redazione il torinese

“To be a person”. Tutti i colori della vita

FINO AL 15 NOVEMBRE

Carta. Colori. E tela. Fogli di carta colorati, ritagliati, ripuliti dagli inutili eccessi, composti scomposti e ricomposti e infine applicati sulla tela con combinazioni di universi pittorici e spirituali forse improbabili, forse casuali forse accettati o forse no; ma espressione sempre di un’intima complessità narrata attraverso segni e segnali istintivi, in cui la materia porta dentro le impronte di un’esaltante lievità, insieme (mai in dissonanza) con una vitalità e un’energia del gesto pittorico, calato con irruenza come se ogni pennellata fosse per l’artista un ultimo miracolante atto liberatorio. Capace di staccarti da terra per portarti nell’azzurro di cieli che più azzurri non si può. “Collage totale” o “collage inscindibile dalla pittura” o meglio “pittura in forma di collage”: così leggiamo nel testo-catalogo a presentazione dello opere (15 in totale) portate a Torino da Monique Rollins, in una suggestiva personale curata da Olga Gambari e allestita alla Galleria “metroquadro” fino al prossimo 15 novembre. Per Monique, americana del Delaware ma da tempo attiva fra New York e Firenze, è questo, negli spazi espositivi del gallerista Marco Sassone, un piacevole ritorno, attraverso il quale – sotto il titolo ben esplicito di “To be a person” – la pittrice presenta i lavori della recentissima serie “Spirit”, realizzati in seguito alla sua ultima residenza d’artista svolta a Pechino. Collages su tela. Carta e colore in acrilico, gli elementi essenziale del suo lavoro. Carta e carte, innanzitutto. Per lei materia prima, indispensabile a raccontare e a raccontarsi agli altri. E ciò da sempre. Di lei ricorda infatti la Gambari: “Quando faceva le sue prime lezioni d’arte da bambina, nello studio di una pittrice, invece che dipingere a olio su tela, colorava interi fogli di carta. Esercizi di colore puro”. Sul colore infatti, personalizzato, vibrante, delicato e graffiante ad un tempo, si gioca tutta la potenzialità narrativa delle sue opere; pagine in cui la Rollins trasforma (e l’azione non è per niente semplice, ma anzi complessa e ansiogena, pur se concepita in una sorta di magico divertissement) la realtà esteriore in paesaggi dell’anima, fissati con impetuosi tratti materici sulla linea di quell’espressionismo astratto americano da cui parte, mantenendo nel tempo significative cifre stilistiche, la sua formazione artistica a New York. Oggi sviata, rielaborata e diventata “altro”, attraverso parametri stilistici che si sono evoluti e personalizzati nel tempo e su cui hanno indubbiamente inciso – e non poco – anche gli studi di specializzazione compiuti da Monique sull’arte rinascimentale veneziana. Ecco allora quel nuovo tonalismo acceso, il colore asservito in toto alla luce e soprattutto quel riconoscere nel “bello” la molla d’accensione di un “piacere fisico e sensoriale” più che “intellettuale”, come voleva certo Rinascimento fiorentino, ad esempio. La bellezza legata più ai sensi che alla ragione e all’intelletto. Esaltata dall’accensione di quegli azzurri, di quei bruni smorzati e dei bianchi intensi e raffinati, in cui s’intrecciano libere storie condotte sul tema narrativo e sull’urgenza personale dell’“essere persona”. In un crogiolo variegato “di voci, di segni, forme e colori – ancora la Gambari – che hanno urgenza di essere ed esprimersi, che formano un coro, così incontenibili da uscire dal formato stesso della tela come un fiore che si schiuda. Ma non c’è caos, solo un’eufonia precisa e perfetta”.

