La piuma di “Forrest Gump” e la scimmia/dessert di “Indiana Jones”, quando il Cinema è arte

Alla Mole, sino al 13 gennaio 2025, “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”

Penso che collezionisti si nasca, è una pulsione che si manifesta prepotente, irrefrenabile, che ti spinge a possedere l’oggetto che ti manca, una continua battaglia tra Eros e Thanatos, una sorta di malattia, per fortuna non mortale.” Luca Cableri è un signore giovanile e alto ed elegante, che da sempre coltiva la passione di raccogliere reperti e oggetti, che ragazzino andava lungo la spiaggia per conchiglie e poi le rivendeva ai turisti, che nell’ultima quindicina d’anni ha viaggiato negli States e che in alcuni di essi, il Wyoming ad esempio, ha ritrovato ossa di dinosauro (specifichiamo: dal cranio di triceratopo allo scheletro completo di un Tyrannosaurus Rex) e che non s’è risparmiato dal portare a casa pietre lunari cadute giù da noi. Che ospita in una sorta di Wunderkammer rinascimentale, in uno splendido palazzo aretino quel Theatrum Mundi che è ora la casa di ogni sua scoperta. Oggi – per un lunghissimo periodo che s’allunga sino al 13 gennaio 2025 – alcune, circa centoventi riguardanti esclusivamente il campo cinematografico, definendole “props” e guardando a quegli oggetti di scena che vengono usati dagli scenografi e dagli arredatori, questi suoi fantasiosi quanto curiosissimi reperti, certo affascinanti per quanti amano il cinema, oggetti che Cableri s’affretta definire “opere d’arte” e che come tali devono essere guardati, sono esposti nella mostra “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”, curata dallo stesso Cableri e dal Direttore del Museo del Cinema Domenico De Gaetano, con i prestiti altresì della casa d’aste londinese Propstore, nella Sala del Tempio alla Mole dell’Antonelli. Sei vetrine a ospitare al pian terreno il costume esiguo e antico dei militi spartani di “300”, l’abito scuro di “Men in Black”, quelli inventati per “Armageddon”, “Robocop”, “Io Robot” e la Cosa dei “Fantastici 4”; e poi un lungo anello che si snoda lungo la scala a immagazzinare sogni per gli occhi – e per i ricordi – per i tanti e prossimi visitatori, magari sogni sempre accarezzati e ai quali mai s’è potuto dare un corpo.

La mostra che ci porta a presentare questi oggetti meravigliosi – dice a inizio di conferenza stampa Enzo Ghigo, Presidente del Museo – può essere considerata il proseguimento ideale di quella che l’ha preceduta, “Il mondo di Tim Burton”, chiusa con un vero e proprio successo. È il panorama affascinante di una parte del cinema americano di questi ultimi decenni, un panorama costruito con titoli che tutti abbiamo visto, ragazzi e con le fidanzate, con le famiglie, con i genitori e con i figli, che animano ricordi e suscitano emozioni, che fanno rivivere tantissimi momenti della vita che fin qui abbiamo trascorso.” Una mostra per cui, come in poche altre, la parola d’ordine è lasciarsi trasportare, una mostra che piacerà ad adulti e ai giovani, ai cinefili incalliti che hanno saggiato quelle immagini ma che non hanno mai potuto godere, a pochi centimetri dai loro occhi, di tanta meraviglia, di questo o di quell’oggetto, ai tanti curiosi che forse per la prima volta vorranno oltrepassare l’ingresso della Mole. Se mai ancora ce ne sono. “Quando, più di un anno fa – dice De Gaetano -, Cableri mi ha chiamato per propormi la mostra, la proposta mi ha lasciato abbastanza scettico, forse non ci ho visto l’effettiva curiosità, non ho avvertito quel grandioso panorama che in questo momento abbiamo davanti agli occhi. Poi ci ho ripensato, credo quasi immediatamente, ricredendomi ed è nata una vivace collaborazione che guardando all’unione degli oggetti del Theatrum Mundi e di alcuni di proprietà del Museo e ai tesori di Propstore ha dato vita a “Movie Icons”. Si aggiunge Cableri: “Sono felice che gli oggetti di questa mia collezione possano approdare alla Mole, uno di quei luoghi che più non avrei potuto sperare: anche perché sono convinto che ogni collezione debba essere messa a disposizione del pubblico intero, perché tutti ne possano godere. In altre parole, fare cultura, dando la possibilità a tutti di apprezzarli e ammirarli.”

Poi si inizia a salire la scala ed è un susseguirsi di preziosità e di ricordi, in un allestimento dove predominano i colori scuri e dove in un alternarsi di manifesti dalla presenza immediata e di più o meno grandi “personaggi” che diventano quasi religiosi simulacri di questo Sancta Sanctorum, si affacciano teche ottimamente illuminate a contenere gli oggetti di una vita cinematografica. il mostro di “Alien vs. Predator”, nella sua altezza, nei suoi artigli e nella completa presa delle fauci, capolavoro dell’artista svizzero H.R. Giger, il costume da extraterrestre inventato per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (il pezzo più antico della collezione: esiste anche quello sempre sfuggito, il costume completo di Darth Vader che dal 1977 riempie “Guerre stellari”), il divertente modello di marziano per stop-motion dovuto alla fantasia di Tim Burton e della sua equipe per “Mars Attaks!” (1996), il macabro orecchio a punta (una protesi auricolare in lattice) del vulcaniano Spock, interpretato per l’intera saga da Leonard Nimoy e una ciocca di pelo di Chewbecca, lo scimmione di “Guerre stellari”.

