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Oggi 26 novembre a Camera la presentazione del libro “Manuale di moda maschile vintage:” di Francesco Salamano con l’accompagnamento di Mario Calabresi.
Si definisce “torinese con la valigia”, ma Francesco Salamano è anche un esperto di comunicazione e docente universitario in istituti come IED e Marangoni dove insegna materie legate alla sua professione, dunque marketing e comunicazione ma anche legate alla moda e alla storia dei costumi. Io l’ho incontrato in qualità di saggista ed esperto di moda vintage maschile dal momento che martedi 26 novembre presenta presso Camera il suo libro “Manuale di moda maschile vintage: guida per avere uno stile perfetto”, edizioni Demetra.
Francesco come nasce la sua seconda anima, quella di esperto di moda.
Dal piacere e dall’interesse verso la moda, perché è sempre stata una mia passione sin da ragazzino. Mi piacevano determinati capi, mi piaceva il vestito in una certa maniera, e negli anni si è sempre più sviluppata questa passione che mi ha portato a ricercare, approfondire, a capire, e poi il mio interesse si è spostato verso il vintage, perché nel vintage c’era anche tutta una parte legata al passato, alla memoria, al ricordo. E tutto ciò è confluito nel mio libro che non è un libro solo di moda, ma è un libro legato alla cultura pop, ai riferimenti culturali legati al concetto di vintage che io sintetizzo in tre parole: etico, estetico ed esclusivo. Etico, perché in qualche modo il vintage si oppone al fast fashion. Lo spreco aiuta a ridurre l’impatto estetico, poiché i capi vintage erano progettati per durare più a lungo, erano realizzati meglio, rifiniti con maggiore cura, e spesso anche più belli dal punto di vista estetico. È talmente vero che molte aziende stanno lavorando volontariamente sul concetto di archivi. Infine, esclusivo, ma non nel senso negativo del termine, bensì come qualcosa che si oppone alla massificazione e all’omologazione, perché ogni capo vintage è unico, irripetibile, e non può essere replicato.
C’era davvero bisogno di un libro sulla moda maschile? Mi consenta la provocazione: ma la moda da uomo è davvero creativa?
Questo libro non è rivolto solo agli uomini né si limita all’eleganza maschile, ma esplora la cultura pop in generale, toccando argomenti come cinema, letteratura e musica. Anche una donna che non sia interessata alla moda maschile potrebbe trovare interessanti leggere storie e curiosità su questi temi. E poi, la moda è una fusione di influenze, anche tra i generi. Molti capi maschili sono diventati femminili e la moda femminile ha attinto dalla tradizione maschile. Esempi noti includono Saint Laurent con lo smoking femminile, Coco Chanel con le giacche in tweed, e Armani con il suo tailleur. Hanno dato vita a una moda elegante che partiva dagli abiti sartoriali maschili. Quindi perché no. Certo, forse adesso che si parla anche di fluidità esasperata dove vedi un Mahmood che va sul palco con la gonna e ormai è normale, forse te lo aspetti di più un manuale di moda anche maschile.
Diciamo che il binomio vintage moda maschile mi ha fatto chiedere se davvero c’è così tanta creatività? A quanto pare sì.
Diciamo che per certi versi la moda maschile è anche più creativa di quella femminile. Mi spiego meglio con un altro esempio: il fishtail parka, quello con le code a pesce, è stato uno dei campi più usati anche dagli stilisti per la moda femminile, o il bomber, altra giacca militare, eppure sono diventati di uso comune anche per le donne, quindi anche nel casual ci sono state delle contaminazioni molto forti. Ritornando al concetto di creatività, la moda maschile nasce in modo funzionale, da capi nati per la guerra o per il lavoro, uno per tutti il jeans, ma che poi hanno travalicato il loro settore di riferimento finendo in mondi completamente diversi. Questo è creativo e allo stesso tempo disruptive, se ci si pensa.
Quando parla di cultura pop, il primo nome che mi viene in mente è Elio Fiorucci, a cui è stata dedicate una mostra attualmente in corso a Milano.
Fiorucci è presente nel mio libro, nel capitolo dedicato al denim dove c’è anche una sua bellissima foto, perché intanto è stato il primo a creare una sorta di concept store. E poi perché è stato lo stilista-artista pop per eccellenza, accanto a nomi quali Andy Warhol, Keith Haring. Infine per la genialità di uno stilista che è riuscito nell’impossibile, cioè vendere i jeans agli americani.
