La poesia / di Alessia Savoini
E’ quanto resta di un grido scorticato questa mia nuova solitudine:
la terra ha contratto la sua ferita nella cicatrice di un volto nomade.
Ho disertato il cielo
per strappare alle sabbie l’esodo di un germoglio,
estirpato dall’arsura delle dune
la preghiera insonne del seme.
I venti dell’ovest atrofizzano nella pietra
il moto delle mie alluvioni
per non sottrarre alla sete
la promessa delle labbra.
Depongo il cimelio della pioggia
nel costato di un piccolo Anubi
sottraggo al piacere il suo innesto
per scovare nel dolore un principio
e sentire il tempo consumare il relitto del tempo
e il sussulto di piccoli oracoli svuotare
l’ossario di piccoli astri
incastonati nella vertebra di una genesi antichissima.
Contrapporre la veglia al sonno
fu il conguaglio dell’eterno.
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