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Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour

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Torino e la Scuola

1. “Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
2. Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
3. Le riforme e la scuola: strade parallele
4. Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
5. Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
6. Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
7. Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
8. Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
9. UniTo: quando interrogavano Calvino
10. Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

8  Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour

Il problema è che spesso quello che si studia a scuola ci sembra così lontano da noi, troppo affinché ci possa effettivamente essere utile. A che cosa potrebbe mai servirci conoscere le “Rime petrose”? Qual è l’utilità di saper eseguire la parafrasi di un testo poetico o di riuscire a comprendere le cosiddette “lingue morte”? Ci fermerà mai qualcuno per strada chiedendoci il calcolo del “pi-greco” ( π ) con il metodo di Newton? E allora che ce ne facciamo di tutte queste “nozioni”? La domanda rimane sempre la stessa: a che cosa serve andare a scuola? E purtroppo ancora non riusciamo a trovare una risposta abbastanza convincente per motivare i nostri giovani a studiare e ad ascoltare con attenzione le lezioni dei docenti.
Nel nostro “lato del mondo che in fondo in fondo è perfetto” sono molti i diritti sottovalutati o dati per scontati, uno di questi è proprio il diritto all’istruzione. Già, perché di “diritto” si parla, ossia qualcosa che si è conquistato, per cui si è combattuto, e che ora quasi ci scoccia avere, poiché comporta impegno e dedizione e soprattutto ci obbliga a spendere tempo, proprio quello che ci manca in questa società dell’immediato, dell’ “ok Google”, della spunta blu di “WhatsApp”. È ovviamente sbagliato generalizzare, “fare di tutta l’erba un fascio”, quindi mi scusino quei ragazzi che prendono appunti, che seguono con assiduità le spiegazioni, che svolgono gli esercizi e che partecipano attivamente alle lezioni, proprio per crescere intellettualmente. Al contrario si sentano presi in causa quei giovani studenti svogliati che amano poco la scuola e che magari preferirebbero andare subito a lavorare.

Una delle grandi problematiche del moderno Duemila è la dispersione scolastica, fenomeno complesso e articolato, e di non facile soluzione. I fattori che comportano l’abbandono dell’istruzione sono diversi, tra di essi la spendibilità del titolo di studio in ambito lavorativo e la conseguente mancata motivazione dello studente che per forza di cose si domanda: “e poi?”
E mentre gli adulti si ostinano a considerare le aule scolastiche come fucine per creare “lavoratori”, un topolino in completo scozzese prova a convincere i bambini che ricevere un’istruzione serve a formare dei “cittadini” consapevoli in grado di vivere nel mondo, con determinati diritti e doveri. “Andare a scuola è un’occasione per imparare a “vivere” bene con gli altri e a risolvere i problemi di tutti i giorni.” (Geronimo Stilton). Chissà se prima o poi impareremo la lezione. Mi sento in ogni caso di dire che la comunità scolastica è forte, e continua “a combattere contro l’ignoranza” – come dice sempre mio padre prima di incominciare una lezione. Proprio la nostra Torino può vantarsi non solo di ospitare delle ottime scuole, ma anche del fatto che una di queste sia annoverata tra le migliori istituzioni della Penisola. Si tratta del Liceo Classico Cavour.

Il “Regio Liceo-Ginnasio Camillo Benso Conte di Cavour”, insieme al Liceo Classico Vincenzo Gioberti, è uno degli Istituti scolastici più antichi d’Italia. Le due istituzioni così rinominate risalgono al 1865 a seguito del Regio Decreto 229 che istituisce i primi Licei del Regno d’Italia. Le origini del Cavour in verità si possono fissare intorno al 1568, all’inizio l’istituto è conosciuto con il nome di Collegio dei Nobili di Torino, e tale rimane fino al 1805, quando viene convertito in Liceo, pur mantenendo la medesima sede. Con la Riforma Boncompagni diviene Collegio-Convitto Nazionale di Educazione, infine, con la Legge Casati, vengono istituiti il Liceo, il Ginnasio e il Convitto nazionale. Pochi anni dopo, tali istituzioni vengono titolate a Cavour, con il decreto che denomina con il nome di italiani illustri tutti i più antichi istituti superiori. Nel 1900, con altri celebri licei italiani, il Cavour partecipa all’Esposizione Universale di Parigi. Nel 1931 la sede della scuola viene trasferita dall’originale indirizzo a quello attuale, ossia Corso Tassoni 15. A partire dalla fine degli anni Ottanta viene aperta una succursale in via Tripoli 82. Nel corso degli anni, il liceo ha ospitato allievi che si sarebbero poi distinti in diversi ambiti, e illustri docenti: ricordiamo l’italianista Augusto Monti, i latinisti Ettore Stampini e Augusto Rostagni, lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan e il matematico Giuseppe Peano. Furono altresì studenti “cavourrini”, seppure solo per i due anni del ginnasio, Guido Gozzano e Cesare Pavese. Per quel che riguarda la politica, figura rilevante è Luigi Einaudi, ex “cavourrino” divenuto Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955; allievi del Cavour furono anche i sindaci di Torino Grosso e Cardetti. Il Cavour merita di essere citato anche per lo sport: una squadra di calcio dell’Istituto si distingueva a livello giovanile all’inizio del Novecento, ed ex allievo è stato l’olimpionico Livio Berruti. Attualmente l’ex- allievo più conosciuto è Alessandro Barbero, Ordinario di Storia Medioevale presso l’Università del Piemonte Orientale.
Tra i tanti nomi indicati ed ex allievi del Cavour, chi scegliere come “studente torinese” da approfondire per la mia rubrica su Torino e la scuola? Con l’augurio di avere presto l’occasione di scrivere anche degli altri, ho deciso di dedicare questo mio pezzo a Cesare Pavese, autore che ho sempre molto amato, anche per quel malinconico “mal di vivere” che caratterizza le sue opere e la sua biografia, figura di intellettuale che ha svolto un ruolo essenziale nel passaggio tra la cultura degli anni Trenta e la nuova cultura del dopoguerra, attento alla realtà popolare e contadina, aperto agli aspetti della cultura europea e americana. La sua vita è una continua e tormentosa analisi di se stesso e dei rapporti con gli altri; un ossessivo scavo interiore che alla fine lo porta al suicidio, un percorso seguito con ostinata analisi nel suo diario, intitolato “Il mestiere di vivere”, iniziato il 6 ottobre 1935 e chiuso il 18 agosto 1950, poco prima della morte, con le drammatiche parole: “Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”.

Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un piccolo paesino in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere. La famiglia si trasferisce poi nel capoluogo piemontese, il ragazzo rimpiangerà sempre i paesaggi delle Langhe, che eleggerà a simbolo di spensieratezza e serenità. Poco dopo il trasferimento, il padre muore; l’infausto avvenimento segna l’intera esistenza del futuro scrittore, che già da bambino dimostra un’indole introversa e riservata. Egli ama rifugiarsi nei libri e fare lunghe passeggiate solitarie nei boschi, piuttosto che giocare con i coetanei. La madre reagisce al lutto irrigidendosi e rifugiandosi nel proprio dolore, mostrando nei confronti del figlio freddezza e riserbo e attuando un ferreo sistema educativo che di certo non è d’aiuto allo sviluppo emotivo del ragazzo. Tutta l’esistenza di Cesare è segnata da tormentose e drammatiche situazioni e lui rimarrà sempre quell’adolescente silenzioso e introverso, forse non del tutto in grado di affrontare le difficoltà che il destino decide di porgli innanzi.

Cesare compie gli studi a Torino, frequenta il biennio ginnasiale presso il Liceo Classico Cavour e termina la sua formazione al Liceo D’Azeglio, dove ha come professore di italiano e latino Augusto Monti, grande studioso e figura prestigiosa della Torino antifascista. Determinante per Pavese l’insegnamento di Augusto Monti, crociano, amico di Piero Gobetti e ammiratore di Antonio Gramsci: il rapporto tra Maestro e allievo si trasforma presto in profonda amicizia e “comunione spirituale”, tanto che così afferma lo stesso Monti di Cesare: “il primo dei miei scolari, il primo che, uscito dalla mia scuola, abbia voluto entrar nella mia amicizia, il primo quindi anche cronologicamente dei miei scolari più miei”.
Al D’Azeglio Cesare è iscritto all’indirizzo moderno, il greco lo studierà da solo, nelle vacanze successive alla licenza liceale (che conseguirà nel 1926 con ottimi voti), “per potere un giorno ben conoscere anche la civiltà omerica, il secolo di Pericle, e il mondo ellenista”.

Al liceo D’Azeglio, importante è la frequentazione di amici come Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Giulio Einaudi.
Cesare si iscrive alla Facoltà di Lettere, mette a frutto i suoi studi di letteratura inglese e si dedica ad un’intensa attività di traduzione di scrittori americani. Si laurea nel 1932 con una tesi sul poeta americano Walt Whitman. Continua negli anni seguenti un intenso lavoro di traduttore delle opere di Defoe, Dickens, Melville, Joyce.
Il 4 novembre 1931 la madre di Cesare muore, un grave lutto che il giovane tenta invano di rielaborare: “Se nascerai un’altra volta dovrai andare adagio anche nell’attaccarti a tua madre. Non hai che da perderci”, scrive. Dopo tale triste avvenimento rimane a vivere presso la sorella Maria, il cognato e le nipotine. Nel 1932 si dedica all’insegnamento in scuole private e serali (Carmagnola, Bra, Saluzzo, Vercelli, Torino).

Nell’inverno del 1932, attraverso Leone Ginzburg, incontra un’insegnante di matematica di cinque anni più vecchia, militante comunista, e tra i due nasce l’amore (una delle tante difficoltose esperienze d’amore di Pavese). Si tratta di Battistina Pizzardo (Tina) che così descrive lo scrittore: “ Cesarino: a quei tempi era un bel ragazzo alto, snello, un gran ciuffo sulla fronte bassa, il viso liscio, fresco, di un leggero color bruno soffuso di rosa, i denti perfetti. Mi piacevano i suoi occhi innamorati, le sue poesie, i suoi discorsi tanto intelligenti che diventavo intelligente anch’io, mi piaceva il senso di fraternità, che ci veniva dalla stessa origine bottegaio-contadina, da un’infanzia vissuta nei nostri paesi delle Langhe, e per tanti versi simile”.
Sono anni difficili per il giovane, e poi egli non è iscritto al partito fascista e la sua condizione lavorativa è decisamente altalenante.

Nel 1934 sostituisce Leone Ginzburg, arrestato dai fascisti, nella direzione della rivista “La cultura” e inizia la sua collaborazione alla casa editrice Einaudi. Per i suoi rapporti con i militanti del gruppo Giustizia e Libertà viene arrestato nel 1935 processato e inviato al confino a Bracalone Calabro fino alla fine del 1936, anno in cui esce il suo libro di poesie “Lavorare stanca”, una poesia realistica e simbolica, caratterizzata da una lunga cadenza del verso, quasi un verso narrativo, un verso libero. Egli stesso aveva precisato già nel 1928: “in mezzo alla vita che ci circonda, non è più possibile scrivere in metro rimato come non è lecito andare in parrucca e spadino”. L’arresto avviene di mattino (il 15 maggio 1935), proprio il giorno in cui avrebbe dovuto sostenere il concorso generale per i licei e istituti magistrali. Al momento dell’arresto era supplente al liceo D’Azeglio e, di sera, presso gli istituti privati Bertola e Dainotti. Quando è al confino, scrive alla sorella facendo riferimento agli attacchi d’asma (ne soffriva fin da ragazzo): “L’asma qui viene così forte che non basta fare il fumo prima di coricarsi, ma bisogna ripeterlo alle tre di notte, dopo un doloroso risveglio per soffocamento”, e intanto sollecita l’invio di libri da parte della famiglia e degli amici per poter leggere e tradurre, soprattutto dal greco, Omero e Platone.

