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“Disagi e Disturbi Mentali: Viaggio nella Psichiatria tra Umanità e Controversie”

  
Dopo cinque anni, il Dott. Pino Luciano torna sugli scaffali con “Disagi e disturbi mentali ieri, oggi e domani” (Franco Angeli Editore), un saggio lucido e appassionato che ripercorre l’evoluzione della legislazione psichiatrica italiana e il suo impatto sulla società.
Al centro del libro, la storica Legge 180 del 1978, che sancì la chiusura dei manicomi, rivoluzionando il trattamento dei disturbi mentali e ponendo l’Italia all’avanguardia nella tutela dei diritti umani. Un cambiamento profondo, che il Presidente della Repubblica ha definito “una svolta di civiltà”.
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Dottor Luciano, perché la Legge 180 è considerata così rivoluzionaria?

Perché ha cambiato radicalmente il nostro approccio verso le persone con disturbi mentali. Fino a quel momento, bastava un comportamento considerato “anormale” per finire in manicomio, spesso per tutta la vita. La legge ha messo fine a questa pratica, chiudendo le strutture e promuovendo cure più umane, fondate sulla prevenzione e sul reinserimento sociale. È stato un cambiamento epocale, che ha visto l’Italia tra i pionieri in questo campo.

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È stata una svolta solo italiana?
No, la questione dei diritti umani è globale, ma l’Italia è stata tra le prime a intraprendere questo percorso. Dopo la Seconda guerra mondiale, il mondo intero ha iniziato a riflettere sui diritti umani, specialmente dopo gli orrori del nazifascismo. La Legge 180 è figlia di questo risveglio culturale e civile. È stata una mossa in anticipo sui tempi, che ha portato l’Italia a un nuovo standard di civiltà, come ha sottolineato anche il Presidente della Repubblica nel recente anniversario della legge.
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Cosa c’era prima della Legge 180?

Gli ospedali psichiatrici erano luoghi di segregazione e degradazione, più che di cura e riabilitazione. La psichiatria somigliava più a una punizione che a un trattamento. I manicomi non erano spazi di guarigione, ma di isolamento. Le persone venivano internate, legate, private di ogni diritto. Era facile finire in una sezione chiamata “furia” solo per aver espresso disagio o rabbia.

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E la medicina, cosa faceva?
All’inizio, poco o nulla. La psichiatria veniva spesso utilizzata come una giustificazione per l’emarginazione. Si finiva internati per “pubblico scandalo”: bastava vivere sotto un portico o comportarsi in modo considerato inaccettabile. Era uno stigma sociale, non una diagnosi clinica.
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Quando si è iniziato a cambiare davvero?
I primi segnali di cambiamento sono arrivati nel 1968, con l’introduzione del ricovero volontario. Ma la vera svolta è arrivata nel 1978, con la Legge 180: da quel momento, il termine “internamento” è stato sostituito con concetti come cura, prevenzione e servizi territoriali integrati nel Sistema Sanitario Nazionale.
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Un cambiamento sanitario o anche culturale?
Profondamente culturale. La Legge 180 ha trasformato la concezione stessa di malattia mentale, spostando l’attenzione dalla “devianza” alla persona. È stato il primo passo verso una psichiatria che vede la fragilità umana e non solo la patologia. Da allora, sono nati servizi sociali, centri di salute mentale e percorsi riabilitativi che mettono al centro la persona e non la sua malattia.
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E oggi? C’è ancora qualcosa da fare?
Molto. Le malattie mentali non sono solo il risultato di fattori genetici, ma anche di fattori psicopatogeni legati alla cultura, alla società e alle relazioni familiari, scolastiche e lavorative. La prevenzione primaria dovrebbe intervenire su questi fattori sociali e culturali, ma i servizi di salute mentale attivati dalla Legge 180 fanno ancora molto poco in questo senso. Inoltre, la prevenzione secondaria, che consiste nella diagnosi e cura precoce, è insufficiente. Lo stesso vale per la prevenzione terziaria, che cerca di evitare le ricadute nei pazienti che hanno recuperato lo stato di salute mentale.

Quali sono, secondo lei, gli aspetti più critici di questa legge?
La nuova legislazione ha mantenuto alcuni aspetti segregativi della psichiatria, come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). L’imposizione forzata non è mai la soluzione ideale. È fondamentale instaurare una connessione con il paziente, piuttosto che ricorrere al trattamento coattivo, che può portare a problemi gravi, talvolta violenti. Se si riesce a mantenere un buon rapporto, il paziente si presenterà volontariamente per i controlli. Il punto cruciale è l’alleanza terapeutica: non è sempre facile, ma è essenziale per il percorso di cura. Questi pazienti non sono pericolosi, e la perdita della loro libertà è un’ingiustizia rispetto alla loro reale condizione. Inoltre, c’è una dimensione ideologica che non può essere ignorata: l’introduzione della comunità terapeutica. Spesso viene vista come un “nuovo manicomio”, ma la vera differenza sta nel fatto che nella comunità terapeutica le persone non solo ricevono supporto, ma partecipano attivamente alla gestione della struttura. Si confrontano, litigano e imparano a gestire la loro conflittualità. Quando abbiamo trasformato il nostro reparto in una comunità terapeutica, seguendo le raccomandazioni dell’ONU, non è stato facile. Ci voleva un piano d’azione concreto, con obiettivi chiari, risorse adeguate e tempi definiti. Come diceva Antoine de Saint-Exupéry, “senza un piano, gli obiettivi rimangono semplici desideri”. Il problema è che ogni regione ha interpretato la legge a modo suo, senza una visione unitaria.
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E l’aspetto positivo della legge?
Innegabilmente, la Legge 180 ha restituito la libertà a migliaia di persone che un tempo erano segregate negli ospedali psichiatrici. A Torino, negli anni ’70 e ’80, quando l’immigrazione si era fermata, molti cittadini si sono mostrati disposti ad accogliere coloro che erano stati confinati in queste strutture. È stato un segno di grande apertura sociale.
C’è stata una crescente attenzione verso la psicologia e l’analisi introspettiva.
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La salute mentale è diventata una priorità. Alla luce della sua esperienza, cosa ne pensa?
È sicuramente una cosa positiva. Tuttavia, l’introspezione fatta da soli, senza un supporto esterno, può risultare difficile. Spesso non siamo in grado di cogliere la profondità della nostra sofferenza senza una prospettiva esterna. È importante avere uno sguardo oggettivo, che non provenga solo dal digitale o dai social, ma da una figura competente come uno psicoterapeuta. L’approccio psicologico è positivo, ma bisogna capire come le persone vengano effettivamente supportate in questo processo. Spesso, ciò che sembra una “scoperta di sé” può rivelarsi l’appropriazione di un’identità falsa, quella che la società o lo stesso terapeuta ci impongono. In realtà, lo psicoterapeuta non è una guida, ma un osservatore che aiuta il paziente a intraprendere il proprio cammino.
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Esiste un modo per arrivare alla vera conoscenza di sé?
Per arrivare alla vera conoscenza di sé, è necessaria una forte motivazione. Si tratta di un cammino che, spesso, richiede di affrontare aspetti dolorosi e difficili di noi stessi. È fondamentale avere un professionista che ci aiuti a superare questi ostacoli. Ma lo psicoterapeuta non deve essere troppo direttivo; deve essere una figura con cui “contrattare” insieme, per trovare la via migliore nel processo di autoconoscenza.
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VALERIA ROMBOLA’

Francesco Faà di Bruno, il beato torinese di via San Donato 

Le celebrazioni torinesi nel bicentenario della nascita di San Francesco Faà di Bruno, nato ad Alessandria nel 1825 e morto a Torino nel 1888 in concetto di santo, ricordano l’anima squisitamente religiosa e intellettuale che seppe armonizzare in modo splendido la scienza e la fede. La sua evoluzione morale  non aveva per meta un cielo popolato di costellazioni ma un cielo ben più elevato, denso di princìpi ricchi di unità e giustizia. Francesco concluse gli studi classici a Novi Ligure nel collegio dei Padri Somaschi e a Torino completò gli studi all’Accademia militare con il grado di luogotenente di Stato maggiore, seguendo le orme del fratello Emilio capitano di vascello. Dopo la ferita subìta nella disfatta della battaglia di Novara a fianco del giovane principe Vittorio Emanuele II di Savoia, Francesco fu promosso capitano dal re Carlo Alberto. Alla Sorbona di Parigi ottenne il dottorato in scienze matematiche e astronomia e fu nominato astronomo dell’osservatorio delle longitudini. Il suo celebre maestro e religioso Cauchy della Sorbona e l’amico Don Bosco gli trasmisero non solo l’amore per i numeri ma qualcosa di più profondo e significativo, la scienza di tutte le scienze, il loro Dio.

