Dal Piemonte alla conquista del mondo

“Lars dove sei ? Stai bene ?”. “Buonasera, professore, sono bloccato in Cambogia da 10 giorni e la situazione non è facile”. Questo scambio di battute su Messenger si è avuto tra il 24 ed il 26 marzo scorsi tra lo scrivente e Lars Orazzo, 23 anni appena compiuti, brillante studente dell’Istituto Artusi di Casale Monferrato, rimasto bloccato nel Sud Est asiatico dall’emergenza coronavirus.

La vicenda, che poteva assumere anche toni decisamente più critici ha avuto uno sblocco quando mi è arrivato un secondo messaggio il 28 marzo alle 6.44 del 28 marzo: “Sono giunto all’aeroporto di Oslo adesso. E’ una situazione assurda, aeroporto completamente vuoto”. Poi Lars, grazie ad uno scalo a Londra è riuscito a rientrare in Italia e adesso è a casa sua a Montemagno, nel Monferrato astigiano, con i familiari.

E la pandemia ha interrotto quella che è stata (sino al momento in cui le cose non sono precipitate) una bellissima esperienza di viaggio e di vita. Orazzo dopo il diploma all’alberghiero aveva lavorato in Inghilterra sino a settembre del 2018 poi era tornato in Italia in Alto Adige. “Il mio sogno – spiega, raggiunto telefonicamente – era fare il giro di mezzo mondo non usando l’aereo ma i mezzi di terra, partendo dall’Italia per arrivare sino all’Australia, dopo aver attraversato l’Est Europa, poi la Russia sul percorso della Transiberiana e l’Oriente sino a giungere appunto nel Nuovissimo Continente”. Così il 15 luglio del 2019, insieme ad un compagno di avventura, Sasha De Zordo di Auronzo di Cadore, è partito dalla stazione dei bus di Venezia Mestre. Le prime tappe dopo l’Italia sono state la Slovenia, l’Ungheria, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Polonia (“qui abbiamo toccato Katowice, Cracovia, Varsavia, Auschwitz, la cui visita è stata una delle esperienze più forti di questo viaggio”), poi l’ingresso nei Paesi Baltici, Lituania, Lettonia, Estonia, con l’ingresso in Russia a San Pietroburgo e la spettacolare visione della Prospettiva Nevskij, con il passaggio a Mosca e la salita sul treno della Transiberiana, con fermate a Kazan, Ekaterinburg dove i due viaggiatori hanno passato a piedi il punto di confine tra l’Europa e l’Asia. Poi il viaggio è proseguito sino a Ulan Ude e qui i due novelli emuli di Marco Polo (o se si preferisce di Tiziano Terzani nel di ‘Buonanotte Signor Lenin’ o ‘Un indovino mi disse’) incappano in un imprevisto: “Dovevamo andare in Mongolia – dice Lars Orazzo – ma il nostro visto scadeva il 18 settembre e la burocrazia russa, rigorosa e disorganizzata non l’avrebbe rinnovato in tempo. Così siamo andati la mattina presto alla stazione dei treni ma non c’erano né treni, né bus. L’aiuto ci è arrivato insperato da un signore che ci ha dato un passaggio, previo un compenso, per duecento chilometri, sino al confine terrestre tra i due Stati. Siamo entrati chiedendo ad una famiglia mongola di farci entrare a bordo del loro Van. Poi, però, il problema non era ancora risolto e grazie ad un altro passaggio, a pagamento, abbiamo fatto 13 ore di auto nel deserto per percorrere i 300 chilometri più a Sud in direzione di Ulan Bator. E alle 21 circa una gomma si è afflosciata e pure la gomma di scorta era bucata. Poi, dopo aver spinto l’auto per un centinaio di metri, sino ad una pompa di benzina, si è riusciti a riparare la gomma e ad arrivare nella capitale, sfiniti, alle 4 del mattino. In Mongolia siamo rimasti un mese: dei sedici Paesi che abbiamo visitato è quello che mi è rimasto nel cuore: cultura, tradizioni, usanze popolari sono ancora vergini, non toccate dalla globalizzazione e dal turismo di massa.