Gianni Milani

“To be a person”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; www.metroquadroarte.com

Fino al 15 novembre

Orari: mart. – sab. 16/19

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Nelle foto

– Monique Rollins
– “Levels”, 2018
– “Inner Landscape”, 2018
– “Spirit Painting Blue”, 2018
– “Third Level Spirit”, 2018

 

Le aspre colline e gli alberi di Pippo Leocata, le auto di Paolo Pirrone prive di spazio e di tempo

Si chiuderà domenica 30 settembre, nella Sala Mostre presso la Biblioteca del Comune di Carignano, la doppia personale degli artisti Pippo Leocata – dal titolo “Tra terra e cielo” – e Paolo Pirrone – che guarda principalmente al disfacimento dell’automobile e propone “Dopo la corsa” -, una ventina di opere ciascuno scelte anche tra l’ultima produzione. Personali che vogliono essere il successivo riconoscimento all’avere gli artisti stessi conseguito, in occasione della mostra “Resistenza… Resistenze” tenutasi nel dicembre dello scorso anno nello stesso luogo, rispettivamente con le opere “Natura addio?” e “Metamorfosi”, ex aequo la Menzione speciale della Giuria con la seguente motivazione: “I due dipinti si accomunano nella volontà di una ricerca sperimentale sul colore e sulla materia che porta ad esiti assolutamente innovativi pur mantenendo una connotazione stilistica rigorosa e tecnicamente ineccepibile”.

Di Leocata meglio conoscevamo quelle opere che più, tra storia e mito, ricollegavano il presente ad un passato che affondava le proprie radici nella terra di Sicilia, nell’area di Adrano, con la sua rocca, antica, dove il pittore è nato, chiamata a convivere con il vulcano protettore ma anche feroce, pronto a far esplodere dal rosso violento del suo interno il magma minaccioso che scorrerà giù, lungo le pendici impervie; e poi i cavalieri forti e valorosi e i cavalli impennati, le lotte e le armi, immortalati dentro colori stupendamente accesi, le differenti architetture, le sagome dei suoi angeli, splendenti o atterrati, i miti, le pagine di una cultura e di un’epoca nuova. E poi i panorami più vicini a noi, le colline care a Pavese (“Una vigna che sale sul dorso di un colle/ fino a incidersi nel cielo,/ è una vista familiare”) o quei casolari distesi su quei terroni che degradano a valle, assolati e notturni, che hanno visto le tragedie fenogliane disseminate entro i ventitré giorni: questi raggruppa oggi qui Leocata, scendendo all’albero e al seme, fatti tramite attraverso un’immagine più affettuosa e solitaria. Colori a tratti forti immersi tra intuizioni, pensieri, domande che attendono risposte, alberi scuri e spogli su sfondi anonimi, alberi/silhoutte, geometrici, spezzati nel tratto, che paiono usciti da una vecchia pubblicità animata degli anni Sessanta, macchie di alberi contro accoglienti cieli azzurri. Ne nasce, al di là di un personale sentimento “naturalistico”, una poesia mai facilmente riprodotta, astratta e mai scontata, sciolta in una pace ritrovata tra i sentieri armonici della natura: che ci appare subito più vivifica e più vera.

Paolo Pirrone gioca in solitaria, ha il grande merito di costruire un mondo tutto suo, appartato, facilmente identificabile ma rigoroso, estremamente delineato e circoscritto, una costruzione che ritroviamo quando affronta la superficie terrosa di un paesaggio sia quando ancora estrae dagli elementi realistici gli scheletri della sue automobili – una landa rugginosa che sarebbe entrata di prepotenza nel “Cimitero di automobili” caro ad Arrabal -. E in quell’interno, Pirrone stringe la caratteristica di stare strettamente legato alla realtà, il paesaggio, l’auto e una parte di essa, per staccarsene dopo un attimo e riversare questa sua realtà entro i confini ampi dell’astrazione, dell’ambiente magico, della volontà di sollevare ogni cosa e rappresentarla entro un altro mondo, superiore, fatto di lunghi silenzi, privato di fisicità umane, chiuso nelle più personali suggestioni. Guardando a quelle tecniche miste che trovano spazio su lamiera (una materia rifiutata da molti) o su tavola, ogni particolare sembra aver perso il proprio tempo, lo spazio ha definitivamente allontanato i contorni abituali, un cofano o uno sguardo su un interno vuoto e abbandonato assumono significati assai più importanti di quelli che avevano nel passato. Tutto vive di una dimensione nuova. In un mondo ancora sconosciuto, quasi fantascientifico e di abbandono, le lame di colore, i lampi improvvisi che il pittore incastona tra il bruno della ruggine, che la fa da padrone, sembrano gli unici segni di vita. Tentativi che si portano dietro una bravura consolidata, sperimentazioni, la volontà di rimettersi ad ogni prova in discussione, guardando alla completezza dell’opera, al suo successo.

