redazione il torinese

“Gli apprendisti stregoni”

La Fondazione Donat-Cattin, il prossimo 10 luglio, alle ore 17,30, invita alla presentazione del volume scritto da Paolo De Luca che ha come sottotitolo “Mappa del populismo in Europa”. A parlarne, con l’autore, saranno Ettore Boffano, capo redattore centrale del Fatto Quotidiano, Giorgio Merlo, giornalista della Rai, già parlamentare e Marco Brunazzi, vicepresidente dell’Istituto Salvemini di Torino, docente di Storia Contemporanea. Moderatore, Giorgio Aimetti.

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Populismo, discussione utile e necessaria.

di Giorgio Merlo

Il dibattito sul ruolo e sul peso del populismo nel nostro paese a volte è un po’ stucchevole, ma è sempre un’operazione necessaria. E ciò per due motivi di fondo. Innanzitutto i partiti attuali, tutti i partiti, sono diventati “partiti personali” o “partiti del leader”. E nei partiti che hanno questo profilo, la democrazia interna – almeno come veniva praticata nel passato – viene semplicemente sospesa e archiviata. Conta il “capo”, decide il “capo”, è il “capo” che parla direttamente al popolo o all’elettorato. Senza mediazioni e senza filtri politici, culturali edorganizzativi. Nei partiti personali c’è una sorta di “pensiero unico” e manca del tutto il confrontointerno come molti di noi lo hanno conosciuto nella prima e agli inizi della seconda repubblica.

In secondo luogo, in un contesto dove la cultura politica scarseggia e la solidità’ ideale e programmatica dei partiti e’ quasi evaporata, il ruolo di questi soggetti politici resta quello dicavalcare strumentalmente ciò’ che la pubblica opinione – o presunta tale – trasmette ed evidenzia. E quindi non si governano i processi ma si rincorrono; si sposano tesi contraddittorie l’una con l’altra pur di accontentare fette di elettorato. Si potrebbe fare l’elenco dei temi al centro dell’agenda politica che subiscono questa evoluzione. È, questa, una deriva populista? Certamente sì.

Ma la vera questione è la profonda crisi della politica e, di conseguenza, l’eccessiva leggerezza dei partiti e di quegli strumenti che dovrebbero intercettare le domande che provengono dalla società civile cercando, al contempo, di dare loro una risposta politica e di governo.

Ecco perché discutere di populismo oggi nella politica italiana, e non solo, e’ utile e forse anche indispensabile. Perché offre l’opportunità di allargare l’orizzonte e di verificare la profondità della crisi della politica e dei suoi strumenti di rappresentanza, cioè i partiti. E, al contempo, di misurare anche la qualità della classe dirigente che resta sempre un elemento decisivo per valutare la credibilità e l’autorevolezza della politica nella società contemporanea.

Rivoli, ecco la collezione Cerruti

Un importante accordo, siglato da Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, conferisce al primo museo dell’Arte Contemporanea italiano la cura, lo studio, la valorizzazione e la gestione di una straordinaria collezione sconosciuta ai più restituendo in tal modo alla collettività un patrimonio inestimabile, frutto della vita discreta e riservata di Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015), imprenditore e collezionista scomparso nel 2015 all’età di 93 anni.

Un progetto ambizioso che prevede la ristrutturazione e la messa in sicurezza della villa che lo stesso Cerruti aveva fatto costruire a Rivoli, a pochi passi dal Castello, per custodire le sue opere e che diventerà nel gennaio 2019 la sede della Collezione Cerruti.

 

Quasi trecento opere scultoree e pittoriche che spaziano dal medioevo al contemporaneo, a cui si aggiungono quasi duecento libri rari e antichi, legatorie, fondi d’oro, e più di trecento mobili e arredi tra i quali tappeti e scrittoi di celebri ebanisti: un viaggio nella storia dell’arte, dai mobili alle arti antiche, dal Rinascimento all’Ottocento fino alla modernità, per una collezione privata di altissimo pregio, difficilmente paragonabile ad altre in Europa e nel mondo. Capolavori che vanno dalle opere di Segno di Bonaventura, Bernardo Daddi e Pontormo a quelle di Renoir, Modigliani, Kandinsky, Klee, Boccioni, Balla e Magritte, per arrivare a Bacon, Burri, Warhol, De Dominicis e Paolini. Una collezione iniziata a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso che va vista nella sua interezza com’era nei desideri dello stesso Cerruti che, dopo una vita spesa a custodire gelosamente i suoi capolavori, affida ai posteri il compito di farla scoprire nella sua bellezza e complessità. Nello statuto della Fondazione, Cerruti ha scritto esplicitamente come avesse “deciso di volgere a beneficio della collettività nazionale e internazionale” la sua Collezione nell’auspicio “di poter perpetuare i valori che lo avevano animato, nonché il senso di mecenatismo, così da contribuire a rendere la Collezione Cerruti realtà sempre viva e motore di crescita culturale”.

