IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Qualche anno fa lo incontrai in un ufficio e con mio sommo stupore sentii che l’impiegata lo chiamò “signor Donat Cattin” all’italiana. Non mi trattenni e dissi a quella signorina quarantenne che non conosceva per nulla la storia italiana e piemontese recente. Ma l’impiegata non capi’ ed evitai di infierire. Eppure quel dottor Donat Cattin rappresentava un qualcosa di importante per il giornalismo anche televiso che neppure La Stampa ha voluto riconoscere oggi al figlio del ministro Donat Cattin. In quell’occasione facemmo un pezzo di strada a piedi e parlammo delle disastrose condizioni del Polo del ‘900 in preda alla sinistra più settaria. Lui aveva preso la guida della Fondazione intitolata a suo Padre e voleva salvaguardarne l’identita’. Era stato con Michele Torre il giornalista che fece rivivere la “Gazzetta del Popolo” dopo la “follia demagogica”dell’autogestione. In Tv aveva collaborato per anni con Bruno Vespa, malgrado il cognome ingombrante che solo l’impiegata non conosceva. E’ stato un uomo libero, aperto, leale. Sono pentito di non averlo frequentato abbastanza. L’avevo conosciuto in via Stampatori dove aveva originariamente la sede “Forze nuove“, la corrente di suo padre, uno dei pochi leader Dc capaci di essere se stessi anche sotto i colpi della mala sorte. Claudio ha rappresentato anche un esempio di indipendenza personale che non va sottaciuta. Con lui muore una pagina importante della vita culturale e giornalistica. Era bello rivederci a Finale vicino al palazzo della famiglia materna per la presentazione di un libro, un’iniziativa che la politica è riuscita anche qui a snaturare e lottizzare.