Si trova alle Molinette la bambina di 12 anni colta da malore mentre era vacanza con i genitori in Sardegna. La ragazzina è arrivata in ospedale in elisoccorso da Olbia. Le è stato trovato un tumore cerebrale che necessitava di un intervento chirurgico urgente. La Neurochirurgia pediatrica dell’ospedale torinese, il terzo d’Italia, è centro di eccellenza nazionale.
Allegri: “La vittoria ci farà lavorare meglio”
“Se dico che soprattutto all’inizio le partite non son semplici, intendo questo. Bene, la vittoria ci farà lavorare meglio!”. Cosi il ct bianconero Massimiliano Allegri nel suo tweet dopo partita a proposito dell’esordio della Juve con il Chievo, sconfitto 3-2 in recupero da una rete di Bernardeschi.
Ragazzo uccide il patrigno a colpi di pistola
Era un ex poliziotto l’uomo ucciso dal figliastro nella notte a Settimo Torinese. La vittima, Domenico Gatti, di 59 anni, è stato assassinato a colpi di pistola nel suo alloggio in un palazzo di via Fantina. L’uccisione e’ avvenuta al termine di una lite per banali motivi. Il ragazzo che ha sparato, di 26 anni, soffre di disturbi di personalità.
Medaglia di bronzo individuale per Elisabetta Mijno, medaglia di bronzo a squadre per Roberto Airoldi. I due arcieri piemontesi convocati in nazionale per i Campionati Europei para-archery tornano da Pilsen (Repubblica Ceca) con due podi, conquistati entrambi nella divisione arco olimpico (categoria open). Oggi al termine del torneo individuale Elisabetta Mijno ha superato 6-4 la turca Sengul Yagmur nella finale per il terzo posto. L’arciera torinese tesserata per le Fiamme Azzurre e per gli Arcieri delle Alpi aveva chiuso le 72 frecce di qualifica al terzo posto con 593 punti; agli ottavi ha superato 6-0 l’ucraina Dzoba-Balyan e ai quarti 6-4 la russa Margarita Sydorenko, prima di perdere in semifinale allo shoot off con la turca Nur Merve Eroglu (punteggio 6-5, ultima freccia 9-7).
Sempre nell’arco olimpico l’Italia ha raccolto un bronzo a squadre con il trio composto da Roberto Airoldi, Fabio Tomasulo e Stefano Travisani. Nella finale per il terzo posto gli azzurri hanno piegato 6-0 la Repubblica Ceca (Chaloupski, Kostal, Smondek), con i parziali di 52-39, 51-35 e 49-34. Gli azzurri erano entrati in tabellone ai quarti e avevano superato 5-3 la Turchia prima di arrendersi 6-0 in semifinale alla Russia.
Per quanto riguarda il torneo individuale Roberto Airoldi, atleta novarese tesserato per gli Arcieri Cameri, ha concluso la qualifica in 15esima posizione con 571 punti e agli ottavi ha ceduto 6-0 al russo Bato Tsydendorzhiev, dopo aver passato il primo turno 7-1 contro il turco Oghuzan Polat. Elisabetta Mijno e Roberto Airoldi sono scesi in campo anche nel mixed team, fermandosi ai quarti contro la Gran Bretagna (Chaisty, Phillips), a segno 5-4 allo shoot off (17*-17).
Mombello e le sue borgate
Come diversi altri paesi della Valcerrina, Mombello Monferrato è un comune ricco di frazioni e borgate che nei secoli scorsi ebbero anche una loro vita propria rispetto a quello che è il capoluogo
Ilengo, piccolo borgo arroccato sulla collina, è dominato dalla chiesa di Sant’Anna e completato da insediamenti sparsi. Avvolto da una vegetazione prevalentemente a bosco offre la visuale ad un panorama in direzione di borgata Luvara e la collina del sito scomparso di Monte Sion. L’attuale costruzione della chiesa di Sant’Anna risale al 1745. Fu parrocchia sino al 1986. Al suo interno, l’altare laterale di sinistra, dedicato alla Madonna del Rosario, sarebbe proveniente dall’ex convento di Monte Sion, e presenta un paliotto monolitico datato 1677. La tela soprastante rappresenta la Madonna con San Domenico e Santa Caterina e così come la tela con le figure di Sant’Antonio e San Bartolomeo sono attribuite a Guglielmo Caccia. Non si conosce, invece, la data di costruzione della chiesetta di borgo anch’essa dedicata a Sant’Anna. Si presume sia stata eretta nel XVI secolo.