Abbiamo vissuto per otto giorni nel deserto del Gobi con i nomadi che vanno a caccia a procurarsi il cibo. Un ritorno all’indietro nel tempo di 1000/2000 anni”. Poi Lars ed il suo compagno di viaggio hanno deciso di saltare la Cina, per via degli alti costi del visto (all’epoca il coronavirus non era comparso sulla scena) volando nel Nepal dalle alte montagne incontaminate per passare poi per cinque settimane in India, visitata da Ovest ad Est, da Delhi a Calcutta, saltando il Bhutan per via di un visto decisamente caro (200 dollari americani al giorno). “Il nostro è stato – dice ancora Lars – un turismo zaino in spalla, abbiamo dormito negli ostelli, viaggiato il più possibile sui mezzi locali di trasporto, non sui pullman gran turismo, con un budget da rispettare”. Così è capitato, ad esempio in un centro a Sud del Nepal dove non c’erano ostelli ma solo stanze in condomini che venivano concesse dal proprietario a 2/3 euro a notte, umidissime, con letti di legno e materassi sottilissimi quasi inesistenti e una convivenza con ragni, mosche, zanzare oppure di affrontare una lunga tratta su un treno indiano (13/14 ore) in compagnia di topi che passeggiavano sotto il vagone. Dal subcontinente indiano il viaggio è proseguito attraverso il Laos, il Vietnam e la Cambogia dove Lars e Sasha si sono fermati un mese. Mancava soltanto la visita ad Angkor con i suoi templi prima di passare al prossimo Paese, con il visto quasi allo scadere, ma a questo punto sono insorti i problemi. “Si è diffusa la notizia di un gruppo di francesi che erano positivi al virus e si è creata quasi subito un’idea di discriminazione verso gli europei, specialmente gli italiani, anche per quanto stava accadendo in Italia. Nel frattempo la Thailandia ha effettuato un restringimento per quanto riguarda gli italiani e chiuso le sue frontiere via terra. Abbiamo pensato di andare direttamente in Malesia, ma anche questa ha chiuso, così come Indonesia ed Australia, Laos e Vietnam. A questo punto ci trovavamo in una situazione che stava diventando sempre più critica in un Paese con strutture ospedaliere precarie, dove non c’è un’ambasciata o un consolato italiano, con la scadenza del primo mese di visto. Abbiamo trovato altri ragazzi italiani nelle nostre condizioni: prima si è cercato di contattare la Farnesina, ma abbiamo avuto soltanto un contatto molto laconico dopo cento telefonate, ci siamo rivolti all’ambasciata di Francia ma ci hanno gentilmente detto di capire il nostro disagio ma prima avrebbero dovuto risolvere il problema dei cittadini francesi poi saremmo venuti noi. Siamo riusciti a contattare l’ambasciatore italiano ma nell’immediato non si è arrivati ad una soluzione.

Dopo quasi dieci giorni di contatti con uffici ed ambasciate la Thailandia si era resa disponibile a consentire un transito aereo da Pnom Penh a Bangkok e da lì all’Europa ma a condizione che producessimo un visto di transito, un foglio medico (tra l’altro di una clinica privata) ed il test che provasse che non avessimo il coronavirus. Con mille difficoltà siamo riusciti ad ottenere i documenti. Per fare un esempio: l’unica struttura abilitata ad effettuare i tamponi faceva due turni brevi al mattino ed al pomeriggio di quindici minuti ciascuno, per cui abbiamo dovuto andare alle 4.30 per passare per primi nella mattinata. Superati questi inconvenienti siamo riusciti a prendere un aereo per Oslo perché ci avevano detto che da lì sarebbe stato possibile prendere un volo per l’Italia, ma in realtà collegamenti dalla Norvegia non c’erano e la situazione in aeroporto era surreale, non c’era nessuno. Siamo riusciti a prendere letteralmente ‘al volo’ cinque minuti prima dell’imbarco un collegamento per Londra e da Londra raggiungere Roma”, terminando così l’Odissea. Adesso Lars è tornato a Montemagno, sulle colline del Monferrato, e ritiene quella appena lasciata alle spalle ‘un’esperienza di vita notevole’ e sotto sotto cova l’intenzione, ovviamente nei tempi congrui e passata questa emergenza sanitaria, di chiudere il cerchio del viaggio che si era prefissato inizialmente.

Poiché Lars ha esposto qui soltanto alcune delle sue esperienze e dei suoi ricordi di viaggio, torneremo nei prossimi giorni con alcuni approfondimenti sui vari Paesi visitati.

Massimo Iaretti

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