Un vecchio adagio popolare recita “che chi si assomiglia si piglia”. Nel caso specifico si parlava di matrimonio e di famiglia. Un adagio, detto fra di noi, che affonda le sue radici nella saggezza popolare e che poco si discosta, di conseguenza, dalla realtà. Ho voluto citare questo antico detto dopo aver appreso che la segreteria nazionale del Pd, attraverso la sua Direzione, continua ad individuare nel partito di Grillo e di Conte l’alleato politico più affidabile e solido per dare una prospettiva democratica e riformista all’intero paese anche in vista delle ormai prossime elezioni politiche.
Ora, tutti sanno – ma proprio tutti – che il partito di Grillo e di Conte è il partito populista per eccellenza nella cittadella politica italiana. Un partito che, attraverso la predicazione del suo fondatore, ha dato un profilo politico e culturale – culturale si fa per dire – netto ed inequivocabile. Un mix di populismo, di demagogia, di anti politica, di giustizialismo manettaro, di anti istituzionalismo e di nuovismo che ha contribuito a consolidare una immagine del partito alquanto chiara. Il tutto condito, come noto, da un linguaggio triviale, violento ed aggressivo nei confronti di tutti quelli che non condividono quei dogmi e quelle parole d’ordine. Questo è stato il partito dei 5 stelle sino all’avvento di Conte dopo l’indiscussa leadership del suo guru/fondatore. Una leadership a tutt’oggi misteriosa e caratterizzata prevalentemente dal trasformismo politico e dall’opportunismo parlamentare. E, come sempre, senza una precisa cultura politica, senza un chiaro riferimento ideale e con un programma alquanto ballerino ed altalenante. Ma, al di là della cosiddetta identità del partito, quello su cui vale la pena richiamare l’attenzione è che la comunità dei 5 stelle è sempre quella. A livello nazionale come a livello locale. Certo, molti sono fuggiti – per cercare un potenziale riparo e una conseguente candidatura da un’altra parte, come ovvio – e lo stesso consenso si è più che dimezzato rispetto alle elezioni del 2018. E, quasi certamente, si ridimensionerà ancora seccamente in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Ecco perchè il cemento unificante, in mancanza d’altro, continua ad essere e a restare il populismo. Forse in una versione meno triviale e meno violenta del passato ma identico nella sua sostanza politica.
Ed è proprio all’interno di questa dimensione che si inserisce il capitolo delle alleanze in vista delle prossime elezioni. E diventa francamente misterioso comprendere le ragioni politiche, culturali, programmatiche e anche storiche per le quali un partito di potere e governista come il Pd punta in modo deliberato e quasi fideistico ad allearsi con il partito populista per eccellenza. Un mistero che, però, rischia di trasformare quella alleanza in una coalizione semplicemente populista. E di fronte ad un quadro del genere, è giocoforza chiedersi come si devono comportare le forze democratiche, riformiste e di chiara connotazione centrista – di radice cattolico popolare e sociale o di altro riferimento culturale poco importa – per la costruzione di una coalizione che escluda qualsiasi deriva populista, demagogica, giustizialista e manettara. Ma anche qui, e quasi sicuramente, “chi si assomiglia si piglia” e, di conseguenza, diventa quantomai difficile dar vita ad una coalizione che coinvolga forze politiche autenticamente riformiste, democratiche e distinte e distanti dal populismo grillino e dal trasformismo di Conte. Forse è giunto il momento, al di là del futuro sistema elettorale – che quasi sicuramente resterà quello attuale – per chiarire definitivamente il profilo, l’identità e la natura dei singoli partiti. E se l’alleanza con un partito populista diventa un elemento irrinunciabile e discriminante per il Pd e altre forze di sinistra, il compito dei partiti “centristi” e anti populisti non potrà che guardare altrove. Dove lo decideranno solo le condizioni politiche specifiche di quel particolare momento storico.
Giorgio Merlo
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