redazione il torinese

Giuseppe “Pino” Trani, tifoso juventino d'Istria

Il calcio italiano, si sa, vanta ammiratori in ogni parte del globo, nonostante il livello competitivo delle nostre compagini non sia più quello dei “meravigliosi Anni Novanta”. Tra i vari tifosi italiani d’oltreconfine abbiamo sentito il giornalista istriano (di Rovigno) Giuseppe “Pino” Trani. In forza a “TeleCapodistria” dal 1974 fino alla pensione (2015), Trani è uno dei più famosi istriani italiani autoctoni, nonché sostenitore della Juventus.
Pino, da quanto sei tifoso juventino?
«Da decenni! Cominciai a tifare per i bianco-neri all’età di tredici anni, quindi sono più di cinquant’anni! Quella Juventus (stiamo parlando dei primi Anni Sessanta) era la squadra di Giampiero Boniperti, Omar Sivori e John Charles».
Da cos’è nata la tua passione juventina?
«Semplice, dal bel gioco espresso da quella squadra: quella era una compagine che giocava davvero bene. E, appunto perché sono amante del bel gioco, sono il primo a condannare la violenza: le squadre sono rivali, non nemiche. Idem per quanto riguarda i tifosi».
La tua passione è, poi, diventata una professione, dato che hai lavorato per “TV Capodistria” (nota in Italia come “TeleCapodistria”)…
«Certamente. Anche se, ad onor del vero, arrivai all’emittente istriana nel 1974 (quindi pochi anni dopo la sua fondazione, risalente al 1971), quando ancora non era prettamente sportiva. Certamente, già allora ci occupavamo anche di sport (oltre che di notizie relative all’Italia e alla minoranza italiana autoctona dell’Istria e di Fiume), ma la svolta si ebbe nel 1988, quando la rete divenne monotematica (sportiva). Fu una bella esperienza, con tanti validi professionisti, delle più disparate fedi calcistiche: non solo juventini, ma anche milanisti, interisti, torinisti, napoletani e via discorrendo».
Come vedi la Juventus? Non tanto in campionato, ma soprattutto in Europa.
«In campionato ha un margine incolmabile, quindi l’ottavo scudetto di fila è ormai solamente una questione di tempo. L’obiettivo principale è la Champions League: la squadra è forte, ma per scaramanzia non dico nulla, anche perché le avversarie sono tante ed ostiche. Comunque, credo ci siano buone possibilità per conquistare quella Coppa che ci sfugge dal 1995-’96».
L’attesa comincia a diventare lunga: sono, ormai, passati ben 23 anni dall’ultimo successo della “Vecchia Signora” in quella Coppa che, a quei tempi, ancora ammetteva solamente le squadre vincitrici dei rispettivi campionati.
«Parecchio tempo, davvero. Speriamo sia la volta buona: la bella rimonta sull’Atletico Madrid fa ben sperare. Certo, le due squadre di Manchester sono ostiche, l’Ajax ha addirittura eliminato il Real Madrid detentore del trofeo, ma la Juventus può arrivare fino in fondo».

Giuseppe Livraghi

 

Quando i matti escono fuori

C’erano una volta i matti

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)

