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"La morte di Danton" al Carignano, i fiumi di sangue di ogni rivoluzione

Nel testo di Georg Büchner opera di un autore ventunenne, invischiato in una rivolta in Assia e fuggitivo -, scritto in poco più di cinque settimane, tra il gennaio e il febbraio del 1835, si descrive con estrema lucidità, in un variopinto affresco corale, come un moto rivoluzionario sfoci prima o poi in una arrogante quanto feroce e sanguinaria dittatura, quanto divergano le concezioni ormai agli antipodi di due uomini un tempo amici, Danton e Robespierre

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C’è, alle spalle della fatica odierna di Mario Martone, una strada recente, percorsa a cavallo tra cinema e teatro, che lo ha spinto a gettare uno sguardo approfondito, a comporre una precisa visione della Storia, ad analizzare i meccanismi di costruzione e di distruzione che coinvolgono gli uomini di questo o quel secolo: una strada che ha le sue tappe precise nelle Operette morali, in Noi credevamo, nel Giovane favoloso. Tappe che, dal canto loro, non sono momenti incrostati a quel preciso momento storico ma coinvolgono l’oggi che noi viviamo, andando a toccare i nervi dolorosamente scoperti della condizione umana, a farci ripensare alle ragioni rivoluzionarie e alle loro immancabili storpiature, al nichilismo, alle promesse gettate via, agli integralismi e al terrore. Assistendo oggi, sul palcoscenico torinese del Carignano per la stagione dello Stabile, alla messa in scena della Morte di Danton, senza alcuna forzatura registica, ci si accorge, nella limpidezza dello svolgersi dei fatti, nella frenesia della parola, nelle arringhe e nei tradimenti, nelle apparizioni di un popolo maldestramente vociante, nell’ammasso di teste rotolate giù dalla ghigliottina, quanto di rassomigliante esista a mettere a specchio epoche anche lontane tra loro. danton

Nel testo di Georg Büchner opera di un autore ventunenne, invischiato in una rivolta in Assia e fuggitivo -, scritto in poco più di cinque settimane, tra il gennaio e il febbraio del 1835, si descrive con estrema lucidità, in un variopinto affresco corale, come un moto rivoluzionario sfoci prima o poi in una arrogante quanto feroce e sanguinaria dittatura, quanto divergano le concezioni ormai agli antipodi di due uomini un tempo amici, Danton e Robespierre, quanto il primo tenti, pur con le mani grondanti sangue per le uccisioni di cui nei mesi precedenti s’è macchiato anche lui, di cancellare o per lo meno di allontanare gli eccessi di violenza dell’antico compagno, divenuto incorruttibile e implacabile, un leone pronto a negarsi ad ogni legame d’affetto e d’amicizia e a scagliarsi contro chiunque. Dalle parole di Büchner nascono due personalità possenti, splendidamente messe a fuoco, l’uno ormai legato ad ogni effetto della vita quotidiana, pronto a rendere una vita ormai inconsistente, quasi ieratico l’altro nella sua violenza senza ritorno, incastonate in una Storia più grande di loro, pronta ad agguantarli e a stritolarli, in un confronto spietato che non conosce più pause, ricordi, realtà eccessive con cui placidamente confrontarsi. Ai loro piedi i compagni dell’ultima ora e non soltanto, il popolo (qui affetto da troppa napoletaneità ad ogni costo, che forse ha il pregio di raggiungere ogni tempo e ogni luogo o il difetto d’accontentare gran parte della compagnia) arruffato, pronto a cadere in braccio a questo o a quell’altro, inconsapevolmente, disgustosamente.