Dopo anni di loghi in bella vista, oggi, soprattutto su TikTok, la Gen z ha scoperto lo stile “old money” che richiama l’alta società dove eleganza significa sobrietà. Si tratta di uno stile d’altri tempi, che ricorda i Kennedy o gli Agnelli, fatta di capi di ottima fattura, senza loghi, mai sopra le righe. Come se lo spiega?
Ma intanto, corretto o sbagliato che sia, lo stile old money porta con sé un’idea di ricchezza non esibita, e non solo di ricchezza, anche di potere, di successo, perché old money indica coloro che non hanno fatto i soldi, ma che li hanno ereditati. Il concetto dell’old money è anche legato a un’idea di successo che non ha bisogno di dimostrare nulla, quindi quel minimalismo, ma che in realtà non è minimalismo, che sfocia nell’autorevolezza. È un lusso dichiarato senza bisogno di urlare.
Mi sono però persa il passaggio dal capo firmato con il brand ben visibile in modo che sai che quel capo è costoso, alla scelta di abiti o accessori apparentemente anonimi, fatti benissimo, ricercati, ma che se non lo sai, non ti rendi conto del valore che hanno.
Potremmo ragionare sul fatto che lo stile old money vive anche di riferimenti culturali, legati al passato, legati a personaggi, legati a un certo tipo di stile, a un certo tipo anche di accessori, marchi, orologi. Quindi capi ed elementi intrisi di storia che in qualche modo comunicano. La seconda spiegazione è che forse si passa dal bisogno della griffe per comunicare sé stessi alla voglia di comunicare sè stessi e basta. Non serve più un ambasciatore che comunica chi sei, indossi qualcosa che ti permette di comunicare la tua personalità e il tuo io senza intermediari.
Mi fa venire in mente la frase “Vesti male e noteranno il vestito, vesti bene e vedranno la donna” di Chanel, che chissà perché io ho sempre associato all’eleganza di Armani.
Ti ringrazio del complimento, perché citi Armani, un mostro sacro della moda. Parliamo di uno stilista che ha fatto 122 film, cioè costumi per film, tra cui Intoccabili, American Gigolo a Bastardi Senza Gloria. E nell’Olimpo della moda ci metto anche Ralph Lauren perché mi trovo più nel mondo vintage maschile rispetto a quello di cui stiamo parlando. E in più perché Ralph Lauren ha avuto la capacità di contaminare mondi completamente differenti, dal country americano allo stile inglese, dal mondo dell’etnico allo stile italiano, e questo forse è più unico che raro.
Come si fanno a trovare pezzi vintage da aggiungere al proprio armadio? Da dove parto?
Intanto documentarsi aiuta perché aiuta a capire, a scegliere, perché almeno uno non sceglie solo il proprio stile, ma anche i propri riferimenti culturali e ciò in cui desidera riconoscersi. Poi, io credo in un vintage, passami l’aggettivo, democratico. Io vedo molto spesso influencer che mostrano un vintage molto poco accessibile, fatto per pochi, ma in realtà, partendo da un certo tipo di ricerca, anche un certo tipo di buon gusto, il vintage può essere estremamente accessibile. Il che non vuol dire, a rovescio, che visto che il vintage è estremamente di moda si debba giustificare quei mercatini dove si compra a kilo, dove paghi poco ma compri anche male. Poi se sei fortunato lo trovi anche un pezzo, è capitato anche a me. Tornando alla domanda, trovi il vintage nei mercatini, anche col divertimento e la voglia di scoprire e poi c’è il web che ti permette di cercare in tutto il mondo. Uno degli ultimi capi che ho preso, l’ho comprato da un venditore thailandese. Si tratta di una giacca double face anni ‘50 che appunto ho trovato in Thailandia.
E a Torino dove possiamo cercare?
C’è Piazza Benefica, ogni tanto c’è il mercato della Gran Madre, ma diciamo che io, forse anche per la tipologia di capi, che sono più internazionali, pesco molto all’estero, sia nei mercati delle città che visito, perché, come sempre, il viaggio è nell’accezione larga, non soltanto del viaggio stesso, ma di tutto quello che l’esperienza del viaggio ti porta. E quindi, anche i mercatini in giro nel mondo, per esempio in America, le vendite nei cortili, in certe scuole, sono estremamente affascinanti. Anche perché lì trovi veramente l’inaspettato.
Quali sono i pezzi must-have da uomo o da donna? Quali sono i capi da cercare per costruire il nostro archivio personale?