Il 13 marzo 1936 ottiene il condono e il 19 marzo ritorna a Torino e apprende che Tina è prossima al matrimonio. Ne rimane colpito e cade in una profonda crisi depressiva. Continua a tradurre scrittori inglesi e americani e a collaborare attivamente con la casa editrice Einaudi, un impegno senza orari né risparmio di energie. Tra i tantissimi lavori da cui è sommerso, (dice egli stesso che “nel caldo bestiale di agosto”, “gira per le grandi stanze solo come Bellerofonte nel campo Aleio”), merita ricordare il suo consistente intervento di revisione di un saggio di traduzione da Omero di Rosa Calzecchi Onesti, una delle versioni omeriche che diverranno classiche, e che egli giudica fin da subito “notevole”. Nel periodo compreso tra il 1936 e il 1949 la sua produzione letteraria è ricchissima. Ma le delusioni della vita e soprattutto del cuore sono troppo pesanti. Alla fine della guerra si iscrive al partito comunista e pubblica sull’Unità “I dialoghi col compagno” (1945); seguono anni di intenso lavoro, in cui egli scrive le sue opere di maggior successo, e approfondisce studi sul mito e sul folklore. Nel 1950 pubblica “La luna e i falò”, e nello stesso anno vince il Premio Strega con “La bella estate”. La vita sembra aver preso la piega giusta, Cesare è circondato da intellettuali con cui passa gradevolmente il tempo e i suoi scritti circolano senza difficoltà. Eppure Cesare non riesce a vincere quella pesantezza del cuore, convinto della insuperabile falsità nei rapporti umani, a cui si aggiunge l’amarezza della sua difficoltà a vivere i rapporti amorosi, e decide che il mondo non è più il suo posto. Nonostante il successo e la mondanità egli è profondamente solo e disincantato.

Nella sua Torino, in una camera dell’hotel Roma di Piazza Carlo Felice, nella torrida notte tra il 26 e il 27 agosto 1950, Cesare si toglie la vita con una eccessiva dose di sonnifero, compiendo il gesto definitivo del suicidio che lo aveva ossessionato fin dall’adolescenza.  Un proposito divenuto un “vizio assurdo” in seguito al progressivo disadattamento esistenziale. Sul comodino, una copia dei “Dialoghi con Leucò” su cui scrive: “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. Particolarmente significativo il giudizio di Calvino sulla figura di Pavese: “Vero è che non bastano i suoi libri a restituire una compiuta immagine di lui: perché di lui era fondamentale l’esempio di lavoro, il veder come la cultura del letterato e la sensibilità del poeta si trasformavano in lavoro produttivo, in valori messi a disposizione del prossimo, in organizzazione e commercio di idee, in pratica e scuola di tutte le tecniche in cui consiste una civiltà culturale moderna”.

Alessia Cagnotto

Temperature verso i 39 gradi. E la frutta cuoce sugli alberi

Il caldo africano farà toccare a Torino e in Piemonte i 38-39 gradi nelle prossime ore, dopo il breve acquazzone di domenica. Intanto il calore sta letteralmente cuocendo i frutteti e gli orti piemontesi. Le perdite in alcune aree arrivano al 70% del raccolto di peperoni, meloni, albicocche e pomodori  che non riescono a crescere. Coldiretti spiega che le scottature danneggiano in maniera irreversibile frutta e verdura, tanto da renderle invendibili.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Brigitte Riebe “Il tempo della speranza” -Fazi Editore- euro 18,50

E’ il capitolo finale della trilogia che narra le vicende delle sorelle del Ku’damm: saga iniziata con tre giovani a Berlino costrette a ripartire dalle macerie della guerra e dai grandi magazzini di famiglia rasi al suolo dalle bombe. Le abbiamo seguite mentre diventavano donne più sicure e padrone dei loro destini. Dopo “Una vita da ricostruire” e “Giorni felici” (che hanno ripercorso la crescita di Rike e Silvie) ora l’epilogo è negli anni Sessanta ed ha come protagonista Florentine la più piccola delle sorelle Thalheim.

L’avevamo conosciuta nel primo capitolo quando era una bambina vivace e curiosa; adesso la ritroviamo nel 1958, al ritorno da Parigi dove ha studiato arte e fatto esperienze, inclusa una storia d’amore dal sapore bohemienne.
Dopo una fase di smarrimento ha capito che la cosa migliore era tornare nella bella villa di famiglia.
Il padre vorrebbe che lavorasse nei grandi magazzini di famiglia, i più prestigiosi di tutta Berlino.
Ma Florentine ha altri piani ed una sola certezza: sa che solo quando inizia a dipingere si sente felice e realizzata, tuttavia deve ponderare bene che direzione prendere nel suo futuro.

Florentine è molto diversa dalle sorelle.
Rilke, assennata e concreta, era stata l’artefice della rinascita dei magazzini a partire da una sfilata tra le macerie che aveva decretato la ripresa.
Silvie, sensuale, estroversa e affascinante ha trovato il successo con il suo programma alla radio.
Rispetto a loro, Florentine è la meno simpatica; umorale, capricciosa, egoista convinta che il mondo giri intorno a lei.
Però in questo romanzo la Riebe la fa crescere nel corso degli anni e quando nel 1961 Florentine ha 27 anni e viene eretto il muro che trancerà in due Berlino (fino al 1989) la troviamo più equilibrata e matura.
Si iscrive all’Accademia d’Arte, però a complicarle la vita sarà il suo insegnante, e seguiremo da vicino l’evolversi della storia.
Intanto sullo sfondo c’è la Berlino divisa tra Est e Ovest, emblema della Cortina di Ferro che segnerà 28 anni complessi e difficili, fatti di tensioni e cambiamenti, anche nel mondo della moda.