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Andreina Cerruti, Presidente della Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, afferma: “Siamo felici che il sogno di Francesco Federico, di poter vedere la sua casa collezione aperta al pubblico, possa oggi avverarsi grazie all’unione con il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Questa iniziativa del Museo di Rivoli e della nostra Fondazione apre al mondo la straordinaria collezione d’arte di mio fratello – aprire al mondo così diceva e voleva lui –. La collezione è anche un racconto di vita, il dischiudersi della propria vita nel linguaggio esclusivo che è proprio dell’arte e della poesia”.

Antonella Parigi, Assessora alla Cultura e Turismo Regione Piemonte, dichiara: “Si tratta di un accordo inedito e di grandissimo rilievo, che dimostra l’impegno della Regione Piemonte nell’ambito dell’arte e quanto il Castello di Rivoli si stia affermando sempre di più come un centro culturale di assoluta importanza, capace di dialogare efficacemente con numerosi soggetti e istituzioni. In questo contesto, la collaborazione con la Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte rappresenta un risultato straordinario, che restituirà alla collettività un patrimonio di immenso valore, nonché la testimonianza del punto di vista di un grande amante dell’arte. Il nostro lavoro, al fianco delle istituzioni coinvolte, proseguirà quindi per garantire la valorizzazione della Collezione e, grazie anche alla riapertura della villa rivolese di Francesco Federico Cerruti, amplierà l’offerta culturale e artistica del nostro territorio”.

Il Castello di Rivoli, primo luogo di interscambio tra arte contemporanea e sperimentazione di nuovi linguaggi, vuole dimostrare proprio attraverso questa importante collaborazione che conferisce la gestione della Collezione e della casa al Museo, come sia possibile e fruttuoso il dialogo fra l’arte contemporanea e il suo passato. Questo importante lascito, come dice il direttore del Castello di Rivoli nonché della Fondazione stessa, Carolyn Christov-Bakargiev, sarà “un motore di creatività per il Museo, in un dialogo inedito tra antico e contemporaneo, attraverso programmi educativi, artistici e curatoriali. Dietro a questa straordinaria collezione c’è la figura ideale di un amante dell’arte come Francesco Federico Cerruti, un uomo discreto e riservato, poco incline alla rumorosità del mondo che ricercava nel silenzio del suo museo privato il trasalimento e lo stupore dinanzi all’enigma della creazione artistica. Pur frequentando la casa di Rivoli e curandone la disposizione delle opere e degli arredi in un equilibrio che facesse convivere la prossimità e la lontananza delle opere, Cerruti scelse di non abitarvi, continuando a vivere in un alloggio semplice nei pressi della sua fabbrica LIT (Legatoria Industriale Torinese) a Torino. La sensibilità e la generosità del collezionista Cerruti, la trama nascosta della sua passione sono ora parte integrante del nuovo polo museale, unico nello scenario italiano e internazionale, uno spazio straordinario che sarà aperto al pubblico con visite guidate e che vedrà la partecipazione di artisti, scrittori, filosofi, storici dell’arte, filmmaker, impegnati in un dialogo serrato per cogliere la voce nascosta, le sfumature, le vibrazioni che si celano nelle pieghe dell’arte capace di accogliere l’eredità del passato, il suo respiro, il suo ritmo e di collocarli nel cuore pulsante del tempo presente. Nella nostra era digitale, innovativa, tecnologica ma proiettata all’archiviazione acritica del passato, i musei enciclopedici come il Metropolitan a New York, l’Hermitage a San Pietroburgo e il Louvre a Parigi aprono sezioni dedicate all’arte contemporanea; il Castello di Rivoli sceglie un percorso diverso – nella consapevolezza del legame ineludibile tra le opere del passato e del presente, di un cammino come quello dell’arte che è oltrepassamento di ogni soglia spazio temporale – e vuole essere il primo museo d’arte contemporanea al mondo che, grazie a questo accordo, apre una sezione dedicata all’arte del passato”.