Il già citato complesso di Monte Sion sorse nella prima metà del XVI secolo sull’omonimo colle per iniziativa di padre Bonaventura Quarelli, francescano minore, di ritorno da un pellegrinaggio dalla Terra Santa. La notizia più antica del convento risale al 1561, la chiesa venne consacrata nel 1619. Convento e chiesa vennero soppressi dalla legislazione napoleonica nel 1802e l’acquirente, un francese, che l’acquistò all’asta fece abbattere il tutto, vendendo i mattoni che servirono per edificare un palazzo nella vicina Solonghello. Oggi rimangono i resti di una facciata settecentesca in mattoni, affiancata da edifici rustici.
Zenevreto, piccolo borgo, prende il nome dal bosco di ginepri che lo ricopriva. Nel nucleo abitativo si colloca la chiesa di San Grato, di cui si conoscono interventi abitativi che risalgono al 1870. Si desume che la parte più antica sia quella absidale aderenti alla quale alcuni locali sembrano sottolineare la presenza di un cappellano. Accorpato al corpo della chiesa si trova, sul fianco sinistro, il campanile.
A Morsingo il borgo è raccolto attorno alla chiesa che offre il fronte della piazza che appare come una terrazza. La chiesa è quella di San Michele Arcangelo, edificio in origine intitolato a San Bernardino da Siena. Nel 1586 essendo l’oratorio di San Bernardino in restauro vi fu trasferita la funzione parrocchiale, poi soppressa nel 1986. La chiesa ebbe l’attuale intitolazione agli inizi del Settecento. Sul fianco sinistro si erge il campanile. L’interno è ricco di arredi liturgici. Nei pressi del borgo più altro si trova il piccolo sacello di San Luigi, tempio settecentesco.
Casalino, adagiato sul pendio di un’altura su sede del quartier generale della X Divisione partigtiana “Garibaldi” durante la guerra civile. Nella frazione si trova la chiesa dedicata allo Spirito Santo, posta nella parte più elevata dell’abitato. Dalle notizie assunte la prima volta che venne nominata su nel 1611. Nel 1723 venne costruita l’attuale chiesa, poi consacrata nel 1725. Al suo interno una lapide ricorda che nel 1970 l’allora vescovo di Casale Monferrato, monsignor Giuseppe Angrisani, consacrava il nuovo altare ed il nuovo presbiterio. Nel 2010 il ripristino degli intonaci ha donato all’opera gli originari valori. Nel Palazzo Tetina dell’Aglio, che si presume risalga al XVIII secolo, il Conte di Cavour amava soggiornare. A Gaminella, nella parte più pianeggiante del Comune, il 10 ottobre 1976, è stato eretto il monumento ai Caduti partigiani della Valcerrina, con progetto dell’architetto Attilio Castelli ed intervento artistico dello scultore Luigi Bagna.
Infine, Pozzengo, luogo dal toponimo chiaramente longobardo, fu molto abitato nell’antichità. Nel secolo XVII faceva parte del Ducato di Mantova e di Monferrato con il nome di Peongo, Poi divenne Possengo viste le numerose sorgenti d’acqua. Nella parte più alta del paese sorge la chiesa di San Bononio, Una chiesa di Santa Maria di Palcengo o Plocengo venne già censita nel 1299 negli estimi della Diocesi di Vercelli, ma lla costruzione dell’attuale edificio viene fatta risalire all’inizio del 1700. Venne consacrata nel 1724 dal vescovo di Casale, monsignor Pietro Secondo Radicati e l’anno successivo dedicata alla Vergine Maria ed a San Bononio, intitolazione che prevalse. Presenta un’imponente prospetto frontale, con un bel pportale ligneo e pregevoli interni con un organo di scuola napoletana, datato 1791, di piccole dimensioni e recente restauro.
