Europei sì, ma l’Europa non esiste…

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” è una notissima frase, attribuita (erroneamente), a Massimo D’Azeglio, che indica come, una volta creata l’unità del Paese, bisognava amalgamare i diversi popoli che erano stati uniti dopo la spedizione dei Mille.

Oggi, parafrasando quella frase, dovremmo diree: “Fatti gli europei, bisogna fare l’Europa!”

 

 

 

 

Il grande sogno di creare, nel Vecchio continente, un’unica entità politica in grado di dare stabilità e pace a decine di Paesi che,storicamente, avevano purtroppo lottato per secoli l’una contro l’altro, ha compiuto un lungo percorso e, grazie ad un pugno di politici illuminati, è stato assimilato dai cittadini europei.

Oggi la stragrande maggioranza degli italiani, dei francesi, dei tedeschi tende a considerarsi europeo; certo, rimangono differenzeculturali, linguistiche, comportamentali ma non molto dissimili rispetto a quelle esistenti fra un piemontese e un pugliese, tra un friulano e un toscano e così via.

A parte frange di nostalgici “sovranisti” i popoli si sono avvicinati e, soprattutto fra i più giovani, non si fa differenza nei confronti della lingua, dell’aspetto, delll’abbigliamento, e ci si mescola allegramente. Non è strano chiudere l’anno scolastico prendendo un Interrail per girare liberamente l’Europa, conoscere altri giovani, stringere amicizie.

Insomma, gli europei ci sono.

Ma l’Europa?

L’Europa non c’è, è un flatus voci, come direbbe il filosofo Roscellino di Compiègne (morto intorno al 1120), massimo rappresentante del nominalismo medievale, secondo il quale i concetti universali non hanno alcuna realtà oggettiva e sono soltanto semplici nomi (cioè, appunto, dei flatus vocis).

Purtroppo, l’Europa non c’è, ci sono pallide parvenze di un’istituzione unica, fantasmi impalpabili di un’unità statuale che, dopo trent’anni, è ancora di là da venire.

Ricordiamo che l’Unione Europea viene da lontano: il primo embrione fu rappresentato dal “Piano per una nuova cooperazione politica in Europa” pubblicato dal primo ministro francese Robert Schuman il 9 maggio 1950 (da allora il 9 maggio è ufficialmente la “Giornata dell’Europa”).

Il 18 aprile 1951 fu costituita la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), da Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo e, sull’onda del successo di questa iniziativa, nacque nel 1957 la “Comunità economica europea” (CEE) ampliando a molti settori la cooperazione economica.

Un passo importante fu la successiva Unione doganale (luglio 1968), con la quale i sei Paesi della CEE eliminarono i dazi doganali sui beni importati da ognuno di essi, rendendo liberi per la prima volta gli scambi transfrontalieri. Inoltre applicarono gli stessi dazi sulle loro importazioni dai Paesi esterni.

Nel 1974 un primo segnale di unità: la costituzione del Fondo europeo di sviluppo regionale per ridurre le disparità economiche tra le diverse aree dell’Unione e, nel 1979, le prime elezioni europee.

Nel 1987 un importante provvedimento: il lancio del programma Erasmus, che consente a tutti gli studenti europei di seguire corsi di studio in qualunque altro paese dell’Unione, con finanziamentipersonali offerti dall’UE.

Il 7 febbraio 1992 è una data storica, con la firma del Trattato di Maastricht, che fissa regole sui bilanci statali e apre la strada alla moneta unica, l’euro (creato nel gennaio 1999 e circolante, sotto forma di moneta legale, dal gennaio 2002).

E qui, praticamente, finisce la costruzione dell’Europa…

Sembra quasi che i politici che lavorano a Bruxelles abbiano deciso che, avendo creato una moneta unica che circola in tutti i Paesi, il loro compito si sia esaurito.

Invece no, se veramente il sogno dell’Europa deve realizzarsi, si tratta solo di un primo (e neppure primario) passo, cui tanti altri debbono seguire!

Certo, è bello sentirsi europei cenando con gli amici a Saint Tropez o a Knokke le zout con gli stessi euro utilizzati per cenare a Portovenere o a Sirmione; ma poi?