Francesco Federico Cerruti, la sua vita e la sua collezione, sono il tema dell’incontro tenutosi oggi al Castello di Rivoli per presentare questa straordinaria figura e il nuovo corso del Museo.

Inaugurato il 18 dicembre 1984, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea è ospitato all’interno di una Reggia Sabauda progettata dall’architetto Filippo Juvarra. Nel 1960 il Castello è inserito in un programma per il restauro dei monumenti più rappresentativi dell’area piemontese e nel 1967 si inizia il lavoro di recupero. Nel 1979, su incarico della Regione Piemonte, l’architetto Andrea Bruno inizia i lavori di restauro. Dal 1997 il Castello di Rivoli è iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Quando nel 2000 anche la Manica Lunga restaurata apre al pubblico, tutto l’edificio torna a rivivere. Il Castello di Rivoli raccoglie una prestigiosa collezione di opere dal secondo dopoguerra ad oggi e al suo interno è conservata una delle più importanti raccolte di Arte povera al mondo.

Movida, al via le nuove regole. Chiusura anticipata dei dehors e steward per la vigilanza

Questa sera entra  in vigore il nuovo regolamento dei dehors della movida torinese. Scatta così per tre settimane a Vanchiglia, San Salvario e piazza Vittorio il divieto di servire cocktail e cibi ai tavoli al di fuori dal locale dopo le 3 di notte il  sabato e la domenica, alle 2 del venerdì e all’1,30 del  lunedì, martedì, mercoledì e giovedì. Una multa da 50 a 300 euro per chi non rispetta il divieto e, se le  violazioni  sono reiterate, è prevista la chiusura fino a 15 giorni. Altra novità quella  delle assistenti in pettorina gialla, così da riconoscere chi si occupa di assistenza alla clientela, un servizio obbligatorio da questa sera. Inoltre ogni locale dovrà prestare particolare attenzione a quello che accade nell’area antistante anche assoldando steward come già avviene da tempo a San Salvario.

 

(foto: il Torinese)

Lavazza fra le finaliste del premio sul miglioramento continuo

Martedì 11 luglio si tiene a Bologna la finale del Kaizen Award, primo premio nazionale sul miglioramento continuo. Ecco le 12 finaliste selezionate per le tre categorie in gara. Fra queste anche la Lavazza. 
Per le aziende sotto i 250 dipendenti, Amcor di Soliera (Modena), Polidoro di Schio (Vicenza) e Interroll di Cornaredo (Milano). Per le imprese con più di 250 dipendenti: Pietro Fiorentini di Arcugnano (Vicenza), Lavazza di Gattinara (Vercelli), Metal Work di Concesio (Brescia), Carpigiani di Anzola dell’Emilia (Reggio Emilia), Electrolux di Forlì (Forlì-Cesena).

Per le organizzazioni sanitarie: Fondazione Poliambulanza di Brescia, Azienda Ospedaliera – Universitario Senese di Siena, Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova e Asl Toscana Centro di Firenze.I vincitori saranno selezionati martedì 12 luglio nell’auditorium Biagi della biblioteca Salaborsa di Bologna, da una giuria composta da  Fabio Storchi, presidente e amministratore delegato di Comer Industries Spa e di Federmeccanica. In giuria con lui Carlo Rafele, professore del Politecnico di Torino, Barbara Ganz, giornalista del Sole24Ore, Andrea Vivi, general manager TÜV InterCert, oltre a Bruno Fabiano e Carlo Ratto di Kaizen Institute.

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Finalista Lavazza

 