Poco distante dall’abitato di Pozzengo sorge poi il piccolo santuario dedicato a San Gottardo. Il primo impianto risale a prima del 1600 e nel tempo si è modificato, sino all’intervento del 1930 – 1931 che ha dato all’opera la sua veste attuale. Al suo interno sono custoditi numerosi ex voto che attestano la devosione della popolazione per il Santo, e non soltanto della Valcerrina. Sempre sul territorio di Pozzengo si trovano altre 3 chiese: San Rocco, San Bernardo da Mentone e della Beata Vergine del Carmine.
MASSIMO IARETTI
Coppa fior di pesca
Un fresco dessert d’estate per i più golosi
Io ho usato la gelatiera, ma va bene anche un gelato confezionato al fiordilatte.
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Ingredienti per 4 coppe:
4 pesche mature
1 tavoletta di cioccolato fondente di qualita’
4 amaretti secchi
8 palline di gelato al fiordilatte
Per il gelato: Io ho usato la gelatiera, ma va bene anche un gelato confezionato al fiordilatte.
200ml di panna da montare
200ml di latte fresco intero
90gr. di zucchero
1 bustina di vanillina
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Preparare il gelato secondo le istruzioni della vostra gelatiera. Intanto, pelare e tagliare le pesche a tocchetti e metterle sul fondo di 4 coppe individuali. Far sciogliere con un poco di latte il cioccolato tagliato a quadretti, lasciar intiepidire. Mettere 2 palline di gelato in ogni coppa, versare il cioccolato e spolverizzare con l’amaretto sbriciolato.
Potete sostituire le pesche con altra frutta a piacere, sara’ sempre deliziosa!
(Foto: il Torinese)
Paperita Patty
Le europee e i cattolici democratici

Canoe sul Po
Il tramonto è vicino ma le canoe sul Po continuano il loro viaggio. La foto è stata scattata dal ponte che collega piazza Vittorio con la Gran Madre. L’ha inviata al Torinese la lettrice Elisa Baudino.
Basket: alla scoperta dei giocatori della Fiat Torino
Dal punto di vista dei loro tifosi
Questo è il primo articolo di presentazione dei giocatori d’oltreoceano che quest’anno giocheranno e combatteranno per i colori gialloblù della formazione torinese. Di ciascuno, cercheremo di verificare non le statistiche, ma una presentazione del loro modo di essere visto…dalle loro curve.
Di lui, troverete quello che vi serve per capire le statistiche dalle varie testate “…pedia” che esistono efficacemente in rete. Quello che è in questo caso per me è interessante è trovare i commenti di suoi ex tifosi per sapere cosa pensano di lui e cosa aspettarci a Torino. Parente di quel Bob Mc Adoo ex campione con Olimpia Milano (non nipote, ma in maniera simpatica chiamato da lui “Uncle” cioè zio, per motivi diversi ma probabilmente legati all’età ovviamente lontana tra i due ma che in realtà sono cugini di secondo grado), vincitore di due anelli seppur non da primo protagonista in NBA, arriva da una splendida università statunitense: i North Carolina Tar Heel. Sul sito della squadra la notizia del loro ex allievo che si sposta a giocare in Europa è vista in maniera non proprio univoca. C’è chi dice bravo a chi cerca un’esperienza nuova per lavorare all’estero, e l’Europa da loro è vista come una meta importante; c’è chi si dispiace che un loro giocatore debba andare a giocare in leghe minori e non abbia la forza di restare negli U.S.A. Altri dicono che il Denaro (non solo l’ammontare ma la tempestività e le garanzie), le strutture, il coach, compagni di squadra e avversari che sono anche ex giocatori NBA, creano opportunità di sponsorizzazioni grazie alle nuove esposizione mediatiche o di essere visti anche da altri allenatori, grazie alla vetrina televisiva. Steve Kerr, l’allenatore dei Golden State Warriors detentori degli ultimi titoli NBA, lo ha elogiato dicendo: “McAdoo gioca una volta ogni 10 partite [o più o meno così], in base alle situazioni di gioco che si creano, ma quando è in campo, il suo ruolo lo porta alla grande. Ed è una delle persone più
