redazione il torinese

I bianconeri trovano un’Empoli agguerrita

Se l’intento era quello di agguantare i tre punti e nello stesso tempo preservare i senatori in vista degli impegni di Champions, ebbene, scopo raggiunto. 

Il pubblico dello Stadium, però, avrebbe voluto vedere anche una parvenza di gioco da parte della propria squadra; invece, per tutto il primo tempo ha visto in campo solo l’Udinese.Complice un infortunio per Dybala in allenamento poco prima dell’inizio della gara, Allegri sceglie di partire con un 4-4-2, con Bernardeschi e Mandzukic davanti, Emre Can e Matuidi a guardia delle fasce.L’Empoli è ben impostata ed agguerrita, si propone in avanti senza timore reverenziale: già al 22′ Krunic mette paura alla difesa bianconera con un destro radente che finisce fuori per un pelo.Al 30′ ci prova la Juve: Marione Mandzukic incorna di testa in area su cross di Matuidi, ma Dragowski fa un miracolo e salva la propria porta.Il possesso palla, comunque, è sempre a favore dell’Empoli (che, tra l’altro, ha un gioco simile a quello dell’Ajax, ndr), mentre Madama arranca e fatica a contenere gli avversari; l’unico ad essere sul pezzo è, ancora una volta, Bernardeschi, ma da solo poco può fare.Il primo tempo si chiude con i fischi del pubblico, che non comprende il motivo per cui, con CR7 e Dybala indisponibili, non sia sceso in campo Kean – in forma strepitosa – dal primo minuto al posto di Mandzukic, per il quale continua il periodo difficile, nonostante qualche buona sponda per i compagni.Nella ripresa la Juve tenta di cambiare ritmo: Matuidi prima e Bernardeschi poi arrivano pericolosamente davanti alla porta avversaria, ma non la centrano. Allegri a questo punto cambia modulo e passa al 4-3-3, arretrando Can accanto a Rugani e Chiellini, poi al 16′ st sostituisce un impacciato Alex Sandro con Spinazzola, applauditissimo.Per la gioia del pubblico, al 24′ st esce Matuidi per Kean, che dopo appena tre minuti segna l’1-0 : lancio lungo dalla sinistra di Chiellini, raccoglie Mandzukic che fa sponda e Kean  infila Dragowski di destro.Poco dopo, la Juve ha l’occasione per il raddoppio: palla recuperata da Pjanic sulla tre quarti, Kean si trova solo davanti alla porta, ma Dragowski arpiona con il braccio destro e sventa il tiro.Sul finire, entra Caceres per Bernardeschi e si abbassa il baricentro della Juve, Can va a fare la mezz’ala difensiva; in tal modo però, l’Empoli prende campo e possesso palla, e negli ultimi dieci minuti ridiventa pericolosa, tanto che riesce a guadagnarsi un insidioso calcio di punizione dal limite, che per fortuna non incide.Al di là dei tre punti conquistati, si sottolinea la duttilità di Emre Can – giocatore sempre pronto, anche se oggi ha commesso, nel finale, un paio di errori – , la continuità di Bernardeschi (l’unico dei suoi ad aver tenuto la testa alta anche nell’inguardabile primo tempo) e il periodo d’oro del giovane Kean.

#finoallafine.

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Rugiada Gambaudo

 

 

 
 

 

 

 

Inviato da Libero Mail per iOS

Nessun incidente al corteo anarchico

ll capo della polizia, prefetto Franco Gabrielli si è congratulato telefonicamente con il questore di Torino, Francesco Messinaper il dispositivo di sicurezza messo in atto in occasione della manifestazione anarchica di ieri. “E’ stata garantita la sicurezza dei torinesi in una giornata davvero complessa”, ha detto all’ANSA il questore che ringrazia  i funzionari e tutti gli uomini che hanno preso parte al servizio. “Ho una squadra di fuoriclasse”, ha commentato. Il questore osserva che alcuni partecipanti controllati prima della manifestazione “Non avevano intenzione di rispettare le regole  e per questo sono stati bloccati e identificati e denunciati”. Avevano con sé spranghe, caschi e passamontagna. Su Twitter la sindaca Chiara Appendino, nei confronti della quale gli anarchici ieri  hanno scritto minacce sui muri della città per l’operazione dello sgombero dell'”asilo”, ringrazia le forze dell’ordine per “la gestione dell’ordine pubblico  davvero impeccabile”.

