Alessandro Baricco: “Abel”, come un western metafisico

Ti prende dall’incipit e ti porta rapidamente al fuoco della narrazione. L’ ultimo romanzo di Alessandro Baricco è in qualche modo una novella zen, in salsa western ( Abel, Feltrinelli, i narratori 2023 €.17, pagg. 146). L’ “autobiografia morale” dello scrittore torinese. Un ‘western metafisico’ si dichiara nel sottotitolo. La ricerca del significato dell’ esperienza del dolore e, leggi malattia, è palese nel testo. Delle molte facce che può assumere ai nostri occhi, solitudine, catarsi addirittura epica e intreccio avventuroso. Ma sempre alla ricerca del senso, di un senso che fa appello al lettore come in Calvino. Senso  attribuito, interpretazione. Baricco ci insegna che il romanzo può dire tantissimo, in poche pagine, se vuole ottenere la profondità. Nel tempo filmico il re è Woody Allen, che manda mai oltre i 90′ le sue pellicole. Già il genere western fu rivisitato da Baricco, con il magnifico “Smith & Wesson” un testo prevalentemente dialogico. Quest’ultimo chiaramente intimista, freudiano, a suo modo buddista. Il romanzo descrive un West crepuscolare e post moderno. Perché il western è il più moderno dei generi. Classico perché ci parla di un passato lontano e in qualche modo epico, moderno perché raccontato in un presente assoluto. Tanto da essere stato esautorato, dal cinema americano stesso. Scomparso. Troppo storico, troppo ‘lo ieri americano’. E’riemerso in Tarantino, fuori dai suoi stilemi.

“Prendete un fatto “isolatelo” tutto ciò che rimane della realtà è narrazione”, ha detto recentemente lo scrittore torinese intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. Così è Abel. Un testo che ha preso all’autore anni, nella stesura. Ricca la ricerca bibliografica, cui ha attinto. Testimoniata dalle note in calce. Scrivere il western basato in prevalenza sull’immaginario visivo, è un pó “narrare un quadro” come l’autore ha anche fatto alcuni fa in un suo saggio-racconto ( Mr. Gwin, Feltrinelli,  2011). Ma è anche sempre il West del bonelliano Tex e dei suoi pards, di Lilith.

Il West di Wim Wenders in “Paris Texas” dei grandi spazi, delle cavalcate, dei silenzi, dei canyons, dei saloon, del fango, del sudore, del destino, delle chitarre di Ry Cooder, della sensualità di Nastassja Kinsky. Allora il West commuove. Ci vedi dentro Torino e i ricordi di quando eri bambino e poi giovane adulto, che aspettavi all’edicola l’uscita dell’ultimo albo di Tex, allora disegnato da Aurelio Galeppini (Galep). Che concludeva la storia, iniziata nel numero precedente, come in un fuilleton. Lo si aspettava come la partita del Toro la domenica, perché il Western è granata, è sempre “tutto una storia in salita”. Sanguigno, popolare, passionale. Marlon Brando riaprì il genere ‘scomparso’ dalle sale nei settanta con “Missouri”, poi il West sociale del “Piccolo grande uomo”. Oggi Alessandro Baricco, dal calamo. Formidabile.

Aldo Colonna

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