In una perfetta cornice “teatrale”, La morte di Danton si muove entro un palcoscenico inventato da Martone stesso, cinque sipari di velluto rosso in continue aperture e chiusure, ove si concretizzano (e ricordiamo qui l’apporto non indifferente dell’intera squadra tecnica alla riuscita a tutto tondo dello spettacolo: corale, dicevamo, inevitabilmente quindi ancora bisognoso di ritocchi, di un riordino in certi passaggi, di briglie a questo o a quello per un amalgama maggiore, penso per esempio alla scena del carcere all’inizio della seconda parte, a certe “invasioni” popolane) tribunali, salotti, interni domestici, prigioni, strade che invadono con un bel colpo d’occhio per lo spettatore l’intera platea, fiumi in piena che nella loro corsa trascinano tutto e tutti. Una compagine di trenta attori a ricoprire un grumo della Storia del mondo nei bei costumi di Ursula Patzak, tra cui almeno vorremmo citare un veemente quanto amorevole Denis Fasolo che è Desmoulins, Fausto Cabra implacabile Saint-Just, perfetto nell’urlo della propria arringa, Irene Petris rassegnata Lucile, Paolo Graziosi un Thomas Payne ragionatore perfetto, Giuseppe Battiston che è Danton e soprattutto l’eccellente prova di Paolo Pierobon, per il ritratto che regala del suo Robespierre, chiuso nella torre d’avorio della propria sanguinolenta volontà di uccidere.

(foto: Mario Spada)

Elio Rabbione

 

"Perfetti sconosciuti" ovvero se i telefonini svelano le nostre vite segrete

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione
 

Oggi Paolo Genovese sembra tirare le somme di tutto e di tutti, con una perfidia senza mezzi termini e uno spiattellamento che se all’inizio spingono lo spettatore al sorriso e alla risata man mano lo indirizzano verso il soffocamento visivo, con tanto di presa di coscienza da parte di qualcuno, quasi la serata fosse una teca blindata da cui è impossibile uscire

sconosciuti cinema

Metti una sera a cena, avrebbe detto il napoletano Patroni Griffi sul finire degli anni Sessanta, di decennio in decennio Scola prima, tra una terrazza e una cena, Virzì poi a fustigare destra e sinistra vacanziere al mare in Ferie d’agosto sino all’ultima recentissima infornata, con I nostri ragazzi di Ivano De Matteo, Il nome del figlio di Francesca Archibugi e Dobbiamo parlare di Sergio Rubini, per non dire degli ultimi anni fulminati dal Carnage di Polanski . Un excursus che forse dimentica qualcuno ma che si fa forte delle tante occasioni di una semplice cena improvvisata o stabilita, comunque messa lì a far da perfido imbuto pronto a raccogliere le confessioni, l’acidità delle battute, l’esplosione delle parole troppo a lungo tenute nel fondo della gola, gli sfoghi, le menzogne, i giochetti, i sotterfugi multipli, le incomprensioni, le schifezze, le esistenze politicamente corrette. Con Perfetti sconosciuti, oggi, Paolo Genovese sembra tirare le somme di tutto e di tutti, con una perfidia senza mezzi termini e uno spiattellamento che se all’inizio spingono lo spettatore al sorriso e alla risata man mano lo indirizzano verso il soffocamento visivo, con tanto di presa di coscienza da parte di qualcuno, quasi la serata fosse una teca blindata da cui è impossibile uscire. E le boccate d’aria non sono le uscite in terrazza a guardare l’eclisse di luna, anche quelle possono riservare delle sorprese amare.