(foto archivio)

La terra grama e il “rosso generoso”

Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12..La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta…L’Esercito Austro-Ungarico è annientato.. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza… Firmato:Armando Diaz”

Il “bollettino della vittoria” l’aveva sentito leggere ad alta voce dal dottor Giubertini. Il medico condotto, tra una visita e l’altra, non mancava mai l’appuntamento con il quartino di vino e il mazzo da quaranta delle carte da scopa. La Società di Mutuo Soccorso si trovava all’angolo tra la strada principale e la viuzza che conduceva al Municipio. Dietro al bancone, intento a mescere il vino, l’oste occupava gran parte dello spazio, grande e grosso com’era. Alvaro, per tre lunghi anni aveva servito la Patria, passando da un fronte all’altro, schivando il piombo austriaco dai monti del Cadore fin giù nelle golene del Piave.Non sapeva nemmeno lui come aveva fatto a portare a casa la pelle. E per di più intera, senza nemmeno una ferita grave se s’escludeva quello sbrego sul gluteo sinistro che gli era stato impresso da una fucilata presa di striscio, partita dallo schioppo di un fuciliere imperiale del Kaiser sul Monte Piana, nelle Dolomiti di Sesto. Non doveva essere tra i migliori tiratori di Cecco Beppe, per sua fortuna. Nonostante la ferita,aveva tenuto la posizione e s’era guadagnato una medaglia di bronzo,per altro non richiesta. Sentir raccontare con tanta enfasi della guerra uno come il dottore che aveva schivato il fronte,restando nelle retrovie,al servizio   medico dello Stato Maggiore,gli provocava acidità di stomaco.Avrebbe voluto alzarsi, schiaffeggiarlo e cacciarlo fuori dall’osteria ma quello era pur sempre il medico condotto e lui solo un contadino di montagna che la guerra aveva reso ancor più povero di quanto già non fosse. Così,tenendo a freno la lingua,svuotò il bicchiere e s’alzò dal tavolo,salutando con un cenno del capo gli altri avventori.Fuori l’aria era fredda.Scendeva dalla Val Chiusella e era talmente brusca da far rabbrividire. Per fortuna s’era portato appresso,uscendo di casa,il pastrano che aveva trovato in quella malga sull’altipiano dove si era rifugiato durante una delle giornate più difficili di quella brutta guerra.Non seppe mai a chi fosse appartenuto e nemmeno cosa avesse indotto il legittimo proprietario a lasciare incustodito quel prezioso capo di vestiario. Una fuga improvvisa o una disgrazia? Chissà. Non era di foggia militare e non portava mostrine.
 