 

Nancy Mitford “Rincorrendo l’amore” -Adelphi” euro 18,00
E’ stato pubblicato nel 1945 e fu subito best seller questo che è il primo romanzo della scrittrice inglese (nata a Londra nel 1904 e morta a Parigi nel 1973), famosa per i suoi romanzi che raccontano luci ed ombre dell’alta società. Senza dimenticare che è stata anche un’abile ed importante biografa; ha ricostruito le vite di Luigi XIV di Francia, di Madame de Pompadour, di Voltaire e di Federico II di Prussia.
E’ la primogenita delle 6 famose e scandalose sorelle Mitford, figlie del barone Redesdale e di Sydney Bowles figlia dell’editore e giornalista proprietario di un’agenzia di stampa che pubblicava, tra gli altri, “Vanity Fair” e “Lady”.
Questo romanzo in parte è autobiografico, nel senso che la Mitford conosce bene il mondo che romanza, e tratteggia un quadro irriverente che porta a galla anche gli aspetti meno nobili delle famiglie blasonate inglesi nella prima metà del secolo scorso.
Lei -figlia primogenita di un proprietario terriero e di una madre erede di un importante agenzia di stampa- era cresciuta tra ricchezze e privilegi, balie, bambinaie e governanti, poi aveva studiato in un eccellente istituto privato per giovani donne di ottima famiglia.

Protagonisti del romanzo sono i Radlett, signorotti di campagna che ospitano per lunghi periodi di vacanza la nipote Fanny. La piccola è stata cresciuta dalla zia Emily che lei riconosce come la sua unica e vera madre, dal momento che l’ha accolta, allevata e guidata.
Dunque molto più responsabile della madre biologica – in famiglia era chiamata “La Fuggiasca”- sorella minore delle zie che non si era mai accollata la responsabilità di quella figlia messa al mondo a 19 anni. Era scappata abbandonando il marito e la piccola quando aveva appena un mese di vita; non si era mai più voltata indietro.
A Fanny non era andata meglio con la seconda moglie del padre che non aveva avuto nessuna intenzione di occuparsi di lei ed insieme al marito si teneva ben lontana.

Nel romanzo Fanny ricorda i periodi della sua infanzia e adolescenza trascorsi ad Alconleigh con i cugini. Soprattutto con Linda, bella, appassionata, considerata molto intelligente dai familiari, coraggiosa e anche un po’ sventata. Al centro c’è soprattutto la vita sentimentale dell’inquieta e capricciosa Linda, le sue avventure amorose, e per molti aspetti la sua vacuità.
Si illuderà di aver incontrato l’amore in due occasioni, confondendo idee romantiche (quelle di una fanciulla che l’amore più che altro lo sogna e lo insegue) e passione; salvo poi incontrare l’uomo che le fa perdere davvero la testa. Peccato sia un nobile e ricchissimo seduttore seriale, fonte di amarezza e delusione.

In senso più ampio il romanzo ritrae con toni spesso umoristici l’ambiente in cui Linda è vissuta.
A partire dal burbero zio Matthew, Lord Alconleigh: insopportabile, uso a memorabili sfuriate che poi sfumano nel nulla, particolarmente attaccato alla sua terra, dalla quale non si allontana quasi mai e nella quale investe tutte le sue risorse.
Poi c’è zio Davey, fidanzato e in seguito marito di zia Emiliy, ossessionato dal timore delle malattie e dalla mania di una perfetta forma fisica.

Un ruolo particolare è quello delle zie Sadie ed Emily che sono la quinta essenza dell’amore materno (quello che a Fanny è mancato). Poi ci sono gli aneddoti legati ai cugini, le loro discussioni, gelosie, bravate ed imprese.
La Mitford è stata maestra nel raccontare gli anni di crescita e formazione dorata nella campagna inglese; tra pettegolezzi, balli, cacce, cene, tè pomeridiani e cambi d’abito continui, a seconda degli impegni nell’arco della giornata.
In luce viene messo anche il rapporto tra proprietari terrieri e banchieri, il nuovo modo di inseguire il denaro. Tutto soffuso di abile ironia….

 

Miranda Cowley Heller “Il palazzo di carta” -Garzanti- euro 17,90
Svetta in cima alle classifiche americane questo romanzo di esordio di Miranda Cowley Heller, nata a New York nel 1962, per molti anni autore capo delle serie televisive drammatiche di Hbo.
C’è chi ha definito il libro una sorta di thriller sentimentale con al centro una questione parecchi spinosa, il ritorno di fiamma tra due protagonisti che in un attimo combinano il fattaccio e spalancano la voragine sull’ipotesi di lasciare la famiglia per vivere la rinverdita passione.

La vicenda è ambientata nel Massachussetts, a Cape Cod ( luogo caro alla scrittrice che lì trascorre parte del suo tempo, diviso anche tra Los Angeles e Londra). E’ li che la protagonista Elle Bishop -50 anni, un marito affettuoso e tra figli- trascorre l’estate fin da bambina, nella zona di Back Woods, dove si trova il buen retiro di questa famiglia che non si fa problemi a passare dall’Upper East Side di New York alla vita spartana e un po’ selvaggia nell’accampamento messo su anni dietro da un estroso nonno scultore.
Lì si è creata una conclave di famiglie che vanno d’accordo e condividono le vacanze insieme, tra barbecue, bevute e tantissime nuotate.
Proprio durante una cena tra amici con alto tasso alcolico ad allentare freni inibitori, Elle si assenta da tavola e si apparta con Jonas, il marito dell’altra coppia, ed è un’esplosione che affonda radici nell’adolescenza dei due, quando la reciproca attrazione serpeggiava ma era stata tenuta a freno.

Bel dilemma che ora avanza nell’anima di Elle che ha poco tempo, 24ore, per decidere che direzione dare ai suoi sentimenti: di fare l’amante segreta di Jonas non s e ne parla perché il loro legame viscerale pretende di più.
D’altro canto c’è la sua famiglia costruita nel tempo e il dubbio è molto più che amletico.

La bravura della Cowley sta nel suo ripercorrere il passato, condurci al cospetto di due ragazzi che, se le cose fossero andate in un certo modo, e non si fosse verificato un certo evento, avrebbero potuto camminare insieme nella vita.
Se la trama può sembrare da romanzo rosa, ad aggiungere valore a queste pagine è la narrazione acuta dei dubbi e tormenti di Elle. Poi il dosaggio calibrato di flash-back del passato, con la ricostruzione della storia della famiglia Bishop, tra segreti, consuetudini, stili di vita, separazioni, vizi, rancori e confusione.