Insomma, immaginate tre coppie. Ci sono i padroni di casa, Marco Giallini e Kasia Smutniak, lui chirurgo estetico di umili origini (“mamma fruttarola”), psicanalista lei ben piazzata per parte di padre, con una figlia non ancora diciottenne, pulitina ma bisognosa di quattrini e di consigli paterni soprattutto, c’è Valerio Mastandrea che conduce una vita a due con Anna Foglietta sempre più agli sgoccioli, c’è Edoardo Leo, tassista sporcato dal ghiribizzo degli affari, fresco sposo dell’amorevole Alba Rohrwacher. Arriva anche Giuseppe Battiston, due bottiglie in mano ma senza fidanzata, è un po’ influenzata, stasera non verrà, combiniamo per la prossima volta. In questo gruppo compatto, tutto d’un pezzo, specie i maschi che stanno insieme da una vita, calcetto e avventure, le donne sono un’appendice arrivata dopo, immaginate anche che Kasia butti lì il desiderio di fare un gioco, tanto non abbiamo nulla da perdere, non è vero?, mettiamo sul tavolo i nostri cellulari e in viva voce rispondiamo a chiamate, messaggi, whatsapp e quant’altro. La parte minore sarà quella innocua, la maggior parte dei trilli non arriverà mai senza affanni e spiegazioni. Forse sul finire il film allinea innesti oltre il dovuto e l’immaginabile, per la serie ma quanti scheletri hanno ‘sti tipi negli armadi, però Perfetti sconosciuti resta un piccolo capolavoro di scrittura la sceneggiatura è firmata da Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini, Rolando Ravello e dallo stesso Genovese e di meticolosa regia al microscopio come una delle commedie italiane (all’italiana?) più perfette di questi ultimi anni, con un gruppo d’attori che certo smettono di recitare e danno brandelli di vita faticosi e autentici (Leo, Mastandrea e Giallini in testa), senza dubbio mille gradini al di sopra di certa sottoproduzione (non soltanto i cinepanettoni di desichiana memoria) che circola in qualsiasi mese della stagione cinematografica, dandoci la certezza che anche i film italiani belli possono davvero esistere. Tutto è vero, tutto è crudele, mai scontato, quella scatola nera inghiotte tutto e tutto scarnifica. Diceva Gabriel Garcia Marquez che in ognuno di noi esiste una vita pubblica, una privata e una segreta: Genovese ci fa pensare quanto di quest’ultima abbia invaso le nostre esistenze. L’escamotage finale che non anticipiamo e che potrebbe riavvolgere la pellicola per lasciare Battiston sotto le luci di una notte a fare quegli esercizi fisici che lo rimetteranno in forma, non cancella certo tutta la possibilità della serata. Una sorta di “sliding doors” che non riporta i sorrisi e le risate. L’ipocrisia sta al fondo delle scale di casa e la vita continua.

 

 

Ancora un successo del settebello italiano a Torino: l’Italia batte la Russia 14-9

Al termine della quarta giornata del girone C preliminare di World League 2016 e di fronte ad un Pala Nuoto gremito di tifosi, l’Italia sconfigge la Russia 14 a 9 mantenendo la vetta della classifica del girone

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L’Italia ha dominato il match sin dai primi minuti, denotando solo un calo di attenzione nel terzo tempo che ha consentito ai russi di portarsi sul 7-6, ad una rete di distanza dalla squadra italiana. Il coach della nazionale italiana, Sandro Campagna, ha saputo, però, richiamare i suoi e portare alcune modifiche nel gioco che hanno consentito all’Italia di portarsi sul 12-6 e poi sul 14-7 prima del fischio finale. Tra tutte, sono emerse le prestazioni di Del Lungo tra i pali (1), di Di Fulvio (2) con la sua cinquina personale, del capitano Giorgetti e degli attaccanti Luongo (10) e Fondelli (11), ma pallanuoto5complessivamente tutta la squadra ha dato prova di carattere e di superiorità tecnica.

Portare a casa questa vittoria era un obiettivo primario per il ct Campagna, per testare la squadra dopo la sconfitta subita a Belgrado. Ed è la risposta che il ct Campagna si aspettava dai suoi giocatori: “Questa partita è stata soprattutto un test per controllare lo stato del gruppo dopo il sesto posto dei campionati europei di Belgrado e per verificare l’atteggiamento degli atleti che non vi hanno partecipato. Stiamopallanuoto3 attraversando una fase stagionale molto impegnativa ed è necessario gestire risorse fisiche e mentali.”.

“E’ il terzo anno consecutivo che giochiamo qui e l’ospitalità che Torino mostra verso la pallanuoto ed il fatto che stia continuando ad ospitarci è un attestato di grande stima per questo sport. Il 2016 saràun anno faticoso perché dopo gli Europei e la World League, saremo impegnati nel torneo preolimpico di aprile a Trieste, ultima possibilitàper conquistare la qualificazione ai Giochi di Rio.”, ha dichiarato Campagna il giorno prima del match.

pallanuoto5Dopo la prestazione di questa sera, l’Italia guida il girone a punteggio pieno, grazie ai successi contro la Russia (16-11), la Turchia (14-4) e la Croazia (9-8). Per conquistare un posto alla final eight della World Legue, in programma in Cina dal 21 al 26 giugno, è necessario mantenere la vetta del girone. L’Italia, per raggiungere questo obiettivo dovrà incontrare la Turchia fuori casa il 26 aprile e la Croazia in casa il 10 maggio.

