redazione il torinese

Il Ponte del diavolo

5 /  Questa è una storia di scelte, quale versione fare propria? Il detto dice: “vedere per credere” e io aggiungo “e per decidere”. È domenica ed è un bel giorno per un pick-nick all’aria aperta, prendo la macchina, raccolgo gli amici fidati, compagni di avventura e mi avvio verso le Valli di Lanzo

Qui si trova un ponte, detto Ponte del Diavolo, è fatto di grossi ciottoli di pietra, il suo arco è a tutto sesto, gli passa sotto l’acqua fredda e tumultuosa della Stura, la sua presenza scenografica si staglia nel panorama della valle, ma il fascino della costruzione risiede nel mistero della sua edificazione. Il luogo è decisamente turistico, per trovarlo è sufficiente seguire i cartelli stradali.Quando arriviamo è proprio ora di pranzo, spinti un po’ dalla fame e un po’ dalla curiosità, scendiamo dalla macchina velocemente ed imbuchiamo a piedi il sentiero che dalla strada ci conduce al ponte. Rimaniamo un attimo straniti dal bizzarro ritrovamento che facciamo immediatamente: sotto il cartello turistico di spiegazione della storia del sito troviamo un gruppo di ossa di mucca, dalla disposizione sembrano state lanciate a casaccio, come dadi durante un gioco da tavola. Stupiti, continuiamo il nostro percorso. In lontananza si sente già il fragore del fiume, l’erba si muove sinuosa sotto le carezze ruffiane del vento. Dopo poco tempo troviamo un tavolino con panche di pietra posto vicino alla strapiombo della collina: addento il panino più panoramico che abbia mai mangiato. Finito il pranzo ci rimettiamo in marcia, seguiamo il frastuono dell’acqua che aumenta, oltrepassiamo una piccola chiesetta, chiusa ed abbandonata, fatta di pietroni e cemento; al suo interno si intravvede un affresco, imprigionato dietro delle grosse sbarre che impediscono l’accesso ai visitatori, e a lui di essere restaurato. Il sentiero aumenta l’inclinazione e per poco non inciampo sui miei stessi passi, distratta dal guardarmi attorno; mi ricompongo e finalmente vedo il ponte per cui abbiamo fatto tanta strada.

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Da quell’angolazione ricorda l’illustrazione di un vecchio sussidiario, un acquerello antico, dai colori che fanno fatica a mantenersi vividi. Secondo la versione ufficiale fu edificato nel 1378, con il consenso del vice castellano di Lanzo, Aresmino Provana da Leynì, collaboratore di Amedeo VI di Savoia, conosciuto come il Conte Verde. La spesa per costruirlo fu ingente, tanto che per sostenere i costi venne imposta una tassa sul vino per dieci anni. Il ponte metteva in collegamento Lanzo e Torino, e permetteva di non passare attraverso territori all’epoca ostili, come Balangero, Mathi o Villanova, località governate dai principi d’Acaja, e nemmeno da Corio, in cui vigeva la giurisdizione dei marchesi del Monferrato. Nel 1564 venne ordinata, da parte del Consiglio di Credenza di Lanzo, la costruzione di una porta sul ponte, per controllare il passaggio dei forestieri, possibili portatori di peste, morbo che si era diffuso in quel periodo ad Avigliana e nelle zone limitrofe. Lo scorcio che sto guardando è davvero suggestivo, non a caso una ricerca condotta da “La Repubblica” colloca il ponte del Diavolo tra i trenta più belli d’Italia. I raggi del sole cadono a picco nell’acqua, il grigio cangiante dei ciottoli levigati lungo la riva risplende sotto il calpestio dei nostri passi, gli unici altri colori sono il marrone del terriccio e il verde degli alti e magri fili d’erba. Giochiamo a guardarci attorno, ci arrampichiamo per lo stretto sentiero che ci porta attraverso i roccioni limitrofi, quasi interamente ricoperti di lichene, di qui ci affacciamo a guardare le “Marmitte dei Giganti”, allunghiamo in giù il collo, come fanno i gatti quando stanno per fare un salto molto alto.

