Scuola vs famiglia

 

Quando leggiamo sui media che un’insegnante è stata insultata dai genitori di un suo allievo, il pensiero corre subito agli insegnamenti che questi avrebbe dovuto ricevere dalla famiglia e, parallelamente, dalla scuola.

Il mondo della scuola, negli ultimi 30-40 anni (cioè per le ultime due generazioni) è cambiato in modo totale, non soltanto per quanto concerne i programmi didattici ma anche, e soprattutto, per le modalità di approccio, da parte dei discenti, verso l’istituzione scuola, il corpo docente, le finalità didattiche proprie della scuola.
Complice una politica che non ha saputo gestire le innovazioni inevitabili che il tempo porta con sé (nuovi media, cambio di linguaggio, mode, ecc) la scuola ha perso, agli occhi dei discenti e delle loro famiglie, quel ruolo autorevole che dovrebbe avere quale trampolino di lancio verso la cultura, il mondo del lavoro e la società civile anziché, come lo si considera troppo spesso, un deposito dei figli quando si è al lavoro, una seccatura e un luogo dove, obtorto collo, si assolve l’obbligo scolastico.
Genitori ai quali andrebbe richiesta una licenza per poter generare altri essere umani che scaricano sui docenti le proprie frustrazioni e le proprie incapacità non soltanto sono un pessimo esempio per i propri figli, ma dimostrano come la società si stia involvendo pretendendo di insegnare ad altri e di controllare il loro operato quando non si hanno né gli strumenti culturali né le capacità per farlo.
Ed è proprio da qui che nasce il problema: i genitori attribuiscono alla scuola la colpa di molti disagi dei propri figli, dell’abbandono scolastico e della maleducazione in generale.
Viaggiando vi sarà sicuramente capitato di soggiornare presso strutture internazionali; a tavola come altrove gli unici bambini (ed adolescenti) indisciplinati sono gli italiani: vorrà dire qualcosa?
Se in parte è riconducibile ai docenti il compito di far apprezzare la scuola e le materia d’insegnamento, seducendoli (dal latino secum ducere, condurre a sé) è altrettanto vero che sta ai genitori insegnare ai figli il rispetto verso gli altri, verso l’autorità in primo luogo (un insegnante è sempre un pubblico ufficiale, anche terminato l’orario di lezione) non soltanto scolastico ma anche a quella delle FF.OO.
D’altra parte, i bambini iniziano il percorso scolastico all’età di 6 anni e fino ad allora è compito dei genitori impartire ogni lezione di vita; successivamente, trascorrono a scuola al massimo un terzo del loro tempo (8 ore su 24) e nelle rimanenti 16 ore vanno conteggiate anche quelle dedicate al sonno: se mentre dorme viene svegliato dai litigi dei genitori sicuramente crescerà con un concetto della vita e della società non propriamente positivo.
Ritengo perciò necessario dividere nettamente i compiti tra famiglia e istituzione scolastica, dove la prima deve impartire alcuni concetti fondamentali ai figli (educazione, onestà, affidabilità, rispetto verso i più deboli, uguaglianza senza distinzioni di sesso, razza, fede religiosa) mentre la seconda insegnerà materie stabilite dal Ministero (Ministero che periodicamente dovrebbe verificare l’idoneità delle materie con le esigenze della società) per le quali i genitori possono non essere qualificati.
La nostra scuola, purtroppo, ha da sempre omesso alcune materie fondamentali per lo sviluppo di un individuo e ne ha eliminate altre in tempi recenti: educazione sessuale, educazioni civica, codice della strada sono solo un esempio.
Come possiamo pensare che un individuo cresca nel rispetto dell’altro genere, di chi professa una fede diversa o di chi parla un idioma diverso dal nostro se a casa per primi sentiamo denigrare il diverso, l’extracomunitario (ricordate che anche i cittadini svizzeri, della Repubblica di San Marino e dello Stato Città del Vaticano sono extracomunitari) o se fin dalle elementari un disabile viene bullizzato senza che gli insegnanti intervengano?
Ritengo, perciò, che tanto i genitori (e di riflesso anche nonni e zii) quanto la scuola debbano contribuire, ognuno per la propria parte di competenza, affinché un individuo cresca nel rispetto di sé e degli altri, inserito nella società in cui vive e cresce e che, fin dalla più tenera età, gli venga inculcato il desiderio di evolversi, di riscattarsi da una situazione disagiata di partenza, di affermarsi del mondo perché a nessuno deve essere preclusa tale opportunità.
Usare i media e i dispositivi elettronici come moderne babysitter, anziché dialogare e confrontarsi con i figli è sicuramente dannoso per il loro sviluppo, e migliaia di esempi ovunque intorno a noi lo confermano.
Ma è anche compito della politica, cioè coloro ai quali è affidata la promulgazione delle leggi, rimuovere gli ostacoli alla realizzazione di quanto sopra, consentire la realizzazione di tali diritti e, soprattutto, sanzionare ogni tentativo di agire in senso diverso, dall’incapacità degli insegnanti alla carente idoneità genitoriale, dal bullismo all’abbandono scolastico.

Sergio Motta

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