 

Marta Sanz “Piccole donne rosse” -Sellerio- euro 15,00

La scrittrice Marta Sanz insegue da sempre la verità e dedica il suo lavoro al complesso tentativo di salvaguardare la memoria e rendere onore ai tanti desaparecidos del franchismo; vittime della dittatura di tutte le età, compresi i bambini, i cui resti giacciono in tombe improvvisate e fosse comuni dimenticate.
La protagonista di questo romanzo – che sta tra lo storico, il politico e l’orrore- è la giovane Paula Quiñones, ispettrice del fisco che decide di trascorrere le ferie in un paesino del nord della Castiglia, e lì si dedica anima e corpo al complesso e triste compito di trovare i resti dei desaparecidos.
Scava le fosse per riesumare i corpi delle vittime della guerra civile, in quel paesino immaginario ma che potrebbe essere identificato in qualunque luogo della “Meseta” del nord della Spagna.
Vuole dare un nome ai desaparecidos, portare alla luce le loro ossa e ricostruire le storie delle loro vite interrotte.

Tra le tante vittime ci sono un’infinità di donne e dalle fosse si leva la potente voce delle “vinte” che sembrano stringere una sorta di alleanza con le donne che oggi camminano sulla terra in cui sono state gettate e sepolte.
Paula alloggia nell’albergo di una numerosa famiglia capeggiata dal patriarca centenario Jesùs, accudito dalla nuora Analía, madre dell’affascinante David. Da lui è attratta Paula e tra i due nasce una relazione.

Un legame fatto anche dei racconti di David che ricostruisce il passato della sua famiglia e racconta a Paula pagine della storia dei suoi antenati, tra i membri più importanti della comunità. Le loro vicende sono anche specchio della storia più ampia; ed ecco tornare a galla segreti, misfatti, risentimenti, delazioni, arricchimenti illeciti, cadaveri antichi e più recenti.
Un romanzo intricato, nero e profondo.

Cadavere di donna trovato nel canale

Il corpo senza vita ritrovato è di una donna di 44 anni residente a Novara. Il cadavere è stato scoperto nel  canale Quintino Sella dai vigili del fuoco. Le ricerche erano iniziate dopo l’allerta giunta alla centrale. Il corpo è stato poi trovato alcune ore dopo nel tratto del canale nei pressi di corso Milano. Si ipotizza un suicidio.

NOTIZIE DAL PIEMONTE

 

La Buona Destra con Lo Russo, Nardella ed i Sindaci dalla parte di Draghi

Buona Destra Piemonte e Buona Destra Toscana, tramite i rispettivi Segretari Regionali, Dott. Claudio Desirò ed Avv. Kishore Bombaci, si uniscono alla lettera aperta dei sindaci che chiedono a Mario Draghi di andare avanti nell esperienza di governo e di cui sono promotori i Sindaci di Torino e Firenze, Lo Russo e Nardella.

“L’irresponsabilità del movimento cinque stelle”, afferma Claudio Desirò, “ha gettato il Paese in una situazione di caos ed incertezza altamente nocivi in un momento già estremamente complicato a causa delle diverse crisi che si sovrappongono”.

“Purtroppo”, Kishore Bombaci, “il populismo grillino sta mostrando la vera faccia di un movimento allo sbando, preoccupato unicamente per il proprio calo di consenso a scapito dell interesse nazionale”. 

“In un momento in cui sono in ballo le risorse del RF e sarebbe necessario proseguire sulla strada delle riforme che il governo Draghi sta portando avanti, la crisi aperta da Conte e dai parlamentari grillini è semplicemente assurda e priva di senso”, proseguono i due coordinatori, “Oggi c’è bisogno di responsabilità e patriottismo nel senso di amore per il bene comune, perciò invocare le elezioni come qualcuno sta già facendo, aggiunge irresponsabilità a irresponsabilità a cui Buona Destra si oppone drasticamente”.

“Per questo”, concludono Desirò e Bombaci, “ci uniamo all appello dei sindaci Lorusso e Nardella affinché Mario Draghi prosegua la propria esperienza di governo fino a fine legislatura con qualsiasi maggioranza anche se fosse senza il Movimento 5 Stelle”.

Oggi, chi decide di far male al Paese deve assumersene la responsabilità e ne dovrà rispondere in Parlamento e di fronte ai cittadini, ulteriormente danneggiati da scelte assurde, guidate da demagogia e populismo da quattro soldi.

Buona Destra Piemonte

Buona Destra Toscana

L’VIII Congresso di Slow Food segna una nuova epoca per il movimento

 

Il nuovo presidente di Slow Food è Edward Mukiibi, agricoltore, educatore e imprenditore sociale nato in Uganda nel 1986, lo stesso anno in cui Carlo Petrini a Bra fondava Slow Food

 

 

Il 16 luglio 2022 resterà una data impressa nella storia di Slow Food. In questa giornata, il movimento della Chiocciola ha organizzato a Pollenzo (Bra, Cuneo) il suo VIII Congresso Internazionale: un momento storico, di profondo cambiamento e di rigenerazione. Un passo fortemente voluto da Carlo Petrini, che questa associazione l’ha fondata più di trent’anni fa nella poco distante città di Bra.

 

Oltre 50 delegati dai cinque continenti riuniti nella sede dell’Università di Scienze Gastronomiche hanno rinnovato il Consiglio di Amministrazione, il più importante organo decisionale dell’organizzazione, affidando alla nuova leadership il compito di guidare Slow Food attraverso le numerose sfide che la produzioni di cibo ci pone davanti che sono ambientali, climatiche, politiche e sociali. Contestualmente, il Consiglio di Amministrazione ha nominato il nuovo presidente. Il movimento Slow Food coinvolge attualmente 160 paesi nel mondo. I delegati riuniti a Pollenzo hanno anche deliberato il passaggio dalla forma associativa a quella di Fondazione di partecipazione Ets, riconosciuta dallo Stato italiano come Ente del Terzo Settore, che permette la partecipazione di una pluralità di soggetti, sia pubblici che privati, che ne condividono le finalità. Un rinnovamento del movimento internazionale iniziato durante il Congresso internazionale del 2017 a Chengdu proprio per andare oltre il modello associativo e rendere Slow Food più aperto e inclusivo con l’obiettivo di affrontare nel modo migliore le sfide odierne rispettando le diversità di tutti i territori in cui il movimento è attivo.