Lo stabilimento di Gattinara ha avviato un percorso di profonda riorganizzazione volto al raggiungimento dei target prefissati. I problemi ora vengono affrontati dai team naturali di reparto durante il DK1, incontro di routine giornaliero dove si analizzano le performance e si intraprendono azioni con metodo del Pdca. I problemi che non possono essere risolti, al livello 1, fanno escalation verso il management nel DK2, in Obeya Room. La modalità ed efficacia della conduzione del Dk1, da parte del team leader, vengono ciclicamente misurate dalla direzione attraverso un momento di hansei che termina con l’attribuzione di un punteggio. Il miglioramento continuo del nostro Gemba e delle nostre persone passa attraverso dei momenti di audit nei quale diffondiamo metodo e cultura. Siamo partiti da una situazione in cui gli audit erano organizzati per argomento, su grandi aree, con poco coinvolgimento dei team di reparto. Il cambiamento vincente è stato quello di creare un unico momento di audit, su piccole aree dello stabilimento, coinvolgendo il team leader e il tecnologo. Il risultato è legato a una diminuzione dei tempi di chiusura delle NC, attraverso la proattività del team di reparto. Per ottenere un’organizzazione del lavoro in grado di raggiungere gli obiettivi di efficienza prefissati e consolidarli nel tempo, occorre continuare ad investire sullo sviluppo delle persone. È necessario che il personale addetto al confezionamento sia in possesso di tutte le competenze necessarie ad una conduzione autonoma e qualificata degli impianti produttivi, coerente con l’attuale evoluzione tecnologica e dei processi.   Questo obiettivo si è concretizzato attraverso un percorso di formazione, basato sul metodo TWI, che ha trasferito alcune semplici attività PILS agli operatori con l’obiettivo di prevenire difetti e guasti, aumentando la conoscenza dei propri impianti. Il manutentore, a tendere, si occuperà della manutenzione professionale e del miglioramento continuo di impianti e processi.

 

(foto: il Torinese)

Da Caselle a San Pietroburgo

La compagnia aerea S7 Airlines continua ad investire all’Aeroporto di Torino e aggiunge una nuova destinazione: San Pietroburgo


E’ la prima volta che la città russa viene servita con volo diretto di linea dall’aeroporto piemontese. Il nuovo collegamento sarà a disposizione, oltre che dei numerosi turisti russi che scelgono le Alpi per le loro vacanze invernali, anche dei piemontesi che decideranno di cogliere questa straordinaria opportunità del volo diretto per visitare San Pietroburgo, uno dei più affascinanti centri artistici e culturali d’Europa. Il collegamento sarà operativo ogni domenica a partire dal 24 dicembre con il seguente orario, espresso in ora locale:

Torino San Pietroburgo 09:00 14:20 domenica
San Pietroburgo Torino 06:40 08:10 domenica

Il volo,  della durata di circa 3 ore e mezza, verrà operato con Airbus A319 da 144 posti.

S7 Airlines incrementa inoltre i voli diretti tra Torino e l’aeroporto di Mosca Domodedovo: nella prossima stagione invernale effettuerà fino a 4 frequenze settimanali nel periodo delle vacanze di Natale e successivamente due frequenze settimanali, aggiungendo al volo del sabato attualmente operato una nuova frequenza il martedì. Mosca Domodedovo rappresenta inoltre la base principale del vettore, dalla quale è possibile proseguire per numerose destinazioni in Russia e verso i Paesi limitrofi. Il nuovo volo con San Pietroburgo e l’aumento delle frequenze per Mosca daranno nuovo impulso ai flussi turistici su entrambe le direttrici e offriranno un nuovo collegamento utile alle aziende del territorio con interessi nell’area. I biglietti del nuovo volo per San Pietroburgo e per Mosca possono già essere acquistati attraverso il sito della compagnia www.s7.ru o in qualsiasi agenzia di viaggio con tariffe a partire da 65 euro (tariffa soggetta a disponibilità e non comprensiva di tasse e supplementi).

Conti regionali in rosso, avviato il risanamento ma il disavanzo è di quasi 8 miliardi

Poco meno di 8 miliardi di euro, 7,9 per la precisione. E’ questo il disavanzo nelle casse della Regione Piemonte, rilevato dalla relazione del pg della Corte dei Conti, Giancarlo Astegiano. Il documento è stato reso noto oggi a Torino in occasione del giudizio di parificazione del rendiconto generale dell’Ente per l’esercizio dell’anno  2016. secondo il magistrato si tratta di fine dell’emergenza poiché  e’ “presumibilmente”ì conclusa l’operazione di disvelamento  del passivo accumulato negli anni” intrapresa con l’approvazione del rendiconto del 2013 e della legge di assestamento del bilancio di previsione 2016-2018. Nella relazione si attesta che ci sono stati interventi mirati a invertire l’andamento  negativo che ha caratterizzato la gestione finanziaria degli ultimi dieci anni. Anche se la  situazione “continua a presentare notevoli criticità”.