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10. Quando i matti escono fuori
Negli ultimi anni al manicomio di Collegno c’erano solo pazienti anziani, quelli che erano arrivati lì giovanissimi e lì avevano vissuto per cinquant’anni, quelli che erano più spaventati da quella inaspettata e pesante libertà, nettamente in contrasto  con la prospettiva di spirare tra le mura di Collegno, luoghi che ormai avevano imparato a conoscere bene. C’erano invece pazienti che non ebbero troppa paura di uscire all’aria aperta, come Oreste, il classico matto buono del villaggio, che viveva sotto il ponte di via XXV aprile a Cavoretto, insieme al cane Gary Cooper. L’uomo si rivolgeva alle suore per un rasoio e qualche abito pulito, e il problema dei soldi lo risolveva andando a chiedere l’elemosina nei negozi della zona, alcuni commercianti gli offrivano volentieri un po’ di cibo e un bicchierino. Oreste era arrivato a Cavoretto quando chiusero il manicomio di Collegno, si presentò alla cittadinanza con un sacchetto dorato di caffè messo in testa come la mitria di un vescovo, vestito con colori sgargianti: gli abitanti del posto lo accettarono con un misto di pena e di affetto. Quando si ammalava c’era sempre qualche donna che gli portava delle medicine, altri gli regalavano dei vestiti vecchi, un po’ tutti lo aiutavano a tirare avanti. Coloro che gli lasciavano dei soldi gli raccomandavano di non berseli subito, perché faceva male bere tanto, ma Oreste non era poi così convinto, e subito andava a spendere l’elemosina in un bar. Per sdebitarsi, in inverno spazzava la neve dai marciapiedi e durante l’autunno le foglie secche e in generale cercava di tenere pulito quanto poteva. Ogni tanto gridava e improvvisava dei discorsi complicati in cui bofonchiava di ponti da costruire, denari da elargire e in mezzo ci metteva delle parole inventate. C’erano dei momenti in cui si arrabbiava nei confronti di non si sa che cosa e imprecava contro il niente, forse verso un destino che non era stato poi tanto buono con lui. Gli venne regalata una bicicletta e lui subito la gettò nel fiume, perché ci teneva davvero tanto a quel gentile pensiero e così nessuno avrebbe mai potuto rubargliela. Un Natale aveva deciso di rendere grazie a qualcuno in particolare e così iniziò a strimpellare una vecchia chitarra, rivolto verso un angolo buio della chiesa in cui non c’era nulla: il dio dei matti forse non si mostra facilmente come il dio dei normali. Oreste morì nel 2009, vecchio e stanco, in ospedale, aveva lasciato tutto nel suo giaciglio sotto il ponte, in modo che Gary Cooper potesse farci la guardia.

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 Lucia era un’artista, scriveva poesie e dipingeva, sosteneva di essere la Madonna e di essere la fidanzata di Dio. Adorava irrompere in chiesa e disturbare le funzioni, soprattutto i matrimoni. Una volta aveva spiegato che le pareva di essere circondata da diavoli e che le volessero tutti male, perciò dipingeva, perché non sapeva parlare. Diceva che l’arte l’aveva salvata, che le bastava quello e l’affetto di poche persone per vivere e stare in piedi. Vito indossava un cappello scuro a tesa larga e suonava la tromba sotto i portici della Certosa di Collegno, in genere si cimentava nell’Aida di Verdi e per quello era impazzito, perché non riusciva a fare gli acuti con la tromba. Vito era anche un grafomane, scriveva frasi e aforismi sui muri, tra i tanti uno aveva colpito nel segno: “Elettricità, no”.  Anche Jimmy, un vecchio marinaio, aveva conosciuto l’ebrezza dell’elettroshock, ma lui preferiva non parlarne. A Torino, tra i matti più conosciuti, c’era Zeus, acronimo di Zanetti Edoardo Unico Signore. Zeus si aggirava per le vie della città avvolto in una lunga tunica e con dei sandali ai piedi, aveva una fascetta di cotone legata in testa, la barba incolta e i capelli lunghi fin sulle spalle. Non era cattivo, né un violento, entrava nei negozi tentando di provare giacche che non avrebbe mai comprato, mangiava goloso coni gelato al gusto pistacchio, si impegnava a vendere sciarpe della Juventus davanti allo Stadio Comunale, o al Balôn, la gente lo scansava perché in effetti la tunica emanava un odore difficile da sopportare per più di qualche minuto. Al suo fianco c’era Maria, una donna più anziana di lui, con i capelli dal colore indefinito, che gli camminava davanti illuminandogli la strada con un cero acceso, e intanto che andava avanti gridava: “Zeus ti vede!” Ecco l’autore di quelle innumerevoli scritte affiancate ai disegni del triangolo con l’occhio disegnato all’interno. Zeus veniva da Collegno, sosteneva che, dopo l’elettroshock, il suo cervello fosse diventato elettrico e lui, di conseguenza, un Dio elettrico. Era molto dispiaciuto di non poter fare più miracoli, perché era stanco, non più giovane e un po’ acciaccato, ma soprattutto non poteva più fare affidamento sul nettare che gli permetteva le azioni miracolose e divine: sosteneva infatti che dal proprio liquido seminale scaturivano i suoi divini poteri, ma, con il tempo, anche quell’umore così potente si era indebolito. Un giorno si fece stampare dei bigliettini con scritto sopra: 