Per l’uomo, secondo me, direi un giaccone militare, che può essere di tanti generi, dall’M65 classico, al parka, alla giacca da ponte della Marina Americana, puoi scegliere quello che preferisci ma sicuramente un giaccone militare è un capo che va su tutto. Ed è talmente vero che io oggi sono in abito formale e ho una giacca militare degli anni 50. Poi, direi un giubbotto in pelle, il chiodo che va bene sia per l’uomo che per la donna, il cardigan, che è un altro di quei capi pieni di storia, rassicurante e senza tempo. Pensa che nasce come capo maschile e militare, dal Conte di Cardigan, durante la guerra in Crimea, e diventa poi capo femminile con Coco Chanel, a proposito di femminilità e moda che si contamina. E ancora il jeans, sembra banale dirlo, ma quale capo più rivoluzionario e che ha cambiato maggiormente le nostre vite del jeans?
E da donna?
Come ho già detto il chiodo, e se parliamo di qualcosa di assolutamente trasversale direi un cappotto ampio da uomo. Cito il cappotto di cammello che mi fa pensare a Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi e che io trovo su una donna estremamente sexy, magari oversize.
Trovo insolita questa scelta. Mi sarei aspettata il little black dress, il tubino nero, per una donna.
Ma io uscirei un po’ dallo stereotipo della femminilità, come dire, che ti aspetti. In realtà la femminilità, come tu sai molto bene è un’attitudine, quindi è quello che indossi che fa la differenza. Ci sono uomini che riescono ad essere completamente ineleganti, pur essendo vestiti perfettamente, perché sono, passami il termine, finti. Allo stesso modo una donna può essere estremamente sexy in t-shirt e jeans, che sono due capi all’origine molto maschili, e non esserlo in tubino nero.
Se dovesse nominare un torinese elegante, a chi penserebbe?
È difficile, molto difficile. E poi, come sempre, mi metteresti in difficoltà perché sai che i torinesi sono anche molto permalosi, per cui rischierei di offendere qualcuno. Sinceramente non farei nomi perché il gentleman non dovrebbe esserlo solo per l’estetica e l’educazione, ma anche per l’approccio che ha rispetto alla vita.
Questa è una risposta molto elegante e molto torinese.
(Salamano scoppia a ridere) Hai ragione! Lasciami però aggiungere che io non sono affatto giudicante. Non ho la pretesa che la gente si vesta come piace a me. Piuttosto mi infastidisco davanti all’ostentazione della ricchezza, dello status symbol perché è l’antitesi di ciò che vedo e comunico. Io ritengo ognuno debba esprimere la propria personalità e la propria attitude, altrimenti si rischia l’omologazione al contrario, la sterilizzazione culturale.
È un bel messaggio quello lasciato da Salamano che ci fa comprendere come lo stile è qualcosa che ci creiamo, pescando tra mode che travalicano i confini del tempo e dello spazio. Lui sembra girare con una valigia invisibile piena di ricordi e aneddoti, gli stessi che ha cercato di comprimere nel suo libro. E questo libro arriva come una bella strenna natalizia da regalare a chi ha già tutto ma che ogni volta che apre l’armadio esclama: non ho niente da mettermi.
Lori Barozzino
Questa mattina a Torino si è svolto il corteo organizzato dai rappresentanti sindacali delle forze di polizia e dei militari per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione degli uomini e donne in divisa, spesso osteggiati da frange estremiste.
Abbiamo chiesto un commento a Eugenio Bravo, leader del sindacato di Polizia Siulp:
”Le piazze si sono trasformate in scenari di guerriglia e dopo Pisa le forze dell’ordine non possono nemmeno più difendersi con le tecniche operative previste, gli interventi delle pattuglie diventano trappole con agenti aggrediti, nelle carceri le aggressioni sono all’ordine del giorno, e le forze dell’ordine finiscono sempre più spesso nei pronto soccorso. Ogni tre ore un appartenente alle forze dell’ordine viene ferito. Continuando così, il rischio è che la prossima destinazione sia il cimitero. Senza l’autorevolezza delle forze dell’ordine, non si può garantire la sicurezza dei cittadini, che rimarranno esposti alla mercé dei delinquenti”.