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In questo punto il rumore del fiume è assordante, gorgoglia come un mostro marino; osservo l’acqua che turbina nei mulinelli, posso assaporare la forza della corrente che risucchia verso il basso; mi piace il colore del fiume, un azzurro opaco striato di increspature bianche. Percorriamo il ponte più volte, dalle due estremità si vede solo fino a metà tragitto, fino al punto in cui la curva dell’arco precipita. Secondo alcune leggende le anime dei morti iniziavano il proprio percorso nell’aldilà a partire da quel punto preciso, si incamminavano incerte e fino a che non arrivavano a metà strada non sapevano se sarebbero finite all’Inferno o in Paradiso. Dal punto più alto del ponte mi fermo a guardare la valle, sezionata a metà dalla Stura, i fianchi delle colline profumano di alberi ombrosi, di lì, il resto del mondo sembra tanto distante. Per vari motivi, -l’ampiezza della struttura, la forma dell’arco che doveva sostenere la costruzione, la gittata nella sua totalità-, la realizzazione del ponte fu molto difficoltosa, tanto che esso crollò due volte e la soluzione a tali problemi non veniva trovata. Fu il Diavolo ad intervenire. Egli promise che avrebbe costruito il ponte nel trascorrere della notte in cambio dell’anima del primo che lo avrebbe oltrepassato; alle prime luci del mattino il collegamento tra le due sponde era stato eretto e per non venir meno ai patti, il capomastro, decise di far oltrepassare il ponte ad un ignaro cagnolino. Il Diavolo si infuriò per essere stato ingannato, sbatté forte le sue zampe nel terreno e formò le ora caratteristiche “Marmitte dei Giganti”. Il sole sta calando e anche il fragore del fiume pare tranquillizzarsi, la giornata sta per volgere al termine ed è ora di andare via. Penso all’ingenua bellezza delle storie antiche, penso che mi piacciono sempre e che vorrei conoscerle tutte. Penso a chissà quanti altri luoghi che ho visitato hanno in sé storie che non conosco. Penso che un po’ di fantasia non può far male e scelgo di credere alla seconda versione di questa storia.Penso che, se il detto ha ragione, probabilmente a sovrintendere i lavori, sarà stata una donna.

 

Alessia Cagnotto

 

Ecco i finalisti del Premio Bottari Lattes Grinzane

Saranno annunciati sabato 14 aprile i titoli dei cinque romanzi finalisti dell’ottava edizione del “Premio Bottari Lattes Grinzane” per la sezione “Il Germoglio”, il riconoscimento internazionale che fa concorrere insieme autori italiani e stranieri ed è dedicato ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno.


La cerimonia di designazione, aperta al pubblico e a ingresso gratuito, è in programma alle ore 10.30 nella sede della Fondazione CRC (Spazio Incontri Cassa di Risparmio, via Roma 15, Cuneo), ente che collabora e sostiene il Premio per il triennio 2017-2019. La giornalista Chiara Pottini condurrà la cerimonia, che vedrà in prima fila gli studenti delle scuole piemontesi facenti parte delle Giurie Scolastiche: Liceo Classico e Linguistico Statale “Carlo Alberto” di Novara; Istituto di Istruzione Superiore “Primo Levi” di Torino; Liceo Classico Statale “G. F. Porporato” di Pinerolo; Liceo Linguistico e delle Scienze Umane “Leonardo da Vinci” di Alba.  Ospite d’onore Paolo Verri, direttore del progetto Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, i cinque romanzi finalisti saranno annunciati dai componenti della Giuria Tecnica, che si riuniranno il giorno prima per la valutazione finale: il presidente Gian Luigi Beccaria (linguista, critico letterario e saggista), Valter Boggione (docente), Vittorio Coletti (linguista e consigliere dell’Accademia della Crusca), Rosario Esposito La Rossa (libraio a Scampia), Giulio Ferroni (critico letterario e studioso della letteratura italiana), Laura Pariani (scrittrice), Sandra Petrignani (scrittrice e giornalista), Enzo Restagno (critico e musicologo), AlbertoSinigaglia (giornalista e presidente Ordine dei Giornalisti Piemonte), Marco Vallora (critico d’arte). I cinque titoli saranno resi noti in tempo reale sull’account Twitter @BottariLattes e sulla pagina Facebook della Fondazione Bottari Lattes.