 

Elio Rabbione

 

Pippo Leocata, “La vigna”, olio su tela, 100 x 100 cm, 2017

Paolo Pirrone, “Le dinamiche del pensiero”, tecnica mista su tavola, 70 x 83 cm, 2009

 

“Via Casa comunale” diventa “Lia Varesio”

Il Consiglio comunale ha approvato una mozione sul cambio di denominazione dell’indirizzo fittizio per i senza fissa dimora. Il provvedimento, presentato dal vicepresidente vicario Enzo Lavolta (PD), impegna la Sindaca e la Giunta ad attivare le procedure necessarie per modificare la denominazione dell’indirizzo “via Casa comunale” in “via Casa comunale – Lia Varesio“. Va ricordato che, nell’ambito dell’iscrizione all’anagrafe dei cittadini residenti, dal gennaio del 1998 il Comune di Torino predispone, per le persone senza fissa dimora, l’iscrizione anagrafica presso una via territorialmente non esistente: via Casa comunale. Serve a coloro che, non avendo una residenza, non possono votare, iscriversi alle liste per il collocamento al lavoro, avere assistenza sanitaria, concorrere all’assegnazione di una casa popolare. La scelta di chiamarla ‘Lia Varesio’ – ha dichiarato Lavolta – serve a ricordare una straordinaria figura del volontariato torinese, venuta a mancare nel 2008. Lia Varesio, fondatrice dell’associazione ‘Bartolomeo & C.’ e personalità inscrivibile a buon diritto nella tradizione tutta torinese dei Santi sociali, ha trascorso gran parte della sua vita incontrando e assistendo barboni, tossicodipendenti, alcolisti, prostitute e protagonisti di altre vite disperate. Dare oggi un nome ‘reale’ all’indirizzo di chi è senza fissa dimora e vive un quotidiano di fragilità e marginalità sociale, rappresenta un altro piccolo passo nella direzione da lei tracciata. Un punto fermo da cui provare a ripartire”. La mozione, con la ridenominazione di quell’indirizzo, si propone di dare un ulteriore segnale verso le persone che vivono una situazione di fragilità e marginalità sociale. Emendata dal consigliere Antonino Iaria (M5S), è stata approvata con 23 voti favorevoli, 3 contrari, 5 astenuti.

(foto: il Torinese)

“Grand’Italia” a palazzo Ducale di Genova

Domenica 30 settembre alle ore 11, a Palazzo Ducale di Genova – Sala Storia Patria, in occasione del Book Pride 2018, il prof. Dino Cofrancesco, Professore Emerito dell’Università di Genova, presenterà, in dialogo con l’autore, il libro di Pier Franco Quaglieni Grand’Italia, Golem Edizioni. I  libro raccoglie i ritratti di 31 personaggi che hanno caratterizzato la storia e la cultura italiana del Novecento, con molti dei quali l’autore ha intrattenuto rapporti personali. Compaiono, tra gli altri, Croce, Gobetti, Umberto II, Sciascia, Guareschi, Saragat, Oriana Fallaci, Umberto Agnelli, Rita Levi – Montalcini, Bruno Caccia, Giorgio Albertazzi. Una galleria di voci molto diverse una dall’altra, a volte decisamente discordanti, che hanno contribuito a scrivere la storia di una Grand’Italia. Dopo le molte presentazioni estive nel Ponente Ligure, è un traguardo molto importante la presentazione del libro a Palazzo Ducale di Genova, che verrà nei mesi di ottobre e novembre presentato a Roma, Napoli e Firenze.