Dagli studenti del Poli oggetti per bambini con disabilità

Per il secondo anno alcuni studenti del Politecnico di Torino iscritti al corso di “Tecnologie per la Disabilità”, partecipando ad Hackability@TecDi al posto del tradizionale esame, hanno lavorato insieme a maker, designer e famiglie seguite dalla Fondazione Paideia per provare a rispondere alla richiesta di presidi e oggetti progettati o adattati in base alle esigenze delle persone con disabilità.


Hackability è un format nato a Torino nel 2015 e adottato dal corso di “Tecnologie per la Disabilità” nel 2016, con l’obiettivo di usare la co-progettazione come occasione di empowerment e inclusione e costruire un ambiente dove maker, designer e persone con disabilità possano arrivare alla prototipazione e alla realizzazione personalizzata e in piccoli numeri di presidi e oggetti a basso costo in grado di supportare le persone con disabilità nella vita quotidiana.

Hackability@TecDi è stato realizzato dal Team Studentesco Hackability@Polito, nato dagli studenti che l’anno scorso hanno partecipato all’iniziativa, grazie al supporto del Politecnico di Torino, di Hackability, del Laboratorio Nazionale AsTech del Consorzio CINI e di Fondazione Paideia.

Lorenzo, uno dei genitori che ha partecipato al progetto, ha raccontato così la sua esperienza: “Per progettare un triciclo in grado di garantire più sicurezza e stabilità rispetto alle normali biciclette con le rotelle per mio figlio Simone abbiamo pensato insieme agli studenti a un sistema simile a quello degli scooter a tre ruote, con il corpo pedali con catena rimovibile che diventa un triciclo a spinta e a sua volta si trasforma praticamente in un passeggino e grazie al supporto per iPad gli permette di stare comodamente seduto a guardare i cartoni animati”.

Giuseppe Airò, che per conto di Hackability ha seguito il progetto, ha aggiunto: “Per il secondo anno, grazie a Fondazione Paideia e al lavoro del Team Studentesco riusciamo a calare gli studenti in un’esperienza che permetta loro di co-progettare, lavorare in team, sviluppare competenze trasversali partendo da bisogni concreti, un’esperienza non solo di studio e di lavoro, ma anche umana”.

Il caso Contrada. Giustizia è fatta, fuori tempo massimo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Dopo 25 anni di umiliazioni, sofferenze, condanne, rivelatesi infondate, il generale Bruno Contrada, 86 anni, ha visto riconosciuta dalla Cassazione la sua non condannabilità, non foss’altro perché il reato di concorso esterno mafioso, all’epoca dei fatti a lui ascritti ,non era definito in modo chiaro perché esso nacque da uno dei più strani combinati disposti della storia giudiziaria italiana, quello tra l’art. 416 ,l’associazione di stampo mafioso e l’art. 110,il concorso in altri reati. Il concorso esterno è un quasi un ossimoro giuridico che solo in Italia è stato preso seriamente e drammaticamente in considerazione. La condanna di Contrada che scontò dieci anni di carcere con grande dignità  e che venne linciato e ferito a morte  da esecuzioni mediatiche indegne di un paese libero e civile, nasceva, tanto per cambiare, da confessioni di pentiti, una piaga della giustizia italiana che portò a processi senza riscontri fondati. I tempi dei pentiti di terrorismo  del Gen. Alberto dalla Chiesa sono stati tutt’altra cosa dai cosiddetti pentiti di mafia. Il caso di Enzo Tortora fu il primo caso eclatante :condannato a dieci anni, poi assolto tardivamente in appello. Tortora subì anche lui indegne aggressioni da parte di alcuni giornali, ma ci fu lo Zola italiano Marco Pannella che non lo lasciò solo e gli consentì di reagire, pur senza sottrarsi al processo, perché Tortora condannato si dimise dal Parlamento europeo, rinunciando all’immunità. Un esempio quasi unico di dimissioni e di rinuncia all’immunità. Chi ha cercato di sostenere, come chi scrive, Contrada non ebbe la forza di Pannella e del partito radicale. Anzi, lo stesso partito radicale non ebbe la stessa capacità nel difendere il numero due del Sisde  che aveva combattuto a Palermo in prima fila, insieme all’amico Boris Giuliano ammazzato dalla mafia.