La parola passerà quindi ai giovani: tra aprile e giugno 2018 i cinque libri saranno letti e discussi dai 400 studenti delle 25 Giurie Scolastiche. Ventiquattro giurie sono state scelte in modo da coprire tutto il territorio italiano: quattro in Piemonte e una per ciascuna delle altre regioni d’Italia. A queste si aggiunge la giuria di Atene, presso la Scuola Italiana Statale.Sabato 20 ottobre, al Castello di Grinzane Cavour, gli studenti esprimeranno in diretta il loro voto per proclamare il vincitore nel corso della cerimonia di premiazione. I cinque finalisti riceveranno un premio in denaro di 2.500 euro ciascuno. Al vincitore andrà un ulteriore premio di 2.500 euro. Negli anni precedenti i vincitori sono stati: Laurent Mauvignier (Francia) nel 2017; Joachim Meyerhoff (Austria) nel 2016; Morten Brask (Danimarca) nel 2015; Andrew Sean Greer (USA) nel 2014; Melania Mazzucco nel 2013; Romana Petri nel 2012; Colum McCann (Irlanda) nel 2011.

L’altra sezione del Premio Bottari Lattes Grinzane è “La Quercia”, dedicata a Mario Lattes (editore, pittore, scrittore, scomparso nel 2001): segnala un autore internazionale che, nel corso del tempo, si sia dimostrato meritevole di un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Il vincitore sarà scelto a insindacabile giudizio della Giuria Tecnica.
Venerdì 19 ottobre, giorno precedente la cerimonia di premiazione, l’autore terrà una lectio magistralis su un tema letterario a propria scelta. Le precedenti edizioni della Quercia sono state vinte da: Ian McEwan (2017), Amos Oz (2016), Javier Marías (2015), Martin Amis (2014), Alberto Arbasino (2013), Patrick Modiano (2012), Premio Nobel 2014, Enrique Vila-Matas (2011). Il vincitore della sezione “La Quercia” otterrà un premio di 10.000 euro.

Il “Premio Bottari Lattes Grinzane” è organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes, con il sostegno di: Mibact, Regione Piemonte, Fondazione CRC (main sponsor per il triennio 2017-2019), Matera 2019, Banca d’Alba, Città di Cuneo, Comune di Alba, Comune di Grinzane Cavour, Comune di Monforte d’Alba, Cantina Giacomo Conterno, Cantina Terre del Barolo, Enoteca Regionale Piemontese Cavour, Banor, Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, Antico Borgo Monchiero.

Info al pubblico:
Tel. 0173.789282 – eventi@fondazionebottarilattes.it
WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes
                                                                            g.m.

Arrestati in otto: la gang dei rapinatori con lo spray scatenò piazza San Carlo

Sono otto i ragazzi  arrestati con l’accusa di avere provocato il panico in piazza San Carlo il 3 giugno 2017, la maledetta sera della proiezione sul maxischermo della finale di Champions. Si tratta di una banda che voleva rapinare la gente spruzzando  spray urticante e che avrebbe commesso altre rapine simili in grandi raduni pubblici. Alcuni di loro sarebbero extracomunitari e sono stati individuati grazie alle intercettazioni telefoniche relative a un’altra indagine, mentre parlavano  di una collanina preziosa rubata in piazza. Intanto a giugno, nel primo anniversario del dramma, la famiglia di Erica Pioletti, la donna morta dopo i traumi riportati in piazza San Carlo, sarà a Torino per la posa di una targa in sua memoria.

Raccolta benefica di prodotti per l’igiene dei neonati

L’Associazione Ulaop Onlus di Fondazione CRT promuove una raccolta benefica di prodotti per l’igiene dei neonati e dei bambini domani, sabato 14 aprile, presso la Coop del Centro Commerciale Piazza Paradiso di Collegno. I prodotti raccolti – in particolare, creme per neonati, bagnoschiuma, shampoo e latte detergente per bimbi, pannolini e salviette per il cambio – saranno donati alle famiglie torinesi in difficoltà attraverso la rete di associazioni aderenti al progetto Banco del Sorriso. Laboratori ludici gratuiti per i bambini verranno organizzati durante la giornata di domani, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 16.30. 

 

“Domani sarà l’occasione per fare un ‘regalo’ alle famiglie torinesi in difficoltà – ha affermato la Presidente dell’Associazione Ulaop, Cristina Giovando –. Tutti i bambini sono invitati a partecipare con i loro genitori ai laboratori gratuiti, per vivere tutti insieme una bella giornata di allegria e condivisione”. 