 

“Palingenesi”

In mostra le opere dell’artista Roberto Demarchi realizzate o iniziate negli anni passati e rifatte, riprese o modificate nel 2018, una vera Palingenesi

Si intitola “Palingenesi” la mostra personale di Roberto Demarchi che si inaugurerà giovedì 27 settembre prossimo dalle 18.30, negli Spazi espositivi dell’artista ed architetto, in corso Rosselli 11, a Torino. Il titolo dell’esposizione non è certo casuale, in quanto vengono proposte una ventina di opere realizzate o iniziate dal maestro negli anni passati, poi modificate e riprese, in tempi più recenti e nel 2018. Il termine “palingenesi” deriva dai termini greci “palin”, che significa “di nuovo” e “genesis”, inteso come nascita, creazione. Palingenesi ha, quindi, il significato di rinascita e di ri-creazione. In alcune concezioni filosofiche o religiose con il termine “palingenesi” si intende il rinnovamento del cosmo dopo la sua distruzione o la rinascita dell’uomo dopo la morte, considerati come tappe ricorrenti di un perpetuo divenire delle cose. Nel Nuovo Testamento la palingenesi indica l’avvento ultimo e definitivo del regno di Dio. Nella storia dell’arte sono numerosi i casi di palingenesi, di opere d’arte create dall’artista e poi completamente o parzialmente rifatte. Le attuali tecniche radiografiche usate nelle operazioni di restauro ne hanno fornito svariati esempi. Elie Faure, noto storico dell’arte francese, nel primo quarto del Novecento, scriveva che “la pittura è il linguaggio delle incertezze, degli slanci e delle ritirate del cuore”. La grande arte pittorica, infatti, nasce da un pensiero che diventa emozione e da una emozione che diventa pensiero, può essere un qualche cosa di immediato che, in modo fulmineo, si fa colore e forma, o un pellegrinaggio nella coscienza che si distilla lentamente in forma e colore. La vera vita e la vera anima di un pittore si possono leggere proprio nelle sue palingenesi, che sono testamenti autentici degli slanci e delle ritirate del suo cuore.

 

Mara Martellotta

 

Chiara e Sergio in cammino verso dove?

