Sul palcoscenico dell’Alfieri, sino al 27 ottobre
A poco più di trent’anni dalla sua comparsa sugli schermi, nel 2008 l’American Film Institute lo inserì al 57mo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi e due anni prima era stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso. Un gran bel risultato d’eccellenza per un film che, economicamente, con una lavorazione conclusa in meno di un mese, aveva stanziato un budget di poco più di un milione di dollari e se ne era visti tornare a casa intorno ai 225. Come non credere che Sylvester Stallone, l’ormai mitico Sly, gran macinatore di sequel e di spin-off, attore pressoché sconosciuto sino al successo del primo capitolo, a cui nelle audizioni erano stati preferiti nomi già collaudati, Redford e Ryan O’Neal in primo luogo, non agguantasse l’occasione per portare sui palcoscenici, in compagnia di Thomas Meehan, il suo “Rocky”? Il boccone era ghiotto, la storia e le musiche anche lì potevano funzionare benissimo, la storia d’amore e di rivincita da un passato di povertà e di rinunce e di difficoltà anche al di là di un proscenio avevano i numeri giusti per portarsi appresso una gran bella quantità di pubblico. I sei mesi di repliche a Broadway e le candidature ai Tony Award furono il primo passo di un lungo successo.
“Rocky the musical”, nella produzione di Fabrizio Di Fiore Entertainment, pensata lodevolmente in grande – una ventina di persone in scena e l’intero apparato tecnico, l’orchestra dal vivo in una di quelle buche che davvero a teatro non vedi più, la direzione musicale e gli arrangiamenti di Ivan Lazzara e Angelo Nigro, l’eccellente disegno luci di Valerio Tiberi, la struttura drammaturgica e l’esatto adattamento, la resa dei testi delle canzoni mai banali – e con la regia di Luciano Cannito, ha aperto nei giorni scorsi la stagione del torinese teatro Alfieri, affollatissimo in ogni ordini di posti, pubblico festoso e ricchissimo d’applausi, teso a sottolineare i momenti più forti o piacevoli della storia, un finale d’eccezione su tanto di ring a decretare fin d’adesso un successo che percorrerà sino ad aprile le tante tappe attraverso lo stivale. Perché il pubblico, giovane e meno giovane, pur preso dalla faccia televisiva io credo riesca a dimenticarla per circa le tre ore di spettacolo e non faccia troppa fatica a immedesimarsi, col sentirli davvero vicino a sé, in quei personaggi che cercano una rivalsa grazie sì con l’accarezzamento di un sogno ma attraverso la fatica, la dedizione, l’inseguire continuo un ideale che non è soltanto disciplina e punto d’arrivo ma altresì filosofia di vita. E lo spettacolo fa veramente la sua parte. “Musical mozzafiato” è stato detto ed è vero. Ci sono le musiche di Bill Conti e di Stephen Flaherty, c’è l’irruenza di alcune canzoni che hanno attraversato la vita di ognuno di noi, c’è l’iconico pugno alzato del campione, c’è una storia di fatica ma pure di poesia, disposta a contraltare che s’amplia in certi personaggi e in alcuni momenti valorizzati da una regia fatta certo di ampi lunghi poderosi movimenti, di una macchina teatrale che aziona con grande precisione e già funziona a meraviglia, e diverte, una regia che accomuna splendide e acrobatiche coreografie che non puoi non applaudire, ma anche capace di stringere perfettamente il campo, con mezzi tutti cinematografici, sui piccoli sentimenti, sulla agguerrita discesa ancora una volta sul ring del vecchio allenatore, sull’amore che nasce in una piccola stanza, in un angolo di palcoscenico ed è l’immagine della forza e del cercato rifugio mentre tutt’intorno le belle scenografie di Italo Grassi scorrono e sovrastano e costruiscono di volta in volta i vicoli e lo skyline di una Philadelphia piena di luci e di brume.
Lo spettacolo è l’affermazione di una autentica attrice dalla stupenda voce, che usa questa e le doti recitative che tocchi con mano a ogni intervento per entrare attraverso piccoli segnali e prepotentemente allo stesso tempo nella sua Adriana, per ispessire la debole commessa di un negozio d’animali stanca dei soprusi del fratelli e alla ricerca giorno dopo giorno della sua libertà e di un sentimento vero. Si chiama Giulia Ottonello, la si guarda, la si ascolta, con ammirazione, ti rendi conto a ogni passo di quanto riempia il palcoscenico. Rocky ha il fisico e il gancio, che dovrà battere Apollo Creed, di Pierpaolo Pretelli, il peccato di qualche incertezza, i mezzi espressivi pronti ad affinarsi e le repliche che gli consentiranno di buttar fuori – come personaggio e come interprete – tutta quella grinta e quella sfacciata padronanza che alla prima, certamente con i brutti scherzi che l’ansia da prestazione può fare, non ha mostrato appieno. Pietra d’inciampo vera e propria quello schermo messo sulla sua testa nell’incontro finale a testimoniarne espressioni e movimenti. La Gloria di Laura Di Mauro, la proprietaria del negozio, voce e divertimento a vendere, e il Mickey di Giancarlo Teodori, il vecchio allenatore, sono due belle presenze, con ogni carta in regola. Da vedere.
Elio Rabbione
Nelle immagini alcuni momenti dello spettacolo.
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE