
Note a margine della visita a Torino dell’Ad di Stellantis che contesta le (presunte) fake news, avverte il governo e aspetta le elezioni, poi si vedrà. E combatte i cinesi che “non vedrete qui e per una notizia buona o cattiva vi faranno una telefonata”. Dice in inglese il manager portoghese
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Saranno garantiti i servizi essenziali e saranno assicurate le prestazioni indispensabili
a tutela della sicurezza
5 Aprile 2024 – Nella giornata di Giovedí 11 Aprile, in occasione dello sciopero generale
di 4 ore indetto dalle segreterie nazionali di alcune delle principali organizzazioni
sindacali dei lavoratori di tutti i settori pubblici e privati, i servizi legati alla raccolta
rifiuti e ai Centri di Raccolta potrebbero subire sospensioni o riduzioni. Per gli altri
servizi potrebbero verificarsi rallentamenti ai Call Center e agli sportelli clienti.
Nelle ore di sciopero saranno comunque garantiti i servizi essenziali e saranno
assicurate le prestazioni indispensabili a tutela della sicurezza, nel rispetto degli accordi
applicativi della Legge 146/90, così come modificata dalla Legge n. 83/2000 e
successive deliberazioni della Commissione di Garanzia che regolamentano l’esercizio
del diritto di sciopero.
Le attività riprenderanno regolarmente al termine delle 4 ore di sciopero con l’adozione
di tutte le misure organizzative necessarie a ripristinare la regolarità dei servizi
L’ad di Stellantis Carlo Tavares ha smentito una “fuga” del gruppo dal suolo italiano. Però, ha detto che “La concorrenza cinese potrebbe far chiudere dei siti”. Sono le sue dichiarazioni a margine dell’inaugurazione a Torino del nuovo eDCT Assembly Plant, all’interno del progetto Mirafiori Automotive Park 2030. E ha aggiunto: ” qui ci sentiamo a casa. Siamo i leader di questo mercato con più del 34% di quota. Non abbiamo alcuna intenzione di andarcene, stiamo investendo pesantemente, abbiamo progetti, idee per tenere fede ai nostri impegni. Le fake news aprono la finestra per fare entrare i cinesi, ma noi abbiamo intenzione di rafforzare la nostra leadership nel Paese”. Un messaggio al Governo: “Siamo in grado di tenere testa ai competitor cinesi, se qualcuno li vuole introdurre sarà responsabile delle decisioni impopolari che dovranno essere prese”. Un monito rispetto all’intenzione, da parte del ministro dell’Industria Adolfo Urso, di far arrivare in Italia un secondo produttore, cinese sembrerebbe.
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
L’idea di dedicare un francobollo a Silvio Berlusconi ad un anno dalla morte fa discutere anche in modo sguaiato. Sono molti quelli che dissentono e vorrebbero che addirittura il presidente della Repubblica intervenisse a impedire l’emissione filatelica. C’è addirittura chi parla di una proposta indecente. La faziosità resiste al tempo, anche se un anno, specie se si tratta di un anno elettorale, è nulla rispetto alla storia. Di norma i francobolli sono destinati a ricordare figure del passato. Non a caso insieme al francobollo per Berlusconi escono quelli per Matteotti, Marinetti, San Tommaso e Tatarella. Un’ insalata russa presentata come una forma di pluralismo. È evidente che il francobollo per Tatarella un personaggio di dubbio significato politico, malgrado la svolta di Fiuggi del MSI, appare forzato. Avrebbe avuto più senso un francobollo per Giorgio Almirante che sarebbe stato divisivo, ma non senza un qualche significato storico: la storia non è solo quella che ci piace, come vorrebbero alcuni. I nomi scelti nel loro complesso evidenziano che a un contemporaneo morto un anno fa non possono essere neppure accostati, per nessun motivo, almeno tre degli altri personaggi suddetti. Matteotti in particolare si discosta da tutti, per non dire di San Tommaso. A 80 dalla morte eroica avrei visto bene un francobollo per il generale medaglia d’oro al V.M. Giuseppe Perotti, caduto al Martinetto con 7 altri membri del Comitato militare del CLN o, sul versante opposto, un francobollo dedicato a Giovanni Gentile ammazzato nel 1944 da gappisti comunisti che gli tesero un agguato sulla porta di casa. Un francobollo implica quello che Omodeo definiva “il senso della storia” . Un francobollo per Berlusconi non suscita nessuna ripulsa etica come alcuni faziosi sostengono ed appare stupida la richiesta di intervento del presidente Mattarella. La figura di Berlusconi a cui furono concessi – non dimentichiamolo – i funerali di Stato e il lutto nazionale, è oggi consegnata alla storia che ha bisogno di distacco critico per esprimere un giudizio. Per Napoleone Manzoni scrisse che l’ardua sentenza era affidata ai posteri. A maggior ragione per un personaggio fuori misura come Berlusconi, che è più che mai, anche morto, nel pieno della ribalta politica anche oggi, occorre quella che Guicciardini chiamava la “discrezione”. Non credo però che l’entusiasta del francobollo senatrice Ronzulli abbia mai letto Guicciardini e tanto altro. Per un uomo come Berlusconi un francobollo voluto da un governo amico ad un anno appena dalla sua morte, appare poco o nulla. Stiano sereni gli anti berlusconiani che si indignano per così poco. La vera gloria la stabilirà un giudice molto più importante e credibile: il tempo.