A Torino e in  Regione la confusione regna sovrana. Tutti contro tutti. Non solo tra le forze politiche ma all’interno delle stesse forze politiche. Forse il Chiampa rimpiange il centralismo democratico del Pci. E La nostra Chiara (Appendino) si sta chiedendo dove é atterrata e chi sono i suoi compagni di viaggio, i Cinque Stelle. Una cosa accomuna tutti:  poco si fa e poco cambia. Sergio va giù duro. “Mi vergogno del Consiglio”. Lettura politica: la riforma della legge elettorale deve passare. Ne va della nostra credibilità.  Ed anche sui costi della politica pochino é stato fatto. Vero, sono stati ridotti gli stipendi, ma a futura memoria. In altre parole riguarderà i consiglieri futuri. Chiara intanto  invita tutti i suoi consiglieri per rappacificarsi e questi non si presentano. Cattivi. Ma forse c’è dell’altro. Ognuno rivendica: siamo stati eletti su un programma che vogliamo rispettare. Peccato che nel loro programma c’era tutto e il  incontrario di tutto. Lunghissimo l’elenco. Mai più costruzioni di nuovi supermercati. E invece poi più permessi che in tutto il passato. Mai si abbatterà il ponte di Corso Grosseto. Abbattuto. E in ultimo le Olimpiadi. Chiara ha detto “ci penso io”. Risultato, Torino tagliata fuori. L’inesperienza si paga. Col risultato che  tutti sono arrabbiati con la Sindachessa. Chi voleva le Olimpiadi e chi non le voleva.Viene proprio voglia di dire “chi é causa del suo mal pianga se stessa”. Chi sicuramente non è inesperto è Sergio Chiamparino. Sapeva che a ridosso delle elezioni é difficile fare leggi che non si sono riuscite a fare durante la legislatura. I consiglieri pensano ad una eventuale rielezione… diciamo che sono distratti. Eppure era partito bene. “Se non fate io mi dimetto”.
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L’attimo fuggente é passato ed i problemi sono rimasti. Si è consumato il gioco delle parti. Intanto il collegamento Tav (fortunatamente) va avanti prescindendo dalla politica. Non é più come una volta quando la politica contava e persino Gianni Agnelli chiedeva ed ordinava di soprassedere ai licenziamenti. Doveva parlare con i romani. E tornato diceva perentorio: non si può licenziare. Una cosa ora possono fare gli attuali politici: lavorare per restituire  la credibilità alle istituzioni. E le divisioni, direi quasi profonde lacerazioni, tra piddini e pentastellati nuocciono a loro ed anche alle istituzioni che governano. Un Pd sempre più in stato comatoso e oscillante, nei sondaggi, dal 15 al 16 e qualcosa per cento. Comatoso perché sono gli stessi dirigenti che non se lo vogliono dire. E i pentastellati, nonostante il consenso,  sono come ” moribondi” – o forse morituri – che continuano a dirsi: stiamo benissimo. Ma  il vuoto non esiste, in politica. Qualcuno queste elezioni amministrative le vincerà. Con la speranza che il centrodestra scelga candidati qualificati. Ne va della credibilità della nostra regione e della nostra città. Il Piemonte deve ritornare a contare, soffre di troppa marginalità. Scherzando si apostrofa il governo gialloverde come un alleanza tra Borboni (pentastellati) e Austroungarici (leghisti). Ed allora ricerchiamo lo spirito dei Savoia. Non  sono monarchico, e  tanto meno filo Savoia. Casata di dubbie capacità. Ma vorrei una classe di politici  che pensassero anche alla regione dove sono stati eletti.
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Patrizio Tosetto
(foto: il Torinese)

Tex Willer, 70 anni d’avventure a fumetti

Settant’anni fa usciva in formato a strisce nelle edicole il primo numero di Tex, il più longevo protagonista del fumetto italiano. Era giovedì 30 settembre 1948 e con “Il totem misterioso” iniziava la leggenda del personaggio ideato da Gianluigi Bonelli e disegnato da Aurelio Galleppini, in arte Galep

Da allora e nel corso di tutto questo tempo le gesta di Tex Willer hanno conquistato intere generazioni, entrando a far parte delle nostre abituali letture. Tex è sempre stato un eroe atipico, un fenomeno di costume che ha saputo anticipare i tempi nel  genere western. Amico e protettore degli indiani d’America, deciso nel combattere le ingiustizie da qualunque parte vengano, non fa sconti e non guarda il colore della pelle. Per gli indiani Navajos è Aquila della Notte che, dopo aver sposato Lilith, figlia del sakem della tribù Freccia Rossa, è diventato il loro capo. Rispetta e difende i pellerossa dai trafficanti d’armi o d’alcol, avventurieri e militari senza scrupoli che pensano che “l’unico indiano buono è un indiano morto“.Per i bianchi è un ranger dalla mira infallibile mentre per i fuorilegge che hanno la sventura di incrociare la sua pista tra le immense praterie, i deserti dell’Arizona e le foreste del Grande Nord rappresenta il peggiore degli incubi. E’ un uomo di legge che, pur usando dei metodi sbrigativi nel combattere fuorilegge, proprietari terrieri senza scrupoli, politicanti corrotti, indiani in rivolta, riesce a distinguere ciò che è giusto e se proprio deve uccidere lo fa solo per legittima difesa. Il suo profilo di difensore dei deboli e degli oppressi, marcatamente antirazzista, ha dello straordinario se si pensa all’epoca in cui è nato. Ed è anche per questo che Tex è un personaggio decisamente umano. La sua immagine, precisa e forte, lo presenta quasi sempre con gli stessi capi d’abbigliamento: un cappello tipoStetson, camicia gialla e fazzoletto nero annodato al collo, pantaloni stile jeans, un paio di stivali con speroni e, alla vita, l’immancabile cinturone con le pistole. Sul suo personaggio si sono scritti fiumi di parole, a testimonianza dell’interesse e dell’originalità di questo “raddrizzatore di torti”. Nelle sue imprese non è mai solo e può contare sull’aiuto dei suoi “pards”: il non più giovane  e burbero Kit Carson , il navajo Tiger Jack e il figlio Kit, in tutto e per tutto simile al padre. E può contare anche sui fedeli lettori che di mese in mese attendono con ansia le sue nuove avventure. Sergio Bonelli Editore lo celebrerà con una grande mostra intitolata “Tex. 70 anni di un mito”  al Museo della Permanente di Milano  che sarà aperta dal prossimo 2 ottobre fino al 27 gennaio 2019. Tra i tanti appuntamenti con Tex va segnalata anche la mostra itinerante gratuita, omonima di quella che si tiene a Milano, che toccherà le principali librerie Feltrinelli della penisola. Partita il 7 settembre dalla Galleria Alberto Sordi di Roma, l’esposizione si compone di venti pannelli che presentano alcune delle pagine storiche della vita editoriale del celebre ranger, permettendo così agli appassionati di approfondire alcune delle sue avventure più celebri. E tra le città che l’ospiterà ci sarà in dicembre anche Torino, alla “Feltrinelli” della stazione di Porta Nuova.

