Delitto del suk: 12 anni all’omicida. La rabbia dei familiari della vittima

Lo Stato italiano ci ha gettato nella disperazione un’altra volta. La Giustizia è un sogno lontano”

LA CASSAZIONE CONFERMA LA PENA  PER L’ASSASSINO DI MAURIZIO GUGLIOTTA

Lo Stato italiano ci ha gettato nella disperazione un’altra volta. La Giustizia è un sogno lontano”. E’ profondamente delusa, amareggiata e ferita Carmela Caruso dopo aver visto svanire anche l’ultima speranza di una condanna un po’ più consona per l’assassino di suo marito, Maurizio Gugliotta. Venerdì 13 dicembre 2019, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Pubblico Ministero della Procura di Torino, dott. Gianfranco Colace, titolare del procedimento penale per l’omicidio del Suk avvenuto il 15 ottobre 2017, contro la sentenza di primo grado emessa il 20 marzo 2019 dal giudice del Tribunale torinese, dott. Stefano Vitelli, confermando la condanna a soli 12 anni per il profugo nigeriano di 27 anni Khalid De Greata, colui che ha accoltellato a morte il 51enne operaio di settimo Torinese e ferito l’amico che lo aveva accompagnato quel giorno al mercato del libero scambio.

Una pena lieve su cui ha pesato la seminfermità mentale riconosciuta all’imputato da due perizie psichiatriche e sulla base della quale è stata esclusa l’aggravante dei futili motivi: l’improvvisa aggressione coltello in pugno da parte del rifugiato nei confronti dei due amici, di cui neanche il superstite ha saputo fornire una spiegazione (il killer ha dichiarato di essersi sentito “offeso”), è stata in pratica attribuita alla patologia paranoide da cui sarebbe affetto De Greata. Il giudice ha applicato il massimo della pena prevista per l’omicidio non aggravato, 24 anni, sottratto il massimo previsto per la seminfermità, ossia un terzo, otto anni, ne ha aggiunti due per il tentato omicidio, arrivando a 18, e ha ridotto tutto di un terzo per lo sconto di pena determinato dalla scelta del rito abbreviato: risultato, 12 anni. Un verdetto apparso del tutto inadeguato alla gravità del crimine commesso che aveva destato la dura reazione in aula dei familiari di Gugliotta, i quali si aspettavano ben di più, e a poco è valso a lenire il loro dolore il fatto che, finita di scontare la sua condanna, l’imputato sarà sottoposto ad altri tre anni di misura di sicurezza in una struttura psichiatrica, da cui potrà uscire solo se e quando non sarà più ritenuto socialmente pericoloso. Così come la provvisionale di 150mila euro stabilita dal giudice per la moglie e per ciascuno dei tre figli come risarcimento: il killer è nullatenente.

Ma anche il Pm è rimasto molto perplesso e in aprile ha depositato ricorso per Cassazione contestando alcuni vizi della sentenza, in particolare laddove si escludeva l’aggravante dei futili motivi, e chiedendo pertanto alla Suprema Corte di annullarla nelle parti censurate con rinvio al Gup di Torino per un nuovo giudizio.

La vedova Gugliotta in fondo ci sperava, tanto che VENERDì, data in cui è stata fissata l’udienza, si è voluta recare a Roma per assistervi di persona. Ma nel pomeriggio è arrivata la notizia del non accoglimento del ricorso e la donna è comprensibilmente ripiombata nello sconforto. “Ho sentito il Pm che ripeteva che l’essere malati di mente non è una giustificazione per uccidere una persona e il difensore dell’assassino di mio marito che invece insisteva sulla seminfermità mentale e sulle due perizie, come nel processo di primo grado. Speravo davvero che qualcosa potesse cambiare, invece resterà tutto come prima – commenta amaro la signora Caruso che è stata assistita da Studio3A, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini – Sono profondamente amareggiata, delusa dallo Stato italiano, pensavo che avrebbe fatto di più per noi. Qualche anno in più di reclusione non ci avrebbero restituito mio marito, ma sarebbe stato un segnale importante per me e per i miei figli. E invece questo Stato ci ha rigettato nella disperazione: l’assassino se la caverà con 12 anni, niente. Io mio marito l’ho perso per sempre. Non è giusto, non lo accetteremo mai”.

Ancora più duro il commento del maggiore del tre figli della vittima, Daniele: “Orgoglioso di essere italiano? Mi dispiace ma con oggi il mio orgoglio è morto. Sono sempre più disgustato da questo Paese, da questo sistema. La giustizia in Italia è un sogno lontano”.

 

Nicola De Rossi / Studio 3A

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