Il “Novecento” alla Galleria Aversa, sino all’11 maggio
La Galleria Aversa allarga i propri spazi e con gli spazi i propri confini. Con la mostra “Il Novecento, dal Figurativo all’Informale” (nei locali posti nel cortile aulico del Palazzo Luserna di Rorà di via Cavour 13, sino al 11 maggio prossimo) non rinuncia certo a quell’Ottocento cui da sempre ci ha abituato ma amplia i suoi interessi al secolo successivo, un lungo quanto prolifico periodo dell’arte italiana giù giù quasi sino ai giorni nostri, un terreno fertile di proposte e di esperienze pittoriche, un percorso che ha visto l’affermazione di varie correnti, dal Liberty al Divisionismo sino all’Informale. Un’esposizione che deve gran parte della sua ricchezza al lascito della collezione dello storico e critico d’arte Marco Rosci, collaboratore per venticinque anni de La Stampa, curatore di mostre d’arte moderna e contemporanea, autore di importanti testi e professore universitario, scomparso pressoché novantenne a Novara nel 2017.
Roberto e Jacopo Aversa hanno raccolto oltre trenta artisti, con grande ricchezza di tecniche e di formati, di volti e di paesaggi, di classicità e di sperimentazioni, da Nino Aimone a Bruno Cassinari, da Felice Casorati a Salvatore Fiume a Dario Fo, da Pinot Gallizio a Nedda Guidi a Ugo Nespolo, da Alessandro Lupo a Francesco Messina a Enrico Paulucci, da Carol Rama a Piero Ruggeri a Luigi Spazzapan, da Andrea Tavernier a Felice Vellan a Cesare Maggi. In un itinerario che potrebbe partire dalla “Preghiera” di Cesare Ferro, posta nella prima sala, un abito scuro, la espressività raccolta e indagatrice quasi di due occhi in un viso di donna, due mani giunti che dimostrazione la leggerezza ma altresì la solennità del momento di raccoglimento. Ma non vanno dimenticati “I fiori della mamma”, un pastello su tela di Giovanni Battista Carpanetto, il messicano Rufino Tamayo, che fondeva le tradizioni del proprio paese con le correnti che si sviluppavano in Europa, le proposte dello svedese Bengt Lindström, con la sua pittura ispirata ai miti e alle leggende della Lapponia, nato in un piccolo villaggio del Norrland e, attraverso gli studi e la passione per la pittura, approdato a Stoccolma e quindi a Copenhagen e Chicago e Parigi, affascinato dagli affreschi di Cimabue e Giotto ad Assisi, varie mostre in giro per il mondo, da Barcellona a Tokio, da Seul a Colonia a Milano.
Come Franco Costa, uno dei più importanti autori di manifesti del secondo Novecento, formatosi tra Zurigo e Parigi e il Sud America, collaboratore dei maggiori stilisti, da Valentino a Lancetti a Dior, legato a nomi quali Fellini, Stanley Kubrick, Matisse e Picasso, nel 1980 divenuto artista ufficiale della America’s Cup; come le opere di Mirko Basaldella e di Nedda Guidi, all’interno di questo panorama novecentesco che in questa Torino di primavera sta interessando gallerie e fondazioni di prestigio.
e. rb.
Nelle immagini: con la “Preghiera” di Cesare Ferro, in esposizione alla galleria Aversa, tra gli altri, anche opere di Pinot Gallizio e Nedda Guidi.
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La Vuelta a España è inserita dall’Unione Ciclistica Internazionale nel circuito professionistico del World Tour e dura tre settimane nel periodo agosto-settembre. L’audience media in televisione, in Spagna, è pari a 1 milione e 300mila spettatori giornalieri, l’evento è seguito da circa 200 broadcast al mondo con oltre 15mila ore prodotte in tutti i Paesi, i contatti sui social media sono quasi 13 milioni con oltre 2 milioni di follower e il sito internet della Vuelta registra oltre 18 milioni di contatti annui.
Per l’Italia questa sarebbe la prima volta della competizione iberica sulle sue strade e andrebbe ad aggiungersi alle altre gare del pantheon ciclistico ospitate negli ultimi anni dal Piemonte (due Grandi partenze del Giro d’Italia, la Grand Depart del Tour de France).
“Ospitare la La Vuelta sarebbe la consacrazione di un lavoro meticoloso che abbiamo portato avanti in questi anni, un lavoro che ha fatto diventare la nostra regione la capitale internazionale del grande ciclismo – affermano il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e l’assessore regionale allo Sport Fabrizio Ricca -. Dal Giro D’Italia al Tour de France, arrivando ora alla massima gara spagnola, le nostre strade sono percorse ogni anno dai più grandi atleti di questa disciplina e finiscono sulle televisioni di tutti gli appassionati di ciclismo del mondo. Quindi non stiamo parlando solo di sport ma anche di turismo, di crescita economica e di presentare il Piemonte all’estero come il luogo in cui andare”.
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