Manuela Savini

Questi gli atleti convocati da Campagna:
 
Marco Del Lungo (1)
Francesco Di Fulvio (2)
Niccolò Gitto (3)
Pietro Figlioli (4)
Alex Giorgetti (5), capitano
Micael A. Bodegas (6)
Niccolò Figari (7)
Alessandro Nora (8)
Alessandro Velotto (9)
Stefano Luongo (10)
Andrea Fondelli (11)
Fabio Baraldi (12)
Edoardo Prian (13)
 
Questi gli atleti convocati dal ct russo Erkin Shagaev:
 
Anton Antonov(1)
Adel Giniatov (2)
Pavel Khalturin (3)
Igor Bichkov (4)
Alexey Bugauchuk (5)
Michail Krasnov (6)
Daniil Merkulov (7)
Roman Shepelev (8)
Nikita Dereviankin (9)
Dmitry Kholod (10), capitano
Sergey Lisunov (11)

Lev Magoaev(12)

Kirill Korneev (13)

Ecco le erbe per curare raffreddore e mal di gola

Dal coriandolo all’echinacea, ecco le proprietà benefiche delle comuni erbe aromatiche per sconfiggere l’influenza e i mali di stagione

neve1Le erbe aromatiche che utilizziamo normalmente in cucina non sono soltanto dei semplici condimenti, ma dei veri e propri antibiotici naturali. La natura ci offre tutti i medicinali e i rimedi di cui abbiamo bisogno per prevenire e trattare i disturbi più comuni, a partire dal raffreddore e dal mal di gola, per arrivare all’influenza. Le erbe aromatiche e officinali vengono impiegate in erboristeria e dalla medicina naturale sotto forma di oli essenziali, infusi, tisane e preparati curativi.

Ad esempio la salvia può essere usata per preparare collutori per disinfettare il cavo orale, mentre l’infuso aiuta la digestione. L’olio essenziale di rosmarino è uno dei più potenti antibiotici naturali. E’ adatto soprattutto per il trattamento delle malattie da raffreddamento e può essere utilizzato fresco o secco come condimento anche ogni giorno. Inoltre, secondo i più recenti studi scientifici, il rosmarino migliora la memoria.

Invece la lavanda ha proprietà antinfiammatorie, antibatteriche e antifungine. Migliora i disturbi digestivi e agisce in modo efficace contro il mal di testa, oltre che in caso di infezioni.L’eucalipto è tra le erbe fondamentali nella cura delle malattie respiratorie e da raffreddamento. Ha proprietà antibatteriche ed espettoranti. E’ utile in caso di raffreddore, febbre, sinusite, tosse, influenza e artrite.

 
www.dilei.it

Immigrati come risorsa? Sì, al tessuto sociale del Piemonte servono nuove energie

profughi 2Chiamparino:  “Basta pensare  ai dati anagrafici della nostra regione: innovare nel tessuto sociale vuol dire portare gente giovane, che ha voglia di cambiare la propria condizione”

“L’immigrazione non è solo un fenomeno inarrestabile che va gestito, ma anche uno dei non molti elementi di innovazione sociale per l’Italia e l’Europa”. Così il  presidente Sergio Chiamparino, di recente, alla presentazione del progetto Anabasi per l’accoglienza attiva di 80 richiedenti asilo, svoltasi nella sede dell’Unione Industriale di Torino.

La situazione immigrazione è ben presente anche a Richard Stengel  numero 2 di John Kerry, come sottosegretario di Stato americano alla Diplomazia e agli Affari pubblici. A Roma, come riferisce il Corriere della Sera, ha avuto un icontro presso la Comunità di Sant’Egidio, con profughi e volontari, in seguito al vertice sulla lotta all’Isis con i ministri degli Esteri Kerry e Gentiloni. La sua decisione è di stanziare 1,3 milioni del budget a sua disposizione per finanziare programmi europei per l’integrazione di migranti e rifugiati». Le Ong italiane disporranno del 10% del totale. «E’ una questione esistenziale per l’Europa – dice – che sta cambiando la visione dell’unità europea e del futuro dell’Europa”.