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DIO
PER QUALSIASI PROBLEMA TELEFONATEMI
ALLO 011.00.00.00

(In caso d’assenza vi risponderà la segreteria elettromeccanica del Paradiso).
Quando si sentì prossimo alla dipartita, Zeus disse di essere favorevole alla cremazione, poiché chi viene seppellito viene mangiato dai vermi e dà loro la propria anima, “così i vermi diventano sempre più intelligenti”.

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L’ultimo paziente dimesso da Collegno fu un operaio di sessantadue anni, l’uomo oltrepassò i cancelli il 4 giugno 1998 e dopo di lui la struttura venne ufficialmente chiusa. Qualcuno, però era rimasto dentro, e proprio non voleva andar via. Era Roberto Contartese, ex insegnante genovese di lettere e filosofia al liceo, ultimo di cinque figli, ricoverato lì da vent’anni. Roberto era stato rinchiuso a Collegno perché viveva in attesa della fine del mondo e di una guerra atomica che avrebbe distrutto tutto. Lo avevano trovato in una casa di campagna, nascosto tra il materasso e la rete, per evitare le radiazioni. Era rimasto lì immobile per giorni, senza bere né mangiare, in attesa dell’inevitabile Apocalisse. Roberto venne internato, il dottor Annibale Crosignani lo curò e parve guarito. Con il dottore, Roberto aveva instaurato un rapporto di fiducia e perfino di “rispetto intellettuale”; dal canto suo il medico gli permetteva anche di tenere delle lezioni all’interno della struttura e lo aveva in gran conto. Quando gli dissero che poteva tornare a casa, Roberto andò in crisi nuovamente, questa volta il delirio riguardava la paura dell’avvelenamento.  Quando Collegno chiuse, gli proposero un bell’appartamentino a Grugliasco, ma lui rifiutò categoricamente, così l’unica soluzione trovata dal dottor Giorgio Tribbioli fu quella di riadattargli l’ex appartamento di don Gilardi, il cappellano, all’interno dello stesso manicomio. Contartese si trasferì nel suo nuovo piccolo antro con i suoi libri e i suoi autori preferiti: San Tommaso, Kant, Shopenauer, Campanella, Moro, Bacone, Freud e Jung. Si portò dietro anche alcuni volumi di poesia e narrativa, che leggeva ogni tanto tra una sigaretta e l’altra, (ne fumava ottanta al giorno). Non ci fu storia, non uscì vivo da Collegno, lo trovarono morto lì, per un male del corpo e non della mente, a sessantanove anni. L’ultima anima di Collegno se n’era andata via in sordina, come tantissime altre che nel tempo erano spirate silenziose tra le mura del manicomio. Chissà quanti di quei fantasmi sono ancora lì, come i tristi spettri di via Giulio, che ancora non si capacitano di aver sofferto tanto. Chissà se noi normali potremmo mai comprendere la folle tragedia che i matti hanno vissuto, per colpa nostra, per la nostra paura del diverso e di essere scoperti noi stessi come diversi. Chissà quando avremo il coraggio di guardarci così da vicino per scoprire che a una certa distanza, nessuno è normale.

 

Alessia Cagnotto

Atp Finals, rinvio sulla scelta della città candidata

Non si sa ancora quale sarà la città che dal 2021 al 2025 ospiterà le Atp Finals di tennis. E’ stata infatti posticipata la decisione attesa ieri e se ne riparlerà solo  nelle prossime settimane. Con Torino sono candidate Manchester, Tokyo e Singapore, oltre a Londra, l’attuale sede. La sindaca Chiara Appendino ha incontrato a Roma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e il presidente della Federtennis, Angelo Binaghi, e i sottosegretari Simone Valente e Laura Castell per discutere della necessaria fidejussione. Inoltre è stata avviata una valutazione sull’istituto bancario al quale affidare l’operazione.

