Soldati di Terra e di Mare. L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata.
Seguendo l’esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo. Soldati a voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri“.
Così , con un discorso gonfio di retorica, parlò il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III , dal Gran Quartier Generale, il 24 maggio 1915.
Erano passati dieci mesi dall’agosto del 1914 che aveva segnato l’inizio del conflitto. Il ”maggio radioso”, come viene spesso chiamato il periodo che prelude all’entrata in guerra dell’Italia, fu un mese di fermento diplomatico e di forte tensione politica. Il fervore interventista si concretizzò in manifestazioni di tutte le piazze della penisola e D’Annunzio arringava la folla e la incitava contro Giolitti, fautore della linea della neutralità. L’Italia era ormai prossima a rompere l’antico patto con Austria e Germania e a entrare in guerra a fianco dell’Intesa, secondo i piani segreti firmati a Londra il 26 aprile del 1915. I primi fanti marceranno contro l’Austria proprio quel giorno, oltrepassando il confine. Era un lunedì di più di cent’anni fa, il 24 maggio 1915. Iniziava così, anche per l’Italia, la Prima Guerra mondiale.
L’Italia, incurante del patto sottoscritto fin dal 1882 (Triplice Alleanza) con l’Austria-Ungheria e la Germania, decise di entrare in guerra cambiando alleanza e schierandosi con la Triplice Intesa, formata da Francia, Inghilterra e Russia. La Triplice Alleanza era un trattato di carattere puramente difensivo, che prevedeva il reciproco aiuto in caso di invasione esterna. Questa clausola permise all’Italia, visto che l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia senza avvisarla, di rimanere neutrale allo scoppio del conflitto. Dopo essersi dichiarata tale, l’Italia decise, dunque, di schierarsi a fianco dell’Intesa contro gli Imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e Impero Ottomano). La vittoria, secondo l’accordo, avrebbe garantito all’Italia il Trentino e il Sud Tirolo, con il confine al Brennero; Trieste e l’Istria fino al Quarnaro – ma senza Fiume; la Dalmazia, una sorta di protettorato sull’Albania e compensi indefiniti in caso di disgregazione dell’Impero Ottomano e di guadagni coloniali da parte inglese e francese. Il comando supremo delle operazioni venne affidato al generale Luigi Cadorna.
Tre erano le zone del teatro di guerra italiano: Trentino, Cadore e Carnia, la valle dell’Isonzo. Un compito molto difficile dal momento che il confine italiano era lungo oltre 600 chilometri ed era molto vulnerabile. Il confine col Trentino era decisamente montuoso, favorevole alle posizioni austriache, lì ben fortificate, come pure in Cadore e in Carnia, dove il fronte correva lungo la displuviale delle Alpi. Diversa era la situazione sull’Isonzo: da Tolmino al mare Adriatico, le Alpi presentavano una serie di bassi altopiani, che favorivano la difesa, ma consentivano anche di attaccare in forze, aprendo la via ad obiettivi strategici di grandissimo interesse: Trieste, la pianura di Lubiana e, infine, Vienna. Delle 35 divisioni a disposizione, Cadorna decise di destinarne 6 alla I armata che si trova intorno al Trentino, 5 alla IV armata in Cadore, 2 al corpo d’armata della Carnia e 15 alle armate II e III , destinate a sferrare l’attacco decisivo da Tolmino al mare (a cui se ne aggiunsero altre 7). Il grosso delle forze era dunque concentrato sul fronte dell’Isonzo, che diventò presto un simbolo della difficile guerra di logoramento italiana. E che, successivamente venne impresso nel fuoco con un nome tragicamente noto: Caporetto!
Marco Travaglini
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