Sulla stessa linea il presidente del Piemonte che ha recentemente dichiarato: “Basta pensare  ai dati anagrafici del Piemonte: innovare nel tessuto sociale vuol dire portare gente giovane, che ha voglia di cambiare la propria condizione. Queste persone entrano in tensione con il tessuto più statico che è presente e questo fenomeno deve essere governato. Per ottenere questo risultato il presidente è convinto dobbiamo inserire nel modo più innovativo possibile questi nuovi elementi, sapendo che per la nostra società non si tratta solo di un problema ma anche di una opportunità”.

Juventus-Napoli 1-0: Zaza fa volare i bianconeri al comando

juve napoliRETE: 43′ s.t. Zaza

JUVENTUS (4-4-2): Buffon; Lichtsteiner, Barzagli, Bonucci (7′ s.t. Rugani), Evra; Cuadrado, Khedira, Marchisio, Pogba; Dybala (41′ s.t. Alex Sandro), Morata ( 13′ s.t. Zaza). A disp. Neto, Rubinho, Romagna, Padoin, Hernanes, Sturaro, Pereyra, Favilli. All. Allegri

NAPOLI (4-3-3): Reina; Hysaj, Albiol, Kouibaly, Ghoulam; Allan ( 45′ s.t. Gabbiadini), Jorginho, Hamsik; Insigne (32′ s.t. Mertens), Higuain, Callejon. A disp. Rafael, Gabriel, Chiriches, Strinic, Maggio, Regini, Valdifiori, David Lopez, El Kaddouri, Chalobah. All. Sarri.

ARBITRO: Orsato di Schio

Ci sono volute venticinque giornate per scalare la vetta, con altrettanti 90 minuti di sofferenza o meglio 88, ma quando Zaza prende il posto di Morata tutto si trasforma e, una prodezza dell’attaccante bianconero, con il sinistro, deviato in maniera decisiva da Albiol, regala il big-match contro il Napoli alla vecchia signora

 

Così il gol di Zaza fa la differenza per un sorpasso decisivo in una partita dominata da tattica e equilibrio, difficile da sbloccare. La Juve torna in campo con un 4-4-2, deve far a meno di Chiellini e Caceres, ma ben si sa giostrare con Pogba e Cuadrado. Il Napoli scende subito con i grandi titolari che però, non regalano le scintille che Sarri si aspetta. Gli azzurri provano a sfondare prima sulla sinistra con Insigne e poi con un’iniziativa di Koulibaly, ma la retroguardia di casa si copre bene. I bianconeri iniziano a prendere piede, Cuadrado corre da una parte all’altra e arriva al tiro ma trova Reina ben piazzato. Una minima distrazione e Higuain regala una scossa ai bianconeri: al 35’ l’argentino trova lo spazio per inserirsi, pronto ad acciuffare il cross di Callejon, per fortuna l’intervento prodigioso di Bonucci, salva la porta di Buffon. Il pallone termina in angolo e qui arriva anche la prima parata di Buffon, che respinge la conclusione di Albiol. La risposta bianconera parte da un’iniziativa personale di Pogba, ma il tiro dai 25 metri, termina non lontano dall’incrocio. La ripresa subito si accende e sembra promettere un secondo tempo molto più esaltante rispetto al primo. Un numero di Insigne costringe ancora una volta Buffon ad impegnarsi. Un giro di cambi e la Juve aumenta il ritmo e, al 18’, Dybala trova l’occasione fortuita per poter sbloccare il match: Pogba corre da destra a sinistra, assist per Dybala ma la sfera per un soffio è alta. Hamsik torna a spaventare Buffon, ma il sinistro troppo potente esce a pochi passi dalla porta. Con un pareggio che ormai sembra ben deciso, arriva la svolta. Evra appoggia per Zaza, ed ecco che arriva la fucilata da una giocata all’ apparenza innocua: controllo impeccabile dell’attaccante lucano e di forza parte il sinistro dal limite, ben angolato, deviato da Albiol, ma comunque imparabile per Reina. Scacco matto sul finale e l’idea del quinto scudetto per la vecchia signora non sembra più essere un miraggio così lontano.