Marco Travaglini

BATZELLA (MLI): “NESSUN PASSO INDIETRO DA SAITTA SU DELIBERA PRESCRIZIONI DA PARTE DEL PRIVATO ACCREDITATO”

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO “Nonostante il Tar, lo scorso 13 settembre, abbia sospeso la delibera con cui la Giunta regionale concedeva la possibilità ai medici del privato accreditato di poter prescrivere visite ed esami con la ricetta elettronica, Saitta si ostina a non voler cambiare il provvedimento dello scorso giugno, in attesa della sentenza del 5 dicembre. E’ chiaro che la Regione sta prendendo tempo e si ostina a voler favorire la sanità privata accreditata, scegliendo di depotenziare la propria funzione di controllo della spesa pubblica. E questo è davvero inaccettabile”. Lo afferma la consigliera del Movimento Libero Indipendente, Stefania Batzella, che oggi in Commissione Sanità ha espresso le sue perplessità sulla decisione della Giunta, annunciata dallo stesso Saitta. “Sono contraria a questa delibera (la numero 40 del 22 giugno) fin dall’inizio – prosegue Batzella – e sono francamente sorpresa dalla testardaggine con cui la Giunta non intende fare un passo indietro, nemmeno di fronte ai dubbi del Tribunale amministrativo regionale. Il privato accreditato, legittimato dalla normativa nazionale, ha l’obiettivo del profitto e in questo modo non facciamo che favorirlo”.


“Questa delibera
 – aggiunge la consigliera – è l’ennesimo flop della Giunta che non ha tenuto conto delle preoccupazioni denunciate dai sindacati dei medici del Piemonte, Smi e Anaao Assomed, i quali hanno presentato il ricorso al Tar. Il timore è che con questa delibera ci sia un aumento del numero delle prescrizioni e conseguentemente delle prestazioni a favore della struttura privata accreditata con il rischio di inappropriatezza e un aumento della spesa pubblica”.

“A sorprendermi ancora di più – prosegue Batzella – sono state le parole del neo direttore dell’assessorato alla Sanità, Danilo Bono. Di fronte alle mie perplessità sulla difficoltà di controllo della spesa pubblica da parte della Regione con l’applicazione della delibera, mi è stato risposto che ‘non dovrebbero esserci problemi’. Non dovrebbero? Servono certezze, non ipotesi”.


“Mi auguro davvero 
– conclude Batzella – che il Tar bocci la delibera e si apra così un serio tavolo di confronto tra la Regione e i professionisti che ogni giorno, seppur tra mille difficoltà, lavorano per la tenuta e il buon funzionamento del servizio sanitario pubblico che si trova da anni in carenza di personale”.