Nella foto di copertina Bravo, a destra, con l’assessore regionale alla Polizia Locale Bussalino e nelle altre immagini alcuni momenti della manifestazione
Secondo i centri studi di Confartigianato Imprese che ha elaborato i dati forniti dalla CGIA di Mestre, le pmi in Italia pagano ogni anno oltre 24 miliardi di tasse (le imposte calcolate sono: Irpef, Ires e Irap), mentre le 25 multinazionali del web presenti in Italia pagherebbero solo 206 milioni di euro.Nella classifica regionale il Piemonte si posiziona al quinto posto, in quanto le pmi piemontesi pagano all’erario ben 27,2 volte in più di quanto versano i giganti del web.Al primo posto ci sono le imprese lombarde che pagano 125 volte in più, quelle laziali 56,7, quelle emiliano-romagnole 38 e quelle venete 36,8.
Solo le imprese presenti in Molise e in Valle d’Aosta pagherebbero in termini assoluti meno tasse delle principali big tech collocate in Italia (pagano rispettivamente 0,8 e 0,9 in più di quanto versano i 25 colossi digitali).
“Non si capisce perché ci sia questa disparità di tassazione –commenta Giorgio Felici, Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte– e come, in Italia, ai giganti del web sia riservato un trattamento di favore con un prelievo fiscale così modesto. O meglio, si capisce benissimo: è il risultato dell’assoluta impreparazione della politica rispetto ai temi complessi e della totale mancanza di sovranità nazionale, indotta dal continuo scellerato declino verso il modello comunitario, rispetto alla predazione da parte di grandi player esterni.
Confartigianato Imprese, da sempre, chiede di rendere il prelievo fiscale più equo e meno farraginoso anche per combattere l’economia irregolare che, in un contesto così strutturato, trova un habitat ideale per espandersi”.
“Oltre all’eccessivo peso fiscale che penalizza i piccoli e favorisce i giganti –conclude Felici– sul mondo delle imprese insiste un eccessivo numero di adempimenti burocratici per lo più pidocchiosi che ostacola il lavoro di chi fa impresa. La burocrazia costa al sistema delle pmi italiane quasi 31 miliardi di euro all’anno. Anche qui è lampante la mancanza di autorevolezza della politica verso le satrapie del funzionariato statale che ben si guardano dall’intaccare un sistema che le fa proliferare e perpetuare. A causa di un sistema fiscale grottesco e predatorio sono necessari 30 giorni lavorativi per pagare le tasse. Voglio ricordare che le imprese italiane impiegano 240 ore all’anno per onorare gli impegni con il fisco.”
«Il percorso proposto dall’assessore Riboldi per il nuovo Piano Sociosanitario è ambizioso, sia rispetto ai tempi di approvazione sia rispetto al respiro decennale che il piano si propone di avere. Noi vogliamo partecipare attivamente e senza pregiudizi, convinti che sulle grandi scelte strategiche occorra provare a costruire una condivisione che vada al di là delle consiliature. Un nuovo piano sociosanitario, che faccia ordine, è ormai una necessità ineludibile.
Allo stesso modo, l’obbiettivo di salvaguardare e implementare le attività dell’Ospedale di Settimo è assolutamente condiviso e l’impegno finanziario della Regione è un nuovo passo importante per mantenerlo pubblico, dopo l’acquisizione dell’edificio. Dobbiamo operare con l’obbiettivo di salvaguardare lavoratori e servizi e farlo al riparo da polemiche politiche è il miglior modo di procedere.
Purtroppo, sui nuovi ospedali mancano ancora molte informazioni sui costi di bonifiche, terreni e sui tempi e manca la trasparenza sulle priorità politiche: le scarne indicazioni fornite in commissione indicano chiaramente che alcuni vanno più veloci, altri invece sono decisamente più indietro. Questo risponde a scelte politiche o soltanto al caso?
Per AslTO5, Torino e Savigliano è già prevista per il 2025 la consegna del PFTE a INAIL. Per Ivrea si ipotizza il 2026. Vercelli, Cuneo, Alessandria sono ancora senza previsioni, ma è facile ipotizzare il 2027.
Dall’inizio dell’interlocuzione con INAIL la Giunta Cirio si è rifiutata di indicare delle priorità; tuttavia, a fronte di un plafond di risorse INAIL limitato e di una capacità di pagare i canoni di locazione da parte della Regione ancora da definire (sulla base dei tassi di interesse, dei risparmi sulle utenze e sulla logistica), la necessità di stabilire priorità in maniera trasparente è fondamentale».