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Fatto sta che quell’inaspettato rinvenimento gli fu molto utile e lo considerò alla stregua di una vera e propria grazia piovuta dal cielo.Cessate le ostilità tornò a casa dopo un lungo viaggio dove alternò alle rare tradotte ferroviarie le più frequenti e lunghe marce a piedi. In paese trovò rovine e miseria.I suoi vecchi, Albino e Giuditta, erano morti all’inizio dell’ultima estate di guerra. Se n’erano andati a distanza di pochi giorni l’uno dall’altra. La cascina era in pessime condizioni e il terreno stava andando in malora. La campagna attorno a Pavone era sempre stata generosa con chi non avesse paura di spaccarsi la schiena nel lavorarla ma in quei tempi grami anche la terra era diventata avara. Pareva caduta preda di una maledizione che l’aveva resa micragnosa, dura come pietra,con quelle zolle che resistevano alla zappa come le teste chiodate di crucchi dalle Dolomiti al Carso. Si preparava un Natale amaro. Di pace, finalmente, ma anche di fame. Nei primi tempi si era fatto aiutare da un suo zio. Orgoglioso com’era, patì molto quella situazione nonostante il fratello del padre fosse una persona buona e generosa.Dissodò il campo, seminò quel poco che aveva, imbastì persino delle novene perché anche la fede,che pure non l’aveva mai visto così attento ai precetti, poteva aiutare in frangenti come quelli, scansando scoramento e disperazione.Raccolte in qualche sacco le patate seminate in quel terreno ostico, aveva provato a venderle a Bairo ma era stato accolto con ostilità da un gruppo di tirapere ,i tirapietre. Era quello, in parola e nei fatti, il soprannome di quelli che,come abitudine non propriamente ospitale,accoglievano i forestieri a suon di pietre.Ridevano, quei pazzi. E gridavano “a l’é bianch ‘me la coa dël merlo”,è bianco come la coda del merlo. Alludevano al fatto di averlo conciato per le feste,impaurendolo.Altro che vender patate! L’avevano fatto nero ed era già tanto l’esser riuscito a scappar via. Non erano anni facili da nessuna parte e il Canavese non faceva differenza. Imperversavano le rivalità tra gli abitanti dei vari paesi. Per uno di Foglizzo, paese dei mangia rane (ij cagaverd ) era dura andar d’accordo con quelli di San Giusto Canavese che chiamavano, poco amichevolmente, ij singher ,gli zingari. E ij biàuta-gambe , i dondola-gambe, cioè i fannulloni di Rivarolo ironizzavano – ricambiati con gli interessi – sui gavasson di Ozegna, simulando i colli ingrossati dalla tiroide. Un certo rispetto se l’erano guadagnati quelli di Rivara,ij strassapapé,gli “stracciacarte“. Apparivano agli occhi dei più come persone ben fornite degli attributi giusti grazie a una lontana leggenda secondo la quale nel lontano ‘500,durante la stesura di un atto notarile,un cittadino strappò il documento dalle mani del notaio e lo distrusse davanti ad una piccola folla.
 

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L’avido notaio aveva la pessima ma per lui redditizia abitudine di riportare cifre maggiorate in favore dei   suoi conti,ingannando i poveri contadini, spesso analfabeti e incapaci a far di conto. Una storia, come tante altre, che veniva raccontata e tramandata da quelli di Favria, ij tajastrass, quelli che ti tagliavano i vestiti addosso, facendosi allegramente i fatti altrui.Alvaro, a testa bassa, continuò la sua lotta con quella terra taccagna.Per ottenere un minimo di raccolto dovette impiegare il massimo degli sforzi,dimostrandosi molto più generoso di quanto non fosse quella campagna che lo strizzava come un cencio, rubandogli fino all’ultima stilla di sudore.Un giorno, al mercato di Ivrea, mentre cercava delle sementi e una gerla nuova per il fieno necessario ai pochi conigli che aveva iniziato ad allevare, incontrò Giovannino Bedini, anch’esso contadino, proprietario di un po’ di terra dalle parti di Torre Balfredo.Originario del vercellese e non più giovane d’età,Giovannino si era piegato la schiena fin dai tempi dell’infanzia aiutando i genitori nel ricavare da quella terra poco generosa il minimo che servisse per vivere.O meglio, per sopravvivere. Eppure,a detta dei più (e bastava uno sguardo attorno ai suoi campi per trovare conferma) le rese non erano poi così malvage. Forse dipendeva da lui la scarsa capacità di far fruttare le semine tra quelle zolle scure. Per di più un vecchio zio di nome Giacomone gli aveva lasciato in eredità alcuni filari di vigna sulla serra morenica di Piverone, poco distante dalla sponda nord occidentale del lago di Viverone.I due contadini, seduti al tavolo dell’osteria della Pesa, discussero a lungo e dopo il terzo “mezzino”,Bedini avanzò una proposta. Se Alvaro fosse stato dell’idea, a suo dire, avrebbero trovato un modo per aiutarsi a vicenda.Come? Dando una mano a Giovannino nel tentativo di ottenere da quel terreno una miglior resa. Così i due,diventando soci e lavorando nella vigna, si sarebbero divisi i proventi della vendita dell’uva che, finita la vendemmia,avrebbero consegnato alla cantina sociale. Alvaro accettò, ormai sfinito dai tentativi di ricavare qualcosa di buono da quel suo terreno quasi sterile.In poco tempo il sodalizio diede a entrambi delle buone soddisfazioni. A parte la società della vigna, gli altri lavori erano pagati a giornate e rendevano bene ad Alvaro.
 