 

La raccolta di vestiti, pannolini, prodotti per l’igiene e altri materiali, nuovi e usati, da donare ai piccoli dai 0 ai 6 anni è attiva tutto l’anno presso la sede dell’Associazione Ulaop in via San Marino 10 a Torino, e chiunque lo desideri può contribuirvi. 

 

www.associazioneulaop.it

TRA SOGNO E REALTA’

Immagini tra sogno e realtà. Il titolo della mostra inquadra perfettamente il carattere dell’arte della pittrice Tiziana Inversi, protagonista di una personale che si inaugura sabato 14 aprile alle 18 a Pianezza presso la sede prestigiosa di Villa Casalegno, in via al Borgo 2. L’esposizione sarà introdotta dal critico Giuseppe Nasillo ed arricchita dalle letture del poeta Ivan Fassio. Tiziana Inversi, nella vita oltre che artista anche stimato medico anestesista presso la Città della Salute di Torino, da anni si è imposta all’attenzione della critica riscuotendo consensi che l’hanno portata ad ottenere riconoscimenti significativi, quali il primo premio nell’edizione del 2016 al concorso artistico Il centenario e, nell’edizione 2017, il primo premio del Degas. Dal 2015 è socia della Società torinese Promotrice di Belle Arti e dal 2017 del Circolo degli Artisti di Torino. La pittrice, che ha all’attivo anche mostre a Barcellona, indaga con una sensibilità rara l’umanità ed i suoi rapporti; se la medicina si può in effetti considerare un’arte e l’arte una preziosa medicina dell’anima, Tiziana Inversi incarna perfettamente la sintesi tra queste due discipline, apparentemente lontane tra loro. Non a caso diverse sue opere si interrogano sulla natura dell’uomo, del mistero del parto e di quello dell’umanità stessa. Appassionata di pittura sin dall’età più giovane, l’artista ha avuto la possibilità di coltivare l’arte anche durante gli impegnativi studi di medicina e di beneficiare dei preziosi insegnamenti del maestro Marco Seveso a Torino. Nel 2015, anno in cui è diventata socia della Promotrice delle Belle Arti, ha partecipato alla 13esima Esposizione alla Promotrice con l’opera dal titolo ” Liberi al galoppo”, che ha ricevuto anche diverse menzioni, tra cui quella su Piemonte Arte.

 

Mara Martellotta

Il vero campione, Valerio Mazzola

E’ un momento in cui chi grida di più di solito si afferma come qualcuno di alta importanza, dove chi si inalbera un giorno di una cosa, dimentica quanto aveva detto tempo prima contraddicendo sé stesso e dove chi non sa più perdere attacca per non accettare una sconfitta giusta o immeritata che sia. E invece, nascosto nell’ombra dell’eleganza, nei fotogrammi che vedrete in questo articolo, vedete un vero campione, umile ma nobile, meno noto ma reale compiere un gesto inaspettato quanto unico in un campo di gioco. Siamo in un momento concitato della partita di domenica scorsa tra FIAT TORINO e Milano di serie A di Pallacanestro. Dopo un’azione confusa il pivot avversario cade a terra (senza fallo e senza colpi né situazioni di pericolo) e Valerio Mazzola (ala-pivot di Torino) invece di correre verso l’area avversaria per avvantaggiarsi della situazione, si ferma e solleva l’avversario prima di tornare a giocare con i suoi compagni. Molti diranno “scemo, perché non ne hai approfittato” e varietà di questo genere di improperi. Ma il campione va oltre il momento, ha il cuore nella testa e non approfitta dell’avversario caduto, e l’istinto dell’uomo gentile e nobile non calpesta tutto in nome di una vittoria. E l’educazione morale è qualcosa che supera il risultato e va oltre quello che la gente pensa. L’animo nobile non si guadagna con i soldi, il rispetto non lo si compra urlando, e il prestigio non nasce grazie a degli improperi. Ma sono i piccoli gesti, quelli che nessuno ormai più considera a fare la differenza: quel silenzio assordante del gesto buono che nasce dall’istinto e da una educazione che ormai sembra di altri tempi. E tutto questo non ha un eco, non rimbomba e non rimbalza, ma vale più di una vittoria. E se tutti insieme, invece solo di inveire, lottassimo nella vita quotidiana come Valerio accettando gli avversari e aiutandoli se necessario, forse faremmo tutti un salto di qualità. Io stesso come tifoso ho quasi inveito contro un gesto di insana generosità: e poi ci ho ripensato. E’ grazie a gesti come questi che lo sport non è ancora morto, a persone come Valerio Mazzola che al primo posto hanno l’educazione e una morale. Ruvide gomitate e lotta allo sfinimento: ma insulti e scorrettezze no, non fanno per chi vuole pensare che lo sport sia scuola di vita oltre che macchina da soldi per pochi. Grazie Valerio Mazzola, grazie della lezione: un applauso dal cuore di tutti i tifosi dello sport del basket e non solo.