 

«Emerge in maniera sempre più forte e chiara il ruolo del cibo come responsabile principale del disastro ambientale. Il nostro movimento, impegnato da trent’anni a garantire l’accesso al cibo buono, pulito e giusto per tutte e tutti, deve avere il coraggio di assumere un ruolo politico di primo piano nel frenare questa deriva dai risvolti catastrofici – dichiara Carlo Petrini –. Abbiamo bisogno di una governance che lasci spazio alle nuove generazioni, dobbiamo avere la capacità di coniugare il nuovo con la storia, di avere coscienza che il percorso fatto fino a oggi ha permesso il conseguimento di obiettivi che sembravano irraggiungibili, permettendoci di essere ciò che siamo. Il mondo di oggi è però profondamente diverso da quello degli inizi del nostro movimento: c’è quindi bisogno di farci affiancare e indirizzare dalla creatività e dall’intuizione di soggetti nuovi capaci di interpretare il presente, per poi delineare la traiettoria che consentirà il raggiungimento di traguardi futuri».

 

La nuova leadership di Slow Food, assunta da Edward Mukiibi, origina proprio da queste premesse. Mukiibi è un giovane agronomo ed educatore ugandese, nato lo stesso anno in cui è stato fondato il movimento Slow Food: il 1986, l’anno delle proteste contro l’apertura di McDonald’s a Roma. Ha ricoperto il ruolo di vicepresidente di Slow Food dal 2014 fino a oggi.

Mukiibi è nato nella zona di Kisoga, un’area distante una quarantina di chilometri dalla capitale dell’Uganda Kampala, un tempo rurale e votata all’agricoltura per via dei terreni fertili e divenuta negli ultimi decenni un importante centro di commercio. La sua famiglia gestisce da sempre una fattoria e Mukiibi ha, fin da giovane, voluto proseguire l’attività dei suoi genitori. La nomina odierna a presidente di Slow Food è il riconoscimento a un lavoro lungo anni, nel solco della sostenibilità, e simbolo della capacità e della volontà di dar forma al futuro dell’agricoltura rigenerativa.

«È il momento giusto per ricostruire, rafforzare e rinnovare. Anche le più piccole azioni messe in campo dalle nostre comunità sono portatrici di una speranza concreta e generano un impatto positivo sulle nostre vite, perché siamo una famiglia globale: ciò che riguarda uno di noi riguarda tutti, indipendentemente dalle differenze geografiche, sociali e culturali. Come Slow Food, è importante essere coscienti del fatto che una piccola azione intrapresa a livello locale può avere un impatto enorme altrove – sottolinea Edward Mukiibi –. Vorrei esortare ciascuno di noi a lavorare con lo stesso spirito di resilienza dimostrato durante la pandemia, con lo stesso senso di appartenenza e solidarietà, al fine di coinvolgere sempre più persone nelle nostre attività. Lo scopo rimane lo stesso: dar vita a un sistema alimentare che garantisca cibo buono, pulito e giusto a tutti. È questo il nostro ruolo comune, abbracciamolo con convinzione».

Agronomo con una laurea triennale in Agricoltura e gestione del territorio conseguita presso la Makerere University di Kampala (Uganda) e un Master in Gastronomia all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Italia), Edward Mukiibi è un educatore nel campo dell’alimentazione e dell’agricoltura ed è impegnato nella diffusione e promozione di progetti sociali in questi ambiti.

Il lavoro di Edward Mukiibi, volto a promuovere un sistema alimentare sostenibile, equo e giusto, ha ottenuto diversi prestigiosi riconoscimenti: tra questi, il premio per la sostenibilità Ray Charles Black hand in the pot della Dillard University di New Orleans e una onorificenza da parte del Consiglio comunale della città di Detroit, negli Stati Uniti. Edward Mukiibi, inoltre, è stato incluso nella categoria Educatori della classifica 50 Next Awards dalla rivista Forbes, che ha individuato gli under 35 anni che stanno plasmando il futuro della gastronomia.

Il Consiglio di Amministrazione di Slow Food

 

Il Congresso ha rinnovato anche il Consiglio di Amministrazione di Slow Food. Ne fanno parte sette persone, quattro donne e tre uomini provenienti da diversi angoli del mondo, un gruppo che è il riflesso della ricca diversità che da sempre contraddistingue il movimento. Del Consiglio di Amministrazione fa parte il presidente, Edward Mukiibi, mentre Carlo Petrini è membro di diritto in qualità di fondatore.

Qui un breve profilo per ognuno dei nuovi componenti del Consiglio e una breve dichiarazione in merito al proprio impegno alla guida di Slow Food.