 

Roberta Perna

La città che cambia: il futuro di Torino passa dalla "Spina" di corso Inghilterra

spina grattacielospina viabilità

Mercoledì 10 febbraio verrà infatti aperto un primo tratto del nuovo Viale della Spina su corso Inghilterra. Una  modifica della viabilità  che rappresenta la  prima fase del nuovo assetto del Viale

Nel decennale della metropolitana torinese, un altro evento sta a significare che la città cambia. Mercoledì 10 febbraio verrà infatti aperto un primo tratto del nuovo Viale della Spina su corso Inghilterra. Una  modifica della viabilità  che rappresenta la  prima fase del nuovo assetto del Viale della Spina che, con l’attivazione del sottopasso di Piazza Statuto prevista per giugno consentirà di ridurre il numero dei veicoli in superficie eliminando il traffico lungo la direttrice nord-sud e alleggerendo gli assi di corso Francia e corso Principe Eugenio.

Il traffico che transita in direzione nord verso Piazza Statuto, all’altezza di via Grassi, verrà trasferito sulla nuova carreggiata laterale est di corso Inghilterra, ultimata nei giorni scorsi. In corrispondenza di questa immissione verrà attivato un nuovo impianto semaforico. Questa trasformazione della circolazione veicolare sarà accompagnata dalla riqualificazione della carreggiata laterale ovest di corso Inghilterra dove si potrà circolare esclusivamente in direzione corso Vittorio. Le linee e le fermate del trasporto pubblico non subiranno modifiche.

www.comune.torino.it

La Regione anticipa i fondi per aiutare una bimba malata di tumore

REGIONE PALAZZOSaitta: ” in attesa dell’approvazione dei nuovi Lea abbiamo deciso di anticipare i fondi necessari per il trattamento”

La Regione Piemonte anticiperà i fondi per sottoporre a protonterapia una bimba di quasi tre anni affetta da un raro tumore cerebrale e che potrebbe ottenere miglioramenti  da questo tipo di cura.Lo ha annunciato l’assessore alla Sanità, Antonio Saitta, rispondendo al  question time in Consiglio regionale.

“Il caso umanamente molto doloroso era già noto ai nostri uffici, che hanno cercato di individuare una soluzione nel rispetto della normativa e dei vincoli a cui è sottoposta la Regione Piemonte. La protonterapia – ha puntualizzato Saitta – non è una prestazione prevista dai Livelli essenziali di assistenza e non viene erogata in nessuna struttura della Regione Piemonte, che essendo sottoposta a piano di rientro non può rimborsare la spesa ai pazienti che vi si sottopongano in altre Regioni. Ma in attesa dell’approvazione dei nuovi Lea abbiamo deciso di anticipare i fondi necessari per il trattamento”.

Debutto europeo al Regio per la Tosca di Daniele Abbado

tosca regio teatroUn cast di livello internazionale per l’opera coprodotta dal Teatro comunale di Bologna

È un esempio di lirica di alto livello musicale la Tosca in scena dal 9 al 21 febbraio prossimo al teatro Regio, presentata in un nuovo allestimento in prima europea, coprodotta insieme al teatro Comunale di Bologna, e originariamente creata per lo Hyogo Performing Arts Center di Nishinomiya, per la regia di Daniele Abbado. Orchestra e Coro del Teatro Regio e del Conservatorio Giuseppe Verdi, sotto la direzione di Renato Palumbo, con Claudio Fenoglio maestro del Coro.

Il melodramma di ambientazione storica e dalle forti tinte drammatiche, rappresentato per la prima volta il 14 gennaio del 1900 al teatro Costanzi di Roma, vanta un cast di solisti di fama internazionale: Maria José Siri nel ruolo della protagonista, Roberto Aronica in quello di Mario Cavaradossi e Carlos Arvarez nei panni del malvagio barone Scarpia.

Il regista ha immerso le vicende dell’opera in un’atmosfera metafisica, senza rinunciare, però, ai simboli propri del libretto di Illica e Giacosa, tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou,  dalla chiesa romana di Sant’Andrea a Palazzo Farnese, fino alla celebre statua di Castel Sant’Angelo. Tosca, come tutto il teatro il teatro di Puccini, è concepita come un “dramma musicale”, un genere operistico nel quale non è il testo a adattarsi a un sistema di pezzi, quali arie, duetti o concertati preordinati secondo uno schema determinato da convenzioni, ma è la musica, invece, a adeguarsi al decorso del libretto.