Paolo Michieletto

Eccellente riscrittura di Marco Isidori alle prese con “Lear” (con divertimento)

Don Giovanni al Carignano, Lear, schiavo d’amore sul palcoscenico del Gobetti (fino al 15 aprile), due occasioni per rivedere i grandi titoli, per ricercarli con gli occhi di oggi, ripensarli attraverso le ragioni della nostra quotidianità. Il vecchio re arriva, nella drammaturgia ormai senza confini dei Marcido – su che cosa non hanno giocato, quale fonte o quale genere, quale sentiero teatrale non hanno percorso per infonderci quella colorata “maraviglia” cui da circa trent’anni danno la caccia, riuscendo sempre ad agguantarla per regalarcela tutta? -, ristretta qui forzatamente al territorio shakespeariano, dopo Macbeth e Amleto: e si vede immediatamente messa allo scoperto l’ulcera tragicomica della divisione di un intero regno alle tre figlie, a Gonerilla e Regana che accompagnano l’offerta con parole di riconoscente amore che dovrebbero alla sua mente suonare strane e insincere mentre ripudia l’affetto pieno di verità e senza limiti di Cordelia, che niente porta alle stelle, china soltanto di fronte all’affetto della parola padre. Con l’immagine di un uomo racchiuso come un prigioniero in quella stessa tela che lui ha ordito, ha inizio per 90’ un gioco di sottrazione, la riscrittura di Marco Isidori (da sempre alla guida orgogliosa e vulcanica di un gruppo compatto al cui interno stanno affluendo visi nuovi), prosciugata al di là delle tante ramificazioni del dramma nel bisogno d’amore di un vecchio padre, che cerca un posto nel cuore dei figli e se lo vede cancellare, come pure sinonimo di sconfitta e di morte. Il tutto cerca verità – e la trova, c’è da scommetterci, con l’abituale coerenza dell’intero gruppo – nell’apparato scenico approntato per l’occasione da Daniela Dal Cin, che condivide spiritosamente il castello di Lear con le sue torri bene in vista e la tolda di una grande nave, un fumettistico – diremmo noi – “sottomarino volante” lo definisce Isidori, con i suoi ponti e le passerelle che si faranno passaggi nelle lande sconfinate, schiacciate, sbrindellate (se i mondi non fossero diametralmente opposti, quella fatica nell’avanzare mi ricordava la difficoltà del Carraro strehleriano a porsi decenni fa al centro della scena per l’annuncio di partenza), le botole seminascoste e i boccaporti, le bandierine colorate, un rimando al musical hollywoodiano tra i più sfavillosi. A Dal Cin si devono pure i costumi, un piccolo capolavoro di inventiva e di divertimento, basterebbero quei rossi quanto divertenti corpetti con le grosse tette nere messi addosso alle due sorellastre. Quel che soprattutto colpisce nello spettacolo dei Marcido è la vocalità, i risultati sfaccettati sulle voci, l’uso perfetto dei mutamenti e dei toni, la coloritura, le alternanze, gli intercalare e i coretti, gli effetti incredibili che s’intrufolano nell’area buffonesca come nel dramma, negli assolo come nella polifonia. Spettacolo eccellente (vi concorrono anche le luci di Francesco Dell’Elba), godibilissimo, costruito dall’”umanità” di tutti quanti, dalla volontà di divertire con una continua ricerca che non abdica mai alla propria intelligenza e alle strade già percorse. Citiamoli tutti, Maria Luisa Abate che è Gonerilla crudele e Gloucester cieco e affranto, Batty La Val, Francesca Rolli, Paolo Oricco che si divide tra Edgardo e Edmondo con una sicurezza davvero lodevole, Vittorio Berger, Eduardo Botto e Nevena Vujič. A dare la carica a tutto c’è Isidori, incrollabile: e poi, perfetto costruttore di spettacoli, basterebbe vederlo a lato della scena a ricordarci tre o quattro canzoni dei nostri anni Sessanta, per gridare subito alla simpatia.