rispettate in questa squadra grazie al suo modo di essere”. Il sito dei Golden State Warriors, al suo addio a fine campionato, gli ha dedicato questo ultimo saluto sportivo: “La volontà di McAdoo di accettare un ruolo così piccolo per il successo del team è certamente lodevole. Il risultato a lungo termine, tuttavia, potrebbe essere una carriera ridotta andando avanti nel tempo. Ha due campionati NBA sotto la cintura (2015, 2017), ma il suo entrare in campo limitato non gli ha dato molte opportunità di mostrare cosa può fare. Per ora, McAdoo sembra essere lasciato un po’ nel limbo. Quindi, mentre diamo addio a James Michael McAdoo, gli auguriamo ogni bene dove atterrerà (e speriamo che ottenga più tempo per giocare)”. Diciamo che a Torino spazio ne avrà e se sarà bravo giocando da meritarsi il ritorno in NBA, bè, saremo felici per lui. E’ una breve estrema sintesi di quello che appare dai commenti d’oltroceano. Infine, è bello segnalare il suo ritiro dell’anello durante una partita dei Warriors, avvenuto durante una partita dei Golden State pur se lui fosse tesserato già per i Sixers; il team di Philadelphia ha voluto lasciarlo andare a ritirare il premio e come disse Steve Kerr “Ho pensato che fosse un grande gesto da parte dei Sixers assicurarsi che lui potesse essere qui.” Mc Adoo commentò nel pre – game prima della consegna: “Dormirò bene stasera”. James Michael Mc Adoo sta planando verso Torino. Non lo conosciamo ancora, ma da quello che leggiamo, sembra proprio che il “quasi” novello papà, arriverà a Torino con una ottima dose di voglia di vincere, serietà, spirito di sacrificio e desiderio di fare bene. Tutte cose che alla FIAT Torino non potranno che essere utili!
Paolo Michieletto
La foto che urla
Ci sono foto che non lasciano nulla all’immaginazione. Più che parlarci, attraverso l’immagine, ci urlano in faccia la disperazione di una realtà rappresentata dalla morte cruda e dallo sgomento che provoca. A Potočari, sobborgo di Srebrenica in Bosnia, appena varcato il cancello d’ingresso del Memoriale che ricorda il genocidio del luglio 1995, sulla destra c’è una scala che porta sottoterra, in una sala dove ristagna un’aria fredda. L’ambiente è spoglio. Poche sedie, una panca. Alle pareti alcune gigantografie di foto in bianco e nero calamitano l’attenzione. In un paio si vedono le bare allineate nel capannone dell’ex fabbrica di batterie, dall’altra parte della strada, in attesa dell’inumazione. In un’altra resti di vestiti che riemergono da una delle fosse comuni ( ne furono trovate più di sessanta solo nei dintorni) dove vennero gettati i cadaveri. Un senso di disagio lo provoca la foto in cui s’intravede il gelido paesaggio della zona con l’immagine dei boschi che sfuma tra nubi basse e nebbia. Gi stessi boschi dove, nell’intento di sfuggire alla follia omicida, trovarono la morte migliaia di bosgnacchi. C’è anche l’istantanea di una bambola rotta, con la faccia tagliata, probabilmente strappata dalle mani di una bambina: un giocattolo innocente che, deturpato e scaraventato nel fango, si trasforma in una sagoma inquietante. Queste foto, senza didascalia, raccontano ogni cosa e tutto il dolore meglio delle parole che suonerebbero vuote, fuori posto. In fondo, inutili. Non sono tante queste immagini. Non c’è bisogno di ostentare l’orrore per smuovere la memoria. L’ultima della
