiani  che combatterono come truppe regolari a fianco degli alleati. Va inoltre messa in evidenza la Resistenza nei lager tedeschi dei militari  italiani  fatti prigionieri, i cosiddetti Internati militari italiani , oltre mezzo milione di uomini con le stellette che patirono fame, freddo, angherie per rimanere anch’essi fedeli al  loro giuramento di soldati. Essi non furono meno resistenti dei partigiani, anche se il loro ruolo venne misconosciuto  per decine di anni. Infine non va enfatizzata la partecipazione popolare alla Resistenza perché ci fu un’ ampia “zona grigia“ di Italiani che fece il doppio gioco o cercò di tenersi fuori dalla vicende drammatiche che stavano vivendo. Solo alla vigilia del 25 aprile tutti, all’improvviso, diventarono antifascisti, mentre la realtà era stata ben diversa. Con questi indispensabili distinguo storici tutti gli Italiani si possono oggi ritrovare a festeggiare una data importante della storia italiana che la guerra civile ha reso divisiva  e che invece va vista in una dimensione più alta come guerra nazionale e patriottica. Anche il 14 luglio in Francia fu una data  inizialmente molto divisiva, poi via via divenne un riferimento  in cui tutti i francesi si identificano con orgoglio. Esporre il Tricolore ha il significato di vedere nel 25 aprile un elemento patriottico da cui si autoescludono i nostalgici del fascismo e i faziosi che vogliono colorare politicamente questa data in senso ideologico. Essa invece appartiene a tutti gli Italiani che amano l’Italia,  la libertà, la pace, la democrazia.
Scrivere a quaglieni@gmail.com