Daniele VALLE – consigliere regionale PD e vice Presidente IV Commissione
Torino, 25/11/2024
La Reale Mutua Fenera Chieri ’76 ottiene contro Vallefoglia la prima vittoria stagionale da 3 punti al PalaFenera. Con una prova in crescendo le biancoblù vincono 3-1 in due ore tonde tonde e aggiungono alla loro classifica punti di fondamentale importanza, dando continuità alla vittoria esterna con Bergamo del fine settimana precedente.
Spirito e compagne sono protagoniste di un ottimo avvio di gara, ma sul 18-14 a loro favore si arenano sul turno servizio di Weitzel (alla prima da ex al PalaFenera), nel finale Vallefoglia è più brillante e fa suo il primo set 23-25. Appannaggio di Chieri secondo e terzo set, entrambi conclusi 25-20: nel secondo le chieresi piazzano l’allungo decisivo sul 13-13; nel terzo in rimonta da 3-9 dopo un lungo tira e molla trovano il break risolutivo sul 18-17. Senza storia la quarta frazione che Chieri si aggiudica 25-13 imprimendo un ritmo forsennato grazie anche a una serie di strepitose difese.
Il premio di MVP va a Gicquel, miglior realizzatrice con 20 punti. Spiccano nel tabellino anche i 18 punti di Zakchaiou (con ben 8 muri) e i 10 di Bujis che entra in campo nel terzo set dando la svolta alla partita.
Reale Mutua Fenera Chieri ’76-Megabox Ondulati Del Savio Vallefoglia 3-1 (23-25; 25-20; 25-20; 25-13)
REALE MUTUA FENERA CHIERI ’76: Van Aalen 3, Gicquel 20, Zakchaiou 18, Gray 9, Omoruyi 9, Skinner 7; Spirito (L); Rolando, Alberti, Anthouli, Bujis 10. N. e. Guiducci, Anthouli, Lyashko, Carletti (2L). All. Bregoli; 2° Rostagno.
MEGABOX ONDULATI DEL SAVIO VALLEFOGLIA: Perovic 2, Bici 15, Weitzel 6, Candi 10, Giovannini 12, Lee 9; De Bortoli (L); Kobzar, Storck 1, Feduzzi, Michieletto 2, Torcolacci. All. Pistola; 2° Petruzzelli.
ARBITRI: Rossi di Sanremo e Armandola di Voghera.
NOTE: presenti 1316 spettatori. Durata set: 29′, 25′, 29′, 28′. Errori in battuta: 12-7. Ace: 4-8. Ricezione positiva: 50%-61%. Ricezione perfetta: 19%-23%. Positività in attacco: 44%-34%. Errori in attacco: 7-11. Muri vincenti: 17-4. MVP: Gicquel.
La cronaca
Primo set – L’incontro si apre con un muro di Skinner su Bici. Sono appannaggio di Chieri anche quattro scambi successivi e quando l’attacco di Bici si ferma sul nastro Pistola chiara il primo time-out (5-1). Al rientro in campo l’incontro si fa più equilibrato. Il distacco rimane pressoché invariato fin quando sul 18-14 il turno di servizio di Weitzel frutta la rimonta a 18-18 grazie a un attacco di Giovannini, due muri di Candi su Skinner e l’attacco lungo di Gicquel. Ottenuta la parità le marchigiane passano in vantaggio grazie a una pipe di Lee. Chieri torna a muovere il suo punteggio quando Weitzel serve in rete (19-19). Si prosegue punto a punto fino al 23-23. Il primo tempo di Weitzel dà una palla set a Vallefoglia, nello scambio successivo il mani-out di Bici sancisce il 23-25.
Secondo set – Vallefoglia prende un paio di punti di vantaggio con Bici (1-3). Chieri rientra sul 6-6 (Gicquel) ma le ospiti tornano subito ad allungare e dopo l’attacco fuori di Omoruyi Bregoli ferma il gioco (6-9). Nuova parità sul 9-9 (Gicquel), quindi le biancoblù passano avanti per la prima volta nel set con Zakchaiou (11-10). Da 13-13 Chieri sale a 15-13 con Skinner e un attacco fuori di Bici, quindi allunga ulteriormente sul turno di servizio di Van Aalen che piazza pure due ace (19-14). Di lì in avanti Chieri gestisce bene il vantaggio. Sul 24-18 Vallefoglia annulla due set-point, finché sul 20-24 il tocco di seconda da Van Aalen chiude 25-20. Nelle statistiche del set svetta Gicquel con 9 punti e il 66% di positività in attacco.