Vita difficile per le minoranze religiose in Pakistan

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Pare che Imran Khan non sia affatto interessato alle minoranze religiose del suo Paese. Ha promesso di difendere la legge sulla blasfemia che penalizza i cristiani e di cancellare tutto ciò che concerne la laicità dello Stato. Eppure Imran Khan, 65 anni, leader politico del Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), partito vincitore delle elezioni del 25 luglio in Pakistan, ha annunciato pubblicamente di voler seguire l’eredità di Mohammad Ali Jinnah, il fondatore del Pakistan, il 14 agosto 1947, secondo il quale l’obiettivo prioritario è quello di creare uno stato sociale in cui il governo è responsabile per l’istruzione, la salute e l’occupazione dei suoi cittadini. Il “Movimento per la Giustizia” di Khan, partito vicino ai militari e ai gruppi radicali islamisti, ha ottenuto il maggior numero di seggi (151) ma non la maggioranza assoluta, scavalcando nettamente la “Lega musulmana” (64 seggi) dell’ex premier Nawaz Sharif finito in prigione per corruzione. Nonostante le accuse di brogli elettorali sollevate dalla Chiesa pakistana, gli osservatori dell’Unione Europea hanno riferito che le condizioni del voto sono state “soddisfacenti”. Il nuovo esecutivo, auspicano i vescovi pakistani, è chiamato a promuovere la libertà di pensiero, l’abolizione della corruzione, a contenere la discriminazione religiosa e a difendere le minoranze perseguitate dalla legge sulla blasfemia. Se Imran Khan sarà in grado di farlo vi sarà un grande cambiamento nella storia del Pakistan ma le perplessità sono molte. Ex campione di cricket, il nuovo premier, che ha studiato nelle università inglesi, è sempre stato ambiguo sui Talebani nei suoi discorsi e intollerante con le minoranze. Il suo partito ha già amministrato diverse città pakistane lasciando ai margini proprio i non musulmani. Dopo la sua vittoria che fine faranno i cristiani?

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Quale sarà la sorte di Asia Bibi, la donna cristiana in carcere da nove anni, condannata a morte per blasfemia perchè giudicata colpevole da un tribunale pakistano di aver offeso Maometto durante un banale litigio con la moglie dell’imam della sua città e tuttora in attesa di una sentenza di appello della Corte Suprema? Che ne sarà della famigerata e controversa legge anti-blasfemia? Finora chi ha tentato di riformarla è finito molto male come l’ex ministro cattolico delle Minoranze, Shahbaz Bhatti e l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, uccisi entrambi nel 2011. A partire dal 1990, settanta persone sono state linciate a morte in Pakistan per presunte accuse di blasfemia mentre altre quaranta sono morte o stanno scontando l’ergastolo. Ora vedremo come vorrà agire il nuovo governo e come Khan contrasterà gli estremisti religiosi che perseguitano le donne cristiane spesso costrette a matrimoni forzati. Il primo caso nella sua nuova era politica è già divampato e riguarda uno studente, Quatab Rind, falsamente accusato di blasfemia, e per questo ucciso ad agosto da altri studenti del college per risolvere una volta per tutte questioni personali. Imran Khan è talmente ben visto dai militari e dai servizi segreti, il potente Isi, che sarebbe stato aiutato a vincere le elezioni proprio dai gruppi estremisti e dalle fazioni radicali dell’esercito. Non solo, ma le accuse di corruzione all’ex primo ministro Sharif che lo hanno eliminato dalla scena politica e condotto in prigione sono molto deboli. Secondo i sostenitori di Sharif, dietro la sentenza che ha cacciato in carcere l’ex premier, ci sarebbero proprio i militari e lo stesso Khan. Molto ambigui sono sempre stati i suoi rapporti con i Talebani. Alcuni anni fa Imran Khan dichiarò che la guerra santa degli studenti coranici in Afghanistan era giustificata dalla legge islamica e quando Bin Laden fu ucciso dagli americani si scagliò aspramente contro il blitz segreto dei corpi speciali statunitensi avvenuto sulla sua terra. Washington accusa da sempre il Pakistan di sostenere i Talebani e ha cancellato i finanziamenti all’esercito mentre Khan ha chiesto il ritiro parziale delle truppe americane (circa 15.000 militari) dal Paese asiatico. Dopo decenni di estremismo religioso sono scarse le speranze di migliorare la situazione delle minoranze, cristiani, ahmadi, indù e sikh. Ne sono convinti i leader cristiani e gli attivisti dei movimenti per i diritti umani. I cristiani in Pakistan sono circa quattro milioni (due milioni i cattolici) su 200 milioni di abitanti e costituiscono il 2% della popolazione del Paese.