In Tosca Puccini, ultimo grande esponente della tradizione italiana, fa prevalere, invece, la condotta discorsiva e dialogica, che spazia dal declamato all’arioso, sulla base di un discorso sinfonico basato sull’elaborazione di un nucleo ristretto di temi trattati, in modo piuttosto simile alla tecnica wagneriana del Leitmotiv.

Con Tosca il compositore nativo di Lucca affronta una drammaturgia lontana da quella presente in Manon Lescaut e nella Boheme, opere dallo sviluppo frammentario, dove l’approfondimento psicologico prevale sull’intreccio. Tosca, invece, si avvicina a una drammaturgia analoga a quella della tradizione incarnata da Verdi e proseguita poi dagli autori veristi,  grazie al confronto dei personaggi, nell’ambito di un’azione serrata e lineare, in cui sono esaltate le passioni elementari e esasperata la tensione emotiva, su uno sfondo storico capace di suggerire letture in chiave etico-politica. Nel libretto viene portato in primo piano il personaggio di Scarpia, che diventa l’eroe negativo per eccellenza, affidato al registro del baritono. Nel suo sadismo, efferato e al tempo stesso devoto, sensuale e aristocraticamente distaccato, sono stati riconosciuti dai critici un carattere dell’arte “fin de siecle” e la rappresentazione dell’emozione erotica nella sua dimensione patologica.

 
(Foto: il Torinese)

Mara Martellotta

Politiche Alimentari Sostenibili per le Città

garauIL MONDO DEL BIO / di Ignazio Garau*

L’agricoltura, e il cibo, devono ritrovare una loro centralità nelle decisioni politiche ed economiche se vogliamo uscire dall’emergenza e dalla crisi che attanaglia molti paesi

ll Cibo é l’opportunità per sviluppare un’economia che privilegi il lavoro e promuova la qualità dei territori, la qualità delle produzioni, la qualità della vita. L’agricoltura biologica modello culturale, oltre che colturale. Nuove relazioni tra territori urbani e territori rurali. Una nuova consapevolezza, sta emergendo in Europa, e non solo, sull’insostenibilità dei modelli alimentari correnti di produzione e di consumo, con l’evidenza che le città hanno una grande ruolo in proposito. Oggi, più della metà della popolazione vive nelle aree urbane e questa tendenza si sta accentuando ulteriormente: si stima che nel 2030 la popolazione mondiale sarà concentrata per il 70% nelle aree urbane. Una situazione che impone una riflessione, dato che sono le città che mangiano, che domandano i prodotti della pesca e dell’agricoltura, che creano lavoro nei campi e nel mare.

mondo cibo grano

Nel corso degli ultimi decenni, in tutte le attività economiche, si è perseguita una spasmodica ricerca di soluzioni per ridurre i costi di produzione e in particolare il costo del lavoro, che ha comportato la delocalizzazione degli impianti e la conseguente distruzione di molti tessuti produttivi locali e l’omologazione delle produzioni verso standard qualitativi inferiori.

Anche il settore agro-alimentare ha subito gli effetti della globalizzazione, con trasferimento della produzione in paesi dove la manodopera e l’energia costano di meno. Due i principali effetti negativi: in primo luogo la distruzione dei sistemi agricoli locali e la contrazione del numero di occupati, in secondo luogo l’aumento delle emissioni di gas serra per il crescente numero chilometri percorsi dal cibo che mangiamo.

Ma non mancano anche altre pesanti conseguenze sulla nostra salute e sulla qualità della nostra vita. Senza dimenticarci che in molti paesi la popolazione più povera soffre per la scarsità di cibo, mentre in altri ci si ammala per la quantità e la qualità del cibo consumato. L’incongruenza ulteriore è che gli stessi paesi che esportano materie prime alimentari, vedono parte della loro popolazione soffrire di carenze alimentari. L’agricoltura, e il cibo, devono ritrovare una loro centralità nelle decisioni politiche ed economiche se vogliamo uscire dall’emergenza e dalla crisi che attanaglia molti paesi.

