Tutti i colori della Casa Bianca

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina

 

A poco più di due mesi dalle elezioni del 5 novembre la lotta per la presidenza americana appare più incerta che mai.

A ravvivare l’interesse e a modificare l’esito dei sondaggi, tra fine giugno ed il mese successivo, ne sono successe davvero di tutti i colori.

Il vantaggio accumulato da Trump sino al disastroso (per Biden) dibattito del 27 giugno ed all’attentato del 10 luglio è stato totalmente riassorbito dai “dem” dopo il ritiro dalla corsa, il 21 luglio, del presidente in carica a favore della sua vice Kamala Harris.

Nelle ultime settimane, poi, si sono delineati meglio i programmi dei due candidati e la data chiave, da segnarsi sul calendario, è il 10 settembre, quando si affronteranno in un faccia a faccia, organizzato dalla rete televisiva ABC, che potrebbe rivelarsi decisivo.

A giugno, negli studi della CNN, i due contendenti, The Donald e Biden, avevano dedicato le loro energie a sottolineare i (presunti) successi e fallimenti delle loro esperienze presidenziali (*), ignorando l’argomento che più interessa gli elettori: i loro progetti per il Paese.

La situazione a settembre sarà molto probabilmente diversa: la giovane candidata democratica vorrà senza dubbio concentrarsi sul futuro e Trump non avrà più facile gioco, come avveniva con Biden, dimostrandosi energico e deciso ed attaccando su questo campo il suo avversario.

L’incontro dovrebbe, quindi, essere l’occasione per verificare la sostanza dei programmi elettorali e la capacità degli aspiranti presidenti di renderli convincenti agli occhi degli elettori.

Gli americani incerti sono ancora molti e non bisogna lasciarsi ingannare dalla crescita costante, dalla sua entrata in campo, della popolarità di Kamala.

La Harris ha beneficiato del sospiro di sollievo di una fetta dell’elettorato di sinistra, che aveva ormai perso fiducia nelle capacità di reggere un altro mandato da parte dell’attuale presidente, e dello spostamento, al suo interno, a suo favore di una quota dei consensi di Robert F. Kennedy Junior (e degli altri candidati democratici “minori”).

Il nipote di JFK è un altro esempio della “fluidità” che serpeggia nello scenario politico statunitense (anche Trump non è certo il classico candidato del “Grand Old Party”, i repubblicani…).

Democratico, come gli altri quattro Kennedy che hanno corso per la presidenza, ha una visione completamente diversa (e contrastante) rispetto a quella di Joe & Kamala: liberale, conservatore e sostenitore di teorie complottiste, ha deciso nei giorni scorsi di ritirare la sua candidatura (ormai senza speranza di successo) e di dare il suo appoggio a Trump!

Rimane tutto da capire quanti dei sostenitori di Robert Junior (stimati tra il 4 ed il 12%) decideranno di seguire il suo consiglio…

Lo scenario è reso ancora più complicato dal meccanismo delle presidenziali, creato alla fine del 1700, che assegna ai 50 Stati più uno, il District of Columbia, un numero predefinito di voti.

In tutto si tratta di 538 voti che corrispondono ad altrettanti rappresentanti (i “grandi elettori”) che hanno ‘promesso’ di sostenere il candidato al quale sono collegati.

Per ottenere la presidenza, occorre perciò ottenere 270 voti elettorali, corrispondenti ai grandi elettori eletti in ogni collegio (dove chi ottiene la maggioranza si aggiudica tutti i voti).

Storicamente, una larga parte degli Stati ha già un orientamento ben chiaro e l’esito finale si gioca sui cosiddetti “swing States”, gli Stati che fanno la differenza e il cui esito rimarrà in bilico sino alla fine.

In questa tornata molto dipenderà da ciò che avverrà in Nevada, Michigan, Wisconsin, Arizona, Pennsylvania e Georgia, per un totale di 77 voti.

Alcuni commentatori aggiungono all’elenco degli incerti anche il North Carolina che, sebbene nei sondaggi sia ora attribuito ai repubblicani, ha una quota enorme (ben il 37%) di elettori che non manifestano alcuna preferenza e per questo è ancora ampiamente contendibile.

Questo fa salire il numero totale dei voti ancora sul tavolo a 93.

Non ci deve sorprendere, quindi, che gli sforzi dei due contendenti si concentrino in faticosi “tour de force” ed incontri proprio in questi sette Stati.

Come accennato all’inizio, il quadro incomincia a delinearsi e possiamo cercare di comprenderne colori e sfumature attraverso una breve disamina degli aspetti salienti che emergono dai due schieramenti.

Iniziamo, per ragioni di cavalleria, da Kamala Harris che mette al centro l’aumento delle tasse, sulle società e sui redditi più elevati, la riduzione dell’inflazione, la regolamentazione dei rapporti e del commercio con la Cina ed una politica energetica che punta ad un’accelerazione della decarbonizzazione.

Nel 2017 Trump aveva introdotto una riduzione temporanea (scadrà a fine 2025) delle aliquote fiscali che non verrà rinnovata dai democratici riportando la tassazione al 28%, dal 21 attuale, per gli utili delle società ed al 39,6%, dal 37 attuale, per i redditi superiori ai 400.000 dollari (mantenendo, invece, quelle sui redditi inferiori).