 

Elio Rabbione

 

Le foto dello spettacolo sono di Giorgio Sottile

Saint- Eustache, chiesa “magnifica e trascurata” nel ventre di Parigi

Lungo il viale deserto, nel profondo silenzio della notte, i carri degli ortolani, diretti verso Parigi, percuotevano con l’eco dei loro monotoni scossoni, a destra e a sinistra, le facciate della case immerse nel sonno dietro i filari confusi degli olmi. Un carro di cavoli e un altro di piselli si erano riuniti sul ponte di Neully ad otto carri di rape e di carote calati da Nanterre; ed i cavalli procedevano a testa bassa, con andatura pigra e uguale rallentata dalla fatica della salita. Su in alto, sdraiati bocconi, sul carico dei legumi, sonnecchiavano i carrettieri coi loro mantelli a righe nere e grigie, le redini arrotolate al polsi..”. Così inizia Le ventre de Paris (Il ventre di Parigi) che Émile Zola pubblicò nel 1873, ambientando il racconto a Les Halles , i vecchi mercati generali dove venivano venduti all’ingrosso i prodotti alimentari freschi. Un mondo incredibile, carico di odori e colori che si è trasformato nei secoli, fino ai nostri giorni. Oggi  dove sorgevano i padiglioni ottocenteschi in ferro battuto ( “un gigantesco ventre di metallo, inchiavardato, saldato, fatto di legno, vetro e ferro”) c’è la Canopée, megastruttura di vetro e acciaio, dal tetto ondulato aperto verso ovest, che sovrasta il Forum des Halles, secondo centro commerciale di Francia. Siamo  nel primo arrondissement, il centro del centro di Parigi dove tutto è cambiato, stravolgendo quello che era il “ventre” della città. L’unica a restare immutata e impassibile davanti al turbinio delle trasformazioni è la chiesa di Saint-Eustache, una delle più grandi e famose di Parigi, costruita per volere di Francesco I di Francia tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Varcata la soglia è l’imponenza delle cinque navate ad ammutolire; si resta senza fiato percorrendo l’interno maestoso di questo luogo di culto dove lo stile tardo gotico è di quelli  “flamboyant”, fiammeggianti, accompagnato da decorazionirinascimentali. “Chiesa magnifica e trascurata”, scrive Corrado Augias ne “I segreti di Parigi”. Eppure l’église Saint-Eustache  contiene importanti opere d’arte antiche e come una delle più celebri tele di Rubens, i “Discepoli di Emmaus” del 1611, varie opere di artisti italiani  ( Santi di Tito, Rutilio Manetti , Luca Giordano) e vi sono sepolti personaggi illustri come Jean-Baptiste Colbert, madame de Pompadour e Anna Maria Pertl, madre di Wolfgang Amadeus Mozart. Sotto le volte di Sant’Eustachio furono battezzati Molière, il cardinale Richelieu e Jeanne-Antoinette Poisson, futura marchesa di Pompadour; Luigi XIV, il Re Sole, ricevette la sua prima comunione mentre vi si sposò il compositore Jean-Baptiste Lully. Nella chiesa si svolsero i funerali di Mirabeau e La Fontaine, Franz Liszt  asistette all’esecuzione della sua Messa solenne mentre Hector Berlioz diresse per la prima volta il suo Te Deum. Visitando la chiesa è impossibile non notare il magnifico organo. Con più di 8.000 canne e più di cento registri è il più grande di Francia, superando gli strumenti storici della cattedrale di Notre Dame de Paris e della chiesa del Saint-Suplice. E se Enrico di Navarra abiurò il calvinismo per il cattolicesimo pur di conquistare Parigi dove fu incoronato re nel 1594, affermando che “Parigi val bene una messa”, si può ben dire che vale altrettanto la pena assistere ad una messa accompagnata dalle note dell’organo di questa splendida chiesa di Saint- Eustache.

Marco Travaglini

Lo zingaro di Barriera

Venerdì 13 aprile si terrà al Cineteatro Monterosa di Torino la  serata di chiusura del tour nelle sale piemontesi del docufilm Gipo, lo Zingaro di Barriera di Alessandro Castelletto, prodotto dalla Fondazione Caterina Farassino e Endeniu con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fun. 