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La produzione,copiosa e di qualità, suddivisa tra verdure, frutti degli alberi (per lo più ciliegie,pesche e susine) e persino dei fiori, nella piccola serra che era stata impiantata, era tale da soddisfare le necessità dei   negozietti che richiedevano i loro prodotti. Ad Alvaro,dopo aver masticato tanta rabbia e fatica per un tozzo di pane,pareva che la sfortuna avesse imboccato un’altra strada, allontanandosi da lui. Anche Giovannino era contento. La signora Gina, proprietaria dell’emporio, pagava la merce con una puntualità da far invidia a uno svizzero e così pure la fioraia, il gestore del Osteria del Sirio e la cantina sociale.Ma furono le vigne a far scattare il colpo di fulmine e l’idea. Come se in testa avesse avvertito lo schiocco di una bocciata al volo, Giovannino subì un vero e proprio colpo di fulmine, una sensazione d’innamoramento a prima vista talmente forte che gli salì un nodo in gola fino a costringerlo a gorgogliare,tra le lacrime,la sua immensa felicità. I lavori nel vigneto erano impegnativi in tutte e quattro le stagioni. Ogni giorno c’era qualcosa da fare,nella vigna o nella piccola cantina che era stata ricavata accanto al fienile della cascina dei Bedini. Potature, innesti, lavori d’aratura tra i filari per far respirare le zolle eliminando le erbacce, accorciamento dei tralci troppo lunghi. E poi, quando l’uva era matura, la vendemmia. Tutta a mano, grappolo per grappolo. In cantina,dove il mosto fermentava e il vino dell’anno prima s’imbottigliava, quel moto perpetuo impegnava Alvaro, taciturno e sgobbone come sempre, a fianco di Giovannino al quale non difettava mai l’entusiasmo.Era talmente contento il buon Bedini che Alvaro non se la sentì di esternare i suoi dubbi e le perplessità. L’uva diventò così vino, il “loro” vino. Non tanto ma nemmeno poco, di due qualità diverse, raccolta in un paio di tini acquistati nell’astigiano e successivamente nelle quattro botti di media taglia. Giovannino sosteneva si trattasse di un prodotto straordinario. Assaggiandolo provava una punta di commozione e le lacrime gli rigavano il volto arrossato.Con la sua voce stentorea, tra un singulto e l’altro, ripeteva incespicando nelle parole: “Sono due vini buonissimi. Uno è piccolo e brioso e l’altro è grosso e muto. Mescolati danno un vino che farebbe resuscitare un morto”. E beveva, soddisfatto.Provarono a imbottigliarlo e ne ricavarono quasi quattrocento fiaschi da due litri e mezzo, come s’usava a quel tempo.Il primo l’assaggiarono per festeggiare l’evento, destinando i restanti alla vendita. L’etichetta molto semplice che fecero stampare in una tipografia di Strambino raffigurava un grappolo d’uva sormontato da una scritta in blu: “Rosso generoso”. E anche il prezzo stabilito fu generoso, “da osteria” come precisò Giovannino.In poco meno di due settimane, tra locande e osterie con mescita, “piazzarono” tutta la loro produzione. Quel vino giovane incontrò subito il favore di molti. Fresco e piacevole al palato, andava giù che era una bellezza,accompagnando salumi e tomini,acciughe al verde e larghe fette di polenta.Solo i più esperti tra i bevitori storsero il naso,preferendo evitare quel vino troppo fermentato.
 

