Non sappiamo ancora quale sarà l’esito delle primarie del prossimo 3 marzo. Ma un dato politico e’già acquisito, a prescindere dal voto nei gazebo.
E cioè, il Pd si avvia a diventare inesorabilmente il nuovo Pds. Come ovvio, in forma 2.0, come si suol dire, ma la sostanza resta quella al di là delle chiacchiere di Zingaretti e compagni sulla natura inclusiva, aperta e democratica del partito. Parole al vento – che ovviamente devono essere pronunciate per un rito protocollare e burocratico – che non nascondono la vera, unica ed esclusiva “mission” del futuro Pds: ovvero, un partito che deve riscoprire il pensiero, la cultura e la tradizione della sinistra italiana. Cioè, appunto, un Pds adeguato alla stagione che stiamo vivendo. E sin qui e’ tutto chiaro anche se, con ipocrisia e varie furbizie, si continua a sostenere il contrario per ragioni di consenso e di tattica politica edelettorale.
Ora, se il Pd diventera’ nell’arco di pochissimo tempo il nuovo Pds, sul fronte dell’ex centro destra il
partito di Forza Italia è destinato, altrettanto rapidamente, a diventare un semplice gregario della
corazzata leghista. Un partito che, anche se comprensibilmente lo negherà sino alla fine, si
trasformerà oggettivamente in un luogo politico residuale e marginale, utile per ottenere qualche
seggio alla memoria e nulla più. È noto a tutti, infatti, che per motivi politici, progettuali ed
anagrafici, il destino di Forza Italia e’ segnato. Sia per la sua struttura politica ed organizzativa
concreta e sia per il suo profilo culturale.
Se, dunque, il Pd cambia la sua ragione sociale e Forza Italia diventa un banale gregario del
futuro polo sovranista e di centro destra, e’ sempre più urgente avanzare la proposta di un
soggetto di centro. Riformista, democratico, plurale e di governo. Una formazione politica che
quasi si impone e che non può essere confusa con le preannunciate ammucchiate di Calenda o
con i vari “fronti repubblicani” di cui si blatera in questi ultimi mesi.
No, serve un centro – che poi, com’è altrettanto ovvio, coltiverà sino in fondo la “cultura delle
alleanze” respingendo la ridicola e stramba vocazione maggioritaria di veltroniana e renziana
memoria – che sappia rideclinare concretamente una cultura e una politica di centro. Un progetto e
una sfida politica che si sostanzia in alcuni punti fermi: e cioè, cultura di governo; autorevolezza
della classe dirigente; rifiuto della radicalizzazione dello scontro politico; riconoscimento e
valorizzazione del pluralismo politico, sociale e culturale; rispetto delle istituzioni; radicamento
sociale e territoriale e, in ultimo, capacità di comporre gli interessi in un progetto politico di governo
senza derive autoritarie e antidemocratiche.
È persin ovvio che un progetto politico del genere richiede la presenza politica e culturale dei
cattolici democratici e popolari. Non un partito confessionale o, peggio ancora, clericale o
identitario. No, la politica di centro e la cultura di centro non possono e non debbono essere
appannaggio esclusivo di una sola tradizione culturale. L’esperienza della Dc e’ ormai alle nostre
spalle e non è più riproponibile. Ma, al di là della formula organizzativa, quello che conta e che
oggi serve e’ la riproposizione di una “politica di centro” che sappia affrontare e risolvere in chiave
democratica e riformista i problemi che attraversano la nostra società e che non possono avere
risposte sempre e solo demagogiche, improvvisate, superficiali e approssimative. È arrivato il
momento che la politica – in attesa che anche il vento leghista, dopo quello renziano e grillino,
smetta di soffiare in modo così impetuoso e violento – ritorni protagonista facendo ricorso anche
alla autorevolezza della sua classe dirigente. Ed è proprio su questo versante che la cultura e la
tradizione cattolico democratica e popolare possono dare un contributo decisivo e di qualità. Non
in chiave identitaria ma aperta, plurale ed inclusiva.
In sintesi, e’ il cosiddetto “lodo Panebianco”. Ovvero, il recente invito dalle colonne del “Corriere
della Sera” del politologo bolognese che auspica la formazione di un “partito di centro” dopo la
sbornia demagogica e populista degli ultimi anni. Una formazione che prendera’ quota dopo il voto
per il rinnovo del Parlamento Europeo e che non potrà essere relegata ad un fatto meramente
politologico o deciso a tavolino. Un soggetto plurale, inclusivo e non identitario come giustamente
ha scritto recentemente l’autorevole editorialista del Corriere. Ma un soggetto che si rende
necessario per la qualità della nostra democrazia e per la salute delle nostre istituzioni
democratiche. Una prospettiva politica che cancella anche le riserve, o le invenzioni, inerenti un
fantomatico “partito dei cattolici” o ancora più goffo “partito dei vescovi”. Perche’ un partito di
centro e una cultura di centro non possono fare a meno della tradizione e del filone cattolico
democratico e popolare ma non si esaurisce in quel filone e in quella tradizione.
Un progetto politico che ormai non può più tardare. Al di là del Pd/Pds, di Forza Italia, della Lega
salviniana e dei vari gruppuscoli che albergano nella variegata e composita area cattolica italiana.