Rientrato a Torino, Francesco diede le dimissioni dallo Stato maggiore e ottenne per acclamazione la cattedra di matematica e fisica all’Università, insegnando analisi e geometria superiore. Con grande ardore di apostolato fondò l’Opera Pia di Santa Zita al numero 31 di Borgo San Donato, la protettrice delle domestiche nel borgo dei dannati dell’epoca, rifugio e sostegno per le categorie femminili più vulnerabili e ragazze madri con scuola per allieve maestre e lavanderia a vapore con sessanta operaie, un’opera assistenziale che i torinesi conoscono molto bene. Sul terreno acquistato dieci anni prima attivò la costruzione della chiesa di Nostra Signora del Suffragio, oggi comprensiva di istituto scolastico per l’infanzia, scuola primaria e secondaria di primo grado, centro studi di ricerca scientifica, biblioteca, teatro e museo. Suo il progetto architettonico del campanile a forma di matita attiguo alla chiesa posto su 14 piani differenti raggiungibili con 300 gradini, dotato di osservatorio astronomico all’ultimo piano e di orologi con diametro di due metri e mezzo sui quattro lati, visibile dalle lavoratrici per non essere ingannate sull’orario di lavoro.

 Dopo la nomina di sacerdote, fondò a Torino e a Benevello di Alba l’Istituto San Giuseppe per l’istruzione professionale femminile, a Torino la Congregazione Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio e ad Alessandria la Confraternita di San Vincenzo de’ Paoli. Mirabile la sua affermazione in campo scientifico, pubblicando trattati sulle teorie delle funzioni variabili complesse di alta matematica e astronomia, gettando nuova luce sulla complicata sfera di studi accessibili a pochi. Fu anche pianista, organista e musicista utilizzando i testi di Alessandro Manzoni e del fratello padre scolopio Carlo Maria per completare le  partiture musicali prodotte nella sua piccola casa editrice. Compose tre mazurche per la regina Maria Adelaide di Savoia e fu molto apprezzato da Liszt. Nella chiesa del Suffragio, Francesco ripeté l’esperimento dimostrativo sulla rotazione della terra con il metodo del parigino Léon Foucault, la teoria delle forme binarie detta formula Faà di Bruno tradotta in tedesco. Fu premiato con medaglia d’argento per l’invenzione di uno scrittoio per ciechi utilizzato dalla sorella non vedente Maria Luigia, inventò una sveglia elettrica, un barometro a mercurio, un fasiscopio che rappresentava la formazione delle fasi lunari e partecipò alle Esposizioni Universali di Londra e Parigi. Fu giornalista e scrittore di opere religiose e fondò l’almanacco morale e istruttivo “Il galantuomo”, in seguito gestito da Don Bosco.
Il sacerdote Francesco era l’ultimo dei tredici figli del marchese Luigi Faà, studioso, scrittore e sindaco di Bruno, Solero, Alessandria e di Carolina Maria Teresa Sappa dè Milanesi, nipote del poeta monferrino Alessandro marito della contessa Porzia Marianna Gozzani di San Giorgio. Nella genealogia della antica e nobile casata astigiana risalente al XVI secolo troviamo la marchesa di Mombaruzzo Camilla Faà di Bruno, la bella Ardizzina sposata  rocambolescamente con il duca di Mantova e Monferrato Ferdinando Gonzaga, antenato del principe Maurizio Gonzaga di Roma. Camilla era prozia del marchese Ferdinando II Faà di Bruno, sposato con la contessa Antonia Maria Gozzani di San Giorgio, zia di Porzia Marianna. Francesco, nipote del vescovo e principe della chiesa di Asti mons. Antonino Faà di Bruno, fu sepolto nel camposanto torinese e traslato nella sua chiesa di via San Donato nel centenario della nascita. Il geniale ed eclettico sacerdote, considerato uno dei santi sociali torinesi e patrono del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito Italiano, non si accontentò di predicare esaurendo sulle labbra il fervore umanitario ma sacrificò la dedizione della sua persona nell’attività economica e spirituale in favore del prossimo. Il processo canonico per l’elevazione agli altari iniziato nel 1928 si concluse nel 1988 con la beatificazione da parte di papa Giovanni Paolo II.
Armano Luigi Gozzano 

Volpiano ricorda papa Francesco e Mario Carletto

Il Consiglio Comunale di Volpiano, riunitosi giovedì 24 aprile 2025, si è aperto con un momento di raccoglimento in memoria di Papa Francesco, scomparso il lunedì di Pasqua, e dell’ex sindaco di Volpiano Mario Carletto. Il Sindaco Giovanni Panichelli ha ricordato Papa Francesco come “una figura che ha rappresentato qualcosa di importante per il mondo intero, ponendo sempre in primo piano l’umiltà, la giustizia sociale e la cura dei più fragili”, e Mario Carletto come “esponente di spicco della Democrazia Cristiana tra gli anni ’70 e ’90, protagonista anche in ruoli regionali”.