Durante la cena, parlando della propria vita, si scopre che Ragnar di Stoccolma, andrà in pensione a 62 anni, così come Charles di Lyon oppure Jerome di La Valletta, mentre Alvaro di Barcellonadovrà attendere i 65 anni come Kurt di Frankfurt e Philippe di Anversa, e noi addirittura aspetteremo fino a 67 anni!

Poi iniziamo a lamentarci delle tasse, e anche lì scopriamo una jungla: Charles in Francia è soggetto ad una delle 5 aliquote previste dall’Impȏt sur le revenu (e gode delle riduzioni previste per i nuclei familiari avendo moglie e figli), Kurt è soggetto ad una delle quattro aliquote previste dall’Einkommensteuer, Alvaro paga imposte sia allo Stato sia alle Comunità Autonome su cinquescaglioni di reddito.

Dulcis in fundo scopriamo che anche le imprese commerciali pagano imposte totalmente difformi da un Paese all’altro: chi ha sede in Ungheria paga il 9%, chi opera in Irlanda il 13%, Italia, Francia e Germania hanno aliquote rispettivamente del 24, 34 e 30 per cento. E così ci rendiamo conto del perché la Stellantis (quella che era la nostra cara FIAT, ormai un “ferrovecchio dell’economia” …) ha trasferito la propria sede ad Amsterdam: paga metà delle tasse che pagherebbe a Torino!

Insomma, Paese che vai, normative (diverse) che trovi; e cominciamo ad avere dubbi sull’esistenza dell’Europa unita.

Dubbi che aumentano quando scopriamo che, di fronte a queste macroscopiche differenze, esiste una miriade di leggi, regolamenti, direttive che uniformano piccoli settori disciplinando con precisione millimetrica comportamenti in tutti i Paesi europei!

Esiste una direttiva stringente che regola l’etichettatura della carne suina, una che prescrive con decine di articoli e commi le informazioni sulle proprietà nutritive negli alimenti preimballati, ed una corposa serie di norme regolamenta la transumanza di animali biologici su terreni non biologici…

Per fortuna è stata abolita, ma fino al 2008 un’ordinanza varata nel 1988 si prendeva la briga di stabilire dimensioni e caratteristiche di base dei cetrioli, andando a sindacare perfino sulla curvatura. L’ordinanza numero 1677 della Commissione Europea stabiliva infatti che un cetriolo, per essere commercializzato, doveva avere una curvatura massima di 10 millimetri su una lunghezza di 10 centimetri. Agricoltori, commercianti e consumatori, tutto con righello e goniometro in mano

Ma gli eurocrati di Bruxelles non hanno abolito tutta quella direttiva, perché per dieci prodotti agricoli certe imposizioni tipiche di un libro umoristico sono rimaste: nel regolamento 543 del 2011 si legge che Le mele devono avere 3/4 della superficie totale di colorazione rossa per le mele del gruppo di colorazione A, 1/2 per le B e 1/3 per le C. Quanto alle dimensioni, minimo servono 60 mm di diametro o 90 di peso.

E, quel che è peggio, si disciplina perfino la “variabilità”.

La natura concepita come una produzione in serie di prodotti tutti uguali. “Per garantire un calibro omogeneo in ciascun imballaggio, la differenza di calibro tra i frutti di uno stesso imballaggio non deve superare i 5 mm per le mele di qualità extra.Si precisa, a scanso di equivoci, che “Il calibro è determinato dal diametro massimo della sezione equatoriale all’asse del frutto, in funzione del peso; fare il contadino in Europa è diventata un’impresa eroica…

 

 

Torniamo a discorsi seri e cerchiamo di impegnarci tutti per far capire ai politici che l’Europa non può ridursi a far circolare l’euro ed a misurare il calibro delle mele: deve avere un’unica legislazione su tutti i temi che caratterizzano la vita sociale di una collettività: pensioni, tassazione delle persone e delle imprese, istruzione obbligatoria, trasporti, protezione dell’ambiente, sistema bancario, politiche familiari, diritti civili eccetera.

Siamo tutti convinti europei! Ma vorremmo che l’Europa si facesse viva….

Gianluigi De Marchi 
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