La Terra è il datore di lavoro più importante e l’agricoltura può contribuire a ricostruire una nuova economia, orientata al benessere dei cittadini. Occorre, però, scegliere un nuovo modello di agricoltura, biologica e contadina, indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità intera. Un’agricoltura multifunzionale, capace di garantire la produzione di cibo di qualità, ma anche il governo, la conservazione e la qualità del territorio, del nostro ambiente.

In un tale contesto le città assumono un ruolo determinante per implementare filiere alimentari sostenibili, capaci di innescare sinergie tra lo spazio urbano e le zone rurali, perché la città mangia, mangia il cibo, ma anche, in qualche modo, i terreni necessari per produrre questo cibo. I flussi che l’alimentazione di una comunità urbana induce sono intensi, importanti e, per certi versi, ineluttabili.

Occorre definire nuovi modelli economici, passare da una economia basata esclusivamente sulla finanza a un’economia orientata al benessere dei cittadini. Un modello di economia sostenibile deve ripartire dal cibo (dall’agricoltura) e considerare tutti i fattori che ad esso sono legati: produzione, trasformazione, distribuzione, logistica, integrando più dimensioni, per esempio la dimensione ambientale con le emissioni di CO2 conseguenti al trasferimento di certi alimenti, che viaggiano per migliaia di chilometri.

Occorre riportare il cibo, e l’agricoltura in un processo di sostenibilità complessivo e prendere atto che l’agricoltura biologica rappresenta un’esperienza concreta e positiva, capace di fornire risposte e soluzioni sia per i paesi del nord che del sud del pianeta. Una soluzione gradita dai cittadini, considerato che il consumo di alimenti biologici continua a crescere, anche in situazioni di decremento della spesa alimentare.

Qualcosa si è mosso, molte città hanno iniziato un percorso virtuoso. In Italia, nel Palazzo Reale di Milano, lo scorso 15 ottobre in conclusione dell’Expo, 110 città hanno firmato il «Milan urban food policy pact», il patto dei Sindaci sull’alimentazione che è stato consegnato al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-Moon. I sindaci «delle grandi città hanno deciso di agire e di passare dalle parole ai fatti», ha detto il Sindaco di Milano Pisapia, per «mettere a sistema le politiche» sull’alimentazione sperimentate con un «impegno comune per avere cibo sano e sviluppo sostenibile».

Analogamente a Torino, nell’ambito del terzo Forum Mondiale dello sviluppo economico locale, anche qui con la partecipazione del segretario generale delle Nazioni Unite, Il Sindaco Fassino, pure in veste di Presidente dell’ANCI, ha lanciato “un patto dei sindaci per il cibo l’alimentazione e l’agricoltura sostenibili”. Due iniziative simili e complementari che possono costituirsi come riferimento e iniziativa importante su questi temi.

Le città possono compiere scelte efficaci adottando politiche alimentari che costruiscano la sostenibilità a partire dal cibo e dall’agricoltura. Le città, come ha evidenziato il Sindaco Fassino, possono indirizzare gli acquisti istituzionali per la ristorazione scolastica e collettiva verso i prodotti biologici e locali, favorire i mercati dei produttori agricoli e utilizzare i mercati su aree pubbliche per favorire la ricostruzione di circuiti economici locali, favorire il contenimento dello spreco di cibo e la nascita di mense sociali per aiutare le persone maggiormente in difficoltà, favorire il recupero e l’utilizzo delle aree agricole cittadine, anche con creazione di orti urbani. Il Sindaco Fassino ha preannunciato che “Torino sarà la prima città italiana a inserire nello statuto comunale il valore del bio come fonte di ispirazione per tutte le nostre scelte politiche e di qualità della vita”.

E’ importante che queste scelte e queste dichiarazioni divengano impegno quotidiano degli amministratori, coinvolgano gli operatori economici, gli agricoltori e i cittadini, fino a condizionare le scelte dei governi e anche delle istituzioni europee e internazionali.

*Presidente ItaliaBio – ciao@italiabio.net