FridaysForFuture 

Davide Canavesio, Amministratore Delegato dell’ Environment Park commenta  l’iniziativa FridaysForFuture che oggi coinvolge anche Torino con una marcia a favore del clima

 

“Come Environment Park siamo particolarmente attenti a tutte le iniziative di sensibilizzazione su un problema così attuale come quello dei cambiamenti climatici.  In particolar modo quando provengono dalle nuove generazioni, perché devono essere loro uno dei motori principali per dare un futuro al nostro Pianeta” – Ha affermato Davide Canavesio, Amministratore Delegato di Environment Park in riferimento al movimento FridaysForFuture che venerdì 15 marzo interesserà anche Torino con una marcia a favore del clima – “Sono numerosi i progetti che vedono il Parco in prima linea per informare e formare nel modo corretto i giovani su questa tematica. Lo scorso ottobre abbiamo ospitato il “main stage” del Climathon 2018, la  più importante maratona internazionale di idee per contrastare il surriscaldamento del Pianeta. Un evento globale che ha interessato 113 città e oltre 5.000 persone in tutto il mondo. Environment Park e Torino sono stati il centro di questo mondo virtuoso e ho potuto notare con i miei occhi la grande passione mostrata dai ragazzi delle scuole coinvolte nei confronti di questo tema. Sono segnali importanti che possono indicare una svolta, ma è necessario che i giovani abbiano delle guide che li indirizzino e li sostengano. Un ruolo che Environment Park sta portando avanti da diversi anni e su cui continuerà a investire nei prossimi”.

Riapre al pubblico la Camera del Parlamento Subalpino

Venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 marzo

L’occasione è data, anche quest’anno, dalla ricorrenza della “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”: così venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 marzo prossimi, dalle 10 alle 19, il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano (via Accademia delle Scienze 5, a Torino) riaprirà alla visita del pubblico la Camera dei Deputati del Parlamento Subalpino, riconosciuta monumento nazionale dal 1898. Occasione eccezionale, l’iniziativa permetterà ai visitatori di vivere l’emozione unica di entrare nel cuore della storia d’Italia, per cogliere quelle che furono le gloriose radici della nostra odierna identità. E’ infatti in quest’Aula che si svolse l’attività legislativa dell’allora Regno di Sardegna, fra l’8 maggio 1848 e il 28 dicembre 1860. Ed è qui che personaggi come Camillo Benso Conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi, Angelo Brofferio, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Vincenzo Gioberti, Quintino Sella e centinaia di altri posero le basi della nostra democrazia per avviare il cantiere dell’Italia unita. Doveroso dunque per il Museo Nazionale del Risorgimento riconsegnare al pubblico anche se solo per pochi giorni questo patrimonio inestimabile, autentico prezioso gioiello della città. L’iniziativa si realizza in collaborazione con il Consiglio Regionale del Piemonte e in occasione della mostra “Nel solco di Camillo Cavour”, aperta a Palazzo Lascaris, nella “Galleria Carla Spagnuolo” dal 14 marzo all’11 aprile. Per venerdì 15 marzo, è anche prevista la visita al Parlamento Subalpino di tutti gli studenti arrivati alla fase finale del concorso “Ragazzi in Aula”, il progetto di open government che il Consiglio Regionale rivolge alle scuole secondarie di secondo grado del Piemonte. Tra gli eventi proposti, da segnalare anche domenica 17 marzo alle 15.30, nell’ambito del progetto “Il Cavour nei luoghi di Cavour”, l’esibizione del coro e dell’orchestra di archi del Liceo Musicale Cavour di Torino che eseguiranno la versione integrale de “Il Canto degli Italiani”. I settanta giovani allievi si esibiranno nell’Aula destinata alla Camera del Parlamento Italiano, un altro dei luoghi estremamente significativi che fanno parte del percorso del Museo Nazionale del Risorgimento.

Pillole di storia

La Camera Subalpina è l’unica Aula parlamentare rimasta integra in Europa tra quelle nate con le rivoluzioni del 1848 ed è riconosciuta monumento nazionale dal 1898. Dal 1938, anno del trasferimento del Museo a Palazzo Carignano divenne parte integrante dell’esposizione. Dopo un importante intervento di restauro realizzato nel 1988, che ne ha garantito la conservazione, non è più stata accessibile. I visitatori normalmente possono ammirarla da un ampio affaccio esterno che ne consente la visione di insieme. In origine era il Salone d’Onore al piano nobile del palazzo dei Principi di Carignano, progettato da Guarino Guarini ed edificato tra il 1679 e il 1683. Qui si svolse l’attività legislativa del regno sardo tra l’8 maggio 1848 e il 28 dicembre 1860. Promulgato lo Statuto Albertino, si pose infatti il problema di dove collocare in tempi strettissimi le due aule parlamentari. Per il Senato fu scelto Palazzo Madama, per la Camera il vasto spazio ellittico del salone di Palazzo Carignano. A due settimane di distanza dalla proclamazione dello Statuto, la stesura del progetto fu affidata, il 18 marzo 1848, a Carlo Sada. In cinquanta giorni fu realizzata la trasformazione dell’antico salone ovale in una sala ad anfiteatro con i seggi dei deputati posti a semicerchio dinanzi al banco del presidente e dei segretari. La prima seduta, con l’inaugurazione della prima legislatura, avvenne l’8 maggio intorno alle 13. Dal giorno seguente le sedute proseguirono regolarmente e furono aperte al pubblico, mentre erano in corso le ultime rifiniture. Rimaneggiamenti dell’aula si resero necessari quando aumentarono i deputati con le annessioni, tra il 1859 e il 1860, prima della Lombardia, poi dell’Emilia e della Toscana, fino a quando col progredire dell’unificazione al Centro e al Sud, il salone divenne troppo piccolo. All’architetto Amedeo Peyron fu affidato quindi l’incarico di realizzare un’Aula provvisoria nel cortile, mentre veniva avviato l’ampliamento del Palazzo verso piazza Carlo Alberto, per collocarvi l’Aula definitiva del Regno d’Italia. L’Aula della Camera ellittica fu chiusa, ma non smantellata; subito le si riconobbe il carattere di monumento nazionale, ratificato poi da un decreto del 4 marzo 1898 in occasione del cinquantenario dello Statuto. Nel 1911 per i cinquant’anni del Regno vi si tenne una seduta straordinaria. Un nuovo restauro venne compiuto nel 2010-2011 in occasione del riallestimento del Museo

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, via Accademia delle Scienze 5, Torino; tel. 011/5621147 (è anche possibile prenotare, allo stesso numero, visite guidate) o www.museorisorgimentotorino.it

g. m.

Nelle foto
– Aula della Camera del Parlamento Subalpino
– Museo Nazionale del Risorgimento Italiano

 

Steve McCurry. Leggere

Un mondo che legge: a Palazzo Madama, la passione per la lettura raccontata attraverso gli scatti del grande fotografo americano
 