Ad essere impattate dalle maggiori imposte sui redditi sarebbe una quota molto piccola, il 3% circa, delle famiglie americane ma il peso economico (in termini di imposte raccolte) sarebbe molto più che proporzionale e contribuirebbe a coprire parte dei maggiori costi previsti dagli altri punti del programma presidenziale (tra i quali figura anche la detassazione delle mance, fonte di reddito significativa, in particolare nel settore alberghiero e della ristorazione).

Nel programma dei candidati non poteva certo mancare una menzione all’inflazione, che rimane, in assoluto, la maggiore preoccupazione degli americani. (**)

Sebbene i dati siano da qualche tempo estremamente confortanti, l’aumento dei prezzi al consumo è tornato molto vicino al 2% desiderato dalla autorità monetarie, la salita degli ultimi due anni dei prezzi degli alimentari, dei farmaci e delle abitazioni sono impossibili da dimenticare ed una loro riduzione consentirebbe di recuperare, almeno in parte, il potere d’acquisto perso.

La proposta democratica prevede di calmierare i prezzi dei beni alimentari, attraverso dei controlli attuati da una nuova agenzia governativa, proibendo ai produttori il loro “ingiusto arricchimento” (attuato ampiamente anche attraverso l’utilizzo indiscriminato della “shrinkflation”, la diminuzione delle quantità di prodotto nelle confezioni, difficile da percepire a prima vista, mantenendo invariati i prezzi).

Per quanto riguarda i medicinali, il programma di Kamala si basa su una maggiore trasparenza dell’operato degli enti (i Pharmacy Benefit Managers) che si occupano del loro acquisto (contrattando i prezzi migliori) a livello centralizzato per gli ospedali ed i loro pazienti.

A questo si sommerebbe un’azione più incisiva, antitrust, per evitare un’eccessiva concentrazione di potere nelle imprese dei singoli settori, che, se non contenuta, si traduce in una maggiore capacità di imporre più facilmente incrementi dei prezzi.

Sul fronte internazionale, il programma democratico punta il dito sulla necessità di proteggere gli Stati Uniti dalla crescente ingerenza cinese, proibendo l’esportazione di tecnologie strategiche, sulla conferma del supporto all’Ucraina e sulla pacifica convivenza, in due Stati indipendenti, di Israele e Palestina.

Dal punto di vista energetico si andrebbe, infine, a rinnovare e potenziare le misure tese ad accelerare l’adozione (a partire dagli enti pubblici) di veicoli elettrici e di fonti rinnovabili.

Per venire a Trump, i suoi cavalli di battaglia saranno, similmente alle passate candidature, la lotta all’immigrazione illegale, i dazi sulle importazioni (elevandoli, applicando il criterio della reciprocità, ai livelli applicati alle esportazioni USA) e il contenimento della Cina (anche attraverso l’imposizione di una tariffa straordinaria del 60% sulle importazioni).

Un altro tema caro a The Donald è quello della deregolamentazione che consentirebbe, tra le altre cose, di ottenere con maggiore facilità l’approvazione della messa in commercio di nuovi farmaci, di effettuare nuove esplorazioni per l’estrazione di gas naturale e petrolio, di portare a termine operazioni di fusione e acquisizione (l’esatto opposto della politica antitrust caldeggiata dalla Harris) e di sviluppare la produzione di elettricità sfruttando una pluralità di fonti diverse quali il carbone, il nucleare e l’idroelettrico.

Con Trump scomparirebbero, poi, gli sgravi fiscali e gli aiuti finanziari a favore dell’adozione dei veicoli elettrici ed ibridi e verrebbe incentivato un drastico aumento della produzione di farmaci sul territorio americano, per contrastare le forti importazioni provenienti da Cina ed India e calmierarne i prezzi.

Sul fronte internazionale, oltre al contrasto, condiviso da Kamala, alla Cina l’ex presidente promette di porre fine al conflitto russo ucraino (propugnando l’accettazione di un accordo che sancisca i nuovi confini, con il Donbass all’interno della Russia) e di appoggiare l’azione di Israele (pur auspicando una fine rapida dell’azione militare in Libano e Palestina).

Proprio l’eco degli eventi in Russia ed in Medio Oriente è destinato a giocare un ruolo importante: la presenza ucraina in Russia (Kiev controlla 1.300 km quadrati nella regione di Kursk) e l’attacco israeliano alle basi di hezbollah in Libano potrebbero contribuire a spostare l’ago della bilancia dell’elettorato.

Sul fronte interno, al contrario, la situazione economica sta fornendo segnali tutto sommato tranquillizzanti.

La frenata dell’inflazione ha reso pressoché certa l’inversione della politica monetaria e le prossime mosse della banca centrale produrranno una riduzione dei tassi d’interesse che gravano sulle famiglie e sulle imprese statunitensi.

L’economia sta certamente rallentando ma, non essendo alle viste nessuna recessione, si tratterebbe dello scenario “riccioli d’oro” (***), il più apprezzato dagli investitori e dagli elettori.

Insomma, la partita rimane quantomai aperta e per sapere se la Casa Bianca si tingerà metaforicamente di rosso-Trump (non è solo il colore della sua cravatta ma anche quello del suo partito) o di blu-Harris dovremo attendere ancora un po’ di tempo: la lunga estate calda continua…

(*)  https://iltorinese.it/2024/07/02/washington-abbiamo-un-problema/

(**) https://iltorinese.it/2024/06/04/domande-complicate-e-semplici-risposte-elezioni-pessimismo-e-inflazione/

(***) https://iltorinese.it/2023/01/18/conigli-orsi-e-riccioli-doro/

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