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I problemi sorsero quasi subito,con grandi fughe degli avventori verso i servizi alla turca o al riparo di qualche boschetto.Quel vino, scendendo allegro e vivace negli stomaci e negli intestini,provocava spiacevoli e dolori inconvenienti.E così, il “Rosso generoso” ebbe – dal punto di vista commerciale – vita breve. Il povero Giovannino , terreo in volto, non prestò ascolto alle critiche di quegli “ignorantoni selvatici” che avevano “la bocca come il sedere” e non capivano “un accidenti di come doveva essere un buon vino”, abituati com’erano a “bere qualunque cosa l’oste mettesse loro davanti al naso”. Fatto sta che i due soci ebbero comunque da discutere per un giorno e una notte interi. Cosa accadde davanti al camino del cascinale non si seppe con precisione ma è certo che quel giorno coincise con la fine della carriera di commercianti di vino di Anselmo e Giovannino. Quest’ultimo decise di curare quel po’ di vigna per produrre vino per sé,“alla faccia di quei bifolchi”. Alvaro, abbandonati i filari, continuò a svolgere il suo lavoro nei campi. I due si spiegarono e il buon Bedini comprese le ragioni che avevano indotto il contadino a tacere il suo parere pur nutrendo dubbi sul loro vino. “Non che fosse cattivo, per carità. Ma era troppo giovane e non ancora pronto per l’imbottigliamento ma tu,Giovannino, eri talmente contento che non ho trovato il coraggio di contraddirti”.Bedini interpretò l’intenzione di non turbare la sua felicità come una prova d’affetto e d’impagabile amicizia. Così il sodalizio tra i due continuò, consentendo a entrambi di sbarcare il lunario, ricavando persino qualche soldo da “mettere in cascina”, sottintendendo una certa dose di buonsenso. Così come si fa con il fieno per assicurare il cibo agli animali nelle stalle durante l’inverno, così si doveva fare pensando a quanto questi denari potevano tornar utili più avanti.Un piccolo investimento quotidiano per i periodi di “magra”, aiutava a non farsi trovare impreparati. E con tutto quello che era capitato ai due, in guerra e in pace, diventati sempre più amici con il passare degli anni, era quanto mai necessaria una certa dose di saggezza.
 

Montagna, Uncem: "Rafforzare il territorio"

Il Presidente Uncem Piemonte Lido Riba esprime soddisfazione per l’approvazione della nuova legge montagna da parte del Consiglio regionale del Piemonte
“Un testo moderno, che attua quanto scritto nelle ultime leggi nazionali come la 158 sui piccoli Comuni, la 221 sulla green economy e il Codice forestale – commenta Riba –  Il testo è stato costruito anche con le proposte di Uncem e delle altre associazioni degli enti locali. Ringrazio il Presidente Chiamparino, gli Assessori Valmaggia e Reschigna, tutti i Consiglieri regionali e i dirigenti dei settori per il grande lavoro fatto”. 
La nuova legge rafforza le Unioni montane, con specifiche competenze che le Amministrazioni gestiscono insieme. Garantisce salvaguardia del territorio, prevenzione del dissesto, congiuntamente allo sviluppo sociale ed economico della montagna. Permette una migliore gestione del patrimonio forestale, promuove artigianato, cultura, mestieri e turismo nelle valli alpine e appenniniche. Permette un’azione degli Enti locali con la Regione per difendere e migliorare i servizi alla collettività, a partire da trasporti, telefonia mobile, poste, tv, combattendo il digital divide con infrastrutture più moderne. Favorisce il recupero dei borghi alpini e appenninici, la valorizzazione delle risorse energetiche attraverso green communities, cooperative di comunità, comunità energetiche. 
“Dobbiamo lavorare con le Unioni montane per attuare fino in fondo i contenuti dell’articolato – afferma il Presidente Uncem – Le Unioni devono essere più stabili, per poter generare sviluppo, strategie durature, fare investimenti. Il fondo regionale per la montagna deve essere usato per questo. I Sindaci crescono ogni giorno nella capacità di lavorare insieme. Questa nuova legge lo dice chiaramente. È in perfetta continuità con la legge 16 del 1999 con la 11 del 2012 e con la 3 del 2014. Non smonta, ma armonizza e inserisce nuovi temi. Uncem la definisce ‘legge montagna 4.0‘. Guarda al futuro ed è smart. Unisce e non divide. In questa direzione vogliamo lavorare. Le Unioni, il lavoro tra Sindaci e Amministrazioni, con imprese e terzo settore, deve generare coesione e opportunità. Lasciamo la burocrazia da parte. Questa nuova legge ci spinge a essere concreti, risolve problemi immediati e allo stesso tempo getta semi per nuovi percorsi di futuro. Da oggi lavoriamo per attuarla”. 
 