Il film, dedicato allo chansonier torinese Gipo Farassino, è stato proiettato in 50 sale con una calorosa accoglienza di pubblico che testimonia come la figura di Farassino sia fortemente radicata nell’immaginario dei piemontesi, anche i più giovani. 

L’evento, a cavallo tra cinema e musica, vedrà la partecipazione di Luca Morino dei Mau Mau che nel docufilm è presente nel ruolo si se stesso, che aprirà la serata interpretando con Lucio Villani dei brani dal repertorio di Gipo Farassino. 
Seguirà la proiezione e in chiusura si esibirà un’eccezionale Big Band formata da Luca MorinoLucio VillaniClaudio ChiaraVito MiccolisJohnson RigheiraDaniele Lucca e Matteo Ganci. Musicisti che con Farassino hanno condiviso il palco e l’amore per la città. 
Tutto questo si terrà proprio in Barriera di Milano, il quartiere in cui Farassino naque e che ha ispirato tutta la sua carriera artistica
Si può dire quindi che Farassino “tornerà a casa” per una serata speciale circondato dai suoi amici

Com’è cambiato il reddito dei piemontesi?

Com’è cambiato negli ultimi dieci anni il reddito dei piemontesi e in che misura si sono modificati i bisogni delle famiglie? E ancora: quali strumenti di contrasto alla povertà sono stati adottati a livello locale e quali i risultati prodotti? A queste domande dovrà dare risposta lo studio conoscitivo su contrasto alla povertà, inclusione sociale e inserimento lavorativo che Ires Piemonte sta mettendo a punto e sul quale ha presentato un primo focus in un incontro con la terza Commissione e il Comitato per la qualità della normazione e la valutazione delle politiche, presieduti rispettivamente da Raffaele Gallo e Marco Grimaldi. In Piemonte la crisi ha determinato una diminuzione dei redditi per tutte le classi sociali, ma per le fasce più deboli, 200mila famiglie, che corrispondono al 10 per cento della popolazione, è diminuito del 15 per cento. Sono 7800 i nuclei con sfratto che chiedono di accedere a prestazioni agevolate, oltre 32mila quelli con Isee nullo e 34mila con Isee che non supera i 3mila euro; i dati sull’occupazione registrano oltre 100mila persone disoccupate che hanno perso il lavoro e 31 mila disoccupati di lungo periodo. E secondo una stima di Ires, le famiglie in condizioni di povertà assoluta sarebbero passate da 80 a 115mila. In questo quadro Regione, Comuni, enti gestori delle funzioni socio-assistenziali e Centri per l’Impiego garantiscono una risposta diversificata che riguarda servizi di assistenza e integrazione monetaria, politiche attive del lavoro e interventi abitativi, che risultano però disomogenei sul territorio e instabili nel tempo. Dal 2007 al 2017 gli interventi statali di contrasto alla povertà sono aumentati, e quindi anche la spesa pubblica, con l’introduzione di misure sperimentali che tengono conto della composizione del nucleo famigliare, come il sostegno per l’inclusione attiva (SIA), sostituito dal 1° gennaio 2018 dal reddito di inclusione (REI) e le nuove indennità di disoccupazione, la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) e la recente Dis-coll per i lavoratori con contratto di collaborazione. A livello locale, invece, a fronte di un aumento della domanda,  la spesa per il sociale è diminuita per la contrazione dei conti di Regione e Comuni, e gli enti gestori hanno dovuto rivedere le condizioni di accesso alle prestazioni; è stato avviato il nuovo calcolo Isee, che documenta la situazione economica del nucleo famigliare per poter avere accesso a prestazioni sociali agevolate; sono proseguiti i cantieri di lavoro, i tirocini e gli interventi per l’emergenza abitativa. Si tratta ora di capire se tutte queste misure avranno un impatto positivo nel contrasto alla povertà e per farlo sarà importante uscire dalla mera analisi di aggregati statistici e riuscire ad avere dati reali, ma anche ragionare su come mettere a sistema i servizi erogati, in modo da avere un monitoraggio puntuale di quanti nuclei accedono alle prestazioni e quanti ne sono esclusi e colmare le lacune. E’ quanto è emerso in sintesi dagli interventi di Elvio Rostagno e Paolo Allemano (Pd), Gianluca Vignale (Mns), Paolo AndrissiMauro Campo e Francesca Frediani (M5s).

 

LM  www.cr.piemonte.it