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La maggior parte dei cristiani pakistani vive nella provincia del Punjab, pochi hanno un lavoro, sono privi di coperture assicurative e sanitarie e sono discriminati dalle organizzazioni sindacali. Anche se siamo un piccolo gregge, osserva mons. Joseph Arshad, presidente della Conferenza episcopale pakistana, il servizio che offre la Chiesa è riconosciuto e apprezzato da tutta la popolazione e dal governo. “Il nostro contributo è benvoluto in particolare nel settore dell’educazione, delle cure sanitarie e dei servizi sociali. Le nostre istituzioni offrono un gran sostegno alla gente e alla nazione pakistana”. Le prospettive per la libertà religiosa rimangono però negative e sono strettamente legate alla situazione politica del Pakistan. Nel suo ultimo Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, l’Acs (l’Associazione Aiuto alla Chiesa che soffre) scrive: “negli ultimi anni il tentativo dei diversi governi che si sono succeduti ad Islamabad di combattere la violenza settaria e la discriminazione nei confronti delle minoranze ha riscosso modesti successi mentre la società pachistana ha subito una sempre maggiore islamizzazione. La Costituzione del 1993 afferma nel preambolo e agli articoli 20, 21 e 22 che tutti i cittadini godono della libertà di praticare e professare la propria fede. Tuttavia tale diritto è limitato in modo considerevole dalle strutture politiche, giuridiche e costituzionali del Pakistan che favoriscono un diverso trattamento dei musulmani rispetto alle minoranze”. I sacerdoti, aggiunge mons. Arshad, hanno la libertà di spostarsi per celebrare la messa nelle chiese nel Paese. “Tra i nostri fedeli possiamo professare liberamente gli insegnamenti di Cristo. Ma dappertutto esiste un problema di sicurezza. E tengo a sottolineare che il problema è per tutti, non solo per i cristiani. Anche le moschee e le scuole musulmane vengono attaccate dai fondamentalisti”. Nel suo comizio dopo la vittoria Imran Khan ha promesso che i principi fondamentali della Costituzione saranno rispettati ma è rimasto silenzioso quando i suoi più stretti consiglieri hanno definito i cristiani “kaafir” (infedeli) e di casta inferiore. Alcuni mesi fa è spuntato un nuovo problema poiché l’Alta Corte di Islamabad ha confermato l’obbligo per tutti i pakistani di denunciare la religione sulla carta d’identità. Per gli attivisti dei diritti umani si tratta di un duro colpo per le minoranze che rischiano di essere ulteriormente discriminate nel lavoro. La quota di posti di lavoro riservati per legge alle minoranze è pari al 5 % ma in diverse aree del Paese raggiunge solo il 2-3%.

(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)

 

IL CAVALLO PER L’UOMO

Uno sfruttamento radicato nella storia

Nella serata di approfondimento, organizzata dalla sede LAV Lega Anti Vivisezione di Torino, intervengono NADIA ZURLO, Responsabile nazionale area equidi della LAV, e FRANCESCO DE GIORGIO, biologo etologo. Appuntamento il 28 settembre alle ore 20,45 presso la CASA DEL QUARTIERE di San Salvario in via Morgari 14 a Torino.

INFORMAZIONI
lav.torino@lav.it – www.facebook.com/lavtorino