Le mozioni presentate

Durante i lavori sono state presentate diverse mozioni, frutto del percorso di confronto tra gli esponenti del movimento Slow Food nel mondo in vista del Congresso, consegnate alla nuova dirigenza affinché si faccia carico della loro attuazione durante il proprio mandato. Tra i documenti presentati, in particolare: l’impegno a denunciare ed eliminare il razzismo intrinseco nelle nostre società, mozione presentata dalle Americhe e Caraibi; il ruolo che le donne possono svolgere nel rigenerare il sistema alimentare, come cuoche, produttrici o consumatrici, proposta dal Collettivo femminista dell’America Latina; la difesa della terra dall’accaparramento, dell’acqua e dei semi dalle mire delle multinazionali dell’agribusiness, un tema particolarmente sentito dalle reti del ConoSur che uniscono le comunità di Cile, Argentina e Uruguay; insiste sul tema dell’educazione come strumento essenziale per difendere la nostra salute e quella del pianeta la rete Slow Food nei Caraibi; mentre la Alice Waters, vice-presidente di Slow Food nel precedente mandato, propone di estendere a livello globale il progetto School Supported Agriculture, sottolineando il ruolo che possono avere le scuole nella scelta dei canali di approvvigionamento delle materie prime per la preparazione dei pranzi scolastici: le scuole potrebbero essere infatti promotrici di quei cambiamenti che Slow Food auspica da 35 anni semplicemente sostenendo l’economia dei piccoli produttori e della terra di cui hanno cura attraverso le pratiche rigenerative applicate; dallo Slow Food Youth Movement arriva la richiesta di un maggiore protagonismo proprio dei giovani come motore della transizione alimentare; Slow Food Cile si presenta al Congresso con due mozioni per la promozione di un’economia di solidarietà con l’obiettivo di garantire la sovranità alimentare a favore delle famiglie e delle comunità produttrici.

Il Piemonte politicamente irrilevante ma protagonista in agricoltura

A cura di Electomagazine

Il Piemonte, che aveva assicurato la classe dirigente per l’Unità d’Italia e per i primi anni di gestione successiva, non offre ora un grande spettacolo a livello di politica nazionale (ed anche locale). Però può vantare alcune eccellenze in ambito professionale ed imprenditoriale. Non tante, però ci sono. Così i vertici nazionali di Confagricoltura hanno deciso di puntare sul piemontese Ercole Zuccaro per andare a guidare la Direzione nazionale Area Sviluppo Territoriale e Digitale. In pratica a Zuccaro farà capo tutta la gestione organizzativa della Confederazione agricola.

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Mandela: Educatorio della Provvidenza intitola piazzetta insieme alla figlia Maki

L’educatorio della provvidenza, l’istituzione che da trecento anni si occupa di inclusività apre i festeggiamenti per l’anno di fondazione all’alba del nuovo secolo con l’intitolazione della piazzetta interna a Nelson Mandela. 

Carlo Majorino, Presidente della Fondazione Educatorio della Provvidenza, ha evidenziato il successo dell’evento che rappresenta l’avvio di un percorso che si svilupperà nei prossimi mesi, all’alba del quarto secolo di storia dell’Ente. Una cerimonia significativa che si è fregiata della presenza di Makaziwe (Maki) e Tukwini Mandela, che hanno voluto raccontare il frutto dell’esperienza famigliare che le ha portate a fondare “The House of Mandela”. Il busto (vedi foto) rappresentante il leader mondiale della lotta all’apartheid è stato realizzato dal giovane artista Michelangelo Valenti ed è stato scoperto insieme al pubblico sulle note della canzone dedicata a Mandela ‘Asimbonang’ intonate dal Sunshine Gospel Choir.

 

Numerosi i partecipanti istituzionali e gente comune che hanno gremito la piazza per assistere agli interventi degli ospiti della Fondazione, che hanno evidenziato punti di vista anche talvolta diversi sui temi dell’inclusività e della solidarietà, ma tutti diretti a costruire “reti” e “collaborazioni”: chiara testimonianza di un’attenzione che, da sempre, caratterizza il tessuto sociale torinese. Il moderatore, Paolo Marcesini, direttore di “Italia Circolare”, ha saputo coinvolgere i relatori sviluppando un percorso che ha davvero evidenziato la ricchezza di un modello sociale che si è voluto sintetizzare nel titolo dell’evento stesso: “Entrepreneurship for social inclusion”. L’evento era incluso nel calendario della Torino Fashion week.

 

“Questo evento – ha dichiarato il presidente Carlo Majorino –   è stato davvero un momento importante per la Fondazione Educatorio della Provvidenza perché, grazie alla sensibilità delle persone e degli Enti coinvolti che, immediatamente, hanno colto il senso profondo dell’iniziativa, siamo riusciti a lanciare un tavolo di confronto con i principali“attori” del panorama torinese (Comune, Regione, Fondazione CRT, Enti del Terzo Settore e Privato Sociale) sul tema dell’inclusione sociale, anche con una particolare attenzione al mondo delle Imprese: tema in cui crediamo e per il quale stiamo lavorando in modo concreto. Desideriamo, come Fondazione, essere promotori di un modello dove il terzo settore, con enti pubblici ed imprese, può davvero dimostrare che “lavorando insieme” si possono raggiungere risultati maggiori della semplice somma dei singoli contributi. Siamo infatti convinti che, oggi, per rendere effettivi ed efficaci gli interventi nell’area sociale, sia imprescindibile un nuovo approccio “globale”, un nuovo modo di intendere la filantropia. Perché l’IO è possibile solo attraverso il NOI”.

 

Merlo: Alleanze, ora subito l’unità delle forze di Centro

“La complicata e convulsa fase politica che stiamo vivendo, causa l’irresponsabilità e il populismo
dei 5 stelle, richiede – da adesso in poi – la massima unità delle forze politiche di Centro. A
prescindere da quando si andrà al voto, il recente progetto politico lanciato da Clemente Mastella
di una ‘Margherita 4.0’ adesso si impone. E questo non solo per la prospettiva politica di un
Centro riformista, democratico e di governo ma anche, e soprattutto, per ridare equilibrio e
stabilità al nostro sistema politico.
Non è più tempo di tergiversare con ridicoli e grotteschi pregiudizi di natura politica o, peggio
ancora, personali. Adesso deve prevalere la politica e i comportamenti concreti dei leader dei
partiti e dei movimenti di Centro devono essere adeguati e conseguenti.
Con il fallimento conclamato e palese del populismo dei 5 stelle si apre, finalmente, una nuova
stagione politica nel nostro paese. E il Centro, naturalmente, deve essere unito, compatto, coeso
e determinato. Senza ulteriori rinvii e tentennamenti”.