Tra le principali comunicazioni portate all’attenzione del Consiglio:

Aggiornamenti sul caso Pasquetta Castellar: il Sindaco ha informato del ritrovamento della bicicletta e di alcuni resti riconducibili all’anziana scomparsa nel luglio 2024.

“Le indagini sono ancora in corso – ha spiegato Panichelli – ma i ritrovamenti nell’area boschiva tra Volpiano e San Benigno non lascerebbero dubbi sulla sua identificazione. Una notizia triste per tutta la comunità, che non aveva mai smesso di sperare”.

Emergenza meteo del 16-17 aprile: il Sindaco ha ringraziato la Protezione Civile, la Polizia Locale e i cantonieri per la gestione dell’emergenza. Le criticità principali si sono registrate fuori dal centro abitato, con l’esondazione di diversi corsi d’acqua e la chiusura della SP 39 per danni strutturali.

“Danni tutto sommato circoscritti – ha commentato – grazie anche ai lavori di difesa idrogeologica realizzati negli anni e ai finanziamenti PNRR ottenuti per la messa in sicurezza del territorio”.

Modifica al regolamento della tariffa rifiuti: approvata l’introduzione del bonus sociale per la TARI, imposto dalla normativa nazionale (DPCM del 21 gennaio 2025), che comporta un prelievo forzoso di 6 euro per abitante. Il Sindaco ha evidenziato la volontà di mantenere, accanto al nuovo meccanismo, le agevolazioni storiche offerte dal Comune alle famiglie in difficoltà, assicurando il massimo sostegno nonostante i vincoli normativi. ANCI e IFEL hanno intanto avviato un confronto con il Governo per valutare il rinvio dell’applicazione della misura al 2026.

Approvazione del regolamento per le spese di rappresentanza: il Comune si è dotato di una disciplina specifica per i rimborsi delle spese di rappresentanza, finora sostenute di tasca propria dagli amministratori.

Mozione sui PC rubati alla scuola media “Dante Alighieri”: bocciata la proposta dei gruppi “Gente di Volpiano” e “Cambiamo Volpiano” di destinare immediatamente 3.000 euro (variazione n.8 al Bilancio di previsione 2025/27) alla scuola per l’acquisto di nuovi pc portatili dopo il furto che la scuola ha subito tra il 14 e 15 aprile . Il Sindaco ha spiegato che le somme, in accordo con l’Istituto Comprensivo stesso, resteranno vincolate a progetti contro bullismo e dispersione scolastica, mentre sarà ricercata un’altra modalità di sostegno, anche grazie alla mobilitazione di aziende e cittadini.

cs

“Le cose che dici, è la vita o solo un gioco?” 

Music Tales, la rubrica musicale 

“Le cose che dici,

è la vita

o solo un gioco? 
Le mie preoccupazioni si allontanano
e tu sei tutte le cose che devo
ricordare”
Un titolo iconico degli anni ’80 è “Take On Me” degli a-ha (1985).  Si tratta di uno dei brani più rappresentativi di quel decennio,  con un sound synth-pop distintivo e un videoclip innovativo  che ha lasciato il segno nella cultura pop di tutti i tempi. Gli a-ha sono un gruppo musicale synth pop norvegese, attivo dal 1982.
Sono saliti alla ribalta nel 1985 proprio con il singolo che ho scelto oggi per voi, di cui è particolarmente noto il video musicale animato diretto da Steve Barron.
Con oltre 100 milioni di dischi venduti, dopo gli svedesi ABBA, gli a-ha sono la più grande band scandinava di tutti i tempi e tra quelle di maggiore successo al mondo.
Durante il corso degli anni sono passati da synth pop band degli anni 1980 a matura pop rock band sofisticata, capace di produrre sia ballate che brani rock, e una nutrita schiera di artisti-colleghi di rango hanno citato il gruppo come band di spessore e fonte d’ispirazione.
Forse non tutti sanno che gli a-ha hanno detenuto fino al 2017 il guinness dei primati per il concerto con pubblico pagante più affollato della storia, con le 198.000 persone di Rio de Janeiro del gennaio 1991e detengono tuttora quello della nota più a lungo tenuta dal vivo in una hit pop-rock, i 20:02 secondi di Morten Harket in Summer Moved On.
 Nel 2012 sono stati insigniti della carica di Cavalieri con il conferimento della Croce di Sant’Olav, la più alta onorificenza della Corona norvegese.
L’avreste mai detto?
“Un addio accade così. Lo sguardo vago, i gesti lenti, una morsa alla gola.
E l’aria di chi non prova più interesse.”
CHIARA DE CARLO