Immagine – guida della mostra, una foto scattata a Kunduz, in Afghanistan, nel 2002. Ritrae una giovane fanciulla, un libro tenuto aperto fra le mani, unghie smaltate, due stupendi occhi neri e un velo trasparente a coprire appena appena il capo e a scendere lieve sulle spalle. Totalmente libero é il volto, fermato a fissare con dolce perplessità e un pizzico di sorpresa l’obiettivo della fotocamera che le si para (forse inaspettatamente) davanti. Negli occhi trattiene ancora le ultime parole del libro su cui fino a un attimo prima aveva fermato la sua attenzione. La foto arriva 18 anni dopo quella scattata nel 1984 alla famosa ragazza afgana dai grandi occhi verdi che scavano l’anima, rifugiata a Peshawar, in Pakistan, e diventata per quello scatto indimenticabile simbolo dei conflitti afgani degli anni Ottanta, tanto da guadagnarsi la copertina del “National Geographic Magazine” del giugno 1985. L’autore è sempre lui: Steve McCurry, classe 1950, nato nei sobborghi di Philadelphia e oggi fra i grandi in assoluto del fotogiornalismo mondiale. Viaggiatore curioso e instancabile, coraggio da vendere (camuffato e infiltrato fra i Mujahidin, è stato il primo fotoreporter occidentale a raccontare al mondo per immagini il conflitto in Afghanistan, mostrando il volto cruento e terribile della guerra), un palmarés di impressionante levatura, a lui la Fondazione Torino Musei e Civita dedicano, fino al primo luglio, una nuova ampia rassegna ospitata nella “Corte Medievale” di Palazzo Madama e dedicata a un tema specifico: la passione universale per la lettura. Se vogliamo, un omaggio a McCurry dalla Città della Mole e da McCurry un omaggio a Torino che, in virtù del suo Salone del Libro, può certamente annoverarsi fra le capitali italiane e internazionali della lettura. Ben esplicito il titolo – “Steve McCurry. Leggere” – la rassegna è curata da Biba Giacchetti e, per i contributi letterari, da Roberto Cotroneo; presenta oltre 70 fotografie realizzate in più di quarant’anni di carriera e comprende la serie di immagini che lo stesso McCurry ha riunito in un magnifico volume, pubblicato da “Mondadori” e dedicato al grande fotografo ungherese André Kertész. L’elemento umano è, ancora e sempre, al centro delle immagini scattate dal fotografo in tutto il mondo. “Nella mostra – scrive bene Guido Curto, direttore di Palazzo Madama – il soggetto non è tanto il libro, bensì la persona intenta alla lettura”, che McCurry “spia con noi – aggiunge Biba Giacchettiin una conferma del potere della lettura di astrarre dal presente e di condurre ogni individuo in un mondo a parte, personale e segreto”. Ovunque può esserci lettura. Che non è mai privilegio di pochi eletti. I contesti, narrati dagli scatti assemblati in mostra, ci portano nei luoghi più disparati e imprevedibili, quelli di preghiera in Turchia, fra le rovine prodotte dall’occupazione militare delle forze irachene a Kuwait City nel corso della prima Guerra del Golfo, così come nelle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan a Cuba, dall’Africa agli Stati Uniti. E in ogni parte del mondo , McCurry “è capace di farci leggere per un attimo– precisa Roberto Cotroneo lo stesso libro dei suoi soggetti, di lasciarci con loro per un attimo, quello che basta a riempirci di storie e passioni”. Libri, pagine di preghiera, giornali, riviste. Di tutto si legge. E la lettura è voglia e passione di tanti: giovani e anziani, ricchi e poveri, religiosi e laici. E’ solitudine positiva, linfa vitale di contenuti lungo il percorso della vita. E’ curiosità. E’ passione. E’ stimolo di emancipazione. E si legge in piedi. O sdraiati. O seduti. O coricati su un marciapiedi, le gambe in alto lungo il muro di una casa. Tutto è consentito. E tutto è cristallizzato e documentato dall’intuito creativo del grande fotografo che riesce a cogliere momenti anche i più bizzarri e suggestivi di un gesto, in fondo, di quotidiana normalità. Completa la rassegna, una specifica sezione (“Leggere McCurry”) dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto dell’artista, molti dei quali tradotti in più lingue: ne sono esposti 15, alcuni ormai introvabili, insieme ai più recenti, fra cui il volume edito da “Mondadori” che ha ispirato la realizzazione della stessa mostra. Tutti sono accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, autentiche icone che hanno reso celebre McCurry in tutto il mondo e che gli sono valse perfino la nomina di “Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere” conferitagli dal Ministero della Cultura Francese e la “Centenary Medal for Liftime Achievement”, tributatagli dalla Royal Photographic Society di Londra.

