L’acceso colorismo di Georgij Moroz, tra nevi e girasoli

Nelle sale della Galleria Pirra

Di Georgij Moroz, uno dei maggiori rappresentanti del postimpressionismo russo, la torinese Galleria Pirra (corso Vittorio Emanuele II 82) presenta nelle sue sale una serie di oli di medie e grandi dimensioni, poetiche nevi e coloratissimi fiori, ad esaltazione della natura che circondava l’artista, angoli presi dal giardino di casa o distese bianche poco lontane, nell’immagine esatta di quei fiocchi appena caduti o del disgelo, di inverni freddissimi che non accennano a finire o di un cielo azzurro che timidamente, a poco a poco, tenta di imporsi all’orizzonte.

Moroz nasce in Ucraina, a Dneprodzerzinsk, nel 1937, passa attraverso gli insegnamenti della scuola d’arte della città d’origine e quelli della scuola di belle arte di Kiev, per portare a termine il ciclo di studi dell’Accademia di San Pietroburgo (dove morirà nel 2015) all’inizio degli anni Sessanta. L’attività espositiva inizia un decennio più tardi e s’intensifica a partire dal 1980 con numerose mostre anche all’estero (passò anche a Torino, in queste stesse sale instaurò non solo un rapporto tra gallerista e artista ma una vera occasione d’amicizia), con varie personali di spiccato successo. Nel 2002 espone alla mostra per i 70 anni dell’Unione dei Pittori di San Pietroburgo e l’anno successivo è presente alla rassegna per celebrare i trecento anni della fondazione della città. Lontano dai soggetti “alti”, dagli schemi celebrativi di regime che al contrario occupano le opere di altri artisti suoi contemporanei, Moroz si affida alla natura che lo circonda, ne cattura tutta la poesia, continua, quotidiana, attraverso un colorismo estremamente squillante, acceso e reso ancor più “presente”, tangibile, dalle pennellate che depone – ti verrebbe da dire, per alcuni casi, quasi con ostinazione e rabbia – sulla tela. Sono grumi biancastri o gialli o violacei, prepotenti, aree massicce, stesi a volte direttamente dal tubetto, a riempire la tela. Si imbatte felicemente e rende con una verità davvero concreta, immerso in un favolistico en plein air, i pini ancora circondati dalla coltre bianca (“La gazza ladra” del 2007 e la staccionata e il covone ricoperti di “Appena nevicato” del 2004) e le apparizioni di piccoli laghi ghiacciati, come ricostruisce le tante suggestioni personali che gli suggeriscono una panca di legno più o meno nascosta tra gli alti girasoli, a ridosso di una finestra della casa (“Pioggia con il sole”, 2003), o le vaste distese di glicini (“Viola vellutato”, 2005), forse i suoi fiori preferiti che dipinge con più gioia, o i piccoli vasi di fiori poggiati su un tavolo, all’aperto, sotto la luce di un sole che preannuncia la primavera.

O ancora quel panorama che suddivide cielo e terra, questa percorsa da un torrente intensamente azzurro, con le mucche al pascolo e le basse erbe battute dal vento, quello percorso da nuvole cariche e copiose, nell’immagine affettuosa che Moroz offre della sua terra. Soggetti immediati e semplici, la realtà di ogni giorno, ripetuti in piccole varianti più e più volte ma sempre capaci di raccontare una storia propria.

Sempre, in ogni soggetto, nasce una sorprendente luminosità, dentro una natura dolce e prepotente al tempo stesso, un omaggio a quanto circonda l’autore: soltanto un paio sono in mostra gli esempi di personaggi ad occupare la tela, il bimbo intento a leggere all’interno della casa (“Lettura”, 2001) e “La ragazza col cappellino rosso” (2001), dai tratti nervosi ma felice rappresentazione di un momento di tranquillità. La mostra rimarrà aperta sino al 27 marzo. Da vedere.

Elio Rabbione

Nelle immagini:

Georgij Moroz, “Pioggia con il sole” (2003); “La gazza ladra” (2007); “Vicino al fiume” (1998)

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