(foto mario Alesina)

Amos Oz, storie di amore e di tenebra

La Fondazione “Bottari Lattes” omaggia il celebre scrittore e saggista israeliano con un reading letterario – musicale, nelle sale del torinese Spazio Don Chisciotte

Scrittore e saggista, ma anche docente all’Università “Ben Gurion” del Negev e fra le voci più importanti della letteratura mondiale, ad Amos Oz – nato a Gerusalemme nel 1939 e scomparso a Tel Aviv nel dicembre dello scorso anno – è dedicato il reading letterario – musicale “Amos Oz, storie di amore e di tenebra” della scrittrice Laura Pariani, accompagnata dal chitarrista Giovanni Battaglino, in programma martedì 9 aprile alle 18.30, allo Spazio Don Chisciotte della Fondazione “Bottari Lattes” (in via della Rocca 37b, a Torino). L’appuntamento vuole essere un’occasione per ricordare e rendere omaggio al vincitore del “Premio Lattes Grinzane 2016” (sezione La Quercia, dedicata a Mario Lattes) e alla sua capacità di “spaziare dalla forma del romanzo a quella della fiaba, attraversando diversi argomenti con i suoi saggi. […] raffinato e profondo scrittore degli incontri tra generazioni, tra popoli, tra religioni”, come recitava la motivazione della Giuria del Premio. Ad ingresso libero, l’evento s’inserisce all’interno del cartellone di “Torino che Legge. Piemonte che legge”, iniziativa culturale di Città di Torino, Regione Piemonte e Forum del Libro promossa in occasione della Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore (nota anche come Giornata del Libro e delle Rose), nata sotto l’egida Unesco nel 1996 e fissata, ogni anno, il 23 di aprile, giorno in cui nel 1616 sono morti tre scrittori, autentici pilastri della cultura universale: Miguel de Cervantes, William Shakespeare e Garcilaso de la Vega. Laura Pariani, che fa parte della giuria del Premio Lattes Grinzane e ha appena pubblicato il suo nuovo romanzo “Il gioco di Santa Oca” (La nave di Teseo), leggerà brani dal libro di Amos Oz “Una pantera in cantina” (Feltrinelli, 1994) e dal volume “Il senso della pace” (Casagrande, 2000), che riporta l’intervista ad Oz fatta dal giornalista Matteo Bettinelli per il ciclo di documentari ”Scrittori israeliani. Il dolore della memoria”, realizzati per la “Televisione Svizzera Italiana” nel 1999. “Cercare di capire tutto, perdonare in parte, non dimenticare nulla: questo è il lascito di Amos Oz, tenendo sempre presente che il passato non sta semplicemente lì dietro di noi, ma deve essere raccontato per diventare memoria”, spiega Laura Pariani. Attraverso i brani del romanzo di Oz, che si sofferma sulla sua preadolescenza, il lettore tornerà al periodo in cui lo scrittore aveva undici anni e che, in una Gerusalemme occupata dagli Inglesi, stringe amicizia con un militare della Gran Bretagna (che desidera imparare l’ebraico), scambiandosi lingue e culture, in un abbraccio umano privo dei confini dettati dalla politica. Lo scrittore ci mette in contatto con la figura della sua mamma e del suo papà, con la sua storia familiare, la sua visione del mondo di bambino, ancora non totalmente contaminata dalla tragedia delle guerre, con il suo tentativo di capire da quali situazioni tremende siano scappati i suoi genitori. Le letture saranno accompagnate da alcuni canti ebraici eseguiti dal chitarrista Giovanni Battaglino: “Ma na vu”, “Ose shalom” e “Tumbalalaika”.In occasione dell’incontro, il pubblico potrà anche visitare la mostra “Seeming Confines” dell’artista David Ruff (New York, 1925 – Torino, 2007), che attraverso una trentina di opere realizzate negli anni Settanta, approfondisce l’impatto prodotto dal trasferimento dagli Stati Uniti all’Europa (e in Piemonte, in particolare) sul suo lavoro di pittore. Difficilmente collocabile in una precisa corrente o entro demarcati confini, Ruff fu anche grafico, stampatore, poeta e intellettuale, oltre che attivista impegnato nelle grandi campagne politiche per i diritti civili.
 

g.m.