 

Buon ascolto

 

https://www.youtube.com/watch?v=-iKeUC5_Wyw

 

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Sabato 03 maggio 2025 ore 22.oo al Fame Club Live Show di Corso Umbria 36 a Torino potrete rivivere l’emozione degli anni ’80 con gli 80 O’CLOCK in concerto.

INFO & PRENOTAZIONI AL 3382561644

Vi invito inoltre a seguire le pagine ed I link sottostanti per far parte di una comunità che vuole cambiare il mondo radicalmente.

Che vuole più educazione al rispetto per le donne e lo fa con uno spettacolo chiamato “Respect” che, a breve, sarà nelle vostre pcittà italiane.

Uno spettacolo intenso interamente cantato da uomini affinchè sia la voce maschile ad esortare al rispetto per le donne.

Oltre 30 artisti tra cantanti musicisti ballerini e performer, al lavoro per offrire un’esperienza immersiva che trasmette un grande senso di appartenenza e gruppo.

In aiuto ed un sostegno concreto a chi, dall’inferno della violenza, è già passato ed è riuscito a fuggire.

Vuoi far parte della rivoluzione?

Seguici e prenota il tuo biglietto sarai una goccia importante in un mare di speranza

Prossime date 13 Settembre 2025 Bologna

25 novembre 2025 Livorno

https://www.instagram.com/respect_lo_spettacolo?igsh=MTU2dTY0M3kwMnJu&utm_source=qr

TikTok – Make Your Day

Motociclista finisce in un fosso e muore

Un motociclista ha perso il controllo della sua moto Bmw ed è morto schiantandosi in un fosso alla periferia di Fubine, nell’Alessandrino. La vittima è un 41enne residente a Vignale Monferrato e originario del Messinese.

Auto in fiamme, palazzo evacuato

Alcune auto parcheggiate a Torino in via Sineo sono andate a fuoco rendendo necessaria l’evacuazione di un palazzo e il soccorso per una persona, che è stata ricoverata in ospedale. L’intervento dei vigili del fuoco ha consentito di spegnere le fiamme.

“Comuni aperti” per la Liberazione

NICCO: “I SINDACI SONO VERE SENTINELLE DELLA NOSTRA LIBERTÀ”

Si è concluso oggi a Montaldo Torinese il percorso istituzionale che il Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Davide Nicco, ha iniziato il 25 aprile per celebrare l’80° anniversario della Liberazione: a Trana, a Pancalieri con Lombriasco, Osasio, Virle, a Vigone.

“L’iniziativa di aprire i Municipi – spiega Nicco – voluta insieme alla Regione Piemonte e al Comitato Resistenza e Costituzione, ha voluto rendere omaggio ai sindaci e agli amministratori locali piemontesi che, dal dopoguerra, hanno saputo custodire la memoria del sacrificio della ‘Liberazione’ e garantire la continuità democratica in ogni comunità. Vere sentinelle della nostra libertà. Grazie a tutti i Comuni che hanno raccolto il nostro invito”.

Stamane a Montaldo Torinese, insieme al sindaco Sergio Gaiotti, sono state anche consegnate le copie della Costituzione italiana ai giovani neo maggiorenni.

“La consegna della Costituzione ai giovani cittadini – sottolinea Nicco – rappresenta un atto di fiducia e di responsabilità. La Costituzione è la carta fondamentale della nostra Repubblica: è il presidio dei diritti e dei doveri che garantiscono la libertà e la democrazia in ogni paese, nella vita quotidiana delle istituzioni e dei cittadini”.

“Conservare e rinnovare questo patrimonio è il modo più autentico di onorare la memoria di chi, ottant’anni fa, ha lottato per la nostra libertà”, conclude il presidente Nicco.