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Anche in questa occasione il solito Ingroia non ha avuto, ancora una volta, il buon gusto e il buon senso di tacere. Il fatto scandaloso resta comunque il lunghissimo iter giudiziario durato 25 anni.
Basta confrontare una fotografia di Contrada oggi con una di 25 anni fa per comprendere la sofferenza tremenda di un imputato che si era sempre dichiarato innocente. E’ una netta sconfitta per quelli che Sciascia definì i “ professionisti dell’Antimafia” che tanto male hanno arrecato alla credibilità della Giustizia italiana. Il Gen. Mario Mori ,recentemente ebbe riconosciuta l’innocenza dalla Cassazione dopo essere stato sottoposto, lui autentico servitore dello Stato come Contrada, ad ogni sorta di violenze mediatiche e condanne giudiziarie rivelatesi immotivate. Sarà un onore per me conferire a Mori il Premio “Pannunzio Alassio” il 7 agosto nella città del Muretto. Idealmente assoceremo nel premio Bruno Contrada. Se riuscirò a raggiungerlo, vorrei invitarlo e conferirgli lo stesso Premio. Due storie parallele di malagiustizia molto simili. La vita di Contrada è stata distrutta e la revoca della condanna da parte della Cassazione è ormai poco più che un atto simbolico. Ha dichiarato Contrada  che “non prova odio per nessuno e che se incontrasse il suo PM,si limiterebbe a cambiare marciapiede”. Anche in questa affermazione si evidenzia lo stile dell’uomo, la nobiltà del suo animo. Oggi ,alla notizia  della sentenza della Cassazione su Contrada  voglio ricordare il magistrato torinese  Giuseppe Manfredini che il 1° maggio1956 si suicidò per l’atroce dubbio di aver concorso ,con una sentenza sbagliata, a condannare un innocente. Piero Calamandrei scrisse di lui che le parole “giustizia”, ”innocenza”, ”responsabilità” possono ancora scatenare un tumulto in una coscienza ,fino a indurre uno di quegli uomini in toga (…) a rinunciare alla vita, piuttosto che sopportare il dubbio di averle involontariamente tradite”. Meglio non si sarebbe potuto dire. Sia reso onore a Bruno Contrada e a Mario Mori che la criminalità organizzata ebbero il coraggio di affrontarla a viso aperto e che furono vittime di un mondo in cui i valori della giustizia ,spesso oscurata da pregiudizi politici, subirono un’eclisse che la Corte europea e la Cassazione hanno consentito di superare. Purtroppo molto tardivamente. Troppo tardivamente.

Serata in piola tra delizie e richiami letterari

di Giuliana Prestipino

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E’ ora di finirla con tutte queste disquisizioni sul cibo e le pietanze. E’ come voler tentare di attribuire un senso ad un incontro amoroso. Non è possibile. Eppure, a quanti non è capitato di argomentare animatamente su una minestra di lenticchie destrutturata o sui mirabolanti accostamenti tra sarde fritte e mozzarella di bufala? E alzi la mano chi non ha mai immortalato almeno una volta nella vita un piatto così bello e colorato da sembrare un’opera d’arte. Siamo approdati in una nuova era. Quella in cui il cibo si è trasformato in un’esperienza estetica e intellettuale prima ancora che sensuale. Un grande umorista del Novecento, Achille Campanile, acuto osservatore dell’animo umano, tentò in un sagace e spassoso racconto appunto intitolato “Asparagi e immortalità dell’anima” associazioni quanto mai insolite ed ardite tra il cibo e le alte riflessioni filosofiche. Paradossali, funambolici e bizzarri gli ipotetici legami che unirebbero gli asparagi e l’immortalità dell’anima. Ma Campanile finì per concludere rassegnato: “Da qualunque parte si esamini la questione, non c’è nulla in comune fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima”. Bene. In questa rubrica sulla ristorazione torinese cercheremo, per quanto ci è possibile, di non cadere in arzigogolati intellettualismi, ma di catturare l’anima e l’atmosfera del locale e di assaporare l’esperienza a tavola per quello che in fondo è: un tuffo nella parte più autentica di noi. Perché è a tavola che ci si mette comodi e ci si abbandona a quella sana gioia di vivere in compagnia. Ci riusciremo?