serie, però, è un pugno nello stomaco ancora più forte. Una mano, guantata di bianco, solleva dalla terra di una fossa comune un’altra mano senza vita, scheletrica, nera, sporca. Il contrasto è netto e la pellicola in bianco-nero lo accentua fino a renderlo sconvolgente,impressionante. Pare che la mano morta chieda aiuto, si aggrappi per trascinarsi disperatamente fuori. E l’altra, oserei dire con una delicatezza caritatevole, la sostiene, consapevole che ormai non resta più nulla da fare se non consentirle una dignitosa sepoltura, dopo l’orrore della morte violenta e la profanazione del corpo. E’ un particolare crudo, un’immagine diretta, priva di mediazioni. La mano, presumibilmente di uno dei tanti uomini massacrati a Srebrenica o nei dintorni, riflette la tragicità della morte con una efficacia senza pari. Nel nostro immaginario la morte viene
raffigurata con teschi e ossa umane, scheletri disegnati, dipinti o incisi sulle lapidi dei vecchi cimiteri, a volte sulle inferriate. La figura più classica , diffusasi dopo il Medioevo, è quella dello scheletro che brandisce la falce che recide la vita, allo stesso modo in cui taglia l’erba o il grano. Ma in questo caso la fotografia della mano scarna e sporca di terra rende l’idea del degrado del corpo ed evoca la morte nel modo più macabro e diretto che si possa immaginare. Per questo colpisce, lasciando senza fiato. Difficilmente si può ignorare ma altrettanto difficilmente gli sguardi indugiano su quest’immagine di indicibile drammaticità. Ad alcuni ragazzi la vista ha provocato ansia e conati di vomito, ad altri la tensione si è sciolta in pianto. Nessuno è rimasto indifferente. Ci sono immagini, situazioni che fanno riflettere molto più di altre. Chi visita oggi il campo di sterminio di Auschwitz resta attonito sfilando davanti alle teche del museo colme di scarpe, protesi, occhiali, capelli. O alle centinaia di barattoli vuoti di zyklon B, il cianuro solido che – a contatto con l’aria – non lasciava scampo a chi era stato costretto ad entrare nelle “docce” delle camere a gas. Lo stesso è accaduto a Belgrado qualche anno fa, nel luglio del 2010, dove le “Donne in nero”, attiviste antimilitariste di Serbia, hanno inscenato una originalissima manifestazione in ricordo di Srebrenica. Hanno raccolto 8372 paia di scarpe, tante quante furono le vittime dell’eccidio riportate sulla stele del Memoriale ( in realtà circa diecimila) , allo scopo di farne un monumento nella capitale serba. Così centinaia di paia di scarpe di ogni tipo, foggia e colore – da uomo, donna, sportive e per bambini, ciabatte e stivali – sono state allineate per terra sulla Kneza Mihailova, la frequentatissima strada pedonale nel cuore dell’ex capitale della

Jugoslavia, su striscioni con scritte contro la guerra e in memoria delle vittime di Srebrenica. Stasa Zajovic, esponente delle Donne in Nero belgradesi e coordinatrice della manifestazione, nell’occasione disse : “Donare un paio di scarpe significa riconoscere che il genocidio di Srebrenica è accaduto realmente. Ed è un modo per esprimere partecipazione e solidarietà alle vittime”. Alla domanda del perché si era scelto di utilizzare le scarpe come elemento simbolico, Stasa rispose così: “ Per me, le scarpe sono l’impronta delle persone scomparse a Srebrenica, e quest’impronta ha una grande importanza. Le scarpe sono il simbolo delle vite perdute e vogliamo che ogni singola scarpa abbia un suo spazio, perché coloro che sono stati uccisi non sono solamente ossa. Sono persone i cui sogni, desideri, amori e dolori sono stati uccisi insieme a loro. In più, le scarpe sono un simbolo di movimento, di cambiamento”. Le scarpe come le foto in bianco e nero. L’immaginario visivo di una memoria dura da elaborare per chi piange o vuol piangere i propri morti. Dura anche per chi, ad ovest e a est di Srebrenica, ne porta il grande peso sulla coscienza.
Marco Travaglini