Gianni Milani

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“Steve McCurry. Leggere”
Palazzo Madama – Corte Medievale, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it
Fino al primo luglio
Orari: tutti i giorni 10/18, chiusura il martedì
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Nelle foto

– Kunduz, Afghanistan, 2002
– Kuwait City, Kuwait, 1991
– Roma, Italia, 1984
– Mandalay, Birmania, 2013
– Varanasi, Uttar Pradesh, India, 1984
– Chiang Mai, Tailandia, 2012

 

Donat-Cattin, un'eredità attuale

Di Giorgio Merlo
Ricordare il centenario della nascita di Carlo Donat-Cattin significa anche e soprattutto rileggere il magistero politico, sociale e culturale di uno statista che ha segnato con la sua presenza la storia politica italiana

Attraverso la sua collocazione politica nella sinistra sociale della Dc, come esponente di primo piano del cattolicesimo sociale italiano e soprattutto con la sua concreta azione politica e legislativa. Certo, il ricordo di Donat-Cattin e’ molto vasto e articolato ma comunemente e’ conosciuto come il “Ministro dei lavoratori” per il varo di quello “Statuto dei lavoratori” che porta la sua firma nel maggio del 1970 e che ha caratterizzato per molti anni lo status, i diritti e la condizione concreta delle persone nei luoghi di lavoro. Ma sono sostanzialmente 3 gli elementi che, in forma dialettica e viva, hanno alimentato negli anni la sua azione – sindacale, politica, sociale – e che conferiscono spessore culturale ad ogni sua indicazione. Essi sono: a) una forte ispirazione cristiana che, per un verso, arricchisce di significato etico la sua azione politica e che, per l’altro, lo collega organicamente all’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa in difesa della dignità e sacralità della persona umana e delle società naturali: la famiglia, la comunità locale e le professionali; b) un saldo radicamento nel sociale e nel mondo del lavoro, sorretto però sempre dalla capacità creativa di ricavare dalla difesa degli interessi più deboli un progetto generale e solidaristico nel quale possa riconoscersi l’intera società; c) una irriducibile fedeltà al metodo democratico ed ai valori dello stato di diritto, nella convinzione profonda che non può esistere autentica emancipazione sociale se non all’interno di solide istituzioni democratiche. Questi 3 elementi nel pensiero politico di Carlo Donat-Cattin non appaiono mai separati l’uno dall’altro ma, al contrario, si integrano e si sorreggono vicendevolmente, conferendo forza morale e coerenza culturale ad ogni suo atteggiamento. Leader indiscusso della sinistra sociale Dc di Forze Nuove per molti anni dopo essere stato dirigente torinese e nazionale della Cisl, e’ stato più volte ministro della Repubblica e parlamentare. Il suo magistero politico, seppur declinato in un contesto storico che va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ’80 – Donat-Cattin muore nel marzo del 1991 – conserva tuttora una bruciante attualità non solo per lo spessore e l’autorevolezza del personaggio ma anche, e soprattutto, per la modernità dei valori a cui si rifaceva e per le concrete scelte politiche che ha compiuto negli anni. Perché Donat-Cattin, come ha scritto recentemente l’ex sindaco di Torino Diego Novelli, “e’ stato sì un anticomunista. Ma un anticomunista che ha sempre difeso e valorizzato i ceti popolari”. Non nei libri, nelle conferenze o nei salotti aristocratici ma nella concreta battaglia politica, nel dibattito istituzionale e nel duro confronto con la piazza.

Giovani Ambasciatori contro il cyberbullismo

Da Facebook ad Instagram, il cyberbullismo si sposta ma non riduce la sua pericolosità: un ragazzo su tre (31%) ha dichiarato di essere stato un “cyberbullo” (ad esempio diffondendo video imbarazzanti dei compagni); In crescita le fake news: l’83% dei ragazzi non verifica la veridicità di ciò che legge su internet e si affida solo alle loro capacità personali o all’istinto per distinguere le informazioni vere dalle false; Oltre il 60% dei ragazzi navigano quando sono da soli anche perdendo la cognizione del tempo; La totalità dei ragazzi usano lo smartphone per controllare e aggiornare il loro profilo social e 1 minore su 2 invia foto e video personali; Nel 2018, sono ben 389 i casi trattati da Polizia Postale che vedono vittima un minorenne, 18  i casi con vittime di età inferiore a 9 anni.
 