Puoi finalmente toccare il giubbotto di pelle (marrone) utilizzato da Tom Cruise per “La guerra dei mondi” di Spielberg (nella tasca interna è cucita un’etichetta con la scritta “Tom Cruise, Regular Size”: Ray Ferrier lo indossa per l’intero film, pertanto furono prodotti diversi esemplari che ne attestassero il progressivo deterioramento con l’intensificarsi dell’azione), la testa d’automa di “Hugo Cabret” firmato da Scorsese nel 2011, e fa quasi tenerezza quella piuma bianca che abbiamo visto tante, tante volte all’inizio e alla fine di “Forrest Gump”, accanto al cappellino con il marchio “Bubba Gump Shrimp Co.” e all’immagine del protagonista Hanks con Gary Sinise a reclamizzare il cocktail di gamberi sulla copertina di “Fortune”. E ancora i guantoni di Rocky, la macabra testa di scimmia usata per il dessert di “Indiana Jones e il tempio maledetto” nel palazzo di Pankot, gran finale dopo gli occhi in brodo con questo cervello di scimmia semifreddo servito direttamente dentro il cranio aperto del povero animale, il tricorno posto sulla testa di Johnny Depp nei “Pirati dei Caraibi” e una delle tute di salvataggio di quello strappalacrime che è stato per tutti noi “Titanic”, come – vera opera d’arte vista da vicino, quando già ci aveva entusiasmato al cinema, sofferenza ed emozioni perfette, quasi tre anni di lavoro perché ne uscisse il capolavoro che sarebbe stato, indossato da Doug Jones durante le riprese – la maschera dell’uomo anfibio per “La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro.

Non mancano “I Flintstone” e non manca “Jurassic Park”, non mancano le tavolette di cioccolato della dolce “Fabbrica” narrata da Burton, non mancano i ricordi di Harry Potter, come la sua bacchetta, 28 centimetri che sono l’unione dell’agrifoglio sempreverde e di una piume di fenice che è simbolo di rinascita, come quella di Voldemort nel “Calice di fuoco”. In un incrociarsi di epoche e di stili, di storie e ancora di emozioni, la spada di “Excalibur” e il mitra Thompson tolto dalle immagini che vedevano l’Oscar Sean Connery combattere negli “Intoccabili” l’Al Capone di De Niro e gli altri cattivoni, le fiches e le carte che vedono al tavolo da gioco Bond, James Bond, in Casino Royale, i costumi che tutti abbiamo davanti agli occhi della triade Superman/Matman/Robin per continuare con quello rossoblù di Spider Man. Altro oscarizzabile nel 2004 per i Migliori Effetti Visivi, il tentacolo del dottor Octopus (Alfred Molina) in “Spider-Man 2”, un supplizio di complessivi 45 chilogrammi composto da un corsetto, una cintura di metallo e gomma, una colonna vertebrale in gomma e quattro tentacoli di gommapiuma lunghi circa 2,5 metri. Per tacere del martello di Thor, della mano dell’Incredibile Hulk, dello scudo di Capitan America dai cerchi concentrici di colore rosso e bianco e con al centro una stella bianca su un fondo blu, calcolato il tutto sul mercato per un gruzzoletto che va ben oltre il milione di dollari. Degli artigli di Volverine, del modello di uno dei Gremlins, del modellino dello “Squalo”, della maschera dell’orripilante Hardy Kruger e dell’inquietante modellino, palloncini multicolore in una mano, si Pennywise, alias “It”, che il suo costruttore, Bart J. Mixon, aveva voluto “il più innocuo e amichevole possibile”.

Accanto alle autorità del Museo e al collezionista Luca Cableri, erano presenti in conferenza stampa Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, compagni di vita e di arte, scenografi e molto di più entrambi, sei premi Oscar in due – per “The Aviator” e “Hugo Cabret” di Scorsese e per “Sweeney Todd” di Tim Burton, applauditissimi, la sera avrebbe ricevuto la Stella della Mole e tenuto una Masterclass. Chi stende queste note ha avuto la fortuna di percorrere gran parte del percorso attraverso quelle opere d’arte con la parte femminile della coppia: e tra commenti e sorrisi e ricordi e apprezzamenti, ha visto come un premio Oscar rimanga stupefatta, sempre, in ogni momento, davanti alla magia del cinema. E dei tanti che vi lavorano all’interno.

Elio Rabbione

Nelle fotografie di Stefano Guidi, alcune immagini degli oggetti esposti e dell’allestimento della mostra in questi giorni alla Mole.

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