GP

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Trattoria Valenza

“Che belle serate si facevano qui una volta con una brunetta…”. Commenta così l’anziano oste con i nostri vicini di tavolo mentre aspettiamo il menu. E come un padrone di casa molto attento offre subito ai suoi ospiti del buon vino, proprio quello che lui berrebbe la domenica in famiglia. Va e viene dalla cucina e chiacchiera. Chiacchiera dei bei tempi andati. Frammenti di ricordi di un tempo che non torna ma che si respira nell’aria, nei quadri degli antiquari del Balôn, nelle antiche credenze di legno, negli orologi a pendolo che fanno da arredo al locale. Nel cuore del “Burg dij strass”, borgo di stracci, così come veniva chiamato il Balôn si trova la Trattoria Valenza. Un piccolo tempio che custodisce l’anima più popolare e antica di Torino e gli echi letterari e cinematografici del primo vero giallo italiano, “La donna della domenica” di Fruttero e Lucentini.

Da qui sono passati carrettieri, stallieri, osti, maniscalchi, facchini, venditori ambulanti e artigiani, rigattieri, arrotini, straccivendoli, ma anche Marcello Mastroianni nei panni del commissario Santamaria. In questa trattoria che è la piola per eccellenza, è possibile assaporare la vera cucina piemontese senza fronzoli o rivisitazioni audaci, godendo di ritmi più umani che sanno di civiltà antica. Il menu è alla carta. Abbondante e fresco l’antipasto misto piemontese con i grandi cavalli di battaglia: tomini, acciughe al verde, carne cruda, peperoni con bagna cauda, vitel tonnè, tocchetti di frittata, sedano e gorgonzola, coppa e melanzane grigliate. Apprezziamo molto il pane casereccio e i grissini grossi e non confezionati. Come primo scegliamo degli ottimi agnolotti al ragù di carne. Nonostante le porzioni siano abbondanti e una bottiglia di Arneis se ne sia già andata (la serata è molto calda e il rosso della casa forse ci avrebbe stordito), non resistiamo alla tentazione di ordinare il secondo. Polpette al sugo, due, ma giganti e gustose, e la frittata di erbe morbida e saporita. Alle 21.40 si sentono i rintocchi di una delle pendole appese alla parete accanto alla cucina. Incuriositi chiediamo alla cameriera perché suona proprio alle 21.40. Risposta: “Considerando il posto non credo possa avere un senso, perché qui dentro nulla ha un senso”. Ci guardiamo e sorridiamo. Musica per le nostre orecchie che cercavamo proprio un luogo sospeso e lontano dai ritmi frenetici della città, a metà strada tra la trattoria di paese e il pranzo in famiglia. Ormai le due salette sono piene e ci stupiamo perché è un afoso martedì di giugno e la cucina piemontese non è propriamente estiva. Il padrone di casa si è ormai accomodato su una sedia di legno davanti all’entrata per prendere una boccata d’aria. Fuma rilassato e il suo sguardo assorto si perde un po’ in fondo alla strada e un po’ in cielo. Sembra un Camilleri in versione sabauda, pronto a raccontare gli aneddoti più insoliti e divertenti che hanno animato la trattoria. Gli altri famigliari, che mandano avanti con lui il ristorante, continuano a fare gli onori di casa in modo efficiente con gli avventori che sembrano essere, alcuni, degli habituè, dal modo informale con cui si intrattengono. Ci si sente a casa. Siamo al dolce. Imperdibili la macedonia, la torta di mele e il caffè della casa corretto con liquore e limone, una specie di moretta fanese.

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TRATTORIA VALENZA

Indirizzo: Via Borgo Dora 39, tel. 011 5213914

Prezzo medio (bevande escluse): € 25-30

Orario cucina: 12-14.30, 20-22.30

Chiusura: domenica e lunedì; aperto a pranzo la seconda domenica del mese in occasione del Gran Balôn

Ferie: agosto

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Da “La donna della domenica”, il  film del 1975 diretto da Luigi Comencini tratto dall’omonimo romanzo del 1972 di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, in parte ambientato al Balon di Torino

 

Auto impazzita travolge e uccide mendicante padre di due figlie

Un pedone verso le 15 era fermo vicino al semaforo di corso Allamano quando un’ auto impazzita lo ha travolto e ucciso sulle strisce pedonali davanti alle Gru, a Grugliasco. L’uomo deceduto è un marocchino di  40 anni. L’Opel Meriva Nera ha speronato nella sua corsa  altre due vetture ed è stata fermata da alcuni automobilisti. Alla guida un uomo di origine rumena, che ha rischiato di essere linciato se non fossero intervenuti la polizia municipale di Grugliasco e i carabinieri. Da un primo esame non risulterebbe ubriaco. La vittima è un mendicante che chiedeva l’elemosina al semaforo. Lascia una moglie e due figlie in Marocco