Terzo set – Vallefoglia riparte fortissimo sul servizio di Giovannini che piazza anche quattro ace. Sull’1-5 Bujis dà il cambio a Skinner. Chieri interrompe il filotto ospite con Omoruyi che mette a terra il pallone del 2-7. Sul 3-9 le padrone di casa realizzano un break di 5 punti su battuta di Omoruyi (8-9). Il pallonetto di Bujis e la diagonale di Gicquel riportano il punteggio in parità (10-10). Si prosegue a strappi: 10-12, 12-12, 13-15, 15-15, 15-17, 17-17- Le chieresi tornano avanti sul 18-17 con Zakchaiou. Ancora Zakchaiou (muro), Bujis (attacco da da posto 4) e Gray (muro) firmano il 22-20, Bujis sfonda il muro ospite e realizza il 24-20, quindi un’incomprensione di Vallefoglia sotto rete frutta il 25-20.
Quarto set – Bujis viene confermata nel sestetto al posto di Skinner. I muri di Zakchaiou e i servizi di Gicquel scavano subito un solco importante (4-1). Sulle ali dell’entusiasmo a Chieri continua ad allungare, non lascia più cadere un pallone sfoderando una straordinaria difesa e imprime al gioco un ritmo forsennato. Eloquente l’andamento del punteggio nella prima metà del set: 8-1 (attacco di Gicquel), 14-2 (muro di Van Aalen). Pistola inserisce Kobzar, Michieletto, Storck e Torcolacci senza però riuscire a cambiare l’inerzia. Chieri raggiunge il vantaggio massimo di 15 punti sul 22-17 (primo tempo di Zakchaiou), infine alla seconda palla match fa scendere i titoli di coda con Bujis (25-13)
Il commento
Ilaria Spirito: «Già nel terzo set in cui eravamo sotto di diversi punti abbiamo dimostrato che potevamo uscirne, ne siamo uscite e questa è una grande prova di forza. Nel quarto set siamo state brave a mantenere il vantaggio e chiudere il più velocemente possibile».
Erblira Bici: «Abbiamo giocato il primo set molto bene ma com’è già successo anche in altre partite dopo un buon inizio caliamo. Non so dire cosa non va, sta di fatto che giochiamo i set fino a un certo punto e poi non riusciamo a chiuderli. Nel quarto set poi abbiamo mollato, spero non succeda più».
POLITICA
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PRIMA PAGINA-Commissione Ue, successo dell’Italia su scala europea
Grande spettacolo sabato sera all’Allianz Stadium di Torino, che ha ospitato la partita di rugby tra la nazionale italiana e i leggendari All Blacks, la squadra più iconica e famosa al mondo. La sfida, che si é conclusa con il punteggio di 29-11 per la Nuova Zelanda, ha regalato emozioni indimenticabili agli oltre 40mila spettatori presenti sugli spalti.
Con il ricordo ancora vivo delle ATP Finals, Torino si é confermata ancora una volta capitale del grande sport internazionale, ospitando un evento di prestigio e rilevanza mondiale.
Per la prima volta nella sua storia, lo Stadium ha fatto da cornice al celebre haka degli All Blacks, il tradizionale rito maori che precede ogni loro incontro. Un momento carico di energia, che racchiude significati storici e culturali profondi, e che ha emozionato il pubblico creando un atmosfera unica e di impatto che rimarrà a lungo impressa nella loro memoria.
La partita ha chiuso le Autumn National Series dell’Italia e gli impegni internazionali degli azzurri per il 2024. Di fronte agli All Blacks, avversario storicamente tra i più ostici per la nazionale italiana (con il risultato di oggi, zero vittorie in 18 incontri) ma anche il più affascinante e iconico, gli azzurri hanno dato il massimo disputando una buona partita, e regalando agli spettatori una serata di buon rugby e di grande intensità agonistica.
Uno spettacolo non solo su campo, ma anche sugli spalti, gremiti da un pubblico caloroso che nonostante il freddo ha incitato gli azzurri dall’inizio alla fine del match. Un pubblico estremamente competente e sportivo, che non ha fatto mancare il suo sostegno anche a un avversario così blasonato e ricco di storia e fascino.
Un evento, quello di sabato sera, che resterà nella storia sportiva di Torino e dello stadio della Juventus, che per la prima volta ha aperto le sue porte ad un appuntamento non calcistico. Grazie ad un accordo tra la società calcistica e la Federazione Italiana Rugby, la partita di questa sera non sarà un’eccezione: la Nazionale italiana tornerà infatti a giocare nell’impianto torinese anche nei prossimi due anni.
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