Giorgio Merlo, Presidente Nazionale ‘Noi Di Centro-Mastella’

Peperone 2022, tutte le novità a Carmagnola

È stata presentata nella splendida cornice di Palazzo Barolo di Torino la 73^ edizione della Fiera Nazionale del Peperone di Carmagnola. Organizzata dal Comune, si svolgerà dal 2 all’11 settembre 2022 e dedicherà ampio spazio ai temi di green, sostenibilità, cura e promozione del territorio con 10 giorni ricchi di eventi gastronomici, culturali e artistici che propongono intrattenimenti ed esperienze coinvolgenti per tutti i sensi e per tutte le fasce di età.

Oltre alle iniziative confermate dal successo delle passate edizioni della Fiera – come Cà Peperone, il Villaggio del Territorio e il Salotto della Fiera – sono molte le novità che si svolgeranno nell’ampia area espositiva di oltre 10000 mq – otto piazze dedicate per 2500 posti a sedere e più di 200 espositori – con un occhio di riguardo a iniziative dedicate alla promozione del territorio, fin dagli esordi della manifestazione.

Tra tutte spicca la prima edizione del Peperone Day.

Domenica 4 settembre, infatti, l’attenzione sarà puntata sull’iniziativa che strizza l’occhio a ristoranti, osterie, pizzerie locali e nazionali, che potranno inserire nei loro menù, piatti preparati con il peperone di Carmagnola. Un’opportunità da non perdere e una vetrina importante per la produzione carmagnolese e per i ristoratori che vorranno aderire con l’obiettivo di dare lustro al prodotto, prestigioso rappresentante dell’enogastronomia piemontese, sotto forma di originali o di tradizionali ricette, all’insegna della fantasia ai fornelli.

Gli interessati troveranno le informazioni per aderire in www.fieradelpeperone.it, riceveranno un adesivo da esibire in vetrina per l’occasione, saranno inserite nell’elenco pubblicato nel sito e riceveranno i contatti dei produttori per l’approvvigionamento della giornata.

Nel corso della giornata del 4 settembre è inoltre in programma il tradizionale Concorso e Mostra/Mercato del Peperone riservato ai produttori locali, che li raccolgono manualmente dalla fine di luglio rispettando un severo disciplinare di produzione

Di grande rilevanza, la presenza, ormai da quattro anni, di Tinto, al secolo Nicola Prudente, volto noto di Decanter, storica trasmissione dedicata all’enogastronomia in onda su Rai Radio2 e ora, presentatore, insieme a Roberta Morise, del programma di Rai Uno “Camper”, alle 12,30 dal lunedì al venerdì. Sarà ancora una volta lui il mattatore della manifestazione, che avrà il compito di presentare il concorso del peperone, animare i talk show ed altri appuntamenti programmati durante la fiera.

Altra novità importante sulla quale si accenderanno i riflettori il 4 settembre è il Peperone Urbano. Un contest rivolto a tutti, ideato dal Consorzio del Peperone e dall’Amministrazione comunale. I partecipanti hanno divuto mettere le mani nella terra e, per l’occasione, vestire i panni di ortolano per coltivare sul terrazzo di casa, sul balcone, nell’orto o in giardino, il peperone, rigorosamente in modalità biologica. Un gioco dedicato al green per coinvolgere adulti, bimbi e giovani, in un momento di recupero delle radici contadine e di riflessioni sull’ambiente e la cura di Madre Natura che tanto può ancora offrire all’uomo, se curata e ben tutelata. Il 4 settembre sono in programma le premiazioni, con tre premi, aperti anche alle scuole primarie e agli asili che hanno partecipato alla divertente sfida orticola.

Altre novità dell’edizione sono il Pizza Village, il Salone della Robotica e il “matrimonio” con il Roero ed i suoi vini.

Il Pizza Village verrà allestito nella splendida cornice dei Giardini Unità d’Italia, uno spazio con stand di pizzerie della città e di altre località nel quale verranno proposti anche momenti di animazione e intrattenimento.

Nella Zona Salone Fieristico (viale Garibaldi), il Salone della Robotica sarà dedicato ad eccellenze del territorio sotto il profilo della tecnologia, in particolare all’azienda carmagnolese ECS, leader nel settore della movimentazione industriale da più di 34 anni, presente in tutto il mondo con i suoi impianti e allo stesso tempo fulcro di un importante indotto sul territorio. Sarà possibile vedere in funzione un sistema automatico per il trasporto veloce di pallet e merci varie, oltre ad avere nozione delle applicazioni di queste tecnologie in ambito agricolo.

Sono davvero numerosi gli ingredienti di questa edizione che si preannuncia ricca, solare ed effervescente, con un cartellone di ospiti internazionali tra cultura, spettacolo, enogastronomia e tanto altro.

Per ciò che riguarda la musica, è in programma la questa quarta edizione de Il Foro Festival, quest’anno a cura della Kontakt Agency di Francesco Andrisani, agenzia specializzata nell’organizzazione di grandi eventi, con un programma di sette concerti gratuiti e tre a pagamento con artisti di grande rilievo.

Domenica 4 settembre un evento in grado di mettere d’accordo generazioni diverse di spettatori. La serata inizierà con un doppio concerto, quello di Cristina D’Avena, voce amatissima di mille sigle di cartoni animati e quello di Ivana Spagna, voce simbolo della dance italiana anni ’80 e non solo. Più tardi si balla con il format “Mania ’90“. Le voci sono quelle di Kim Lukas e Nathalie Aaarts, interpreti di tanti successi di quel decennio. Il sound invece è quello di Emanuele Caponnetto e di Dj Jump.

Il 10 settembre salirà sul grande palco Mario Biondi in una data del suo “Romantic Tour”, in cui proporrà i suoi brani più celebri e quelli contenuti nel suo nuovo album “Romantic” uscito lo scorso 18 marzo.

È in corso di definizione il terzo concerto a pagamento,Radio Vida Network di Carmagnola è media partner del Festival e i biglietti dei concerti sono acquistabili via whatsapp al numero 3277928137 e online su ticketone.it, youticket.net e ciaotickets.com

Per visionare ulteriori informazioni: www.fieradelpeperone.it.

INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO:

Ufficio Manifestazioni – Tel. 011.9724222/270 – cell. 3343040338