Verde pallido

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina

 

Tra il 1940 ed il 1970 la quota mondiale di energia prodotta da idrocarburi è passata dal 26% al 70%, in larga misura in sostituzione del carbone. 

 

I “petro-stati”, Paesi, quasi mai democratici, concentrati per lo più nell’area mediorientale, resi ricchissimi dalle loro risorse energetiche, erano nati.

 

Stati fino ad allora poverissimi accumulavano in pochi anni immense ricchezze (in larga parte a vantaggio di pochi fortunati).

 

Per avere un’idea di quanto è accaduto negli anni successivi, basti pensare che tra il 1970 ed il 1980 il PIL pro-capite in Quatar ed Arabia Saudita è cresciuto rispettivamente di 12 e 18 volte.

 

Potremmo essere ora alla vigilia di qualcosa di molto simile: la transizione energetica che ci porterà ad uscire dall’era degli idrocarburi incanalerà enormi investimenti verso i produttori delle materie prime rese necessarie dal passaggio alle energie rinnovabili.

 

Secondo uno studio pubblicato dall’autorevole settimanale “The Economist”, a beneficiarne sarà ancora una volta un limitato numero di Paesi che soppianteranno così i “petro-stati” e che potremmo chiamare le nuove “superpotenze verdi”.

 

Non si tratterà, infatti, semplicemente di una transizione energetica bensì di un cambiamento che coinvolgerà l’utilizzo di un ampio spettro di materie prime innescandone un potentissimo ciclo di crescita.

 

Ad onor del vero le materie prime non sono nuove a movimenti prolungati e bruschi (i “cicli”).

 

Nella prima parte del nostro secolo la frenetica industrializzazione, accompagnata da una urbanizzazione di dimensioni bibliche, della Cina ha trasformato il gigante asiatico nel principale consumatore di molte risorse minerarie ed ha scatenato una corsa al loro accaparramento che ha consentito a Brasile e Russia (due dei principali produttori) di accrescere il loro PIL del 75% tra il 2000 ed il 2014.

 

Il rallentamento cinese, frutto della nuova linea inaugurata con l’ascesa al potere dell’attuale presidente, Xi Jin Ping, ha bruscamente interrotto il ciclo delle materie prime e con queste a soffrire sono stati i loro produttori.

 

Questa volta il mega-ciclo (che condurrà alla decarbonizzazione) non dipenderà dalla decisione di un, seppur gigantesco, singolo Paese ma da scelte condivise a livello mondiale e richiederà parecchi decenni.

 

Un’altra differenza è costituita dai materiali che verranno utilizzati.

 

I protagonisti non saranno più il carbone, il ferro e l’acciaio che hanno contribuito a costruire fabbriche e palazzi in Cina.

 

La rivoluzione verde si nutrirà anche di una serie di metalli non ferrosi relativamente poco diffusi (e con produzioni limitate) e di nicchia e questo finirà per renderle molto preziose (pessima notizia per noi che dovremo acquistarle).

 

Quali saranno le nuove superpotenze “verdi”?

 

Alcuni Paesi democratici come l’Australia ed il Cile (che detiene il 42% delle riserve mondiali di litio ed il 25% di quelle di rame) figurano nella lista ma la maggiore quota sarà composta da regimi autoritari, dal Congo (che produce il 70% del cobalto) alla Cina (alluminio, zinco, terre rare) e, naturalmente, la Russia.

 

Tra i Paesi OPEC, produttori degli “odiati” idrocarburi, potrebbero non soffrire troppo quelli a basso costo di produzione (Iran, Iraq, Arabia Saudita e Russia) che riusciranno a compensare la discesa dei consumi con l’aumento della loro quota sulla produzione complessiva, che passerà dall’attuale 45% al 57% nel 2040.

 

A soffrire di più saranno quei territori dove l’estrazione del petrolio è più difficoltosa e costosa: in Africa (Algeria, Egitto, Sudan, Angola e Nigeria) ed in Europa (Regno Unito e Norvegia).

 

Non c’è dubbio che il verde si tramuterà in fruscianti verdoni per molti Paesi ma la storia ci insegna che questa enorme fortuna può diventare velocemente una terribile maledizione.

 

L’abbondanza di risorse naturali si è spesso trasformata, infatti, in una perniciosa dipendenza: dopo avere (male) utilizzato le enormi ricchezze molti Stati (dal Brasile alla Nigeria) hanno iniziato a vivere al di sopra dei loro mezzi e non appena il ciclo ha cambiato direzione (con una discesa dei prezzi) si sono ritrovati in preda di violente crisi economiche, finanziarie, politiche e sociali che ne hanno, qualche volta irrimediabilmente, minato la stabilità.

 

La International Energy Agency (IEA), un ente indipendente, prevede che nel mondo, per diventare a “zero-emissioni”, l’eolico ed il fotovoltaico genereranno il 70% dell’energia entro il 2050 contro l’attuale 10% circa.

 

La domanda di metalli come cobalto, rame e nickel, ingredienti indispensabili per foraggiare le tecnologie utilizzate, salirà di ben sette volte entro il 2030.

 

Potrebbe essere un boom (con una conseguente salita dei costi che dovremo sostenere) senza precedenti che dovremo gestire con saggezza per evitare che, alla fine, la rivoluzione verde sia molto, molto più pallida di quella che sognavamo.

 

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