Lucky Luke, dalla terra promessa all’inferno di cotone

In Inferno di cotone, ultimo episodio inedito che lo vede protagonista, Lucky Luke eredita inaspettatamente un’enorme piantagione di cotone in Louisiana.

Accolto dagli altri proprietari bianchi come uno dei loro il cowboy solitario dei fumetti dovrà combattere per ridistribuire la sua eredità ai contadini neri. In questa lotta contro i potenti nella regione e contro la segregazione razziale, è solo contro tutti ma grazie all’aiuto di uno straordinario alleato riuscirà a ripristinare la giustizia: lo sceriffo Bass Reeves, un personaggio autentico che fece la storia del West come primo uomo di colore a portare sul petto la stella della legge a ovest del Mississippi. Una storia di integrazione, diritti e uguaglianze. Una scelta molto politically correct che si associa al precedente albo intitolato La Terra Promessa dove si narra il viaggio del cowboy che spara più veloce della sua ombra mentre scorta una famiglia di aschenaziti in viaggio verso la Terra Promessa, la cittadina di Chelm City nel Montana.Le loro culture, al primo impatto diversissime, si incontrano e imparano a conoscersi e convivere. Non solo Lucky Luke sopporta le manie della famiglia, incuriosendosi delle loro usanze, ma anche il vecchio Moishe – un po’ svampito e incapace di rendersi conto dei pericoli che lo circondano – si dimostra ben più aperto di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, accettando addirittura il fatto che il cowboy non sia ebreo. Lucky Luke è un cowboy solitario dall’aria ironica e scanzonata, perennemente alle prese con il suo ciuffo ribelle mentre cavalca Jolly Jumper, bianco destriero dalla bionda criniera su piste aride e polverose, a caccia di banditi e, soprattutto, dei fratelli Dalton. Nel tempo  Lucky Luke è entrato a buon diritto tra i classici del fumetto western. Nato dalla penna del belga Maurice de Bévère – meglio conosciuto con lo pseudonimo di Morris – , apparve per la prima volta  settantacinque anni fa, nel 1946, in una storia intitolata “Arizona 1880” ma, dopo pochi episodi, ai testi  lo sostituì René Goscinny ( il “papà” di Asterix) che, come sceneggiatore, diede una spinta decisiva alla serie a partire dal 1955. Goscinny sviluppò in maniera brillante anche i comprimari delle storie di Lucky Luke: il suo cavallo “parlante”, Jolly Jumper; i fratelli Dalton (Joe, William, Jack ed Averell), quattro malviventi tanto determinati quanto inconcludenti; Rantanplan, il “cane più stupido del mondo“. Nei paesi della frontiera, tra deserti e fitte foreste, la fama di Lucky Luke diventò nota ad ogni angolo: veloce più di tutti con la pistola non rinunciava a risolvere le situazioni ricorrendo all’astuzia ed evitando fin quando possibile il ricorso alle armi. L’abbigliamento di Lucky Luke è quello dei cowboys dell’ovest degli Stati Uniti d’America, il cosiddetto vecchio West: camicia gialla e gilet nero, fazzoletto rosso al collo, jeans e un paio di stivali con speroni, cappello bianco e sigaretta pendente tra le labbra ( fino a quando,  negli anni ’80, Morris decise di farlo smettere di fumare, sostituendo il mozzicone con un filo d’erba).  Una curiosità : per il nome Morris si ispirò a quello di Luciano Locarno, sceriffo di origine italiana che visse tra il 1860 e il 1940. Oltre al fumetto sono state realizzate diverse serie animate, una serie Tv e due film diretti e interpretati da Terence Hill e Jean Dujardin.

 

Ma sono i fumetti a fare davvero la storia. Decine e decine di albi d’avventure dove, accanto a Lucky Luke, sono comparsi anche personaggi “storici” del vecchio west (da Billy the Kid a Calamity Jane, da Buffalo Bill a Jesse James). Dopo la morte di Goscinny, nel 1977, in molti si cimentarono ai testi che accompagnavano le strisce disegnate da Morris. Nel 2001 venne poi a mancare anche il creatore di Lucky Luke che, dall’inizio della sua lunga avventura, era stato il suo unico disegnatore. Prima di morire, il fumettista belga, espresse la volontà che la serie proseguisse anche dopo la sua scomparsa. Fu così che nacquero  “Le avventure di Lucky Luke dopo Morris”. Ai testi si sono misurati Laurent Gerra, Daniel Pennac, Tonino Benacquista e Jul ( al secolo Julien Berjeaut), mentre , per i disegni, l’erede dell’autore belga è stato individuato in Achdé (pseudonimo di Hervé Darmenton). Grazie a loro, a settantacinque anni dalla sua prima apparizione – tra fuorilegge, indiani, deserti e malfamati saloon – il cowboy solitario continua ancora oggi a cavalcare. E, come nel finale di ogni storia, lo vediamo allontanarsi al calar del sole cantando “I’m a poor lonesome cowboy… far away from home…”( “Sono un povero cowboy solitario…lontano da casa” ).

Marco Travaglini

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