Info: 011.1977.1755; segreteria@spaziodonchisciotte.it
WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes
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Nelle foto
– Amos Oz
– Laura Pariani
– Giovanni  Battaglino

Anarchici, otto denunciati. Sequestrati coltelli, passamontagna, caschi

In occasione della manifestazione anarchica internazionale che si sta tenendo a Torino, nella mattinata sono state denunciate altre 8 persone
In via Cimarosa, 4 cittadini francesi di 32, 31, 29 e 25 anni sono stati denunciati in stato di libertà per porto di armi o oggetti atti a offendere. Per lo stesso reato, sono stati anche denunciati una cittadina olandese di 34 anni e un cittadino belga di 28 anni, entrambi fermati in piazza Sofia. In via Tollegno, invece, è stata fermata una cittadina italiana di 25 anni, denunciata poi per resistenza aggravata e porto di armi o oggetti atti a offendere. In via Pavia angolo via Alessandria è stato, invece, fermato e denunciato un cittadino italiano di 30 anni sempre per il porto di armi o oggetti atti a offendere.
Nel corso dell’attività è stato acquisito e sequestrato il seguente materiale:
2 coltelli;
2 occhiali da piscina;
2 passamontagna;
3 k-way;
2 parastinchi;
4 paio di guanti;
1 sciarpa;
2 lampadina frontale;
1 confezione di gastroprotettore;
11 barattoli di smalto;
1 cuffia da piscina di colore nero;
25 bombolette di vernice spray;
14 fialette di vetro di solfato di ammonio utilizzato per alleviare gli effetti dei lacrimogeni;
3 fiale di plastica da 5 ml contenenti cloruro di sodio;
1 paio di occhiali da sole;
2 pantalone in nylon;
1 scaldacollo in pile nero;
1 casco;
4 maschere da sci/sub;
1 maschera da snowboard;
1 paio di occhialini in plastica;

24 bende mediche; 5 rotoli di garza elastica; 2 mascherine in tessuto; 26 soluzioni fisiologiche; 1 bomboletta di ghiaccio spray; 1 flacone di soluzione cutanea contro bruciature; varie garze mediche; 1 flacone di acqua ossigenata; 1 confezione di antidolorifici; 5 paia di guanti in lattice;
1 pantalone da moto nero;
1 paio di guanti da moto;
1 tuta blu;
1 maglia da lavoro;
1 paracollo;
2 cappellini.
Il Questore di Torino ha emesso altri tre fogli di via dal capoluogo piemontese. Complessivamente, sono 4 le persone arrestate, 9 quelle denunciate in stato di libertà e 8 i fogli di via emessi.
 

I carabinieri catturano il pericoloso truffatore di anziani

Le truffe sono un reato di per sè odioso, lo sono ancora di più quando sono messe in atto ai danni di persone che appartengono a categorie sociali particolarmente deboli, come gli anziani

 
I carabinieri della stazione di Montafia (in provincia di Asti), al termine di indagini durate alcuni mesi sono riusciti ad assicurare alla giustizia un pregiudicato 34enne, di etnia rom, ‘pendolare’ del crimine tra il Trevigiano dove è ufficialmente residente e l’astigiano, tal Sandro Levak, indagato perché ritenuto responsabile di una tentata rapina e di una rapina nel giugno dello scorso anno in quel di Cortazzone. L’uomo, tra le 10 e le 12 si era presentato prima alla porta di un uomo nato nel 1947, fingendosi un tecnico dell’acquedotto incaricato di verificare che le tubature dell’acqua non contenessero mercurio, scusa che i truffatori ripetono ormai da moltissimo tempo e del quale la popolazione è stata ripetutamente avvertita. Poi utilizzava una sostanza chimica, spruzzandola, che spigionava un gas acre, tale da stordire la vittima a riporre denaro ed oggetti d’oro all’interno del frigorifero per prevenire la corrosione che sarebbe venuta dal contatto con il presunto mercurio. Poiché nell’abitazione della prima vittima nulla vi era da trovare, puntava la sua attenzione (presentandosi, tra l’altro, con un abbigliamento consono a quello di tecnico dell’acquedotto, con tanto di emetto come dispositivo di protezione individuale) su una seconda vittima, una donna nata nel 1941. In questo caso l’atto delittuoso dava i suoi frutti e l’indagato si allontanava a bordo di un’auto – una volskwagen con targa naturalmente clonata – dove era attesto da un complice. Il 21 giugno venivano presentate, dalle vittime, due querele alla stazione carabinieri di Montafia e le indagini – in collaborazione con il Nucleo operativo radiomobile di Villanova d’Asti, portavano in direzione del Levak. Successivamente, come hanno spiegato sabato mattina in un incontro con gli organi di informazione, il capitano Chiara Masselli ed il comandante della stazione maresciallo ordinario Alessandro Bernini, presente il maggiore Lorenzo Rapetti, il sostituto procuratore della Repubblica di Asti, Laura Deodato, che ha coordinato le indagini, inviata una richiesta di ordinanza di custodia cautelare al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale, Francesca Dinaro che provvedeva all’emissione del provvedimento per il reato di tentata rapina e di rapina, dato l’uso fatto della sostanza e con l’aggravante di aver commesso il fatto in abitazione ed ai danni di persone ultra 65enni. L’esecuzione avveniva il 28 marzo ad Oderzo, con il supporto anche delle locali stazioni. Nel caso in questione una particolare rilevanza l’hanno avuta sia gli impianti di videosorveglianza, sia gli incontri del personale dell’Arma con la popolazione, soprattutto a tutela di chi vive nelle abitazioni o nei cascinali isolati.

Massimo Iaretti

Anarchici, Rosso (Fdi): “Il Sindaco riferisca in Consiglio perché autorizzati 5 cortei pericolosi"

“Chiedo al sindaco Appendino una comunicazione urgente, lunedì in Consiglio comunale, sull’assurda autorizzazione di ben cinque cortei anarco-insurrezionalisti in città nello stesso giorno. Una cosa mai vista e inaccettabile”, dice Roberto Rosso, capogruppo di Fratelli d’Italia a Torino.

“Oggi la nostra città viene messa in grave difficoltà e in buona parte paralizzata da 5 cortei di black bloc, che arrivano da tutta Europa. Tram soppressi, metro chiusa, linee bus deviate, traffico bloccato”, aggiunge Rosso. “Molti commercianti hanno paura e alcuni di loro sono stati invitati a chiudere. È inspiegabile che si sia concessa a un gruppo di persone la legittimazione a paralizzare un’intera città. Stupisce che sindaco e Prefetto l’abbiano permesso”.

Il rappresentante di Fratelli d’Italia sottolinea anche che “al momento non si sa neppure quando e dove finirà la manifestazione e il percorso finale rimane fumoso”.

Rosso chiude considerando che “non s’è mai vista l’autorizzazione di nientemeno che 5 cortei in contemporanea, ognuno dei quali potenzialmente pericolosissimo, sobbarcando le forze dell’ordine di un compito improbo e incrociando le dita che, se non tutto, almeno qualcosa fili liscio. Ci affidiamo alla sorte, alla buona stella? È inaccettabile e il sindaco deve spiegarci come si sia arrivati a una situazione così paradossale”.

Arrestati quattro anarchici prima della manifestazione

Nell’ambito dei servizi preventivi e di controllo predisposti dal Questore Francesco Messina, in occasione della manifestazione anarchica internazionale che si tiene sabato 30 marzo a Torino sono state arrestate 4 persone. Nel corso di uno di questi servizi, venerdì personale DIGOS ha controllato nei pressi del casello di Rondissone 4 persone provenienti dal Veneto. Durante il controllo, gli agenti hanno trovato, nell’auto sulla quale viaggiano i 4 soggetti, diverso materiale: 7 bombe carta; 3 maschere antigas munite di filtro; 5 fumogeni, 1 coltello; guanti; passamontagna; collirio e riopan (utilizzati per alleviare gli effetti dei lacrimogeni). Le 4 persone, S.M. classe 1995; M.S. classe 1991; C.F. classe 1990; C.M. classe 1990, sono state tratte in arresto per la detenzione e il porto di armi o materiale esplodente. Sempre nell’ambito di detti controlli, personale Polfer nella mattinata di ieri, ha controllato, nei pressi di Novi ligure, su un treno diretto a Torino, un cittadino italiano di 39 anni. Nei bagagli dell’uomo, risultato un appartenente di un centro sociale del cremonese, i poliziotti hanno rinvenuto: una pinza multiuso con annessa una lama di 5 centimetri; un tirapugni in ferro; due caschi di colore nero, una maschera antigas con filtro; due ginocchiere; un passamontagna e altri indumenti tutti di colore nero. Il trentanovenne è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per la violazione delle norme sulle armi. Nei confronti degli arrestati e della persona indagata, dal Questore di Torino è stato adottato il provvedimento del “foglio di via” dal capoluogo piemontese.

M.Iar.