Expo 1911, sette milioni di visitatori a Torino

Fu il Falstaff di Verdi ad inaugurare a Torino, la sera del 29 aprile, l’Esposizione Internazionale dell’industria e del lavoro alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Una serata trionfale per festeggiare il cinquantenario dell’Unità d’Italia e dare il via all’Expo voluto per esaltare il percorso economico e sociale compiuto dal Regno dal 1861 in avanti. Un “Ponte monumentale” che dal Borgo medioevale univa le due sponde del Po accolse quel giorno il Re d’Italia. Era il 29 aprile 1911, Vittorio Emanuele III venne a Torino per aprire solennemente la grande Kermesse. Un giorno speciale per l’ex capitale d’Italia, da protagonista nel mondo, e per il Regno, seppure in un contesto di importanti e preoccupanti eventi come la guerra coloniale italo-turca avviata da Giolitti nel settembre di quell’anno. Torino si vestì a festa mentre dal Teatro Regio le potenti note di Arturo Toscanini risuonavano in tutta la città evocando immagini di grandezza. Torino mostrò che era pronta per diventare la capitale dell’industria e del lavoro. Fu creato un immenso spazio espositivo che si allargava dal Parco del Valentino alla zona del Pilonetto, lungo il fiume, dove era disponibile per i visitatori un servizio di battelli. Qui fu allestito il famoso Expo 1911 organizzato per celebrare il progresso raggiunto nella tecnica, nella tecnologia e nel settore manifatturiero.
Il cuore di Torino si trasformò in un enorme cantiere di edifici costruiti in legno e gesso, da conservare soltanto per la durata della manifestazione. Solo il Palazzo dei Giornali fu eretto in cemento e muratura. Sui ponteggi, per la realizzazione delle strutture, furono impiegati oltre 3500 operai. Enormi padiglioni occuparono una superficie di circa 350.000 metri quadrati. Si susseguirono cerimonie imponenti alla presenza di centinaia di rappresentanti degli Stati ospiti che sarebbe troppo lungo ricordare, provenienti da tutto il mondo, dall’Europa all’America Latina, dalla Turchia al Marocco, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Persia alla Cina, alcuni dei quali presentavano al pubblico un proprio padiglione mentre altri inviavano i loro prodotti esposti in appositi stand. Alla fine della manifestazione, il 19 novembre, si contarono più di 7 milioni di visitatori in una città che nel 1911 aveva 415.000 abitanti. L’attrazione maggiore, il pezzo forte dell’Expo, fu sicuramente il Ponte monumentale sul fiume, realizzato all’altezza di via Valperga Caluso con 5 arcate e una serie di statue decorative sui colonnati. Eretto in legno e stucco, era lungo 106 metri e largo 25 e furono tre gli architetti che lo progettarono, il torinese Pietro Fenoglio, Stefano Molli di Borgomanero e Giacomo Salvadori di Wiesenhoff.
L’esposizione era vastissima: presso il ponte Umberto I si trovavano, solo per citare alcuni edifici, il palazzo della moda, i padiglioni dell’arte, della città di Parigi, della regia marina, delle poste, degli strumenti musicali, l’acquario, il palazzo delle feste, ristoranti internazionali, l’agricoltura francese. Attraversando il Po, su ponti provvisori, si incontravano, sull’altra sponda, tanti altri padiglioni, tra i quali l’aeronautica, le industrie estrattive, chimiche e manifatturiere, l’industria della seta, gli italiani all’estero e decine di stand, settori e reparti allestiti dai Paesi stranieri. Non mancavano edicole e chioschi che caldeggiavano case produttrici come la Fiat, Liebig, Cinzano, Martini e Rossi, Evian e l’Istituto geografico De Agostini. Mostre, concorsi, feste, balli, congressi, gare sportive e i concerti dell’orchestra del Regio, alcuni dei quali diretti da Arturo Toscanini, arricchirono quel grande mondo strabiliante e anche un po’ effimero che fu l’Expo di Torino del 1911.
Filippo Re

Donna armata di coltello tenta di uccidere medico ritenuto responsabile della morte del compagno

Nel tarda serata di sabato, alcuni passanti hanno notato una donna armata di coltello entrare nel pronto soccorso dell’ospedale di Chieri, con l’intento di uccidere un medico che riteneva responsabile della morte del suo compagno, deceduto poche ore prima. L’intervento dei carabinieri, che hanno arrestato la donna,  è stato particolarmente concitato: la donna, pur non conoscendo il nome del medico, lo aveva individuato e continuava a urlare la sua volontà di aggredirlo, prima di essere immobilizzata.