Il 15 marzo 2019, dalle ore 10, presso l’Istituto Peano di Torino sarà presente il Centro mobile di sostegno e supporto contro il cyberbullismo del Moige con il personale esperto per incontrare i ragazzi, i docenti e i genitori. La tappa di Torino rientra nel tour nazionale della campagna “Giovani Ambasciatori contro il cyberbullismo per un Web Sicuro in giro per l’Italia”, promossa dal MOIGE – Movimento Italiano Genitori con il Ministero dell’Istruzione, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani,  la Polizia di Stato, e con il sostegno di Enel Italia, Trend Micro e Lenovo. Tra gli strumenti operativi, oltre al centro mobile e al personale esperto di supporto, la rete di oltre 1500 Giovani Ambasciatori, un numero verde  e un sms dedicato.
 
IL PROGETTO
“Giovani Ambasciatori contro il cyberbullismo per un Web Sicuro in giro per l’Italia” è un progetto promosso dal MOIGE, insieme al Ministero dell’Istruzione, Polizia di Stato, Ministero delle Politiche Sociali, Anci, e con il supporto di Enel Italia, Trend Micro e Lenovo. Dopo aver coinvolto oltre 50.000 ragazzi, quest’anno raggiungerà ulteriori 25.000 studenti in oltre 100 scuole superiori del territorio nazionale per informarli e formarli contro i pericoli del cyberbullismo e per un web sicuro. Attraverso la metodologia del peer to peer, con attività educational interattive, materiali didattici e open day sarà promossa una maggiore consapevolezza delle problematiche legate all’utilizzo improprio del web,  con particolare riferimento al fenomeno delle ‘fake news’. Il progetto, giunto alla sua terza edizione, quest’anno punta a  coinvolgere oltre 25.000 ragazzi, circa 80.000 tra genitori e docenti e a formare ulteriori 500 Giovani Ambasciatori contro il cyberbullismo in 100 scuole secondarie di secondo grado.
La campagna attraverserà l’Italia da Agrigento a Trieste coinvolgendo, tra le altre, le città di Aprilia, Arezzo, Ascoli Piceno, Bergamo, Brindisi, Caivano, Campobasso, Caserta, Castelfranco Veneto, Catania, Cosenza, Este, Firenze, Gallarate, Gangi, Garda, Guspini, Imperia, Livorno, Milano, Napoli, Nicolosi, Nuoro, Pachino, Pagani, Piacenza, Pistoia, Prato, Reggio Calabria, Riolo Terme, Roccella Ionica, Roma, Ruvo Di Puglia, Seregno, Sora, Taranto, Termoli, Urbino, Varese, Vicenza, Viterbo, Voghera.
I punti qualificanti della campagna riguardano:

  • la formazione ed attivazione di 500 “Giovani ambasciatori contro il cyberbullismo”, che diventeranno Ambasciatori nella lotta al cyberbullismo rappresentando un punto di riferimento di formazione e segnalazione per i loro ‘pari’ all’interno dell’istituto di appartenenza.
  • La presenza del “Centro mobile sostegno e supporto contro il cyberbullismo”, un motorhome che raggiungerà direttamente le scuole e i comuni che lo richiederanno con gli esperti psicologi e psicoterapeuti della task force antibullismo del Moige.

 

Una bruschetta perfetta

Una bruschetta saporita da mangiare in compagnia? Certo che si’! Una bella fetta di pane casereccio croccante, abbrustolito e condito con tutti gli ingredienti che la fantasia vi suggerisce. Semplicemente perfetto per ogni stagione.

Ingredienti
Fette di pane casereccio
Pomodori San Marzano o cuore di bue
1 spicchio di aglio
Filetti di acciughe sott’olio
Sale, olio evo, aceto balsamico q.b.
Rucola per guarnire
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Lavare e tagliare a cubetti i pomodori, lasciarli scolare poi, condirli con olio, sale ed aceto balsamico. Abbrustolire le fette di pane casereccio su una piastra, strofinarle leggermente con lo spicchio di aglio, sistemarle su un piatto da portata, condirle con il pomodoro ed i filetti di acciuga sott’olio. Servire su un letto di rucola fresca.

Paperita Patty